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Gianluca Ricci
L'ARCANGELO MAIÈLE
UNA FAVOLA PERUGINA
Anche gli angeli sono golosi e quanto lo fosse Maièle si capiva subito a prima vista. Era tondo come una pallina ed aveva le labbra costantemente sporche di cioccolata e di ogni altro tipo di cibo. Gironzolava nel cielo sempre pronto a calarsi in picchiata sopra la fabbrica dei Baci Perugina per aspirarne l'aroma seducente. Era diventato bravissimo a sgraffignare l'uvetta durante la confezione dei panettoni – tanto, si sa, agli angeli la pala impastatrice non fa nulla, neppure un graffio. Era diventato la disperazione dei maestri pasticceri della sua città. Quando veniva ritrovava una ciaramicola sbocconcellata o un torciglione senza occhi, perché qualcuno aveva mangiato le rosse ciliegie candite, quando le dispense risultavano all’improvviso svuotate, di chi la colpa se non di Maièle?
Era risaputo che alcuni spiriti potevano conservare le passioni dalle quali erano stati tormentati in vita. Di conseguenza, si sentivano volare discrete imprecazioni, furenti geremiadi, tanto che al buon Dio si stringeva il cuore. Fu proprio nel corso di una di queste lamentazioni che al nostro fu affibbiato l'epiteto destinato a diventare poi il suo nome identificativo: Maièle. (*)
Mastro Luciano, il miglior pasticciere della città, non ne poteva più di tollerare un appetito così impertinente. Gli dava fastidio la mancanza di discrezione di quell'essere, dato che con lui era stato sempre gentile. Molte volte gli lasciava da parte lo struffolo migliore, la rocciata più gustosa, ma niente: Maièle partiva in quarta, e con un volo cabrato sorvolava il bancone, penetrava nel frigo, spazzolava le mensole dove erano sistemati i biscotti e si allontanava lasciando un mucchietto di macerie dolcissime.
«Tu non sei un angelo! Sei un essere ingrato! Tu sei un... maièle! Vergognati!»
Fu così che Maièle fu ribattezzato e per sempre. All'inizio il buon Dio non ne fu contento, perché gli sembrava di legalizzare una bestemmia e, ovviamente, prima gli angeli, poi gli arcangeli e in ultimo chissà dove si sarebbe andati a parare, ma alla fine dovette proprio arrendersi, essendo questo davvero il male minore. Non gli sembrava la cosa più opportuna mostrare troppa severità con quell'esserino, che aveva avuto un'infanzia non solo infelice, ma addirittura disperata, e che cercava in qualche modo di compensare con un'eccessiva scorpacciata di dolciumi le carezze e le tenerezze di una madre mai conosciuta.
«Meglio così, si disse il buon Dio, meglio una canzonatura, che una ventata di anticlericalismo. Chissà se Maièle, uhm! metterà la testa a posto! E poi il suo nuovo nome fa rima con quello degli altri angeli: Michele, Gabriele, Ezechiele… È tutta una Babele!»
Anche san Pietro sorrise a quel gioco di parole, e fu chiaro che Maièle era stato perdonato un'altra volta. L’ultima?
Come ben sa chi vi si sottopone, una dieta non dura che lo spazio di un mattino, tale quale una rosa di maggio. Maièle si era già stancato di riempirsi di buone intenzioni, però aveva capito la lezione e temeva che il Capo, spazientitosi definitivamente, lo volesse affidare alle cure del suo collega, sì, proprio lui, il Buddha, il quale notoriamente era benevolo e pacifico, ma aveva sempre un sorriso sardonico sulle labbra. Beh, facciamola breve: aveva paura di essere costretto a rinascere, incarnandosi in un suino vero e proprio...
Come fare? Chiudere gli occhi davanti al negozio di mastro Luciano? Ma lo doveva chiamare proprio "Peccati di gola"? Impossibile farcela! Almeno avere una coda da mettere tra le gambe per andarsene via svelti svelti! Una provocazione, poi, quanto stava accadendo sulla terra proprio in quei giorni: era Carnevale, ed effluvi di fritture dolci, di sentori di miele, d’alchèrmes lo raggiungevano a mezz’aria facendogli perdere addirittura l’assetto di volo. Stranamente dove passava lui si alzavano sbuffi di zucchero a velo, mentre il cielo si oscurava per un addensamento di nuvole di cacao amaro. Maièle aveva ricominciato a nuotare nella crema pasticciera, poi s'immergeva rapido in quella chantilly. Non si salvava una charlotte o una mousse. Sulla superficie dei tiramisù lasciava impresse le orme delle sue manine come se fosse stato una stella di Hollywood.
La cosa più brutta di tanta rinnovata e devastante ingordigia fu che essa non ebbe più limiti. Una volta rotti i freni, ogni assaggio diventò il preludio ad una nuova indigestione. Ogni delibazione era un rimorso per quei sapori che erano stati appena trascurati. Valeva l’impegno a gustarne dei nuovi e sempre più intriganti. Peggio ancora per gli uomini, perché Maièle non si limitò a saccheggiare la solita isolata pasticceria di paese, ma incominciò a frequentare quelle dei centri vicini, facendo addirittura paragoni tra questa e quella, per arrivare di nuovo in città, in corso Vannucci, la via principale in cui la vita ferveva come non mai anche di notte. La sua tecnica era diventata diabolicamente astuta e scaltra, tanto che era impossibile identificarlo e denunciarlo alle Alte Sfere.
Finché Maièle si limitò a devastare nottetempo banconi-frigorifero di caffetterie, bar e supermercati tutto si concluse con una semplice denuncia in commissariato contro ignoti danneggiatori (cosa che di solito lascia il tempo che trova: vi siete mai chiesti come fa la polizia ad acchiappare i ladri se neppure voi, a volte, conoscete il nome dei vostri vicini?). Il peggio venne quando Maièle, accecato da un brutto senso d’onnipotenza, cominciò a rubare gelati e dolcetti che i genitori avevano preparato per i loro figli a casa.
Il pianto e la disperazione di tanti bimbi fu davvero una cosa impressionante a sentirsi ed il povero arcangelo scomparve improvvisamente nel bel mezzo di un lampo di incredibile bagliore al quale seguì un sordo boato. Si ritrovò davanti a Dio che in quel momento non sembrava proprio intenzionato a conservare neppure una briciola della sua proverbiale bontà. Sembrava una divinità infuriata, capace di seminare punizioni e sofferenze, il padrone crudele e capriccioso della vita e della morte. Un dio pagano. Eh, sì, per Maièle la faccenda si stava mettendo proprio male. Era arrivato il giorno in cui rendere conto delle proprie malefatte, il giorno dell’ira, il dies irae, in cui anche lui sarebbe stato ridotto all’istante in un mucchietto di cenere o a mandato ad arrostire in un certo cantuccio per sempre. Maièle si sentì mancare e come uno straccio si afflosciò ai piedi della tremenda Maestà, anche perché, attraverso quel po' di udito che gli era rimasto, gli era sembrato di capire che Dio stava decidendo se dar corso al suo antico progetto di farlo reincarnare in un maiale o, peggio, in un cane, magari in un paese orientale, dove tali povere bestie vengono cucinate e mangiate con gusto, o spedirlo come gatto nero nel Seicento, età cristiana, in certo un luogo chiamato Salem, Massachusetts, al tempo della caccia alle streghe: scegliesse lui! E quando mai si era vista una potestà celeste, sia pur minuscola, afflitta dal vizietto della gola, eh?!
Maièle, brutalizzato da quel terribile, ma pur sempre giustificato scoppio d'ira divina, prima si rannicchiò nell'esiguo spazio contenuto all'interno delle proprie ali iridescenti e poi, come ogni bambino posto nell'identica situazione, si mise a piangere disperatamente.
Dio, che in fondo è davvero di cuore tenero e se c'è una cosa alla quale non riesce ad essere insensibile è proprio il pianto di un angelo-bambino o il sospetto che anche Lui possa cadere nel peccato d’ira, si commosse e un pochino si vergognò del suo strafare. Si chinò su di lui, lo prese nel suo palmo, adattato per l'occasione alle minuscole dimensioni di Maièle, lo cullò paternamente, calmandolo all'istante.
«Però, disse alla fine il buon Dio, però mi devi promettere davvero e definitivamente che non assalterai più una pasticceria, non ruberai neppure un bignè e, meno che mai, assaggerai un granello di zucchero!»
Maièle sollevò il volto e sostenne fiducioso lo sguardo del suo Creatore; si asciugò una lacrima con il risvolto dell'ala e con la voce ancora impastata dal pianto ripeté l'ultima promessa: – Mai più un granello di zucchero!
Come fu congedato dalla Sua Presenza, l'arcangelo (ora sì poteva fregiarsi del suo titolo a tutti gli effetti!) volle mettersi alla prova per dimostrare che era diventato insensibile a tutti gli zuccheri di questo mondo, fossero semplici o composti, monosaccaridi o polisaccaridi, glucosio, fruttosio, galattosio, maltosio e compagnia cantando. Alle api il polline e la melata, lui avrebbe mangiato d'ora in poi tutt'altro genere di cose!
Così, planando lentamente, andava rifiutando dentro di sé tutti gli odori ed i sapori che gli si facevano incontro e che ormai gli erano proibiti, fingendo di non averli neppure percepiti, finché ad un certo momento lo stomaco, prima delle narici, si contrasse ed egli si sdilinquì come per troppa fame. A poche centinaia di metri dalla vecchia fabbrica di cioccolato, gli uomini, ah! vile razza dannata, veri figli di Satana! Avevano costruito uno stabilimento per la produzione di focacce, pizze, quiche, vol-au-vent, schiacciate e schiacciatine, crêpe, torte al formaggio, soufflé…
Come ipnotizzato, Maièle prese a descrivere ampi giri tanto che chi l’avesse potuto vedere lo avrebbe scambiato per un avvoltoio o un altro uccello rapace impegnato a perlustrare il proprio territorio prima dell’affondo finale. Dentro di sé, però, l’arcangelo pensava, rifletteva e ricordava. Sfidare due volte l’ira di Dio, beh, no, non era proprio una buona politica, questa! Lo stesso giorno! Poi, all’improvviso, l’intuizione e la decisione rapida e conseguente.
«Io, a Dio ho promesso di non mangiare più i dolci – disse l’angelo-bambino, picchiando come un falchetto sul magazzino dei sandwich – mica i salati!»
Verso il lago, il cielo andava intanto lentamente imporporandosi per un lungo tramonto.
[dicembre 2009]
(*) In dialetto perugino si dice maièle, ma si pensa maiale...
Gianluca Ricci è nato il 17 novembre 1950 a Perugia dove attualmente risiede. Dopo essersi laureato in lettere moderne si è trasferito per motivi di lavoro per circa un decennio in provincia di Bergamo. Ha insegnato italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di I e II grado.
Sono stati pubblicati alcuni suoi volumi di poesia:
Comunicazione di servizio, Umbria Editrice, 1979 (un'antologia di questo libro è ora on line su SuperZeko);
Anbar, Midgard Editrice, 2004 (ora on line su SuperZeko);
Exergo. Navigando intorno e oltre le Quartine di Omar Khayyâm, Midgard Editrice, 2007, con una presentazione di Paola Ricci Kholousi (ora on line su SuperZeko);
Il Tao delle piccole cose, Midgard Editrice, 2009, con una nota introduttiva di Carlo Guerrini (ora on line su SuperZeko);
L'Uno vacante (ancora citazioni, haiku, koan, aforismi, ricette e quant'altro immaginando Sisifo felice...), Midgard Editrice, 2010, con una nota introduttiva di Dario Chioli (uscito in anteprima su SuperZeko);
Vigoroso è il moto del cielo (Poesie 2010-2012), Midgard Editrice, 2013, con una presentazione di Walter Cremonte (poesie in parte già pubblicate su SuperZeko in Avessi ancora qualcuno).
Su SuperZeko, poi, sono riproposte con il consenso dell'autore alcune Poesie inedite degli anni 2005-2007, già pubblicate da Enrico Cerquiglini nel suo blog «Tra nebbia e fango» (http://enricocerquiglini.splinder.com/tag/gianluca_ricci), e Vigoroso è il moto del cielo (Poesie 2010-2012), già pubblicato da Midgard Editrice, mentre sono pubblicate in prima edizione la raccolta del 2008 Nova. Amor sacro ed amor profano ed altre cose ancora, quella del 2009 L'Uno vacante. Ancora citazioni, haiku, koan, aforismi e quant'altro..., Avessi ancora qualcuno (2011-2012), e le opere in prosa Koan all'italiana (2009), Il micio curandero & altri racconti (2009-2010), Le fiabe svoltate (cioè all'incontrario) (2010), Quando i ragazzi raccontano (2010), Tre viaggiatori (2010). Vi ha inoltre pubblicato Me le ha raccontate la mamma..., una raccolta di storielle e filastrocche apprese da sua madre Alda Rebecchi.
Il suo indirizzo di posta elettronica è etsi.omnes.non.ego@gmail.com.
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