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DIPINGERE
VISIONI
Spesso inizia con un impulso oscuro, urgente. Un punto inafferrabile nello spazio interiore. Stella esplosiva. Desiderio dell'indicibile. Passione. Misteriosa follia. E poi, quasi sempre, qualcosa cambia. La tensione non è più così implacabile, fiammante, ritorna il filo del tempo. E inizia la fatica. Inizio a cercare ciò che un attimo prima mi cercava, dall'altrove. Ed è durata, labirinto. Ed è perdersi, spogliarsi. Può durare un'ora, due ore, un pomeriggio, diversi giorni, ma ormai è un processo irreversibile. Sono nell'ordinario, ma sono assente. Lì dove vago sono come invasa da un richiamo (un che di remoto, di indecifrabile), che ancora non odo chiaro e non scorgo limpido, ma sempre di più diventa l'unica luce che mi conduce. Ma è l'oscurità più totale. La visione appare improvvisa. E
non è quello che sapevo, non è quello che cercavo. È diverso, è di
più: è sempre il mai visto, il mai osato, e mi sorprende, mi incanta . La visione è figlia dell'abisso. L'abisso è figlio dell'inizio. L'inizio è figlio di ciò che sono. La porta si chiude. Il filo del tempo si è già ritirato. Di nuovo, come all'inizio, scende un balsamo, ma ora è dolce, le sue fiamme sono liquide. E la tela è davanti a me, splendida, bianca, e la tocco come in una carezza, e non ho braccia, e non ho occhi, ma vedo ciò che tra poco inizierà ad essere linea, macchia, colore, forma, e sarà visibile a tutti, comprensibile ad alcuni. Il quadro nascerà in un processo, complesso e faticoso, più o meno lungo, formandosi gradualmente, in successione compositiva. Così almeno sembrerà. Ma il quadro esiste da sempre, attendeva semplicemente, dietro la soglia del cosciente, di essere visto. E sembra che sia io a decidere le linee, le proporzioni, i colori. Ma mentre dipingo, e l'attenzione è totale, non posso non scorgere che non sono veramente io che allungo una linea o ingrandisco un frammento, una forma, ma è la linea, la forma già dipinta che in sé contiene ciò che aggiungerò, è come se me lo suggerisse, come se me lo sussurrasse in una lingua del tutto immateriale. Così per il colore. Il blu sa già profondamente, eternamente, che il rosso che sto per mettergli accanto non viene né deciso né preferito da me, ma era già lì, in esso, come in un sogno celato.
[1998; pubblicato su L'Età dell'Acquario, n. 114, marzo/aprile 1999]
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Mirjana
Zarifovic vive e lavora a Torino, ed è nata nel 1960 a Labin,
l'italiana Albona, cittadina dell'Istria che fu dapprima veneziana e poi
di volta in volta austriaca, italiana, iugoslava ed infine croata. |
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