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PENTECOSTE
Roberto Rossi Testa
«Pentecoste» appartiene alla stagione felice di una creatività cui non posso non pensare con grande affetto e con qualche rimpianto, pur essendo ormai conscio dei suoi limiti e persino dei suoi pericoli. Salutato ai miei esordi come "un inquietante Lautréamont", (*) negli ultimi anni, con un carico di esperienze non sempre liete ed invero anche in modo reattivo, mi sono riaccostato alla mia maniera originaria; ma nella seconda metà degli Ottanta ebbi una specie di grazia, che mi diede accesso ad una serie di "visioni intellettuali" e m'indusse ad oggettivarle in versi che tentavano di avere l'essenzialità dell'icona e l'organicità della cattedrale (di tutto ciò resta traccia, oltre che negli inediti che forse presto non saranno più tali, in alcune riviste e in un libro, Stanze della mia Sposa). Nacque così una poesia il cui termine di riferimento era la canzone dottrinale del Due-Trecento: una poesia programmatica, che voleva sospendere se non annullare i paralizzanti effetti delle consapevolezze novecentesche: che coniugava la costruzione e lo slancio, l'ardore e il rigore: appassionata ed argomentativa, tanto da essere a volte abbozzata in prosa, splendidamente incurante di ogni accusa d'essere anacronistica, velleitaria e pompière. Ebbi dunque una specie di grazia, anche se non posso dire se fu una grazia davvero; né posso essere io a giudicare se ne feci un buono od un pessimo uso. Quello che è certo è che, qualunque cosa sia stata, l'ho pagata assai cara, in tutti i sensi; ma che nondimeno ne è valsa la pena, poiché grazie ad essa sono riuscito, al di là dei risultati, a lanciare una proposta, a porgere un dono; proposta e dono che non credo siano gli unici della mia vita, ma che reputo senz'altro i migliori. Cosicché, quando quella luce si è attenuata, offuscandosi, e la mia fede ha vacillato, ed io sono, come si dice, rinsavito, non ho solo e semplicemente chiesto il perdono del prossimo e l'assoluzione di un prete, disponendomi a morire, ma ho tentato di proseguire, a scrivere e a vivere. Ed ho tentato di proseguire proprio nel ricordo di quella luce; poiché le fiamme di quella Pentecoste erano sì ormai fredde e non più visibili con gli occhi del corpo, ma in esse avevo ricevuto un'ordinazione che, lo sentivo, in me e nel mio mondo continuava ad operare incessante: dal momento che ciò che è stato una volta in modo autentico e intenso non viene mai meno, è per sempre.Roberto Rossi Testa (*) L'epiteto "un inquietante Lautréamont" mi venne dato nel 1984, ai tempi della pubblicazione dell'opera collettiva "Pharmakos", cui partecipai insieme ai poeti Dorian Veruda, Vincenzo Guarracino, Roberto Mussapi e Alberto Schieppati ed al filosofo Gianni Carchia (il quale contribuì con un intervento teorico). Quando il libretto uscì uno degli autori presenti riuscì ad ottenerne una recensione da un critico col quale era in buoni rapporti; ma quest'ultimo, inelegantemente devo dire, demolì con poche parole il volume, salvando solo i testi dell'amico, e citando di sfuggita me, appunto come "un inquietante Lautréamont". Visto come andarono le cose ne ho significativamente rimosso tutti i particolari, compresi il nome di quel critico ed il titolo della rivista su cui scriveva; mi è però rimasta impressa in modo particolare quell'etichetta affibbiatami, che allora mi suonò come un elogio e nella quale mi ero riconosciuto con compiacimento. (**) Questo verso nella prima edizione suonava leggermente diverso: | Mi comparivi a un tratto, scendevi tanto rapida e lucente che le cose d'intorno si sfuocavano: e un fuoco dentro me soffiava intanto, fino a ridurmi a un niente, fino a estinguermi tutto, a brano a brano: sì che poi, nel ricordo, franto e vago, dubitavo dei sensi, e della mente. Ora, però, mi ti sei fatta incontro E mi ti siedi accanto, tu mi avvolgi Ormai non cesserà lo spiro ardente: Ascolta attentamente, ascolta e interroga: E il mondo sarà cosmo: Saranno tanti i tuoi fratelli allora, Questo è il comando: guarda, e credi, e vedi; E lì, raggiunto il punto in cui ha termine, Ma non tace il tuo sguardo, e il tuo sorriso, Tu sei l'eccelsa, per essenza e nascita; E l'incontro che tu hai voluto qui, Lo so: malgrado i segni Ora non conta che recarti omaggio: Una certezza mi sostiene, adesso: E se fallissi, infine, Perché fra noi è stabilito un patto: (1989) |
Roberto Rossi Testa
(*), nato il 17 settembre 1956 a Torino, vi ha
vissuto e lavorato finché non si è trasferito a San Raffaele Cimena, dove è
morto il 28 gennaio 2016.
In poesia partecipò all'opera collettiva Pharmakos
(Torino 1984) e pubblicò le raccolte Stanze della mia Sposa (Hellas,
Firenze, 1988), Poca luce (Nino Aragno Editore, Torino, 2002), da
cui è tratta La notte
dell'impresa, Eunoè. Poesie 1988-1995 (Manni
Editori, Lecce, 2005), Sposa del vento. Poesie 1984-2004 (Aragno, Torino,
2007) e Poesie per un no
(Aragno, Torino,
2010). Collaborò inoltre a numerose riviste sia italiane che
estere, fra cui L'anello che non tiene (cfr. Pentecoste,
poi riedita in Eunoè), Poesia, Schema, Testo
a fronte, Yale Italian Poetry (cfr. Grazie).
In prosa pubblicò il libro di racconti Storie
di dèi e di animali (Petrini, Torino, 1995), da cui sono riprodotti sul
nostro sito Il toro bianco
e Il cigno di Leda.
Collaborò
al blog letterario La
Poesia e lo Spirito. Una sua silloge intitolata La notte
dell'impresa è scaricabile in forma di libro elettronico all'indirizzo
http://www.larecherche.it/public/poesia2punto0/La_notte_dell_impresa_di_Roberto_Rossi_Testa.pdf.
Sue poesie sono presenti anche all'indirizzo
http://www.italian-poetry.org/rossi_testa_roberto.html.
Svolse un'intensa attività editoriale come traduttore e curatore, in primo luogo di testi poetici e di opere riguardanti il mondo arabo-islamico, la critica letteraria e d'arte (da Tagore a Gibrân, da Ortega a Huysmans, da Ibn `Arabî a Blake). Nel 2007 uscì la sua traduzione del Latino mistico di Remy de Gourmont (Aragno, Torino), e nel 2008 uscì quella de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Ibn `Arabî (Urra-Apogeo, Milano, con prefazione di Gianni De Martino), opere per cui profuse grande impegno.
Su SuperZeko sono presenti sue traduzioni da Percy Bysshe Shelley, Alfred Tennyson, Younis Tawfik, William Blake e Jaufré Rudel, nonché la sua versione integrale de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî (cfr. parte I – parte II – parte III – parte IV).
Poco prima di morire ha pubblicato la sua ultima opera di poesia: Il sole della notte, alla chiara fonte editore, Lugano, gennaio 2016.
(*) Per l'anagrafe è Roberto Rossi, ma dal 1989 firmò i suoi
lavori con l'aggiunta del cognome materno al fine di evitare confusioni con
omonimi.
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