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GRAZIE
Roberto Rossi Testa
Anselm Feuerbach, |
Roberto Rossi Testa
(*), nato il 17 settembre 1956 a Torino, vi ha
vissuto e lavorato finché non si è trasferito a San Raffaele Cimena, dove è
morto il 28 gennaio 2016. Svolse un'intensa attività editoriale come traduttore e curatore, in primo luogo di testi poetici e di opere riguardanti il mondo arabo-islamico, la critica letteraria e d'arte (da Tagore a Gibrân, da Ortega a Huysmans, da Ibn `Arabî a Blake). Nel 2007 uscì la sua traduzione del Latino mistico di Remy de Gourmont (Aragno, Torino), e nel 2008 uscì quella de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Ibn `Arabî (Urra-Apogeo, Milano, con prefazione di Gianni De Martino), opere per cui profuse grande impegno. Su SuperZeko sono presenti sue traduzioni da Percy Bysshe Shelley, Alfred Tennyson, Younis Tawfik, William Blake e Jaufré Rudel, nonché la sua versione integrale de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî (cfr. parte I – parte II – parte III – parte IV). Poco prima di morire ha pubblicato la sua ultima opera di poesia: Il sole della notte, alla chiara fonte editore, Lugano, gennaio 2016.
(*) Per l'anagrafe è Roberto Rossi, ma dal 1989 firmò i suoi
lavori con l'aggiunta del cognome materno al fine di evitare confusioni con
omonimi.
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GRAZIE
(1994)
a Ottavia
Dall’intima distanza della pagina
una voce ammoniva: “Non voltarti:
bugiarda è la memoria,
ogni immagine ormai ti mentirà”.
Colpito mi richiusi, mi fermai.
Ma quando percepii una fragranza,
lo scorrere sommesso di un sorriso
e il cedere del letto a un altro corpo
che lieve lo premeva,
io non volli non credere alla vita:
e mi volsi, e la vidi, oltre la stanza:
scendeva in panni grezzi, in scialli grigi,
conduceva dai colli verso il mare
un gregge mormorante;
e come in una danza, nuda e chiara,
con solo il nero di capelli ed occhi,
saliva un’acqua diaccia, usciva all’aria
tesa sull’invisibile confine,
incerta se accostarsi o rifuggire.
E subito lei fu presso di me,
stagliata contro il blu fondo del cielo:
la mia donna era là, vibrante d’ansia
e tuttavia decisa nell’offrirmi
l’ansa dei fianchi e delle labbra schiuse,
e la dura sostanza dei suoi grani,
e il dolce della polpa più matura.
“Siamo da sempre abissi che si chiamano”
piano mi disse. Ed io
entrando in lei intesi un lungo flutto
che si frangeva contro la mia roccia;
e un frullo d’ala, soffocato e secco;
e il tuffo di una selce, o di ossidiana,
o di un becco stillante nel mio petto.
*
Pensieri di tramonto nella mente,
e la notte negli occhi -
Però lungo le labbra attesa d’alba,
dalle perle sgranarsi di preghiere
e sorgere di canti.
*
Dopo la quieta cena,
dopo avere diviso il pane e il vino
di sguardi che sprofondano
e di parole e mani che appassiscono,
tu ventili la luce d’oro e viola
sopra gli ultimi voli delle rondini,
chiudi la porta al mondo
e la spalanchi a me: che strappo allora
dalla bocca dell’angelo la tromba,
e col suo fiato il fiato tuo risalgo:
ed in ginocchio innanzi a ciò ch’è mio
tratto dal nido l’uovo dell’origine
fra le due mani giunte lo riparo,
a sorprender la nascita del grido;
mentre dal rovo delle ciglia scocca
un lampo nero che l’offerta estingue.
Di terra e muschio, poi, un sonno lieve
greve incede alla gloria dei mattini.
E finalmente non è tuo né mio
dentro le vene il sangue:
insieme siamo antichi e lontanissimi,
però nuovi e vicini.
*
La mia forza innocente e micidiale,
piccolissima mente universale
che nulla sa se non il suo volere,
dell’origine fossile vivente,
adesso dopo eoni di silenzio
si libera dal fango e dalla cenere,
zampilla in alto, rampa contro il cielo
a chiamare e a rispondere:
a cercare il tuo numero, il tuo grido.
E ti spalanca, mentre frugo e furo
e curo la tua inerzia millenaria.
Colonne luminose d’acqua e d’aria
di nuovo affondo nella terra arida;
e l’acropoli ancora il vento agita,
ai ponti della notte
battono fiumi d’alba.
*
A Amino e Lucilla
Dove non giunge il sole, in fondo al bosco,
e segna le stagioni
solo il variar dell’erbe,
presso una lenta fonte c’è una casa.
Una signora senza tempo l’abita,
scrutando cuori e manoscritti e stelle
guardata da due gatti
con volubili code di cometa.
Ella prepara semplici
per addolcire propri e altrui dolori,
uguale accetta quiete e mutamento,
senza speranza aspetta.
Se un cavaliere lega le sue redini
al lauro accanto all’uscio
tacita il vino versa, il pane spezza.
Un cavaliere ha solo il suo cavallo,
come in sogno ripete; e nulla chiede.
E nulla al suo silenzio
risponde il cavaliere;
ma le prende di mano la fascina,
e attizza il fuoco; e smessa l’armatura
innanzi al fuoco senza fretta sogna.
*
Pare quest’arpa come una cortina:
attraverso le corde un caro lare
dal casolare che gli fa da tempio
si sporge con un cenno; e guarda fisso,
che più non mi dispare; e il volto vero,
severo e dolce che mi fa tremare,
fondendo al mio mi dice: “Abbi coraggio:
accogli fino in fondo e specchia il raggio,
dispiega il canto che ti trovi accanto,
onde voli lontano, oltre le corde.
E abbi pazienza, uomo senza tregua:
tu sei soltanto grezzo e un po’ corroso;
però non insensibile alla tempra,
non ìmpari allo sforzo di imparare.
Sappi che quello che per ora sépara
in verità già ci prepara a sé”.
*
Insieme a te in un giorno
ho ripercorso i secoli
dall’infanzia del mondo fino a questa
decrepitezza muta. Insieme a te
ho ricomposto il Volto,
ho destato la Dama dal suo sonno.
Insieme a te son giunto
innanzi all’alta soglia,
a mani nude, senza avere nulla
se non spavento e voglia.
Lì non ti ho vista più; lì sei scomparsa
o, forse, sei venuta
con altro viso, noto in altra vita.
Confuso tra una folla sconosciuta
son stato a lungo a battere alla porta
mentre un pianto sfrenato mi lavava.
Infine mi hanno aperto:
ho potuto parlare coi miei morti,
e chiederne il perdono,
e ottenerne parole di conforto.
E loro stessi poi mi hanno indicato
la finestra che dà sulla riviera
dove sbocca una fogna;
ma l’acque che ne sgorgano, riunendosi
ad un torrente che ritorna al mare,
son già limpide e chiare, e quegli spruzzi
schiaffeggiano le guance come spuma.
Io mi sono affacciato a guardar sotto
coi gomiti appoggiati
al davanzale nell’immensa luce
di un cielo quasi sgombro;
e su per la parete
mezza calce scrostata e mezza roccia
polpi e granchi pian piano risalivano
verso di me per farsi accarezzare.
Allora, nel ricordo
premente e dirompente, nella piena
dell’onda che ha travolto in quell’istante
ogni mia vecchia diga, ogni mia sponda,
ho reso grazie e sono stato pronto
a scrutar nel profondo e chiuder gli occhi,
a chiudere la gola sopra il grido
e cederla al silenzio,
a dare il balzo estremo e poi per sempre
inginocchiarmi al vero: ormai svelato
e che restava tuttavia mistero.
*
Ora la prova è al termine.
Nelle mie vene scorre
l’energia medesima del sole.
Onde di plasma ardente si sollevano
poi si placano in laghi d’alta quota
dove pure il pensiero della morte
trova il suo giusto luogo.
Non è per me il timore,
è soltanto la rabbia desolata
di trovarmi nel bosco senza un’arma
e dovere tremare ad ogni vento.
*
Per chi non può volare
passar da cima a cima
significa discendere,
attraversare il punto
dove la via devia.
*
Resta in silenzio, arresta la tua corsa,
siedimi accanto e ascolta.
C’è un luogo fitto di canali e case
dove radendo sponde, e muri e porte,
velieri senza suono, assorti, sfilano
sotto i ponti di cotto;
e su dall’onda sorgono gli dèi,
s’affacciano sul mondo
con sguardi che lo fanno ancora nuovo.
Hanno mani da cui sbocciano fiori
e spade che consegnano al ricordo
prima che ridiscendano sul fondo:
nel trepido bagliore,
in quell’attesa d’alba
ch’è l’ultimo bagliore del tramonto.
Da lì provieni, lì stai ritornando.
Tu non rammenti che fra nebbie e a tratti,
ma è lì per mille vie che ti conducono
ormai i tuoi piedi stanchi, è per quell’Opera
che le tue mani scarne sono all’opera.
*
Vivida statua, sotto la cui pelle
freme una vena tiepida e tranquilla:
guarda dentro il tuo specchio il giglio d’acqua,
il mio cimiero impolverato e lacero;
e poi tragitta alla città turrita,
e lì di’ a chi nasconde il capo e tace
che mai avrebbe luce senza tenebra,
braccia al pari di quelle che non hai,
vittoria in guerra senza la tua pace.
[Testi tratti da: YIP, Yale Italian Poetry, volumes V-VI, 2001-2002]
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