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Gianluca Ricci
ANBAR
Per un'epica dell'anima
POESIE 1979-2004
Ripropongo con piacere, col consenso dell'autore, quest'opera di ottima poesia, uscita in prima edizione presso Midgard Editrice, Perugia, 2004, ed ora esaurita.
Dario Chioli
Chi desideri una copia dell'opera originale in pdf può farne richiesta all'autore all'indirizzo etsi.omnes.non.ego@gmail.com
Alle persone più care: Alda, Paolo,
Graziella, Francesco e, soprattutto
adesso che non c'è più, ad Ezio.
Misconosciuti segni
quanti la mia età
(o il destino)
contiene
quest'oggi ritornano
come un'arte per vivere.
A loro fanno cornice
le specchiate virtù
del sogno.
19.8.1979
Tutto questo,
naturalmente,
sarà scritto per enigmi,
perché non abbiano
a terminare
i giorni e le opere.
Insulse sono le ore
poste a scandire
un non senso,
un'epoca felice
e proditoriamente ingenua.
Anche gli eroi,
talvolta,
ridono di se stessi.
19.8.1979
Sentivo il vento
battermi alle tempie,
come il sangue,
ma era notte
e solo splendeva
una luna di stagione.
25.5.1981
Fuggivo con nel petto chiuso il tumulto degli anni.
Ora resto stanco a contemplare le lunghe piste
percorse ed incendiate da molto tempo.
28.4.1982
SOFFUSI VAPORI DELLA PRIMA ESTATE
Soffusi vapori della prima estate
turbano appena l'aria che azzurra
tra le valli scende la stanchezza della notte
i miei passi tornano a percuotere
l'inutile limpidezza della luna.
25.4.1982
IL FIORE CHE STRINGI TRA LE DITA
Il fiore che stringi tra le dita
fiorì prima tra le mie:
ora sfolgora come una nube giallo-dorata
di nuovo tra i prati della primavera.
25.3.1986
Impigrisce il cielo,
srotolato sopra un'aria tesa ed ostile.
Già intuisco i pensieri dei miei nemici:
case di pietra s'affiancano da sempre
alle strade da percorrere
e stanchi gerani
s'asciugano oltre l'ombra del mio amore.
Un'amante sempre giovane
bussa però al mio uscio
ed una luna sapiente
mi tenta con i trucchi del plenilunio.
Anche ora
sussurranti ombre della notte
consigliano di seguire il profumo
della terra smossa.
Tra il bosco e la collina
una quiete profonda di sospiri
mi assolve e libera
da una calcinata umanità.
8.8.1987
Altro dono non ho da darti
che un nome che indica stranezza
e un destino di passione rassegnata
e di morte languida, la notturna perla
delle cose già troppo dette e ridette.
A te s'addice il fluttuante ricamo dell'acqua,
a te soggiace il canto ultimo:
tenero usignolo sconfitto da un'alba
imprecisamente posta dopo mille tramonti.
20.3.1989
Solleva la mano e batti,
gira il tuo volto e sorridi,
il corpo ora inarca
e lascia gonfiare le vesti
per un moto improvviso.
Gira, gira e canta:
monocorde è il lamento
del violino che stai pizzicando:
non un'eco ti accoglie
quando distillano
le essenze rare dei ricordi.
Non importa: tu riprendi
a battere il ritmo
e gira, gira, gira
fino a quando il violino
un altro suonerà.
21.3.1989
NON LA SOLITUDINE DI QUESTI MARI
Non la solitudine di questi mari
piuttosto l'incessante inquietudine
delle acque quando si muovono a tempesta
mi agita invece una stanchezza perenne
un moto infinito di cose irrisolte
sorrisi non ricambiati sguardi imbarazzati
la consapevolezza di un ciclo che chiude
e risponde con le stanche ritualità
del rinnovamento, i bilanci del dare
e dell'avere, la fatica dell'amore
o dell'avere amato...
2.4.1989
QUASI ALLA MANIERA DI OMAR KHAYYÂM
Ci infastidisce
– abituati a camminare al buio –
il tremore di una lampada,
ma tu porgi un canto nuovo,
una diversa nota s'accompagni
al vino che versi nel bicchiere.
17.7.1989
Me prenda Amore,
strumento di poco pregio,
scabroso al tatto,
fragile all'uso
e di me si serva
e facile mi renda
al pianto e al riso
come chi da sé fugge
e più non ha coscienza:
una pietra che all'oscuro cuoce
e tra sordi tonfi si sfarina,
ma poi conviene che pur s'impasti
a dimostrare
la sua inespressa solarità.
15.12.1990
Pur se cresciute su se stesse,
corrose, graffiate, slombate,
(ma l'Angelo con cui lottare
non ti lascerà all'alba),
le nostre anime, voglio dire,
tendono alla luce vespertina,
al viluppo osceno dell'edera,
all'affanno, persino se,
su scena aperta,
si recita il dramma
dell'affrancamento.
2.2.1991
Considerate la natura, amici,
né più ambigua né meno rettilinea
delle vostre intenzioni:
uccide e sostiene con affetto,
stupisce e deprime inesorabilmente,
molteplice e semplice all'istante,
un continuo navigare
sulla stessa riva,
goccia che muore
e stilla ripetutamente,
tela al vento impazzita
e catena arrugginita al portone,
infinito elenco di una parola sola.
Considerate la natura, amici,
come in essa sbocci un dio benevolo
ed imploda una teologia ardua
di pene e messaggeri infernali,
come sia di sollievo la rinuncia
o lo stupito abbandono al Tutto:
e tutto questo perché oggi il cielo
è come un cristallo di rocca
e le mie ossa fremono della febbre
che il vento trascina e disperde
sopra l'acqua che ancora è ghiaccio
al primo mattino.
5.1.1996
Dei due pini
solo il primo ebbe buona sorte:
crebbe alto, svettante,
larghe le fronde e cariche di pigne,
l'altro che pure gli fu accanto,
godendo dello stesso sole
ed imbevendo le radici
alle stesse acque,
ora pencola sinistro,
roso al vento
e non più capace d'ombra.
16.3.1997
ORATORIO SU COSE SACRE E PROFANE
Se la bellezza è un fiore
che un giorno si disvela e muore
è pur vero che vecchiaia e malattia
di più non durano ed anzi
e con esse alla fine tutto tace
e s'invera nell'incanto estremo.
20.1.1998
Alla finestra si presenta
un orto abbandonato,
rugiada sulle foglie
e sui vecchi attrezzi consumati:
poi tutti li carezza la luce del tramonto
e me pugnala la spina
di una rosa appassionata.
27.2.1998
Che pena, che danno arreca al Demiurgo
un filo verde che in mare d'erba annega
o un grano di silice nella mota perso?
Nessuno o almeno quanto il sorriso
di un uomo nella notte spento.
5.6.1998
Gli dei nascondono
il loro riso ed il pianto
agli uomini
ed in questo ne differiscono,
perché non hanno bisogno
di chi li accompagni
al canto o al lutto.
14.4.1999
Non rabbrividire
se in un angolo della piazza
si erge severo un cartiglio
di un antico supplizio
o se il nome della via
espia memoria di un altro
tormento, il tuo.
Qui feldespati e miche
s'annidano fin nelle pietre
e brillano inconsueti
come diamanti,
qui la regola del gioco
è intrinsecamente dolorosa
e nulla si scompone
per il conto da pagare, poi:
il fatto è singolare, ma si condanna
all'infinito, come la noia
alla quale ci comandò
un antico stupore, nostro fato.
11.5.1999
Noi fummo come pioggia
caduta su pietre antiche
o come marmi corrosi
da ciò che scorre
da ogni dove:
in entrambi i casi
non ci difettò né sfuggì
la dura coscienza,
la necessità del ruolo.
18.5.1999
Sopra la luce altra luce splende
come l'ombra che se stessa
sopravanza o una carezza
un'altra ne comandi.
Sono questi i limiti del desiderio,
le forme impure della ragione,
che una preghiera trasforma in una
arida bestemmia.
Nella sera le ombre coniugano
le ambiguità del giorno,
il lato oscuro della notte.
12.2.2000
Poiché il nero elleboro
possa dirsi vivo,
conviene che l'inverno
non sia concluso,
ma che la luna lo faccia
compagno al bucaneve
quando fiorisce
sotto il pungente vento.
Come te ama l'ombra
e le linee di confine
che il bosco traccia
tra sé ed i prati
allorché l'acqua
scende oltre il cerchio,
mai perfetto,
delle alte felci.
Allora, anche un campo
aperto è il regno
della viola e dell'oscuro
nontiscordardime.
12.3.2000
Conduce amore verso speranze
in cui credere è pena,
conduce amore ad un lago di dolcezza
in cui lo strazio è lacrima gentile,
conduce amore verso uno sguardo
in cui è danza anche il respiro.
15.4.2000
Oggi anche il cielo
piange le lacrime del Buddha
quando compassionevole ammonì
la ghianda a non farsi albero
e poi bosco e poi incendio.
7.5.2001
Ora non c'è verso
che la parola torni arguta
anzi come papavero trascolora
e da rossa in porpora si disfà.
10.6.2001
Non l'onda che scende a risacca,
non la spuma che brilla
tra i sassi e la sabbia,
non il vento che piega e ritorce
ed il mirto sferza sul pino:
io sfioro l'acqua che dorme
e bevo del sole la luce più tarda.
Solo un brivido mi scioglie
e conforta il mio essere
oggi sul mare.
12.11.2001
Pensavamo di averle dette tutte,
le parole che celebrano la stagione
ed ecco che ancora ci tormenta
il verde della cicoria nuova
e la generazione entrante delle primule.
Anche il cielo è bagliore tra i nembi,
che scuri uno sull'altro si sostengono
e tristi gemono come corvi affamati.
Alla tua guancia oggi m'accosto
quasi un colore che cerca la sua forma
o un seme la sua fortuna.
23.3.2002
Prima che maggio riservi spazio
soltanto alla sua perfida regina,
che ogni colore assume
ed ogni forma vince,
la rosa, dico, una,
nell'infinita forma
del suo bocciolo,
ancora una parola ci accomuni
e salvi dall'oblio come quei fiori
che in gruppo vivono
o in siepe addirittura:
lo svenevole gelsomino,
l'azalea cespugliosa,
la torbida camelia
e la fragile gardenia
ed altri ancora,
ma non si dica che dall'uno
nasce sempre il tutto o che questo
in quello si riduce:
fiori si nasce, ma in petali
il vento ci sospinge.
26.3.2002
Così vicina è la vita degli uomini
alla falce fienaia
che ad un gioco somiglia
il giorno estivo della mietitura.
Più non dura, del resto,
ogni sogno
di chi nasce da donna.
25.4.2002
Il seno che non allatta più
cessa anche di ammaestrare.
Non so come stiano le cose,
se sia possibile giurare
che ogni punto di vista coincida
con la Natura universale
o un ciclo eterno chiuda
l'una dopo l'altra ogni traccia
delle nostre voci interiori.
Intanto una forza non irresistibile
ci tenta e ci corrompe.
25.4.2002
Che finisca in mille modi
e sempre sia obbligato a rifiorire
tra sberleffi, paure e sorrisi irrituali
– basta uno sguardo di solito a respingerlo –
o come l'ombra che non distingui più,
profumo che subito sale
dai campi appena frustati dal temporale
o rida, vento che provoca
il tuo riposo bussando alla finestra,
infine iride che improvvisa scende,
somma dei colori che più non si sciolgono
tra cielo e terra, tra di noi,
dico l'Amore, bocca che sfiori
o mano che abbandoni,
corpo che spezzi ed anima che risani,
ossessione intrisa di nullità,
ossimoro ed endiadi esistenziale,
donami benevolo una certezza,
perché giunga in me ancora una parola,
ancora una per completare
questa pagina ed un'altra pure,
e così un libro dopo l'altro,
un anno accanto all'ultimo.
1.5.2002
Ciò che sei o non sei stata
più di una volta l'ho detto
e malamente compitato,
così certezza e rabbia,
proteste e negazioni.
Eppure per la creatura
non vi è altro diritto
che al tempo che ha
come l'albero che al cielo
sfronda e di terra si nutre
e di luce si raggruma
contro l'ombra dei monti,
oscura.
21.5.2002
Ho interrato bulbi di dalia e tuberosa,
cimato piante sfiorite di lillà,
nell'orto ho raccolto le prime fragole,
la rucola, il prezzemolo e la lattuga.
Nel mazzo ho aggiunto la rossa decorazione
di ravanelli e cipolle di Tropea
e tu mi chiedi, infastidita,
una cura per l'anima,
come attingere nuovi sentimenti
ed un senso ancora per slegare
i tuoi stanchi giorni dall'angoscia
di troppe circostanze.
Lasciami, io torno a guardare maggio
che strina già con il primo debbio
i ciglioni delle strade
e con un refolo spinge alte
già fredde volute di fumo.
25.5.2002
Non c'è stupore
che si calmi in noi
come il bisogno di altre meraviglie,
ma in sé avido s'annidi,
promiscuo di significati
ancora più oscuri,
cifrati addirittura.
Così tu dici
dell'ossimoro
e senso non trovi
quasi di fronte
ad un niente
o ad un fiore
che nasce e rinasce,
gioiello incastonato
tra i petali acuminati
di una rossa buganvillea.
19.6.2002
Non ho che questo corpo:
oscuro, dolente, infagottato
in un lenzuolo che dei lacci
stringono per sempre.
Non ho da vivere
se non della tua pietà
e raro è il cordoglio
di questi tempi.
Non ho che questo sorriso
che tu stesso scegli di fretta
e non chiedi di cambiare.
Dimmi, ti prego,
che cosa ci divora,
cosa solleva la storia
di questi tempi,
se sono tempi,
se questa è storia.
2004
A chiudere gli occhi, a saper aspettare
anche la luna sbuca da un cielo nero
e senza stelle.
Non affilare ancora armi
sul lato duro del tuo cuore;
non hai più un padre
che guidi i tuoi sacrifici,
così non atteso il dolore
genera solo riso infinito.
Bastasse poi un refolo di sogno
ad imbarcare le tue mani
inoperose, inadatte, inattive.
2003
BABELE
(Bab-ilu)
Bisognava forse che Tu scendessi dal monte
per vedere i tuoi fedeli fornicare nel deserto
o attardarsi nella costruzione di una casa comune
sempre più alta, più alta del necessario e dell'ovvio,
per farsi prendere da un'invidia,
ancestrale come quella di Caino,
per il nostro tentativo di venire
a guardarti alla fine negli occhi,
gradone dopo gradone,
lungo questa ziggurat,
in cui si compie il destino degli uomini,
o forse hai capito
che avremmo potuto anche gridarti
da pari a pari, mai,
«Oh, Signore, ferma dunque
la sofferenza del tuo popolo!»
fino a ferirti se non l'udito
almeno il cuore ancora non indurito?
2003
A pregiata Vs. rispondo, ma non rispondo,
oggi mi fanno male anche le parole,
il sole splende ed io viaggio sul filo delle nuvole.
Non credermi triste, anzi.
Ho ritrovato amici di un tempo
e occhi di donna mi mandano baci.
Eppure supplico la vita
di scorrere con maggiore semplicità,
faccio voti perché la mia trepidazione
diventi un piccolo deposito prezioso
in fondo al cuore,
ma io sono un cattivo operaio
e fatico a separare le scorie
che non rendono prezioso ciò che lo è:
il pane che non spezzo con gli altri
non esiste né s'ammuffisce.
2003
Potessi chiudere le tue parole
come il foglio che le contiene
o gli occhi sotto il sole che marzo
sforza ad una luce nuova
ed invece mi assale increscioso
lo stupore che il sacro contiene
e non rivela fino in fondo.
Vorrei essere, allora, come quella bambina
che con la madre scende le scale,
le mani strette, ma gli occhi liberi
di interrogare la mia inespressa presenza.
2003
Qui ci abitavamo
e sulle tende opache
ogni giorno ci era concesso
stampare le nostre ombre mute
che da lontano sembravano
uccelli sospesi in volo
sopra il lampo del tramonto.
Qui ci abitavamo
ed ancora ci coglie incontro
un odore carico di aromi
ed incensi sfatti
come di memorie d'ansie
insopprimibili.
Qui ci abitavamo,
prodighi di attese, le chiavi in mano,
ad espiare nel buio dell'androne
le segrete corrispondenze
tra gli affetti raggrumati in vita
e le molteplici alterità del tempo.
2003
SE BUSCA LA VIDA
(detto gitano)
Come una macchia che rode una superficie
e tu credi danno alla politezza dell'Essere
addirittura ed altro, allora tenti
prima con lieve sfregare di dita,
poi con acqua ed aceto, forse alcol
o qualsiasi altro detergente
in crescendo rossiniano
non sapendo se bisogna lavorare
per sottrazione o per aggiunta
ed intanto la lacuna
si fa più grande ed irreversibile,
similmente a volte si va a cercar la vita
ed il moto intorno ad essa
è corsa verso la fine,
ricerca del limite,
rottura.
2003
Tre volte giacque Demetra,
tre volte sul maggese arato,
generando con il suo amante
il grano, biondo come un figlio
di luminosa perfezione,
lei che già ebbe un dio come sposo.
Poi gli dei morirono
e gli uomini si divinizzarono
lasciando un mondo raggelato,
incapace di sorridere,
immerso nella conta
di mali sempre nuovi.
È tempo, invece, di reclamare
nuova pioggia dal cielo
e nuove nascite dalla terra,
che esca come da una notte numinosa
un nuovo ordine di cose,
un pane fragrante di forno,
un vino lieto di cantina.
2003
Tra un dio giovanetto
ed un altro messaggero del ritorno
tu mi chiedi gioiosamente
quale sia stato lo sposo
di tanta altra divinità,
quasi se i numi potessero
essere fedeli a questo o a quello
lor paredro o amante.
Fedele alla terra, forse, è la pioggia
e già non trova stagione ovunque,
impudico il sole abbraccia
invece i vivi ed i morti
e mai il dio poté essere compagno
a se stesso o all'uomo.
Piuttosto un fiume che discioglie
la sua impurità nell'universo oceano
o un sogno che si spezza affannoso
in una notte oscura ed avvelenata:
tale resta per mia definizione
al sacro il primo approccio.
2003
Ci avesse addomesticato
un Essere supremo
e senza collare ci tenesse liberi
di girare oziosi per il suo cortile,
liberi di guaire, mordere l'aria,
leccarci l'un l'altro
o graffiarci addirittura,
ci avesse, invece, generato un caso
e già maturi condotti alla sorte,
sparigliati fino al momento
di essere franti e ricomposti
come l'Uno che a suo modo
è pur molteplice,
ci avesse, piuttosto, spinti
un facile insuperbire
per viluppi di vie aeree
ora tortuosi e teneri, quasi
germogli di siepi rampicanti,
ora duri e tignosi, forse
legni disfatti e crepitanti,
mai sazi, però, di percuotere
tempi e spazi,
ci avesse…
2003
Certe ferite
non si sa dove vengano,
come un rumore nella notte
di passi spenti su foglie morte,
certe ferite sono dolci
come un peccato a lungo rinviato,
certe ferite sono
come una musica interrotta,
un salto più riuscito,
certe ferite sono come lacrime
che novembre dispensa
sui campi bruni appena arati,
certe ferite sono fredde
come le acque nelle rogge
o il velo corrotto della nebbia,
certe ferite sono come le mie,
certe ferite sono come le tue.
2003
Crescimi dentro,
quasi un fiore appassito
che tenta ancora una rinascita
oltre la sua ed ogni altra stagione.
Vieni, la sera è giunta
fuori dal buio e si nutre
alla luce schierata dei caffè
lungo la strada.
Hai dondolato stanco,
perdendo il conto dei minuti
e l'ombra che ti fa uomo,
ma ora è giunto l'attimo
in cui il respiro si tende
e diventa cristallino.
Ed è quando tutto si fa
senza senso che appare
il senso vero della vita.
Niente ha senso,
se non questo urlo
che dilata il mio corpo
nella notte
che ancora non c'è.
2004
1. Si vede. No, non si vede.
Questa città si nascondeva ieri sotto la nebbia ,
oggi sotto un cielo pungente quasi di pioggia.
Ecco il sorriso strambo dell'Etrusco.
2. Se lo sguardo potesse rubare bellezza e gioia,
gli amanti sarebbero in costante povertà.
È allora che l'anima fugge dagli occhi
come un sospiro dal cuore.
3. Se d'inverno compiangi il bucaneve
che dirai a primavera della mimosa?
Sovrasta il mondo
con il suo lacerante colore
e non è che un fiore.
4. Se questo mondo sia sorto
per virtù della Parola,
non so confermartelo.
Di certo, quanto all'Amore,
ci viene consueto esprimerlo
con il linguaggio dei muti.
5. Screpolato come un muro di laguna,
semplice come un prato che l'acqua bagna a primavera,
un saluto, forse, percepito oltre la porta,
sì, io sono come un ghirigoro sul tuo scartafaccio,
un'ombra ancora sui tuoi occhi,
un sigillo sul tempo che strina al calore del giorno
e si chiude sotto i raggi lunari.
6. Come a primavera
viene un vento
ed il volto ci accarezza
e parole dice
che vorremmo
essere per sempre,
così oggi sognamo
un altro tempo
ed un altro luogo.
2004
Accarezzerò il tuo seno
anche dormendo
e la tua bocca bacerò
per tutta la notte,
o mio piccolo angelo biondo,
fragile come un cristallo
gettato a terra
e dolce come il pianto
di un adolescente.
Sarò come il sussurro
che alle tue orecchie
dice mille volte t'amo,
sarò come il rimorso
di chi ti ha detto addio.
2004
OFFIZIOLO
(Mes belles heures)
Compieta
Dopo mezzanotte
anche i sogni provano a dormire
ed allora il tuo sorriso
s'acquieta dentro di me
come le ciocche dei capelli
che la tua mano trattiene
a volte sulla fronte.
È mezzanotte e tu dormi
forse sognando
le luci che si spengono
accanto a me.
Sesta
E torna la cicala a dirci
di un altro affanno estivo,
la pelle che già brucia
alla mattina
e le parole che c'intona
un altro demone a mezzogiorno.
Solo la tua bocca è fresca
come d'ombra e di rugiada,
solo il tuo abbraccio
scioglie il mio gelo
in un rivo d'acqua purificatrice.
Mattutino
Ora sì che possiamo credere compiuto
un altro giorno,
ora che nessuna voce appartiene alla notte
ed anche il passo del viandante si fa
meno timido e riservato.
Solo tu quietamente dormi al mio fianco,
piccola dea del mio focolare, anzi mia unica divinità,
pronta a fare del tuo risveglio il debutto di una nuova alba,
anzi della prima alba del mondo.
Lodi e Vespro
Sia benedetto
questo letto solitario
duro ed inospitale
che impedisce il mio risposo
ed aiuta invece a concentrare
il mio pensiero in te.
Tu che sei come il chiarore
che scende dai monti
e ad essi ultimo ritorna,
tu che sei come la prima stella
che accompagna il giorno a vita
e poi lo spinge a morte.
Notte oscura
Te ne sei andata
come la rugiada a primo giorno
ed hai scordato la causa delle mie ferite.
Oh signora di tutte le mie albe,
colei il cui nome
rende oscura ogni altra luce,
chi ti ha convinto a passare
oltre i miei occhi?
Oggi stesso
bruceranno le mie malinconie
nel fuoco di uno sguardo cieco ed assente.
Ancora
Oh, verginale terra di bellezza
dove desolati i tuoi alberi criniera
sorgono tra crinali incolti
e lubrichi declivi,
non patria non terra,
ma fughe di nuvole
sopra la novella luna.
2004
Ci si somiglia di solito
nell'amore e nella vita
ed anche il corpo
partecipa al gioco degli specchi
perché non sia mai
che ci si risvegli uno
accanto ad uno sconosciuto.
E se grandi sono le differenze,
io alto e tu piccolina,
io sciocco e tu sapiente,
sia lo stupore e non la memoria
che ci accompagni.
2004
A dirsi
le parole che ci offriamo
sembrano le onde del lago
che si sparigliano dolcemente.
Banalmente
vengono e vanno,
mentre il sole le accende
all'improvviso
e per un semplice attimo.
Sono eleganti o strane,
forbite, forse,
sono storie di persone,
dicono, accennano,
rimandano, nascondono,
sono figlie dell'intuizione
e della voglia di conquista.
Mi lascio cullare dalle nostre parole,
ma vorrei che fossero
sempre più importanti,
definitive.
Mia piccola,
mia grande amica,
come un bambino
costruisco castelli di sabbia
e le mie parole li creano eterni,
cruciali e senz'altro lo sono,
ma non possono durare di più,
credimi,
neppure di quelle case
che l'uomo erige in pietra.
Mi consola, allora,
vedere la tua mano attenta
correggere la mia imperizia architettonica:
ora sotto le nostre dita
fioriscono archi davvero eleganti,
ora le mura si assottigliano al punto giusto,
ora le porte si aprono per entrare,
ora, sì, che il nostro abbraccio
può pretendere
un attimo di eternità.
2004
Ho levato in alto il tuo calice,
amica mia,
quando eri già assente
ed ho bevuto il resto del vino
che ti eri versata
appoggiando le mie labbra
sopra l'ombra delle tue.
Sono cose, lievi follie,
che gli innamorati fanno
per sentirsi ancora più ebbri,
ancor più docili verso il destino.
Ed ora che ti conosco
anche per questa arcana magia
ho il cuore chiuso su di me
ed i sensi acuiti all'infinito.
Ti vedo ovunque tu sia,
so come ti arrotoli
contro il lenzuolo oscuro della notte,
rimbomba nelle mie orecchie
il tuo passo svelto e deciso,
le tue mani sfioro mentre
lavori, riposi o mi scrivi.
Dormire, mi fosse possibile,
ma intanto il canto
assordante dell'estate
ha solo una nota,
un solo nome da ridire,
il tuo.
2004
Non ti sarà mai detto
se il fiume che percorri
in realtà sia l'intero universo
o una piccola porzione
né quale sia il suo verso.
Tu pensa sempre
di essere a favore di corrente
e che l'Uno l'abbia creato
a tua immagine e somiglianza
ora torbido e rapinoso
ora placidamente arteriale.
Tu fluitando mantieniti in lui,
screpolato, rigonfiato,
assurdamente ricongiunto
con la storia del mondo.
Nessuno dona
ciò che non ha
o pensa di non avere.
2004
Come le stagioni giungano a maturazione
e nuovi frutti offrano al nostro tatto,
ai nostri sensi, io lo ignoro
allo stesso modo in cui stupisco
sciogliendo i nodi del tuo vestito
o rivolgendo tra le mie dita
i tuoi capelli lietamente disordinati,
ma dopo le stoppie i campi accettano
un'altra aratura e poi ancora
una nuova semina
sicché, dove il grano cadde,
ora sorge fragrante un prato
di foraggio, erba medica, lupinella.
Così rinasce l'amore,
stagione dopo stagione,
taglio dopo taglio,
freschezza dopo inaridimento.
2004
Chi modellò
l'infinita varietà dei fiori
se non un dio amante
capace di dare ad ogni sua parola
una forma sempre diversa?
Chi sublimò dalla materia
i nostri corpi ed il nostro spirito
se non un cuore pieno
di timore e d'angoscia
per la parola non ricevuta?
Perché in verità più di uno
furono i vasai, abili entrambi,
ma identica la fornace
dalla quale uscì la nostra anima
come scintilla o inutile scoria.
2004
Oh miei signori,
in fondo queste
non sono altro che pietre
con un po' di calcina
e si sa che da sempre le pietre
non sono altro che pietre,
figuratevi la calce,
ma se sollevandovi sopra di esse,
discendendo da esse
dovesse capitarvi
di sentir parlare l'inesprimibile
come lo spirito che abita
tra queste Meteore,
allora sarebbe
infinitamente più saggio
sciogliere il mantello
e cercare una pietra
come guanciale.
Forse il dio che qui abita,
come ovunque,
potrebbe offrirsi a voi
ancora in sogno.
2004
M'inchino alla profondità dei tempi:
corpi palestrati ed anime in metastasi.
2004
Gianluca Ricci è nato il 17 novembre 1950 a Perugia dove attualmente risiede. Dopo essersi laureato in lettere moderne si è trasferito per motivi di lavoro per circa un decennio in provincia di Bergamo. Ha insegnato italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di I e II grado.
Sono stati pubblicati alcuni suoi volumi di poesia:
Comunicazione di servizio, Umbria Editrice, 1979 (un'antologia di questo libro è ora on line su SuperZeko);
Anbar, Midgard Editrice, 2004 (ora on line su SuperZeko);
Exergo. Navigando intorno e oltre le Quartine di Omar Khayyâm, Midgard Editrice, 2007, con una presentazione di Paola Ricci Kholousi (ora on line su SuperZeko);
Il Tao delle piccole cose, Midgard Editrice, 2009, con una nota introduttiva di Carlo Guerrini (ora on line su SuperZeko);
L'Uno vacante, Midgard Editrice, 2010, con una nota introduttiva di Dario Chioli (uscito in anteprima su SuperZeko).
Su SuperZeko, poi, sono riproposte con il consenso dell'autore alcune Poesie inedite degli anni 2005-2007, già pubblicate da Enrico Cerquiglini nel suo blog «Tra nebbia e fango» (http://enricocerquiglini.splinder.com/tag/gianluca_ricci), e sono pubblicate in prima edizione la raccolta del 2008 Nova. Amor sacro ed amor profano ed altre cose ancora, quella del 2009 L'Uno vacante. Ancora citazioni, haiku, koan, aforismi e quant'altro..., e le opere in prosa Koan all'italiana (2009), Il micio curandero & altri racconti (2009-2010), Le fiabe svoltate (cioè all'incontrario) (2010), Quando i ragazzi raccontano (2010) e Tre viaggiatori (2010). Vi ha inoltre pubblicato Me le ha raccontate la mamma..., una raccolta di storielle e filastrocche apprese da sua madre Alda Rebecchi.
Il suo indirizzo di posta elettronica è etsi.omnes.non.ego@gmail.com.
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