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EUNOÈ
POESIE 1988-1995
Roberto Rossi Testa
Manni Editori, Lecce, 2005 Collana: Pretesti 72 pagine € 9,00 ISBN: 88-8176-735-X | In copertina: immagine tratta da William Blake, | Si trova nelle migliori librerie (distribuzione PDE) |
Riportiamo qui la sezione (pp. 49-56) che dà il titolo al libro.
Il volume include anche (pp. 43-47) una riedizione della poesia Pentecoste, che abbiamo già in precedenza riprodotta su questo sito.
EUNOÈ
(1990)
Per C.
Quant'acqua sotto gli archi dei suoi ponti:
acqua che passa, eppure acqua che resta:
sempre vivace e fresca, e dolce e chiara;
non buona per scordare e abbandonarsi,
ma necessaria per ancora vivere,
vivere come quando l'esistenza
corrispose all'invito della stella.
Le luci ed i profumi di quell'epoca,
fugace però intensa,
son tutti lì: nel flusso e nel riflusso,
nel movimento che non si distingue
se sia incontro alla foce o alla sorgente.
Basta scendere a bere od a nuotare,
basta persino solo contemplare
dall'alto della riva per trovarli,
per sentirli più veri del reale,
per star di nuovo in mezzo alla corrente:
nel suo eterno presente, nel suo oro.
E poi levare gli occhi,
e vedere altri spazî, immensi e liberi;
non imprigiona, ciò ch'è stato amore;
al contrario da un giusto ricordare
si ottiene pace e forza, e si può giungere
dell'essere a pienezza e a perfezione.
* * *
Un trasalire e via.
Sei scivolata con appena un gemito
e la corrente ti ha portata in grembo.
Io però son rimasto alla tua riva,
non ti ho lasciata, e ti ho chiamata subito:
non eri ancora andata che già io,
per rinsaldare il filo che ci ha uniti
dall'una all'altra nascita,
invocavo il tuo nome, nell'attesa
che sopra l'eco mi tornasse in canto;
o in suo presagio almeno,
come un batter di remi in acqua grigia.
Io ti ho evocata, e non ho dato peso
a chi diceva che turbavo il transito;
perché tra noi, che siamo tanto simili,
non può esserci offesa o lontananza:
non è vergogna, sì il mio solo orgoglio,
strappare la tua morte all'ombra e al sonno
e collocarti in alto, in quella luce
che non conosce eclisse né tramonto.
Non una tomba voglio costruirti,
ma una culla e un vascello, per l'eterno.
E in quest'ora perciò proclamo forte,
più forte dell'oblio e del cordoglio,
che ogni tua azione è stata adempimento,
che ogni tuo moto è stato circolare
intorno al nostro centro;
ed ora, finalmente,
ti posso nominare per davvero:
Angelo dell'Amore, senza metro;
Angelo, che con gli altri affolli ed ànimi
tutto lo spazio fra le terre e i cieli;
testimone sincero,
apparenza affidabile e non vana,
parte non rinunciabile e individua
dell'indiviso Intero.
* * *
Non un sole soltanto, ma due soli
ad ogni mio risveglio eran già sorti:
occhi dorati, fondi,
che in me fissavi standomi sul cuore
tranquilla, senza muoverti,
ansando appena del respiro lieve
che segna il tempo a cui danzano i mondi.
Non parole o segreti fra di noi,
nessuna colpa né curiosità
nel tuo guardarmi il sonno:
sì amore da misura fatto enorme,
luce per trasparenza ancor più forte.
E se poi la tua fiamma ha dato cenere,
dura però, dolcissimo, il tepore;
dopo un tramonto breve
dal luogo del tramonto un'alba nuova
per noi s'è alzata, e fermamente incede.
* * *
Da luce ad ombra solamente un passo:
tu l'hai compiuto lieve e in te compresa,
come prima indugiavi sulla soglia
o correvi sfrenata incontro al sole.
Neppure allora domandavi niente:
così che certo adesso non ti aspetti
che giù discenda, o che traghetti, a renderti
quello ch'eri per me, senza saperlo.
Perciò non tremo, e non ti maledico,
se ancora e sempre dolce mi perseguiti:
so che non vuoi né pianto né sgomento,
e che è per me che in me chiedi un pensiero.
Un pensiero di quiete, al vuoto aperto:
dove innovar le forze, e che mi insegni,
nell'accettare il tuo mutato aspetto,
del nostro amore il vero adempimento.
* * *
Ciò che va in basso e ciò che tende all'alto
unendosi innalzarono il tuo tempio,
abitarono il tempio in cui vivevi;
la cui beltà non era che il miracolo
di quello stare ed operare insieme.
Poi quando si divisero,
ognuno ritornando alla sua sede,
sembrò ridotto ad un meschino oggetto
il più formoso e splendido del mondo:
e accanto ad esso mi rimasi solo,
e mi sentii remoto
in una plaga senza più armonia.
Ma era un sentire nato da apparenza,
quale si può vedere in cecità:
perché la forma che da qua scompare
diventa altrove quel che rifletteva;
e nell'eclisse dura,
lucida e trasparente per chi sa.
Così che non d'esilio, sì di transito
è questo luogo ove ricordo e aspetto:
poi che fitta di porte la sua cerchia,
di pura e incontenibile chiarìa;
e poi che ha tanti solchi la sua terra:
son strade, che un po' salgono un po' scendono;
e tutte sono una,
da cui si scorge la nazione eterna.
Perciò non biasimarmi se, fedele,
per fedeltà mi stacco, sto all'aperto;
se lascio i reliquiari, e seguo il vento.
Come dovunque, in mare, gusti il sale,
e come è uguale in altra coppa il vino,
io ti ritrovo in ogni giusto sorso:
lungo la via, nel tempo rinnovato;
pure a volte di nuovo al vecchio posto.
* * *
La fonte è ormai lontana, e forse è spenta;
ma tu presso di me ti accendi ancora,
ogni giorno di più palpiti stella
di una luce fedele e non bugiarda:
perché aderendo al nostro amore vivo
ha abbandonato ciò che è morta spoglia,
e mi ha seguito ovunque,
lenta mi è corsa incontro in un'immagine
che tutti i tempi supera e contempera.
E tale raggio m'incita e conforta;
anche se non comprendo cosa dice,
dove mi vuol condurre:
tu parli sottovoce, troppo piano,
e non ti muovi che a sfiorarmi, adagio,
e a rendermi iridata la penombra.
Però al tuo lume questo vedo chiaro:
nell'estate dell'anno, e nostro inverno,
dall'albero stroncato un frutto sboccia;
così che intendo, e non mi serve altro,
che noi entrambi rinasciamo in canto.
* * *
Se pure la tua nave non è naufraga;
se non è spoglia o tronca l'alta palma,
nell'oasi già verde
e ora forse inghiottita dalla sabbia:
verso dove è salpata la mia anima,
quali correnti segue, e a quali venti
ancora spanderà polline e suono?
Intera a te l'avevo confidata,
e tu, rifugio estremo, le prestavi
la voce e le fattezze;
comunque agissi, e ovunque me ne andassi
io la sapevo là, dentro di te:
ferma e sicura contro tutti i tùrbini,
pronta per restituirmi accento e sguardo.
Però poi vidi infrangersi gli specchi,
le polle che fissavo prosciugarsi;
e nessun canto mi ridava un'eco,
di quanti prima avevo a noi levato.
E capii ch'eri via,
ch'ero diviso da me stesso e te.
Non più carezze placide,
non più dimore tiepide:
di nuovo in mezzo a folle, in un deserto
in cui a stento riesco a immaginare;
nel quale senza motto e nome e volto
fluttui dinanzi a me,
tra me e la mèta ormai non più sperata.
Chissà se mi ti volgi, se mi chiami:
inaudita e invisibile oltre i fari
con troppe luci e con sirene false
che celano e confondono la via.
Oh almeno mi restasse rintracciabile
nel buio, nel silenzio e nelle lacrime!
* * *
A che cosa mi serve questa voce,
se non basta a chiamarti
e non mi puoi rispondere?
Soltanto a dire dolcemente: "Va',
entra nella corrente e in essa pèrditi;
ti lascio andare, è giusto, alla tua pace.
Adesso tu ti fai lontana e strana,
con la ragione non sei più visibile;
ma mi hai ferito il cuore con un occhio,
e con quell'occhio, di devota cura,
ora il cuore ti vede, e ti accompagna.
E non si perderà
la scheggia di tormento e beatitudine
in cui baleni, e a tratti resti in me:
è infissa troppo a fondo nel mio petto,
sopra il quale hai dormito come figlia,
dopo avere mangiato accanto al desco.
Il tuo sguardo dorato,
con cui mi riaccoglievi nel risveglio,
non è stato o sarà d'impedimento
lungo la via che seguo: ch'è la nostra:
perciò non lo rinnego:
poiché il raggio più fioco ha in sé la luce,
e la visione assolta dalle immagini
ogni diletta immagine comporta;
poiché quel frutto, che si vuol donare,
dev'essere staccato dalla pianta,
e tuttavia serbarne la sostanza.
Così il dolore è appena l'altra faccia
del regno e del sorriso,
traccia e segno preciso dell'origine:
se di continuo, sordo,
ti incalza e ti mantiene dove vivi,
dando la vita a entrambi, e a tutto il mondo".
Roberto Rossi Testa
(*), nato il 17 settembre 1956 a Torino, vi ha
vissuto e lavorato finché non si è trasferito a San Raffaele Cimena, dove è
morto il 28 gennaio 2016.
In poesia partecipò all'opera collettiva Pharmakos
(Torino 1984) e pubblicò le raccolte Stanze della mia Sposa (Hellas,
Firenze, 1988), Poca luce (Nino Aragno Editore, Torino, 2002), da
cui è tratta La notte
dell'impresa, Eunoè. Poesie 1988-1995 (Manni
Editori, Lecce, 2005), Sposa del vento. Poesie 1984-2004 (Aragno, Torino,
2007) e Poesie per un no
(Aragno, Torino,
2010). Collaborò inoltre a numerose riviste sia italiane che
estere, fra cui L'anello che non tiene (cfr. Pentecoste,
poi riedita in Eunoè), Poesia, Schema, Testo
a fronte, Yale Italian Poetry (cfr. Grazie).
In prosa pubblicò il libro di racconti Storie
di dèi e di animali (Petrini, Torino, 1995), da cui sono riprodotti sul
nostro sito Il toro bianco
e Il cigno di Leda.
Collaborò
al blog letterario La
Poesia e lo Spirito. Una sua silloge intitolata La notte
dell'impresa è scaricabile in forma di libro elettronico all'indirizzo
http://www.larecherche.it/public/poesia2punto0/La_notte_dell_impresa_di_Roberto_Rossi_Testa.pdf.
Sue poesie sono presenti anche all'indirizzo
http://www.italian-poetry.org/rossi_testa_roberto.html.
Svolse un'intensa attività editoriale come traduttore e curatore, in primo luogo di testi poetici e di opere riguardanti il mondo arabo-islamico, la critica letteraria e d'arte (da Tagore a Gibrân, da Ortega a Huysmans, da Ibn `Arabî a Blake). Nel 2007 uscì la sua traduzione del Latino mistico di Remy de Gourmont (Aragno, Torino), e nel 2008 uscì quella de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Ibn `Arabî (Urra-Apogeo, Milano, con prefazione di Gianni De Martino), opere per cui profuse grande impegno.
Su SuperZeko sono presenti sue traduzioni da Percy Bysshe Shelley, Alfred Tennyson, Younis Tawfik, William Blake e Jaufré Rudel, nonché la sua versione integrale de L'Interprete delle Passioni («Tarjumân al-Ashwâq») di Muhyî-d-Dîn ibn al-`Arabî (cfr. parte I – parte II – parte III – parte IV).
Poco prima di morire ha pubblicato la sua ultima opera di poesia: Il sole della notte, alla chiara fonte editore, Lugano, gennaio 2016.
(*) Per l'anagrafe è Roberto Rossi, ma dal 1989 firmò i suoi
lavori con l'aggiunta del cognome materno al fine di evitare confusioni con
omonimi.
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