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Gianluca Ricci

IL SORTILEGIO

         

         


Il nucleo di questa storia mi è stato raccontato il 19 marzo 1990 da Giuseppe P., mio alunno di prima media in provincia di Bergamo.

G. R., gennaio 2010


   

Sorride, Giuseppe, all’idea di raccontare la sua storia al nuovo professore d'Italiano. Non sa se può fidarsi di lui che viene da lontano, da una parte d’Italia mai immaginata, e non conosce neanche come sono fatte le montagne della sua regione. Inoltre è uno di città e chissà se sa capire come si vive liberi sui prati all’alpeggio. Sopra quelle erbe pascolano libere le mandrie ed i pastori vivono a contatto con il cielo. Forse il “prof.” ha un briciolo di rispetto per le tradizioni di casa sua e sa che i segreti nascosti in valle non sono poi molto diversi da quelli che i boschi racchiudono in tutta Italia. In ogni caso, se riuscirà a stupirlo, lo avrà anche convinto che anche lui ha qualcosa d’importante da dire. Contrae, dunque, le labbra con un sorriso doloroso, fino a scoprire tutti i denti, mentre lo sguardo s'accende d'ironia e furbizia. In fondo si diverte in quel ruolo, mentre l’adulto, impaziente come un vecchio esploratore, lo incita a parlare, a raccontare tutto.

E allora Giuseppe si avvia lungo una memoria vecchia più di settanta anni, su su per la Val Brembana, fin dentro la Valle Imagna, che la interseca. Qui ritrova la nonna, solo che adesso è molto più giovane, ha una gonna lunga sotto il grembiule di cotone robusto, e, benché ragazza, è già esperta in faccende e mestieri di stalla, perché uno zio più ricco la portava a lavorare e le permetteva così di guadagnarsi da vivere.

Alla baita, oltre a loro due, c’era anche un guardiano, un altro vicino, che ogni tanto dava loro una mano a sbrigare i lavori più pesanti ed era pagato in natura o, come abitudine tra gente di montagna, con altre giornate di lavoro in cambio.

Fu lui, un giorno, all’inizio della nuova stagione, a dare l'allarme, presentandosi con una faccia stravolta. Mentre loro, la nonna e lo zio, se ne stavano in giro, qualcuno, a suo dire, aveva gettato il malocchio sulla stalla. Difatti da poco alcune mucche avevano preso a mangiare di controvoglia, non volevano più uscire dal recinto per andare a pascolare, anzi si erano messe a muggire come indemoniate e a scalciare contro il portone della stalla. Il giorno successivo, in preda ad un’inquietudine quasi umana, dopo aver corso a lungo, si erano lanciate nel vuoto, nel burrone, correndo a più non posso, per morire sfracellate alla fine di una carica insensata. Peccato, perché le bestie erano belle e ben pasciute: a venderle ci si sarebbe potuto guadagnare bene, ma chissà se ora il veterinario si sarebbe deciso, a concedere il timbro per la macellazione? Il vicino seppellì le carcasse in fretta e furia e tutto sembrava essere finito con un danno di non poco conto, ma ancora limitato.

Tuttavia, qualche giorno dopo ancora, una sera dopo l’imbrunire, altre mucche imbizzarrirono, sembravano essere andate fuor di testa, sfondarono la porta della stalla caricando furiosamente con le corna fino a gettarsi anche esse nel vuoto. Gli ultimi, proprio gli ultimi capi della mandria, si erano limitati a vagare e a bere abbondantemente la fredda acqua degli abbeveratoi, muggendo dolorosamente.

I tre confabularono a lungo ed animatamente per tutta la notte per scoprire chi avesse scagliato una così feroce maledizione. A turno si fecero i nomi di vecchi nemici, di confinanti con i quali era ancora aperta una lite per un passaggio negato o per la proibizione dell'uso di una sorgente, ma nessuno sembrava essere così carogna da aver giocato un tiro tanto malvagio.

A mali estremi, estremi rimedi – si dissero e così intendevano fare. La mattina a venire avrebbero tentato una contro-magia, una divinazione, difficile e pericolosa. Per il momento era bene andare a dormire e recuperare almeno un po' di forze, così da non affrontare stremati la complessa procedura dell'incantesimo.

Con il sole già alto fu messo un gran caldaio d'acqua sopra un fuoco vivace, rinforzato con molti pezzi di legna. Il combustibile a quei tempi non mancava, bastava solo uscire e raccoglierlo nel bosco più vicino. L'importante era che l'acqua bollisse e forte. A quel punto bisognava gettarvi dentro un crocefisso ed un'immagine benedetta della Vergine Maria. Sì, certo, era un'azione blasfema, un sacrilegio, un peccato molto grave, che forse neppure il Vescovo avrebbe potuto assolvere e perdonare, ma al momento non c’era altro modo per venire a capo della faccenda. L'offesa recata a Nostro Signore e a Sua Madre sarebbe ricaduta, immediatamente, sopra il responsabile del malocchio, trascinandolo sopra il calderone, anzi dentro, facendolo annegare tra i più atroci dolori.

Un qualche margine di rischio, tuttavia, rimaneva aperto. Ci sarebbe stata una lotta furibonda tra le forze del bene e quelle del male. Nulla avrebbe potuto evitare, anche molto tempo dopo, una vendetta o più semplicemente le conseguenze di una procedura sfuggita di mano e ripiombata sulle teste di chi pretendeva di manipolare le potenze occulte per mezzo di altre forze misteriose. Sarebbe stato opportuno, tra l’altro, tenere a portata di mano un altro crocefisso da brandire ed agitare a propria difesa come una spada o uno scudo. Una precauzione che i tre, per inesperienza o per troppa sicurezza, si erano dimenticati di prendere.

Non molto tempo dopo l'inizio del sortilegio si alzò il vento e si udirono sbattere tutte le finestre della baita contro i muri. Qualche vetro si ruppe anche. D'improvviso la porta si spalancò come se fosse stata spinta da un calcio potentissimo. Nel vano tra gli stipiti comparve una vecchia dal volto orribilmente piagato ed insanguinato: uno spettacolo davvero agghiacciante. Lo zio si fece forza ed abbracciò una vecchia doppietta, rimasta prudentemente appoggiata al tavolo. Uno sparo o meglio un'esplosione sembrò scuotere tutta la casa fin dalle fondamenta. La canna dell'arma non usata da troppo tempo era scoppiata, lasciando i tre senza l'ultima difesa. Una forza oscura li agguantò e li trascinò fuori all'aperto verso il vallone, ma lì – per loro fortuna – li abbandonò, quasi la sua potenza si fosse esaurita.

La nonna, lo zio ed il vicino si risvegliarono solo dopo molto tempo, distesi sull'erba. Era notte fonda, ma erano salvi.

A nessuno di loro venne in mente chi fosse quella vecchia così misteriosamente evocata. Il volto deturpato dal sangue e dalle ustioni non la rendevano in alcun modo riconoscibile e neppure i vestiti sembravano quelli di una persona a loro nota. Forse una povera donna che andava in cerca di funghi ed era stata cacciata in malo modo... Ci si dovette accontentare delle ipotesi.

Questa è la storia che Giuseppe alla fine mi ha raccontato. Il suo professore vorrebbe dirgli che tutta la vicenda è ben strana e poco credibile, che forse non ci si sarebbe dovuti fidare neppure del vicino, che forse era meno onesto di quanto voleva far credere, ma si trattiene dal farlo, perché sa che è inutile esibire un astratto spirito critico ed una fin troppa raffinata razionalità. E poi egli non vuole veder comparire sul volto dell’alunno il solito sorriso contratto di chi si sente perennemente sconfitto.

    

   [gennaio 2010]

   


Gianluca Ricci è nato il 17 novembre 1950 a Perugia dove attualmente risiede. Dopo essersi laureato in lettere moderne si è trasferito per motivi di lavoro per circa un decennio in provincia di Bergamo. Ha insegnato italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di I e II grado. 

Sono stati pubblicati alcuni suoi volumi di poesia:

Su SuperZeko, poi, sono riproposte con il consenso dell'autore alcune Poesie inedite degli anni 2005-2007, già pubblicate da Enrico Cerquiglini nel suo blog «Tra nebbia e fango» (http://enricocerquiglini.splinder.com/tag/gianluca_ricci), e Vigoroso è il moto del cielo (Poesie 2010-2012), già pubblicato da Midgard Editrice, mentre sono pubblicate in prima edizione la raccolta del 2008 Nova. Amor sacro ed amor profano ed altre cose ancora, quella del 2009 L'Uno vacante. Ancora citazioni, haiku, koan, aforismi e quant'altro..., Avessi ancora qualcuno (2011-2012), e le opere in prosa Koan all'italiana (2009), Il micio curandero & altri racconti (2009-2010), Le fiabe svoltate (cioè all'incontrario) (2010), Quando i ragazzi raccontano (2010), Tre viaggiatori (2010). Vi ha inoltre pubblicato Me le ha raccontate la mamma..., una raccolta di storielle e filastrocche apprese da sua madre Alda Rebecchi.

Il suo indirizzo di posta elettronica è etsi.omnes.non.ego@gmail.com.

   

 

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