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Andreina Acquarone
CERTEZZA & ALTRI SCRITTI
Andreina Acquarone
Sull’articolo di Dario intitolato “Guru & Sadguru”
Sull’articolo di Dario intitolato “La dolcezza rende sensibili allo spirito”
Poco prima che mia madre compisse settant'anni, estrassi, da quanto aveva scritto negli ultimi tre anni (cioè da quando s'era messa a scrivere), ciò che più direttamente riguardava la sua personale ricerca spirituale, e composi tali estratti in un fascicolo stampato che le offrii in occasione della sua festa, di modo che potesse lei stessa gioirne e farlo leggere a chi credeva. Di tale fascicolo propongo ora l'edizione elettronica.
Rispetto all'originale manoscritto, ho limato il discorso, tagliando qua e là e rifinendo, ma senza aggiungere nulla, se si fa eccezione per qualche parola. C’era da considerare la difficoltà che mia madre ha nella revisione, dal momento che quasi non ci vede, di modo che qua e là il manoscritto perdeva di continuità o si ripeteva. A questi difetti ho cercato di porre rimedio, e mi pare che il testo ora fili abbastanza e possa interessare chiunque sia impegnato in una ricerca interiore. Alcuni punti li reputo decisamente interessanti.
L’ordine con cui si susseguono i vari scritti è quello cronologico.
Mia madre ha scritto anche molto sulla propria vita e su quella delle persone che ha conosciuto, e anche lì vi sono cose interessanti, come si può vedere ne La mia città, ricordi e personaggi di Torino e nei Ricordi d'infanzia, giovinezza e guerra di Albino Chioli.
Dario Chioli, 18.X.1998 - 16.IV.2003
Torino, 28-29 gennaio 1996
Dov’è Dio?
Penso da molto tempo che non sia lontano da noi, ma dentro di noi e che basti per così dire allungare una mano per sentire la sua presenza.
Penso che in qualche angolino remoto della nostra mente, del nostro io più profondo ci sia qualcosa che un giorno scaturirà fuori come una scintilla, facendoci realizzare l’esistenza di Dio. Ma penso anche che ognuno di noi tema di trovarsi in sua presenza, perché ciò significherebbe annullare noi stessi in favore del nostro prossimo, il che è molto difficile.
Possiamo vedere Dio nelle cose più semplici della vita quotidiana, nel canto di un uccello, nel cielo stellato (quando ci diamo la pena di scrutarlo), e più di tutto nello sguardo di un bambino piccolo che ti fissa senza timore, con una fissità che ti sconcerta e ti può mettere perfino a disagio per la sua purezza, profondità, assoluta sincerità, perché ancora non conosce né malizia né inganno; uno sguardo che ti penetra dentro, non si abbassa mai, non arrossisce mai ma fa arrossire internamente noi, abituati ad avere timore, a dissimulare paure e sentimenti che non sempre ci fanno onore.
Temiamo il giudizio altrui ma ancor più quello di Dio, che traspare negli occhi del bambino, anche se asseriamo il contrario. Per questo Cristo ha detto “lasciate che questi piccoli vengano a me, perché di essi è il regno dei cieli”.
* * *
Perché gli esseri viventi sono così diversi tra loro, belli e brutti, intelligenti e no, ricchi e poveri?
Preti, lama, bonzi, guru e tutti coloro che in qualche modo vogliono insegnarci a credere in un certo modo dicono che Dio ci ha dato libertà di scegliere, ma se per trovare Dio bisognasse necessariamente studiare, cercare in ogni luogo e cultura, chi non fosse intelligente e ricco non potrebbe trovarlo mai, chi non ha abbastanza capacità o possibilità non potrebbe arrivarci.
Ma per fortuna Dio è con noi, è accessibile a tutti indistintamente, e se ognuno di noi si guardasse intorno nel suo mondo personale rivolgendosi a lui con fiducia, egli sarebbe lì.
Se noi non ci basassimo su ciò che un’infinità di gente ha scritto sulla base delle proprie esperienze (anche ammettendone la sincerità), bensì ci avvicinassimo di più a coloro che soffrono, che stanno lentamente morendo, o a coloro che ogni giorno della propria vita si dedicano in silenzio al bene della famiglia e di coloro che sono loro vicini, con amore e dedizione, essi ci insegnerebbero anche senza parole che Dio è in loro e che da Lui essi attingono forza e vera conoscenza.
* * *
Io non esco mai, non ne ho più la possibilità, ma un tempo, quando mi trovavo dinanzi ad una chiesa, ci entravo e mi sedevo in un angolo nascosto, e con gli occhi chiusi e la testa fra le mani pensavo, e sentivo qualcosa dentro di me che mi faceva star bene giù nell’intimo della mia anima, perché la mettevo a nudo con sincerità. Tutto ciò si può fare anche a casa propria nei momenti di solitudine, soli con noi stessi e con Dio.
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È molto difficile spogliarci di ciò che ci rende comoda la vita magari anche a discapito altrui, rinunciare a tutto ciò che ci fa salire sopra un piedistallo di presunzione, di pigrizia e di egoismo. Bisognerebbe tuttavia scendere giù da questo piedistallo costruito da noi stessi, cercare di capire gli altri, di ascoltarli davvero, e allora basterebbe guardarsi intorno, vicino a noi, per sentire che Dio ci vede.
Il giorno poi in cui potremo guardare il nostro prossimo negli occhi senza arrossire, come fanno i bimbi, allora avremo trovato Dio.
* * *
Ogni tanto scendo dal mio piedistallo e mi vedo quale sono, con tutti i miei difetti, presunzione, impazienza, autoritarismo, durezza di comportamento verso gli altri, e pure egoismo, perché vorrei che tutto andasse nel modo che a me garba.
Non credo che noi non conosciamo noi stessi, anzi penso che ci conosciamo abbastanza bene, soprattutto per quanto riguarda i nostri difetti. Quel che forse non conosciamo di noi sono proprio le vere qualità, quelle più profonde, quelle che troveremmo sotto i nostri difetti.
Dovremmo comprendere fino a che punto può giungere la nostra anima quando ama veramente, quanto essa può dare agli altri con una parola di conforto, con la presenza, l’ascolto di chi soffre, di chi è solo, quanto può rendere felici le persone che più amiamo.
Nell’anima umana c’è posto per tutti, amore per tutti, purché si scenda dal proprio piedistallo. Si dice perciò che bisogna fare almeno una buona azione al giorno, e mi pare giusto. Io stessa infatti, se faccio qualcosa di giusto, mi sento in pace, mentre mi sento tremendamente depressa quando i miei difetti prendono il sopravvento. Dentro di noi invero ci sono sempre due persone; tutto sta nel riuscire a far prevalere la migliore.
* * *
In conclusione, poiché Dio è dentro tutti noi, nessuno escluso, non c’è bisogno di cercarlo chissà dove o chissà con chi. Nessuno ce lo può insegnare, dipende solo da noi, e credo che ogni tanto, forse spesso, lo possiamo trovare e sentire. Ho fatto io stessa questa scoperta, e la trovo infinitamente dolce e confortante, anche se spesso me la dimentico e torno ai miei errori.
Si sa che i bambini, come anche gli animali, sentono e capiscono chi li ama e chi no, chi è buono e chi no, quindi fidiamoci di loro e cerchiamo di tornare a somigliare loro, se è possibile.
Per altro verso, che dire dei vari preti, rabbini, lama, stregoni eccetera? Questa gente non conosce Dio più di quanto lo conosca io. Come si può dunque pensare siano tutte giuste le innumerevoli regole di vario tipo da loro istituite nel mondo, quando costoro vivono in mezzo a privilegi, ricchezze, quando si vede che hanno sempre cercato di assoggettare l’umanità al proprio volere per far bene i propri affari ed imperare su di essa tenendola nell’ignoranza e nella miseria, con la scusa che Dio punirà coloro che non obbediscono alla sua legge, legge però fatta da loro?
Per quanto i disegni di Dio siano imperscrutabili, è anche vero che Egli non ha bisogno di prove, sa leggere nel cuore di ogni uomo. Come credere dunque che Dio chieda ad Abramo di uccidere il figlio per vedere se ama più il figlio o Lui stesso? Dio non ha bisogno di queste cose, non ha bisogno di chiedere al figlio di uccidere la propria prole per vedere chi è il più amato, questo è un esempio delle cose che ci propinano, a cui io non posso credere.
* * *
Papà mi ha raccontato più di una volta che suo nonno, il papà di nonna Delfina, quando stava nei campi a lavorare da mattina a sera, ogni tanto s’inginocchiava per pregare e ringraziare Dio per quello che aveva. Mi diceva anche che questo pover’uomo, quando loro bambini andavano a trovarlo e lui stava mangiando, si alzava ed offriva loro il proprio piatto, uscendo dalla stanza. E ripeteva a tutti loro che la tranquillità e la pace è metà vivere.
Ora, quest’uomo povero, semplice ed analfabeta, non aveva forse Dio dentro di sé? Credo di sì.
Un altro caso. Molti anni fa, quando andavo in negozio, circolava sempre lì intorno un tale di nome Emilio, detto Milio, che pareva più un animale rabbioso che un uomo, sia per l’aspetto che per il comportamento.
Storpio, camminava con le stampelle, anzi pareva si strusciasse sulle ginocchia, era brutto e cattivo con tutti, compresi i bambini, che scappavano quando lo vedevano, bestemmiava in un modo terribile, insultava tutti e lanciava le stampelle addosso alla gente. Viveva chiedendo la carità, e anche questo lo faceva in un modo cattivo.
Quando riusciva comunque a racimolare qualche soldo, beveva e diventava ancora più cattivo.
Un giorno sparì e nessuno lo vide più. Pensammo tutti che fosse morto.
Qualche anno dopo entrò in negozio un uomo vestito decentemente, magro e senza stampelle. Io e papà non lo riconoscemmo affatto, ma lui si presentò dicendo che era Milio. Quasi increduli capimmo che era proprio lui. Ci disse che era stato miracolato. Era stato ricoverato anni prima al Cottolengo, ma ora non era più storpio nella maniera più assoluta.
Parlò un po’ e poi se ne andò lodando il Signore che gli aveva fatto la grazia. Non lo vedemmo più. Tutti coloro che lo avevano conosciuto prima furono d’accordo che era stato un miracolo, e io trovo che rappresenti una testimonianza più che valida della presenza di Dio in ognuno di noi.
Torino, 14 marzo 1997
Sono arrivata quasi a settant’anni per capire certe cose, ma non è mai troppo tardi. C’è un proverbio che dice “chi pianta datteri non mangia datteri”. Ebbene, si vede che io sono come i datteri, mi ci vuole molto tempo a crescere.
La vecchiaia ha molti lati negativi ma ne ha anche almeno uno molto positivo. Per capire qual è, però, bisogna volerlo, ma per molti è difficile, perché la parola “vecchiaia” fa paura.
Se tuttavia noi ci rendiamo conto al momento giusto che non siamo più giovani, possiamo fare un salto di qualità entrando nel nuovo ruolo con semplicità, accettando i nostri capelli grigi, la perdita della linea, le prime inevitabili rughe, senza pensare che tutte queste cose ci rendano peggiori o ci alienino l’affetto del partner, perché chi ci vuol bene non ci tradirà, e se lo farà non sarà perché noi invecchiamo, ma perché l’ha sempre fatto, oppure perché vuole convincere se stesso che è ancora giovane e aitante.
Io posso asserire con estrema franchezza che ho capito tutto questo al momento giusto. Un giorno, misurandomi un vestito, mi sono resa conto di aver perduto la snellezza della gioventù, e guardandomi allo specchio ho riflettuto che ormai la giovinezza se n’era andata e dovevo entrare in un altro ruolo. Sinceramente non me ne feci un problema, e ne sono contenta, perché ho capito che se accettiamo la realtà senza paura, abbiamo vinto una grande battaglia, in quanto la tranquillità che ne deriva è proprio quello che ci vuole per mantenerci davvero sempre interiormente giovani.
Bisogna però tenere sempre in esercizio la nostra mente, onde evitare l’isolamento e l’emarginazione.
Ho sempre immaginato la vita in questo modo: una radura verde, che è l’infanzia, dalla quale si diparte una via che può essere lunga, media o breve, cosparsa di ciottoli, di pietrisco, a volte liscia e soleggiata, a volte piena di buche di varie dimensioni. A un certo punto ecco un grande scoglio irto di punte e di asperità, di là dal quale vi sono la maturità e poi la vecchiaia.
Quando io ho incontrato questo scoglio mi sono fermata a riflettere un momento ed ho deciso che non volevo affatto scorticarmi le mani e le ginocchia per poter arrivare un po’ più tardi, con l’unica prospettiva di arrivare ferita, stanca e depressa, senza per questo evitare qualcosa che comunque era lì ad attendermi inesorabilmente.
Così, tranquillamente, ho aggirato questo scoglio e, giunta dall’altra parte, ho trovato i miei affetti, una sveglia ormai inutile, un bel paio di comode pantofole e tanto tempo libero. Per me era sufficiente, e mi sentii subito a mio agio, riposata e serena.
Certamente uno se vuole può trovare anche un paio di scarpe, anziché di pantofole, ma attenti, bisogna che siano comode. Allora potrà fare ciò che gli aggrada, ciò che non ha potuto fare prima per mancanza di tempo, potrà scoprire un sacco di cose piacevoli ed interessanti; potrà insomma fare di tutto, salvo ovviamente fermare il tempo.
Ricordo che quando mia suocera compì novant’anni ed io organizzai una festa in suo onore, questa piccola, grassa vecchietta con la crocchia sulla nuca, vestita di nero con il suo bel collettino bianco e le sue belle rughe, un po’ smemorata ma ancora in grado di ragionare, di ridere al momento giusto, così semplice ma senza alcun complesso, ebbene questa nonnetta fu un’autentica protagonista, e come tale fu trattata e più tardi ricordata.
* * *
Si pensa che i vecchi stiano bene in compagnia di altri vecchi perché si pensa che hanno le stesse idee, gli stessi problemi, ricordi comuni, ma non è mica vero, i vecchi si trovano benissimo anche in compagnia della gioventù. Se anche spesso non ne approvano il modo di vivere e di ragionare, con essa si sentono però ancora vivi e talvolta persino un po’ più capiti. Ci sono infatti persone anziane che sanno parlare bene di tante cose, che hanno avuto una vita intensa, hanno girato il mondo e continuano ad interessarsi di tante cose, ma non è sempre possibile incontrarle. Ben vengano dunque i giovani.
Torino, 8 maggio 1997
Oggi sono triste, mi sento inappagata e sola.
Fuori ulula il vento e un sole rabbioso inonda tutto di riverberi fastidiosi e accecanti. Non so bene che cosa scriverò, so soltanto che la mia mano scivola veloce e imperfetta sulla carta. Mi pare, a mano a mano che scrivo, di sentire come un fiume impetuoso che scaturisce dal mio io più profondo, sento come se un getto liberatorio mi desse la pace dello spirito, è come aprire una porta che era ermeticamente chiusa.
Le parole scivolano con facilità, non mi posso fermare, non mi voglio fermare. Voglio liberarmi dell’amaro che sento in bocca e in gola fin giù, sempre più giù.
Sento arrivare dall’altra stanza le sterili parole di qualcuno che parla in televisione, mi paiono vuote di senso, monotone e tremendamente noiose.
Guardo il cielo azzurro e sento qualche raro passerotto che cinguetta.
A me pare che anche loro, così piccoli, in quella grande immensità, debbano sentirsi soli, ma forse mi sbaglio, forse si sentono liberi e cantano di gioia.
Mi rendo conto per la prima volta che scrivere mi fa sentire bene, perché posso esprimervi finalmente i miei pensieri senza timore di venire contraddetta.
Nella mia vita ho desiderato tante cose che forse erano impossibili, ma qui su queste righe mi pare che tutti i miei sogni possano avverarsi, senza alcuna costrizione.
Forse Dio è in me in questo momento e mi indica la via giusta per essere felice almeno un poco. Sento dentro di me qualcosa che non avevo prima e che mi riempie di serenità, a poco a poco ma con flusso continuo e benefico.
Vorrei poter tornare alle origini del mondo, vedere la bellezza incontaminata della Terra ai suoi primi albori.
Vorrei correre, volare in alto, sempre più in alto, e scoprire qualche altro mondo bello e puro.
Vorrei vedere tutto ciò che non ho mai visto, anzi voglio immaginarlo come lo vorrei, questo tutto sconosciuto.
Sento in me una brama profonda di sapere, di conoscere, di respirare aria pulita e soprattutto di non più sentire tutti i rumori molesti che salgono dalla strada.
Vorrei trovarmi su una cima immacolata ma circonfusa di nebbia per sentirmi più vicina a Dio, vorrei essere sola lassù e parlare con lui, chiedergli tante cose e sentirmi bene, così bene da non voler più tornare indietro.
Forse in un altro tempo ci riuscirò.
* * *
Il vento è cessato e il sole sta calando all’orizzonte.
Il suo colore intenso ora mi riscalda l’animo, e anche questo calore, che mi avvolge dentro e fuori, è la presenza di Dio che vuole palesarsi, lo sento.
È una sensazione che ho già provato in momenti difficili, ma che poi ho tralasciato di ascoltare.
Vorrei non farlo più, è tanto bello e struggente sentirsi così.
È un momento quasi magico che vorrei durasse per sempre.
Ho sempre pensato che se Dio esisteva veramente un giorno l’avrei capito, e forse è arrivato il momento, non so.
So soltanto che mi sento buona, mi pare che in quest’ora potrei dare a piene mani tutto quello di cui dispongo e che di solito tengo per me.
Vorrei poter donare un sorriso a chi non ride più. Vorrei vedere intorno a me la felicità estesa a tutti coloro che sono infelici, vorrei fare tante cose, ma non so da che parte cominciare.
Forse potrei per prima cosa tendere una mano al mio compagno, che forse si sente solo pure lui.
Sì, comincerò proprio da lì, sento che è giusto, sento che forse anch’egli capirà che è giunto il momento della pace, della serenità e della comprensione reciproca.
Oh sì, è troppo bella questa mia consapevolezza per lasciarla sfuggire. Vorrei comunicarla al mondo intero.
* * *
L’ho fatto, finalmente ho steso la mano.
Non sapevo come fare e che dire, mi pareva facile e difficile nello stesso tempo, ma un impulso improvviso mi spinse e, senza parole, abbracciai con calore il mio compagno.
Piangevo silenziosamente e credo anche lui, stavamo stretti senza guardarci.
Poi ci staccammo e, ambedue a testa bassa per nascondere la commozione, andammo in un’altra stanza.
So che Albino fu sorpreso, certamente non ha del tutto capito, ma io sento che ha percepito il messaggio.
Una indescrivibile emozione mi aveva assalita, non mi era mai successo prima.
Non avevo pregato, ero solo triste e stavo distesa sul lettino, coperta perché sentivo freddo dentro e fuori.
La televisione era accesa, ma ascoltavo distrattamente.
Ad un tratto mi assalì un impellente bisogno di scrivere, subito mi alzai, presi in mano la penna e cominciai a scrivere senza pensare, così di getto come se non fossi io.
Repentinamente, come un lampo che squarcia il buio, una luce si fece strada nella mia mente, nel mio cuore, nel mio spirito tutto all’unisono, e io sentii e capii che cosa dovevo fare, senza remore o dubbi, senza incertezze, fu come se un muro di ghiaccio si fosse fuso in un attimo, ed al suo posto fosse spuntato il sole.
Non avevo chiesto né aiuto né consiglio, ma ho capito che Egli era con me, mi aveva guidato, resa consapevole della Sua presenza, così come io avevo sempre pensato dovesse accadere, d’improvviso ma chiaramente, senza chiedere. Egli aveva sentito il mio bisogno ed era venuto. Ora lo so, sono sicura: Egli esiste.
Tante volte avevo fatto pace con mio marito, così come si fa di solito, con qualche battuta, qualche gesto gentile, ma stavolta per me è stato diverso, perché so che d’ora in poi tutto andrà bene, sento questa indescrivibile fiducia che mi inonda l’anima.
Già due volte mi era successo, in due momenti difficili, ma allora avevo pregato, e la stessa fiducia che tutto sarebbe andato bene era scesa in me, poi tutto era rimasto uguale, mi era restato solo il ricordo bellissimo di questa emozione.
Stavolta so che sarà duraturo nel tempo.
Forse Egli mi aveva già aiutato quando ho cominciato a scrivere un anno e mezzo fa.
Avevo tirato fuori dal mio intimo tutti i miei pensieri, le mie frustrazioni, i miei desideri repressi, mai detti a nessuno, perché pensavo di non essere capita, e tanto meno scusata o assecondata.
Era uno sfogo, ma forse era anche l’inizio, il primo aiuto, il primo segno per farmi capire e capire io stessa.
Non era una sensazione sconvolgente, ma dolcissima ed inesprimibile, che destò in me un profondo benessere.
* * *
9 maggio
Stanotte ho dormito bene. Stamane appena sveglia ho sentito dentro di me la stessa emozione di ieri, ero serena come non succedeva da tanto.
Più tardi rinnovai a mio marito, seppure meno intensamente, un gesto affettuoso, e lui mi guardò con un’espressione un po’ sorpresa, un po’ incredula, non saprei definirla bene, ma non disse parola.
Fu uno scambio muto, ma per tutto il giorno entrambi siamo stati sereni.
Un’altra cosa, forse una coincidenza, non so, mi parve un altro segno.
Anni fa, per la festa di Eleonora, le avevo comprato una piantina fiorita, la quale però, dopo aver perso i fiori, non fiorì mai più. La tenevo io stessa, con cura perché rappresentava un ricordo.
Stamane mentre l’innaffiavo vidi che erano spuntati due o tre fiorellini, rosei come la speranza.
La mostrai a papà e anche lui si sorprese.
A me sembrò un altro piccolo miracolo, mi parve di buon auspicio, mi parve che Egli volesse confermarmi che era ancora lì vicino a me, vicino a noi.
A proposito di fiori, mi ricordo un’altra cosa.
Molti anni fa andai a Cervoto a trovare zia Felicita, sorella di nonna Delfina. Era anche lei molto buona, umile, semplice e molto comprensiva. Prima di partire per tornare a casa la zia mi regalò alcune piantine di zinnie dai vari colori, che lei stessa aveva piantato nel suo giardinetto. Amava infatti molto i fiori e ne aveva tanta cura. Tornati a casa, Albino le piantò ed esse fiorirono rigogliose per diversi anni.
Quando poi zia Felicita morì, le zinnie contemporaneamente a lei morirono tutte, una dopo l’altra.
Ricordo che notai questa strana coincidenza.
Ora mi viene il dubbio che, come affermano alcuni studiosi, le piante, creature viventi, siano anche sensibili e riconoscano chi le cura, e che forse sentano, come del resto gli animali, quando muore qualcuno e ne soffrano o anche, chissà, forse ne muoiano.
* * *
10 maggio
Stanotte ho dormito poco, pensavo di continuo che nella mia vita avevo forse già avuto molti segni dell’esistenza di Dio, e tentavo di ricomporre i pezzi del mosaico.
Ricordo che da piccola possedevo due immaginette, l’una con Gesù bambino e l’altra raffigurante Gesù adulto. Mi piacevano molto e le ho sempre conservate.
Quando pensavo al Cristo me lo raffiguravo così come era in quelle immagini. Gesù adulto aveva i capelli lunghi e biondi e un viso dolcissimo. Ebbene, l’altra sera, dopo quello che mi era successo, stavo guardando la TV senza quasi ascoltare quando ad un tratto vidi apparire sul video in primo piano un quadro col Cristo proprio esattamente come io lo ricordavo. Non saprei dire che trasmissione era, mi alzai per vedere meglio ma ormai l’immagine era sparita. Io però la collegai subito a tutto il resto, come fosse una conferma. Infatti non avevo mai più avuto l’occasione di vederla proprio così, identica ai miei ricordi.
Stetti lì a riflettere e mi rammentai che qualche tempo prima avevo fatto un sogno.
Mi trovavo con tanta gente in una specie di tempio molto grande il quale tutto intorno aveva disposti dei palchi come quelli dei teatri.
Ad un tratto - io stavo giù in basso - alzai la testa e proprio su uno di questi palchi vidi la figura di Gesù in piedi insieme ad altre persone, mi guardava ed aveva lo stesso viso della mia immaginetta, lo ricordo molto bene, ma poi il sogno finì.
Più di trent’anni fa, poco prima che mio padre, già ricoverato in ospedale, morisse, io feci un sogno che non ho mai dimenticato.
Era un periodo triste, ero sola perché nessuno poteva aiutarmi, dovevo stare con mio padre, badare a mamma Rosa, vi erano i bambini e la casa e tutto il resto.
Ebbene quella notte sognai che con mio marito ero andata in una chiesa, e poi, non so come, mi trovai da sola in una specie di grotta posta sotto la chiesa. Questa grotta era per metà semibuia e per metà illuminata, e al centro vi si trovava un’urna di vetro con dentro una statua di Gesù bambino.
La parete illuminata era ricoperta di cuoricini, di quadretti per grazia ricevuta, mentre l’altra parete, oscura, era di una roccia quasi nera, tutta gocciolante per l’umidità, e accanto a questa c’era una scala dai gradini di pietra, semibuia anch’essa.
Non ricordo con esattezza come avvenisse, ma ero rimasta chiusa lì dentro da sola, ed ero impaurita, non sapevo che fare, quando ad un tratto, dall’urna di vetro la statua di Gesù bambino si animò e si alzò. Era un bambino vivo di circa 6-7 anni, biondo, con un vestito bianco e i piedini nudi. Io mi trovavo proprio lì accanto ed egli mi mise un braccio attorno al collo.
D’incanto la paura svanì. E poi questo bimbo era bello ed uguale alla mia immaginetta.
Mentre stavo lì in attesa di qualcosa, ecco che dalla scala apparvero dei frati con delle candele accese. Avanti a tutti, uno dai capelli bianchi mi si rivolse dicendomi che finché potevo vedere quel segno sulla parete rocciosa non avrei dovuto preoccuparmi, e in quel mentre con una lunga bacchetta mi indicò un punto sulla roccia. Io guardai e vidi un triangolo disegnato col gesso e, all’interno di questo, disegnata in stampatello, la mia iniziale, ossia una A.
Il sogno finì così.
Due o tre giorni dopo papà morì e le sue sofferenze finirono.
Tempo dopo sognai che mi trovavo a Porta Palazzo, all’imbocco di via Milano, in pieno giorno con intorno tanta gente, ed io alzai gli occhi verso il cielo, e allora vidi stagliarsi nell’azzurro lo stesso segno, identico in tutto e per tutto, poi mi svegliai.
Non è strano tutto ciò?
Vi è pure un altro fatto che di per sé può anche non essere importante. Da sempre, quando sento nominare il colore lilla, mi viene allo stomaco una strana sensazione, che non è spiacevole, e di cui non sono mai riuscita a capire il perché. Pensavo che magari fosse un ricordo della mia prima infanzia. Credo anche di averlo raccontato a qualcuno.
Ma stamane, guardando i fiori della mia piantina, ho visto che non erano rosa bensì lilla. Così mi sono ricordato che quando l’avevo comprata, l’avevo visto che erano lilla; rosa non li avevo trovati. L’altro giorno li avevo scambiati per rosa a causa della mia vista.
Adesso sto pensando al colore lilla ma non ho più sentito quella strana ed inafferrabile sensazione, e allora mi viene da pensare che forse qualcosa in me aveva sempre intuito che un giorno un fiorellino lilla sarebbe stato il simbolo di un globale cambiamento in meglio.
Sarà o no così, ma infine io ci credo, sono troppi i segni che ho ricevuto in due giorni e che, sommati agli altri, formano un quadro che conferma questa mia convinzione. L’avvenire mostrerà se ho ragione, ma sento che è vero.
Devo dirlo a qualcuno, non posso tenerlo solo per me, per quanto sappia che è difficile crederlo, se non si vive questa esperienza di persona.
* * *
12 maggio
Ieri era la Festa della Mamma, e mai festa mi è parsa più bella.
Nessuno sapeva ancora nulla di quanto mi era accaduto, e non ne parlai.
Non potevo parlarne, era troppo difficile esprimere a voce questa mia certezza.
Oggi sono tranquilla e serena e la mia mente è più lucida, ma non per questo meno sicura.
Il mio bel fiorellino lilla è sempre lì, bello e fresco, come per dirmi: ci sono anch’io perché anch’io sono rinato e rifiorito come te, dopo il letargo del mio e del tuo inverno. Credo di aver desiderato tutta la vita che ciò accadesse e ci è voluto molto tempo. Forse non ero pronta, forse non avevo udito né ascoltato, forse non ci speravo troppo.
Mi era sempre parso che quando muore qualcuno che ha fatto del male, il fatto che si penta in punto di morte non fosse possibile. Pensavo fosse un atto comodo, compiuto per paura, una specie di rifugio per sfuggire al giudizio di Dio, perché in fondo non si sa nulla sull’aldilà, lo si teme e si cerca di correre ai ripari.
Ora invece sono convinta che, anche se tardivamente, Dio possa averlo illuminato. Forse già gli si era svelato e non era stato ascoltato, o forse non era pronto.
Io che non so nulla ho tuttavia ora una grande certezza, che mi consentirà di vivere in modo diverso da prima. Mi pare poi di poter irradiare questa certezza intorno a me, non so come, ma sento che sarà così.
Vorrei rendere tutti partecipi di questa mia certezza. Vorrei farlo capire, ma temo che da sola non potrò mai.
Penso però che tutti abbiamo questa possibilità; soltanto si deve imparare a riconoscere i segni che ci vengono mandati ed apprendere ad ascoltare quelle tenui vocine che a volte si fanno sentire dentro di noi.
Non credo che si possa davvero cercare Dio; penso che piuttosto Lui venga a noi in qualche modo e che l’unica cosa da fare sia ascoltare, sempre e dovunque, in qualsiasi momento. E per fare questo bisogna far tacere tutte le altre voci, che sono forse più facili da udire, ma anche più menzognere.
Ciò è molto difficile se non si è in uno stato d’animo che sia predisposto a ricevere, adatto ad avvertire l’arrivo di questo ineffabile momento.
Io non riesco ad immaginarmi Dio in qualche modo, riesco solo a pensare ad una luce immensa e irradiante che ad un tratto fa partire la scintilla che ti apre la mente, ti fa capire la verità e ti fa sentire una certezza senza ombra di dubbio.
Non so quale significato abbia la parola “Dio”, ma credo che nessuno Lo possa davvero definire in alcun modo. È Quello che è.
Conosco solo la religione cattolica e ho studiato la vita di Cristo.
Non so se Gesù fosse realmente il figlio di Dio, e se questo è vero che egli mi perdoni. Penso comunque che Gesù, oltre che un grande taumaturgo, fu un uomo illuminato da Dio, e che per questo ha predicato per tutta la vita l’amore verso il prossimo.
Se tutti ci amassimo l’un l’altro, non ci sarebbero più porte chiuse, prigioni, brutture di alcun genere. Sentiremmo tutti nell’animo tanta pace, serenità e tranquillità, nessuno avrebbe più paura né degli uomini né della giustizia divina.
Solo l’amore è importante, il resto non conta, siamo noi che andiamo sempre a cacciarci nei guai. Gesù ha predicato il perdono, perché gli uomini sbagliano spesso, ma se ci fosse amore tra tutti, non ci sarebbe neppure bisogno del pentimento e del perdono.
Credo che tutti, cristiani, ebrei, musulmani ecc. possano trovare e sentire ciò che io ho trovato. Se per i cristiani il tramite è Cristo, qualcun altro o qualcos’altro lo sarà per le altre religioni, e Dio si è servito e si serve di questi tramiti per illuminarci.
Nel mio caso il mio tramite è Gesù e perciò le immaginette o il triangolo altro non sono che simboli che io posso capire, perché così mi fu insegnato.
Egli mi ha fatto capire quello che devo fare ed io ho iniziato da chi mi stava più vicino, ed anche se lui non lo sa ancora, almeno per ora basta che lo sappia io.
Stavolta sento di essere nel giusto e tenterò di esserlo pure in futuro con chiunque mi sia vicino. La certezza che Egli esiste è troppo importante per non esternarla anche a coloro che ancora non lo sanno. Spero a tal fine nell’aiuto costante di Colui che è.
* * *
24 maggio
Rileggendo mi sono resa conto di aver omesso di dire, dopo la spiegazione del mio sogno in cui parlo del frate dai capelli bianchi che mi indicò il triangolo sulla roccia, che da allora in poi io avevo eletto a mio protettore il Beato Angelico da None, che viene venerato nella chiesa sita sul Monte dei Cappuccini, questo perché, andata un giorno in questa chiesa e vista l’effigie di questo Beato, mi accorsi che somigliava moltissimo al frate del sogno.
Una ventina di giorni fa mio marito mi disse di aver sognato di vedere sulla nostra piazza e sulla via laterale lunghe file di persone con in mano una candela accesa.
Lì per lì non vi feci gran caso, ma dopo il fatidico 8 maggio, giorno in cui mi venne questa nuova certezza, mi rammentai che anche nel mio vecchio sogno i frati tenevano in mano una candela accesa.
Fra il mio sogno e il suo sono trascorsi circa trent’anni. È curioso constatare che mio marito fece quel sogno proprio qualche giorno prima dell’8 maggio. Mi chiedo se c’è un nesso in tutto questo.
So che tutto continua ad andare bene, direi che anche Albino è diverso, più gentile, più disponibile, stranamente accondiscendente, chissà, forse dipende da me, forse senza saperlo gli ho trasmesso la mia serenità. O forse anche in lui è scattata qualche molla segreta?
Non posso saperlo, almeno per ora, ma ho intenzione di scoprirlo, se potrò. E soprattutto desidero che continui così. Questa atmosfera è contagiosa, più la senti più ti si attacca addosso, naturalmente in modo piacevole, senza asperità.
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25 maggio
Anche stamane tutto va bene, le mie paoline lilla (questo è il nome dei miei fiori) continuano a fiorire e perfino alcuni gerani che non riuscivano ad attecchire ora cominciano a rinforzarsi: anche loro si sentono meglio, proprio come me.
I gerani non li curo io, come invece le paoline, bensì Albino, ma si vede che è tutto un insieme armonico e collegato in modo tale da dare buoni frutti e sempre nuove speranze per la continuità di questa particolare e sempre auspicabile situazione.
Io mi sento in pace con me stessa e col mondo intero. In me si sono sopite (spero anzi che siano scomparse) tutte le mie aggressività, le mie intolleranze.
È possibile che io sia giunta da sola a questo risultato? Non credo, anzi so per certo che senza aiuto non ci sarei riuscita e che questo aiuto non poteva essere se non quello che Egli mi ha offerto.
Sull’articolo di Dario intitolato “Guru & Sadguru”
(se vuoi leggere l'articolo di cui si parla clicca qui)
Torino, 18 agosto 1997
Ho già scritto di aver avuto un’esperienza che mi ha dato la certezza interiore dell’esistenza di Dio, ossia di qualcuno o qualcosa di superiore che secondo me è presente in ognuno di noi. Purtroppo non tutti lo sanno o lo credono, anzi penso che sia piuttosto raro che qualcuno se ne renda conto realmente, e ancor più che l’ammetta, perché ciò comporterebbe il cambiamento di tutto il modo di vivere, di pensare e di agire. Infatti il nostro io egoistico si mostra spesso più forte del nostro cuore e di ogni verità che con esso contrasti, finché almeno non ci troviamo in uno stato, mentale o spirituale che dir si voglia, in cui diventa necessità urgente e inspiegabile sapere e capire, trovare insomma delle certezze.
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I guru, come tutti coloro che sono a capo di strutture religiose di ogni credo, sono per la maggior parte persone intelligenti, istruite e scaltre, che con la scusa di insegnarti a conoscere Dio chiunque esso sia, t’insegnano in realtà a vivere e ad agire secondo leggi che sono in effetti le leggi fatte da loro stessi.
Ti insegnano che se non obbedisci ad esse e non agisci in tal senso, quando morirai ti aspetta la dannazione (in ogni religione ne esiste una). Ciò fa loro comodo perché tiene l’uomo in soggezione davanti a loro, alla loro “conoscenza” ed alla loro sete di potere.
Ci sono poi cose come il baciamano al vescovo, che non ha nulla a che vedere con il rispetto che si deve avere l’uno per l’altro, è solo un atto di sottomissione.
E che dire della cupidigia di quei maestri che abitano in lussuose dimore, che portano un diamante al dito per mettere in mostra la propria autorità? Cristo non portava tiare cariche di gemme, non aveva giorni fissi in cui ricevere un esiguo numero di “fortunati mortali”.
A chi vuole realmente rivolgersi a Dio basta alzare gli occhi al cielo, in qualsiasi posto, non è certo indispensabile farlo in qualche lussuoso tempio.
La verità non ha schermi, è lì, limpida, alla portata di tutti, e permette di percepire la falsità di costoro che predicano amore, perdono, umiltà ma solo per gli altri, mentre in loro c’è solo disamore, altezzosità, privilegi e senso del potere.
Come scrive Dario, qualcuno che è diverso esiste, ma come fare a riconoscerlo tra i tanti?
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Dio non ha bisogno che qualcuno si sostituisca a Lui, perché Egli viene da solo in qualsiasi forma voglia, ed è sempre vittorioso.
Chi perciò vuole realmente aiutarti, come può farlo un uomo, può solo farlo con l’esempio e con il suo modo di essere. Può dirti: ascolta e udirai, guarda bene e vedrai, perché solo se lo vuoi veramente il tuo cuore, la tua mente, il tuo spirito possono darti le risposte che cerchi, tramite la luce della verità che viene da dentro di te. Un uomo, per quanto sapiente, saggio, illuminato, è pur sempre un uomo mortale, e non è in grado di parlare a nome di Dio, perché non può conoscere i disegni divini, non può trasmettere ad un altro uomo l’illuminazione, la conoscenza, se questi non ha deciso che è pronto, perché la scintilla del sapere l’ha destato dal suo torpore spirituale.
Dario scrive che quando un guru è autentico si fa carico dei pesi altrui. Ciò non è facile, è un fardello pesante condividere le pene, le debolezze e la cecità di chi è ancora all’oscuro, per rendergliele meno grevi, per fargli aprire gli occhi, in modo che vedano la luce che sola rischiara, che sola si fa capire.
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Nella loro grande complessità, mi pare che in fondo certezza e conoscenza siano cose semplici, come semplice è l’attimo della nascita, anche se preceduto da dolore, o l’attimo della morte, pur se preceduto da un’agonia dolorosa. Allo stesso modo la scintilla illuminante è un attimo.
Nascita, verità, morte sono tutt’uno. Un tutto sommamente importante che si realizza in tre attimi diversi, in tempi diversi ma tra loro inscindibilmente uniti, anche se arrivano uno per volta senza preavviso e indipendentemente dalla nostra volontà.
Come scrive Dario, la luce innata è risplendente come un sole interiore che farà germogliare il seme nascosto nel nostro cuore.
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La maggior parte di coloro che dovrebbero aiutarci sono come quei medici, alcuni dei quali studiano medicina per seguire le orme paterne, altri perché non sanno cos’altro fare. Guai a quei malcapitati che si rivolgessero a costoro.
Ve ne sono poi che studiano per amore della scienza e ce la mettono tutta, ma soprattutto per farsi un nome, per ottenere lauti guadagni.
Ed infine c’è il medico che ama la scienza ma ha anche a cuore la salute dei suoi pazienti, ricchi o poveri, vecchi o giovani. Studia e si tiene costantemente informato sulle scoperte ed i progressi scientifici, ma sa anche ascoltare, far parlare e consigliare i propri malati. Chi incontra un simile medico è certo in buone mani.
Di dottori così ne esistono, ma non diventano mai ricchi o famosi; la loro esistenza è spesso subordinata a quella dei loro pazienti, alle loro necessità.
Allo stesso modo, anche i veri santi sono secondo me i più umili, forse i meno conosciuti, perché la vera santità non è quella proclamata dalle istituzioni religiose con tanta pompa, ma è quel sole interiore che fa di queste persone dei santi, dei puri di spirito, veri taumaturghi del corpo e dell’anima.
Non basta però essere molto buoni per essere santi. Bisogna possedere la scintilla divina, il sapere che non deriva dagli studi ma dal di dentro, vera essenza dell’uomo illuminato.
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L’uomo universale è uno solo, è come un albero dai molti rami, tutti verdi con tante foglie e fiori e frutti. È come una pianta bella e rigogliosa, ogni sua parte (la corteccia, il tronco, le radici ecc.) è integrata con le altre.
L’uomo solo è invece come un ramo caduco, che presto inaridirà e morirà per sempre.
L’albero più bello è poi sempre quello che riceve la luce del sole, la pioggia necessaria. Tutto ciò che vive e prospera e che in qualche modo rinasce è sempre irrorato dal sole, dalla pioggia, da tutto quanto viene dall’alto. E infatti è in alto che bisogna guardare, perché Dio è la luce stessa, e noi tutti dobbiamo toglierci gli occhiali affumicati senza tema del suo sfolgorio.
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Il maestro terreno è solo una pietra miliare, la vera guida è il Sé dentro di te.
La conoscenza è unica per chiunque, solo il tragitto ed il tramite per giungervi sono diversi per ognuno, come diverso è il tempo che vi si impiega, o il luogo nel quale viviamo, ma quando si è giunti si è un tutt’uno.
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La raffigurazione simbolica nei sogni è anche questa differente per ciascuno, ma a quanto pare, perlomeno in certi sogni particolari, si ha un significato comune.
Da talune raffigurazioni poi, curiose e inspiegabili sul momento, collegandole l’una all’altra si può trarre un senso.
Io stessa ho potuto, di taluni sogni, dare una spiegazione, in quanto erano sogni premonitori, che dicevano di qualcosa che poi è avvenuto. Non che presagissero terremoti o cose del genere, solo cose personali riguardanti la mia vita, a volte positive a volte negative.
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Alcuni anni or sono feci un sogno. Devo premettere che faccio spesso, periodicamente, dei sogni ricorrenti.
Ebbene quella notte sognai di trovarmi su una pila di enormi scatoloni, così alta che di lassù potevo vedere il panorama sottostante. Questi scatoloni erano addossati ad una parete rocciosa, tutt’intorno rocce e cime, al di sotto una specie di lunga gola, fra le rocce che si ergevano tutt’intorno.
Io stavo lassù tutta impaurita per tema di precipitare ed anche perché non c’era modo di ridiscendere. Ad un tratto sotto di me vedo giungere una processione di frati e tante ragazze belle e giovani, vestite con un peplo corto e bianco, fermato in vita da una cintura.
A questa vista mi misi a gridare aiuto. La processione si fermò ed una ragazza bruna tentò di venire verso di me con l’intento di aiutarmi, ma un vecchio frate la fermò dicendole che non poteva e non doveva aiutarmi perché io rappresentavo “il mondo” in quanto “madre universale”, usò proprio questa parola.
La ragazza non voleva ubbidire ma poi, di fronte all’autorità del frate si fermò, guardando con mestizia verso di me, come per dirmi che avrebbe voluto aiutarmi, ma non poteva.
Io poi, non so come, mi trovai di sotto e mi svegliai.
Non ho mai capito il significato di questo sogno, devo però aggiungere che, se anche diverso, aveva in comune con altri sogni il fatto che io mi trovavo sempre in qualche posto in alto da cui non riuscivo a ridiscendere.
Anche i frati li incontro ogni tanto nei miei sogni, come pure le montagne, sempre alte, rocciose, illuminate dal sole e grandiose.
Qualche volta ho sognato anche colline piene di fiori, di acqua che scorre giù.
Dei sogni ricorrenti, eccone uno che mi incuteva timore.
Da qualsiasi parte mi trovassi, vedevo sempre sbucare, anche da sottoterra ma non sempre, una specie di cadavere, ma né morto né vivo, una faccia maschile orrendamente deturpata, della quale avevo paura, non tanto per l’aspetto quanto per un significato che mi sfuggiva poiché non sapevo che cosa fosse.
L’ho sognato varie volte, poi non più, con mio grande sollievo.
Ho fatto anche altri sogni che non ricordo ma nei quali vedevo sempre un uomo, sempre diverso, ora un bianco, poi un giallo, poi un nero, e così via.
Recentemente ho sognato per tre volte una donna circa della mia età, con i capelli tinti in biondo e con un abito a giacca verde brillante quasi simile ad uno che possiedo anch’io.
Costei non era nemica, ma neppure amica.
Dopo poco tempo sognai un’altra donna, anche lei anziana, ma con i capelli grigi e vestita di scuro.
Però in questi sogni c’era una strana analogia, perché queste donne, dissimili nell’aspetto, tenevano però un unico comportamento che definirei ambiguo. Non parlavano ma erano sempre vicine, anche se con me non vi erano altre persone, e poi ogni volta le trovavo in un cimitero strano, ma sempre diverso, mentre io cercavo la tomba non ricordo di chi.
Altra analogia, io mi sperdevo sempre, non riuscivo a ritrovare la strada, ma anche qui poi, in un modo che non so, forse ci riuscivo, ma non rammento con chiarezza.
Non so se questi sogni possano stare tra i sogni che la scrittrice citata da Dario [Marie-Louise von Franz] definisce uno stadio dell’evoluzione interiore, che si rivela mediante una nuova raffigurazione simbolica, il Sé, il nucleo più centrale della psiche. Se così fosse, si potrebbe concordare con lei che la struttura della psiche sia predisposta per l’esperienza della conoscenza.
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Se il Sé prevale, si perde ogni timore o soggezione verso i maestri terreni.
La passione servile, l’amore servile, l’uomo servile non possono essere gratificanti per nessuno. La conoscenza rende liberi, non sottoposti ad alcuno, in perfetta comunione con gli altri, con la natura e soprattutto in pace con se stessi, liberi da ogni pregiudizio, brama e desiderio di qualunque genere.
Il messaggio fondamentale dell’ignoto può essere diverso da quello che noi ci aspettiamo e crediamo, ma è sempre uno solo e proviene sempre da una sola fonte diretta, senza intermediari.
Torino, 9 settembre 1997
Per ogni mio scritto prendo spunto da ciò che mi sta intorno, da ciò che ascolto, dai ricordi di un tempo, dalle mie esperienze, da ciò che in passato ho letto (ora non mi è più consentito per via della vista).
Spesso parlo di Dio e della natura, dalla quale traggo molte nozioni e molti esempi. I miei argomenti possono sembrare monotoni, ma non ho possibilità di attingere nuove conoscenze, di parlare tranquillamente con qualcuno che mi ascolti con interesse e che mi fornisca spiegazioni un po’ approfondite.
Quel che scrivo nasce dal desiderio di esprimermi per la prima volta in vita mia con chiarezza ed è frutto di osservazioni personali, tratte da quello che conosco e sento nel profondo della mia anima.
Può certo sembrare strano e presuntuoso che una donna della mia età, per giunta mezza cieca, abbia la pretesa di mettersi a scrivere con la speranza di essere capita, non solo tollerata.
Se potessi tornare indietro nel tempo, credo proprio che mi metterei a scrivere sul serio, e che studierei per esserne all’altezza. Non cercherei la forma, ma piuttosto una mia personale soddisfazione, poiché per vari motivi non sono mai riuscita ad avere nulla di quanto ho realmente desiderato.
Mi sento spesso incompleta. Non ho mai avuto la possibilità di essere me stessa, è come se fossi rimasta chiusa in un bozzolo, senza poterne mai uscire.
Non è colpa di nessuno, la vita o il destino hanno scelto per me, e non solo per me.
Torino, 25 febbraio 1998
Come tutte le creature viventi di ogni specie, l’uomo nasce, respira, si nutre, procrea e prima o poi muore. Durante la propria vita cerca il nutrimento, il benessere, la felicità, gli affetti, ognuno a suo modo, chi si contenta e chi no, chi vuole questo e chi quello.
Ma qual è veramente l’essenza dell’uomo?
Si ricerca Dio, o se stessi, molti non cercano nulla di nulla e si contentano di vivere, possibilmente bene. Anche gli animali e le piante vanno avanti così, giorno dopo giorno, fino alla morte.
Penso che però per gli uomini dovrebbe essere diverso, che durante la vita, oltre a vivere, essi devono avere un compito ben preciso da svolgere.
Non parlo tanto di Dio, o di esseri divini, ma piuttosto di un aspetto sconosciuto e invisibile, ma assolutamente umano, di cui ogni uomo è componente essenziale.
L’uomo deve cercare in questa direzione, che vorrei definire integrazione con l’invisibile che ci sta intorno e che è nostro. Credo infatti che tale integrazione rappresenti la perfezione dell’uomo.
Se una persona, o poche persone, vivessero in un’isola deserta senza libri né scuole, senza niente di tecnologico, forse per istinto cercherebbero ciò che non vedono, che non sanno, ma che magari captano senza neppure rendersene conto, perché è così naturale che non può venir disgiunto da ogni altro umano comportamento, conosciuto oppure sconosciuto.
Ritengo che questa cosa faccia parte di tutti gli uomini, nessuno escluso, rendendoli eguali, esattamente come per la nascita, la procreazione, la morte.
Ricercare se stessi in fondo è come isolarsi dagli altri; infatti con ciò crediamo o vogliamo essere diversi, e forse apparentemente lo siamo.
Cerchiamo Dio perché ci sentiamo insicuri, perché abbiamo bisogno di giustizia, perché speriamo in un’esistenza migliore e ci sentiamo incapaci di risolvere da soli i nostri problemi, allo stesso modo del bambino che corre dai genitori perché lo aiutino a superare i suoi piccoli problemi, e che si sente più tranquillo quando sa che essi l’aiuteranno.
Riuscire a credere in Dio costituisce una garanzia per i nostri atti, che crediamo ispirati dal Signore, potendoci così spogliare della nostra personalità, della nostra responsabilità, e facendoci strumenti dei fini di Dio.
Forse l’uomo ha bisogno di questo sostegno, ma non è detto che esista solo questo, che non esista anche qualcosa che non ha nulla a che fare con il divino, qualcosa che ci appartiene per natura, come tutte le altre facoltà, come una facoltà nascosta, che esiste anche se non si tocca e non si vede.
Questa facoltà è secondo me comune a tutti in eguale misura, e costituisce un legame innato ed incommensurabile che ci unisce tutti quanti rendendoci realmente simili in tutto e per tutto, come se fosse un invisibile cordone ombelicale che ci lega indissolubilmente gli uni agli altri, senza discriminazione di sorta.
Percepire la presenza di questo invisibile filo costituirebbe per l’uomo la propria perfezione. Se poi tale percezione fosse diffusa tra gli uomini, si avrebbe probabilmente la pace e una comunione tra tutti i loro esseri uniti, uguali, forti e buoni, perché tutti avrebbero a cuore che questo filo non si spezzasse mai, in quanto uno strappo od una lacerazione sarebbero fatali a tutti, esattamente come il cordone ombelicale, che unisce madre e figlio e permette ad ambedue di comunicare, rompendosi determina la fine della vita del figlio ed una grave perdita per la madre.
L’uomo pertanto dovrebbe ricercare non solo il suo proprio io, ma anche il nostro comune io.
Se analizziamo il ciclo vitale di una pianta da frutto, vediamo che dal seme nasce la pianta, poi i rami, le foglie, i fiori ed infine i frutti, che poi vengono staccati, sbucciati o sgusciati, liberati dai semi o dal nocciolo finché rimane solo la polpa, pronta per essere mangiata. Si direbbe che qui finisca la storia della pianta, ma se ci pensiamo bene non è così, la polpa mangiata svolge un preciso compito, quello di nutrire altri esseri viventi che a loro volta, anelli di una catena, vivono perché sono nutriti, e procreano e nutrono i propri figli.
Analogamente, io credo che esista anche una sorta di catena assai più forte, non corporale bensì spirituale, che ci unisce tutti e ci rende quello che veramente siamo o potremmo diventare.
Secondo me l’umanità dovrebbe tentare di scoprire questa invisibile catena, di cui ogni uomo costituisce un anello. Allora l’uguaglianza fra gli uomini esisterebbe davvero. Forse questo genere di scoperta non avverrà mai, o forse ci sarà dopo la morte, la quale in questo caso costituirebbe non una fine ma l’inizio dello svelarsi di questa catena continua, imperitura, forte e dolce, vera essenza dell’umanità.
Qualche volta mi è capitato di sentire intorno a me quest’indefinibile consapevolezza di qualcosa che mi lega a ciò che mi circonda, ma non intendo parlare della mia certezza interiore, del mio sé, è tutt’altra sensazione, mi pare di sentire come un richiamo antico che viene da lontano, come se percepissi tante presenze che mi sono sconosciute, in quanto non so chi siano, ma anche in qualche modo note, poiché le sento amiche.
Questo mi accade soltanto se mi trovo in campagna e in solitudine. In tal caso mi pare che tutto quel che vedo, sento e capto sia parte di me, e mi assale un senso di nostalgia che non so spiegare.
Per questa ragione ho realizzato che forse l’uomo sbaglia direzione nelle sue ricerche interiori se non le estende all’universalità della natura a cui appartiene. L’umanità è infatti parte integrante del cosmo. Facciamo un esempio.
Se prendiamo un uovo, sappiamo che all’interno del suo guscio ci sono la pellicola, l’albume, il tuorlo e tante altre sostanze di vario genere, e tutto l’insieme forma l’uovo e gli conferisce le sue proprietà nutritive.
Quest’uovo, però, se viene covato, genera la vita di un’altra creatura; se invece si incrina o si rompe, diventa inutile e sterile.
Ora, al guscio corrisponde l’universo, alle parti interne gli esseri viventi. Ma per dare la vita non basta il seme, ci vuole il calore della cova, quel calore invisibile che rende tutto perfetto, quella cosa impalpabile ma insostituibile per la continuità che potremmo chiamare l’invisibile indivisibile.
Nel piccolo guscio è racchiuso un mistero. Cos’è che tiene insieme l’uovo rendendolo perfetto mediante un’armonica simbiosi delle parti? Qual è la cosa sconosciuta che potrebbe far vivere anche noi tutti, come il piccolo uovo, in questa perfetta simbiosi?
Per saperlo forse basterebbe ascoltare le proprie percezioni ed intuizioni, anche minime, tentare di individuare e capire anche le più insignificanti avvisaglie che provengono dal di fuori del nostro personale io, tenendo conto di ogni dettaglio, un suono, una musica, una parola, un angolo del mondo che ci circonda, un raggio di sole o una giornata di pioggia, senza tralasciare l’ansia, il vago timore, la paura senza motivo, l’antipatia per qualcuno o qualcosa, ovvero la simpatia o un’attrazione insolita, insomma tutto ciò che in genere non sappiamo spiegare.
Mi capita sovente di captare qualcosa che fa scattare in me come un ricordo indefinibile, una specie di emozione che mi prende alla gola, sia pure leggermente.
Non ne so la causa, ma queste percezioni mi assalgono spesso. Non le so capire né analizzare ma sono estremamente profonde e, direi, anche piacevoli.
Avevo sempre pensato che potessero essere collegate a ricordi della prima infanzia, ma ora non mi pare più possibile, sono troppe. Un tempo non vi facevo gran caso, ma con gli anni m’è venuto il desiderio di scoprirne la vera natura.
Ho l’impressione che se ognuno ci provasse, e scambiasse le proprie relative idee ed emozioni con gli altri, si potrebbe giungere a scoprirne la vera natura, di modo che, assommando e paragonando ogni cosa, e poi sfrondando, scartando la zavorra, forse alla fine resterebbe l’oro puro, la fonte zampillante della vita, ossia l’invisibile armonia che è la vera essenza degli uomini, che accomuna e assimila in un solo stupendo, meraviglioso universo spirituale.
Sarebbe certo bene ascoltare di più l’istinto animale di cui siamo tutti dotati, però l’uomo è diverso dalle bestie. Queste per esempio sentono il pericolo e lo fuggono, ma l’uomo l’affronta, cerca di capirlo e si difende con l’intelligenza. Con la stessa intelligenza dovrebbe prima di tutto affrontare la vita nella sua vera identità, scoprire il mistero del calore che rende perfetto l’uovo, scoprire l’arcano che ci lega, ci rende uguali, fa di tutti gli uomini un solo uomo.
Nell’universo nulla accade per caso; ogni cosa, bella o brutta, piccola o grande, accade in funzione di altre. Accanto alle molte cose conosciute e visibili, ve ne sono di conosciute e invisibili ma pur tuttavia esistenti. Una di esse sembra essere il filo che ci lega.
Le discrepanze riscontrabili tra gli uomini dovrebbero dunque farci pensare che qualcosa non quadra nella nostra interpretazione, e che se potessimo sapere cosa mette in moto tutte queste divergenze ed incomprensioni, esse forse potrebbero sparire.
Torino, 28 febbraio 1998
L’uomo non è mai davvero solo, può esserlo solo dentro di sé se è aggrappato ai suoi dolori, ai suoi affetti perduti, ai ricordi, se ha creato il vuoto intorno a sé con il suo comportamento.
Per il resto, non vi è tempo o angolo del mondo dove egli sia solo. Non lo è per nascere, perché occorrono due persone per generarlo, non lo è per crescere né per generare a sua volta. Se farà del bene lo farà a qualcuno, e così pure se farà del male. In qualsiasi circostanza della sua vita, bella, brutta o mediocre, l’uomo è a contatto con qualcuno.
Può essere amato o essere odiato, ma persino l’odio è una compagnia, per quanto sgradevole, perché chi ti odia non ti lascia mai solo, lo senti e lo ricambi ma non puoi scacciarlo, come per l’amore.
Se poi l’uomo vive da solo, senza alcuna persona che condivida la sua vita, i suoi problemi e le sue soddisfazioni, ebbene deve guardarsi intorno, ascoltare la voce della natura, che varia continuamente, e allora udrà il ronzio di un insetto, il canto degli uccelli, il rumore del tuono, il fruscio delle foglie; sentirà il sibilo del vento o l’aria che leggera gli sfiora il viso, o il rumore della pioggia che lo culla quando va a dormire. Se poi vive in città può sentire le voci dei bambini che giocano, quella dei suoi vicini, la musica trasmessa da una radio. Ed anche in città vi sono uccelli, insetti, cani e gatti.
Quest’uomo cosiddetto solo se vuole può invece vivere in gran compagnia. Il cielo, le nubi, il sole, la luna, le stelle fanno pensare, fanno riflettere, studiare, e chi pensa, studia, riflette e si dà la pena di osservare e cercare di capire quello che ancora non sa, ebbene non è solo, la sua stessa curiosità e la sua fantasia gli sono amiche e compagne.
Se è stato cattivo, avrà per compagni i suoi rimorsi, e se si sente rimordere la coscienza forse vorrà rimediare (credo infatti che anche nell’uomo peggiore esista un remoto angolino d’umanità che prima o poi può saltare fuori) e anche ciò gli sarà di compagnia. Se poi così non è, vivrà in compagnia delle sue perversità.
L’uomo buono avrà sempre i suoi ricordi, e la bontà del suo cuore sarà per lui un costante raggio di calore e di amore, e perciò non sarà mai del tutto solo. Inoltre il buono, guardandosi intorno, sa apprezzare ciò che vede e sente, quel poco che ha ed ha avuto; ama infine il ricordo delle persone a cui vuole bene e, se non è felice, quello della felicità perduta.
L’uomo è solo quando decide di esserlo, altrimenti è circondato dalla vita, vita pulsante di cui anche lui è parte.
Mi ricordo un vecchio film, la storia di un uomo che era stato condannato all’ergastolo. Tentò parecchie volte di fuggire ma fu sempre ripreso. Il direttore del carcere ne fece un fatto personale perché aveva capito che costui era un duro, uno che non voleva demordere, non voleva rinunciare alla sua dignità di uomo e non voleva piegarsi alla sua volontà. Lo mise perciò in una cella d’isolamento per alcuni anni.
Il prigioniero ogni giorno faceva ginnastica e parlava ad alta voce. Si mise inoltre ad osservare gli scarafaggi che vivevano indisturbati nella sua cella.
Un giorno un piccolo passerotto si posò sul bordo della finestrella posta in alto. Quando lo vide, l’uomo catturò alcuni scarafaggi, li uccise e li mise sulla finestra. Il passero li mangiò, e da allora tornò varie volte al giorno, finché non divennero amici. L’uccellino andava da lui nella cella, e con infinita pazienza l’uomo lo addomesticò. Con l’aiuto di qualche asticciola di legno, che non ricordo come riuscisse a procurarsi, costruì una piccola altalena che il passerotto imparò ad usare. Un bel giorno la passerotta fece il nido proprio lì accanto alla finestrina, covò e nacquero i piccoli.
L’uomo si mise a studiare il comportamento degli uccellini, che si moltiplicarono. Per farla breve, quest’uomo isolato dal resto del mondo divenne, anche con l’aiuto di libri che secondini compiacenti gli fecero avere, uno fra i più autorevoli ornitologi, nonostante che, per quanto infine tolto dall’isolamento e persino convocato a un congresso di ornitologi dove i suoi meriti furono riconosciuti, non fosse mai liberato.
Questa vicenda per quanto immaginaria illustra bene il concetto che l’uomo, se vuole, non è mai solo. La volontà, l’intelligenza, la fantasia, la curiosità possono essere vere compagne nella solitudine.
Stranamente però non si ha bisogno di nessuno per morire. Si può scegliere come, quando e dove morire, almeno così pare, perché si potrebbe invece dedurre, con riferimento alla catena invisibile che immagino legare gli uomini, che un anello se ne sia spezzato e che di conseguenza sia subentrata nel morente la volontà spirituale di morire.
L’attuazione del desiderio di porre fine alla propria esistenza, quali che ne siano le cause, sembra diversa dalla morte naturale, che arriva quando le pare, ma forse tale desiderio sorge comunque in occasione della morte, senza che magari ce ne rendiamo conto, quando si spezza il nostro anello.
Se tale anello esiste, può anche darsi che quando moriamo esso si ricongiunga agli altri anelli che già si erano spezzati, formando con essi una nuova catena. E forse quest’ultima è l’unica che effettivamente esiste e che si manifesterà a noi, indistruttibile, dopo la morte fisica, se l’immortalità non è un sogno.
E chissà se l’aldilà è silenzioso o pullula di vita come qua?
Speriamo che quest’altra vita sia talmente armonica e perfetta che ogni essere vi compaia come una nota melodiosa, avendo lasciato dietro di sé ogni bruttura, ogni indegnità, ogni egoismo, ogni dolore.
Sull’articolo di Dario intitolato “La dolcezza rende sensibili allo spirito”
(se vuoi leggere l'articolo di cui si parla clicca qui)
Torino, 14 settembre 1998
Non sono il digiuno o il rifiuto delle nostre umane necessità o l’isolamento assoluto la strada giusta per giungere ad una effettiva comprensione.
Le frustrazioni non sono una buona compagnia né una fonte d’ispirazione spirituale. L’uomo non può infatti disgiungere la parte umana da quella spirituale, se no la mente si offusca e non vede più chiaro in se stessa.
Poiché siamo umani e spirituali allo stesso tempo, rifiutare o accantonare l’umanità è deleterio per lo spirito, non ci consente di vedere e capire con chiarezza. Se invece ambedue le parti, ognuna per conto suo, vivono bene, infine una vera armonia s’instaurerà tra di loro.
Cristo stesso ha vissuto fra la gente, condiviso i loro pasti, le loro miserie e le loro feste; è stato un maestro ed ha anche vissuto come un uomo.
Non giudicare, meditare, capire, amare: sono questi i modi giusti per giungere alla verità. Guardarsi intorno nell’inutile tentativo di insegnare qualunque cosa a questo o a quell’altro non dà alcun risultato.
L’uomo ha qualcosa in sé di assai diverso da ciò a cui normalmente si fa caso, qualcosa che non ha a che vedere con il mondo che lo circonda, né con le persone, per quanto care esse siano, né con la convenzione o con la trasgressione, nessuna delle quali può aiutarlo a comprendere o ad insegnare.
Coloro che possono realmente insegnare devono essere come Cristo, manifestandone l’amore, che consiste nella dolcezza, nella comprensione, nel perdono, ma all’occasione anche nel monito.
L’amore è uno solo ma racchiude in sé tutte le virtù, tutto ciò che di buono l’uomo può dare e ricevere.
L’amore distrugge tutte le scaglie che lo rivestono, lo fa uscire dall’involucro deturpato di tutte le sue debolezze, lo rende puro di spirito e di corpo.
Chi ama veramente irradia una luce che riscalda chi la riceve, aiutandolo ad uscire dall’oscurità.
Tutta la verità, tutto il futuro del mondo sono racchiuse nell’amore.
L’ira, l’odio, l’invidia, la cattiveria non si vedono, non si toccano, ma si esternano col nostro comportamento e si spargono intorno a noi con tale intensità da renderci infelici, tristi e soli; ma l’amore spazza via tutto, ci rende compiutamente felici e rende felici tutti coloro che ci stanno vicino, perché amore genera amore.
L’aria, l’acqua, la terra, il sole sono gli ingredienti della vita, ma uniti all’amore sono i componenti della perfezione umana a cui dobbiamo aspirare, fisica e spirituale. Sono un tutt’uno inscindibile con il nostro sé interiore, la nostra essenza. Capirlo è tremendamente difficile, ma forse non impossibile, se davvero lo si vuole.
Se una mattina ci svegliassimo con la consapevole certezza che possiamo tenere la porta aperta senza alcun timore; se uscendo per la strada ci salutassimo tutti con un sorriso perché ci vogliamo bene e sapessimo di poter contare sull’affetto di tutti; se fossimo certi che anche camminando scalzi, in abiti dimessi, nessuno per la via ci farà caso, e in primo luogo noi stessi; se la nostra casa, pur piccola e modesta, ci sembrasse un paradiso perché vi regnano la pace, la concordia, la dolcezza, la comprensione, l’amore, quale meraviglioso risveglio sarebbe per tutti!
Amore e felicità interiore sono infatti un binomio di inestimabile valore. Io in ciò non sono certo di esempio, vorrei poter dare e ricevere un amore così ma purtroppo non ci riesco. Del resto il mio amore non sarebbe che una goccia d’acqua nell’oceano, anche se, come diceva Madre Teresa di Calcutta, l’oceano senza quella goccia non sarebbe completo.
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Quando parlo d’amore mi lascio sempre trascinare fuori tema, ma in fondo l’articolo scritto da Dario significa proprio questo, io spero.
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