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Omar KhayyÂm

tradotto da Massimo Spiritini
(alias Massimo Da Zevio)

   

Diceva Mario Chini nell'introduzione alle Rubâiyât di Omar Khayyâm secondo la lezione di Edoardo FitzGerald (Carabba, Lanciano, s.d. ma con data dell’introduzione 1916) parlando delle traduzioni italiane di Khayyâm: «Nel 1907, non so se dal persiano, o da qualche altra lingua, stampò a Verona un'altra volgarizzazione Massimo da Zevio [...]; a quella del Da Zevio faceva seguire nell'Italia Moderna di Roma, aprile 1907, un lungo articolo Mario Spiritini.  Ma anche quell'articolo nasceva direttamente, e senza incroci nel sangue, dal libro del Da Zevio».

Ora, le Rubáiyát di Omar Khayyám tradotte da Massimo Da Zevio, Libreria editrice Braidense, Verona, 1907, includevano 77 quartine, 22 delle quali furono riportate da Mario Chini in appendice al suo libro. Nel 1939 però uscì da Garzanti l'antologia Poeti del mondo di Massimo Spiritini, dove 32 di tali quartine comparivano insieme ad altre 10 evidentemente della stessa mano, per un totale di 42. Tendo di conseguenza a pensare che questo Massimo Spiritini fosse tutt'uno con Massimo Da Zevio e con il Mario Spiritini citato dal Chini.

Ripropongo qui pertanto tutte le quartine che ne ho ritrovato – 87 tra tutt'e due le versioni – apportando, dove m'è parso indispensabile, alcuni aggiornamenti di ortografia e di stile. Chi vorrà, potrà tuttavia leggere l'edizione originale in facsimile del 1907, che riprendo dal ricco sito olandese https://www.omarkhayyamnederland.com/, sito che invito gli appassionati a visitare e che riporta link anche a SuperZeko.

Dario Chioli
11.IV.2004

17.VI.2017


 

I.
Non ha chiave la porta del mistero,
e a chi lo cerca si nasconde il Vero.
Poche ciarle di noi, poi... nulla più!
Noi... poche ciarle e poi... poi nulla più!

II.
E i Dottori che l'ultime ragioni
san del mondo e ne menan tanta guerra,
un dì... avran sonno, e taceranno, proni,
con pochi vermi in bocca e poca terra.

III.
Vieni, e dal foco della primavera
togli un tizzo che il tuo inverno consoli;
l'uccel del tempo ha ancora pochi voli,
e vola, e vola sempre, e quasi è sera.

IV.
L'anno nuovo il desìo vecchio riaccende;
e il Pensatore, solo, si ritira
dove dai rami un Dio la man gli stende
e dalla terra in fiore un Dio sospira. 
V.
L'ora è mite; una nuvola alle rose
lavò le belle guance polverose;
ma l'usignuolo errante pel giardino
canta ai petali gialli: Vino, Vino!

VI.
La speme sovra cui posiamo il cuore,
o creduli fratelli, come neve
in arido deserto, ha vita breve;
un pallido raggiar di piccole ore.

VII.
Pensa, pensa che il sonno alfin ti piomba
irreparabilmente in una tomba;
pensa che è breve il dì della raccolta
e che un fior non fiorisce che una volta.

VIII.
Col mio amor, sotto due rami conserti,
col mio amor, sul confine dei deserti,
dove non giunge della gloria il suono;
e avrei ciò che a Mahmud non dà il suo trono.

IX.
Passa, passa la vita come un volo
sopra un deserto e opporvisi non giova;
non ti rubi per ciò un sospiro solo
il dì che muore o il dì che si rinnova.

X.
Poiché devi morir, che importa dove?
Poiché il giorno sen va, che importa come?
La vita, a goccia a goccia, piove, piove...
L'albero perde, perde le sue chiome.

XI.
Mandai l'anima mia verso l'ignoto
i segni a compitar del vero eterno;
tornò e rispose: Non cercar nel vuoto;
sei tu il tuo Paradiso ed il tuo Inferno.

XII.
Ogni aurora di rose empie i sentieri:
ma... dove son le belle rose d'ieri?
Ah! se dal sol proteggerti vorrai,
non rifugiarti all'ombra dei rosai! 
XIII.
Come il sale diffuso nel gran mare
Tu sei davanti agli occhi e niun ti vede;
ti cerca ognun, né sa che ti possiede,
e ti chiama, e Tu sei nel suo chiamare.

XIV.
Venivano i Profeti, a cento a cento,
parlavano di luce al mondo attento;
e, ad uno ad uno, poi, chiuse le palpebre,
dileguavano via dentro le tenebre.

XV.
Altri l'oggi prepara, altri il domani,
ma il Muezzino nella notte oscura:
Perché – grida – perché struggervi, o insani?
È frutto, il guiderdon, che non matura.

XVI.
Finché d'ossa e di polpe sii vestito,
contro il destin non muovere un sol dito;
non cedere al nemico d'un sol piè,
non venderti all'amico, fosse un re.
  XVII.
Su dal centro terrestre, sette porte
passando, io di Saturno al tron venìa:
molti nodi discior seppi per via,
non potei quello dell' umana sorte.

XVIII.
All'uscio del vicin bussa di rado
e t'accomoda al bene come al male;
sullo scacchier del ciel cadde il tuo dado,
ricordati il tuo numero fatale.

XIX.
lo vidi un gufo sul bastion di Thus
davanti al teschio di Key Kavùs.
Kavùs, chiedeva il gufo al teschio nudo,
Kavùs, dov'è il tuo scettro, ov'è il tuo scudo?

XX.
Fugge la vita come argento vivo:
bacia, bacia il bicchiere avidamente.
La fortuna?... un bel sogno fuggitivo.
La giovinezza?... l'acqua d'un torrente. (*)

* Versione del 1939: Fugge il tempo e già l'attimo in cui scrivo
più non è! Trinca e sciala allegramente...
La fortuna?... un bel sogno fuggitivo!
La giovinezza?... l'acqua d'un torrente!

XXI.
Bevi e ribevi (è Bacco che t'invita)
prima che il tempo il tuo nome corroda;
al tuo amore, uno a uno, i ricci snoda,
prima che Atropo a te snodi le dita.

XXII.
V'hanno settantadue religioni;
fra tutte, io scelsi quella dell'amore.
Fede? culto? empietà?... son vani suoni!
Cantando io vo dove mi porta il cuore.

XXIII.
Prima del dì, su un margine a sedere
stavo con la mia bella e il mio bicchiere;
e il vin mandava tanti raggi attorno
che l'araldo del sole (*) annunziò: giorno!

(*) Il gallo.

XXIV.
Pace cercando, errai per tutti i lidi,
bella; sospesi il piè quando ti vidi.
La luna impallidisce a te vicina,
e il cipresso più dritto ti s'inchina.

XXV.
D'un'alma afflitta mitigar le pene
val più che popolar tutto un deserto;
e cattivarsi un cuore è maggior merto
che mille schiavi trar dalle catene.

XXVI.
Dal sangue dei monarchi, sotto il sole,
non nascon che garofani fiammanti,
e sulle fresche labbra delle amanti
è un germinar perenne di vïole.
XXVII.
Liberalmente la tua mano spenda
prima che il piede il gradino ultimo scenda;
sdraiati su per l'erba della valle
prima ch'erba germoglin le tue spalle.

XXVIII.
Oh, quest'erbetta fine e vellutata!
Sopra due labbra angeliche par nata.
«Non mi oltraggiar, non mi oltraggiar col piede!
È una bocca disfatta che tel chiede».

XXIX.
E noi che or qui, felici del ritrovo,
libiam coi canti più sereni in petto
(la primavera s'è vestita a novo),
e noi, domani, a chi farem noi letto?

XXX.
Empi la zucca e vientene, angiolella,
i ruscellini ad esplorar del prato;
oh, vivilo il tuo dì, più d'una bella...
fu e rifù zucca nelle man del fato.

XXXI.
Saki, sulle tue ceneri e le mie
un dì porranno due tegole pie:
e un dì per farne... due tegole pie,
scaveran le tue ceneri e le mie. 
XXXII.
Beviam, ché il tempo vola e ancora, ahi! spesso,
torneranno le stelle al punto istesso,
e le ceneri nostre saran... muri,
abitati da nuovi morituri. 
XXXIII.
E questa giara un dì visse e, gentile
creatura, d'amore mosse in traccia;
e quest'anse contorte già fur braccia
e a più d'un collo fecero monile.

XXXIV.
Un pentolaio maltrattava un vaso.
Disse questo voltandosi ribello:
- O smemorato, qual furor t'ha invaso?
non sai ch'io vissi e che ti fui fratello?
XXXV.
La testa calva m'hai presa nel laccio,
fanciulla; e il mio giudizio se n'è ito,
e il manto che il pentir m'avea cucito
Satana mel contende a straccio a straccio.

XXXVI.
Una torre famosa un dì fu quella
e in splendore col ciel rivaleggiò;
tra i merli ruinosi or salterella
una tortora, e grida: coo, coo, coo...

XXXVII.
Guancia rosata al sen non ti reclina
senza farti valere ogni sua spina.
Prima d'accarezzar le chiome ambite
deve il pettine aver le sue ferite.

XXXVIII.
Una lanterna magica è il creato,
e nel bel mezzo il sol fa da lumino;
noi vi passiamo - e Dio ride da un lato -
nani briachi d'orgoglio, o di vino.   

XXXIX.
Quando l'Eterno m'impastò a sua guisa,
la mia sorte l'aveva già decisa;
il bene o il mal lo feci a suo servizio,
or perché dunque il giorno di un Giudizio? 

XL.
S’io mi ribello, ov'è l'Onnipotenza?
S'io pecco, o svio, dov'è la Prescienza?
E se il ciel Tu lo devi all'obbedienza
dov'è, o che val, Signor, la tua clemenza?

XLI.
A tradimento Ei ci soffiò la vita
e poi ci mise senza meta in viaggio;
oh a noi, a noi la coppa proibita,
e anneghiam la memoria dell'oltraggio!

XLII.
Son pellegrino e vengo dal Mistero,
diretto al Ciel, mostratemi il sentiero.
– Il sentiero del ciel? Gira il tallone,
innocente! Hai sbagliato direzione.

XLIII.
Getta un pugno di terra contro i cieli,
e bevi e suona e godi fra le belle;
si muore né v'è alcun che, morto, sgeli
e rechi di laggiù vere novelle.

XLIV.
Se lo spirito, mondo dalla creta,
migrar potesse a gloriosa meta,
perché non spezzerebbe la prigione?
O è codardia la sua rassegnazione?

XLV.
Il dì che Allah spronò alla corsa i soli
per l'arringo del ciel, sull'auree carte
segnò l'aver di tutti i suoi figlioli;
che colpa ho dunque io della mia parte?

XLVI.
Chi non peccò? La vita, o Dio, che vale
fuor del peccato? E se, vindice, poi
tu punisci il mio male col tuo male,
qual differenza esiste tra di noi?

XLVII.
Vorrei che un dì l'Onnipotente Iddio
ricostruisse il mondo in mia presenza,
per dirgli: O mi migliori l'esistenza,
o fa' di cancellare il nome mio.

XLVIII.
Non fanno i dogmi che obbligarti a Dio.
Non negare un boccone all'indigente,
non dir, non fare il mal, bevi sovente,
e... chiedi il Paradiso, in nome mio.
  XLIX.
D'acqua e di terra mi formasti Tu,
e s’io mi vesto, i panni son pur tuoi.
Il bene e il mal ch' io faccio, e Tu lo vuoi:
qual mai colpa è la mia, Signor, quaggiù?
 
L.
Il dì che ruinare il Paradiso
vedrò e gli astri sbalzati dai lor scanni,
o Creator, verrò a tirarti i panni,
e a domandarti: Perché m'hai ucciso?

LI.
Non servire al dolor, sordo all'accento
della memoria: cercati una fata
che in dote abbia... la bocca inzuccherata,
e godi e non gettar la vita al vento.

LII.
Vada in pezzi il cristallo dell'onore,
dal ciel l'aurora arride il suo saluto;
accarezziam le belle e aspettiam l'ore
bevendo, al suon dell'arpa e del liuto.

LIII.
Ber del vino davanti a un caro viso
val certo più che battersi lo sterno;
oh! se chi trinca ed ama va all'Inferno,
non vi sarà una mosca in Paradiso!

LIV.
O vin chiaretto, amico del sollazzo,
ti voglio ber, finché... briaco e pazzo,
io ti somigli tanto, che il vicino
mi dica: Donde vieni, Messer Vino?

LV.
Il gran gettato al vento come pioggia
e poi sepolto, d'oro empie le moggia.
Ah godi, vivo, non dài oro tu,
e, un dì sotterra, chi ti cerca più?

LVI.
Se questa passion che un ordin pare
mi vien dritta dal ciel, perché il divieto?
Dovrò accostar la tazza al labbro lieto,
accostarla, Signore, e non versare?

LVII.
Dalla taverna, all'alba, esce un richiamo
per il viandante: Avanti, avanti, avanti!...
La clessidra ti scema, accorri o gramo;
empi il bicchier di vin, l'aria di canti. 

LVIII.
Squarciò l’aurora il velo della notte.
Svégliati, amico, e affrettati alla botte!
Quante aurore alzeranno al cielo il volto,
quando il tuo prono giacerà sepolto?

LIX.
Alla cura del bere ogni altra ceda,
ogni istante di vita è nuova preda;
e diman giungeremo tra consorti
che da settanta secoli son morti.

LX.
Amici, il Ramazan ha rotto il guscio,
e or senza vin si purgano i devoti;
ma i miei fiaschi son pieni e non son vuoti,
e le belle mi aspettano sull'uscio.

LXI.
Portate il mio saluto a Mustafà
e, con tutto il rispetto che gli va,
ditegli: O gran Signor, s'è mai sentito?
L'acqua è permessa e il vino proibito!

LXII.
Pietà d'un sen che il suo dolore espia,
pietà, Signor, d'un cuore prigionier;
perdona ai piè che vanno all'osteria,
e perdona alla man che alza il bicchier.

LXIII.
A un briaco che uscìa dalla cantina
portando un bariletto in sulla groppa,
chiesi: Non temi tu l'ira divina?
Rispose: Dio perdona; empi la coppa!

LXIV.
Se tutta vuoto la borraccia mia
nel fuoco che m'esalta, che m'indìa,
vedo... portenti, mi giungono parole,
sui misteri, più limpide del sole.

LXV.
All'orcio, all'orcio il mio bicchiere attigna
ch'io vo' cioncar, ch'io vo' – colma, garzone –
divorziar dalla fede e da ragione
per sposar la figliola della vigna.

LXVI.
Versa, non è peccato, versa ancora
senza tremar, ché Allah non se ne accora.
Lo seppe ab ovo ch'io sarei beone,
non ber varrebbe dargli del minchione.

LXVII.
Quando ai piè della morte freddo e muto
come un merlo spennato io sia caduto,
con le ceneri mie fatta una brocca,
empitemi di vin fino alla bocca.

LXVIII.
Morto ch'io sia, lavatomi nel vino,
cantando il vin portatemi alla fossa;
ma se alcun poi ricercherà quest'ossa,
scavi pur qui dall'oste, sotto un tino.

LXIX.
Riposto il libro inutile, alla coppa
chiesi un giorno il segreto della vita;
e, labbro a labbro, mi sussurrò: Poppa;
ché prossima è l'eterna dipartita. (*)

* Versione del 1939: Gettato il libro, un dì, chiesi alla coppa
il segreto fatal del viver mio;
e, labbro a labbro, sussurrommi: «Poppa!
L'ombra è il tuo regno, e prossimo è l'addio!»

LXX.
È il vino che con logica assoluta
d'ogni Profeta la ragione confuta;
lui l'alchimista dalla mente acuta
che il greggio ferro in fino oro trasmuta.

LXXI.
La perla io non forai dell'obbedienza, (*)
né l'orme tue spazzai col mio costato;
pur non dispero della tua clemenza,
ché, annoiarti, Signor, non t'ho annoiato.

(*) Forar la perla in persiano vale: soddisfare a un dovere.

LXXII.
Per questo mondo alcun, matto, s'affanna,
altri sconta l'attesa del futuro;
ma tu vivi il tuo giorno, ama e tracanna,
piace lontano il rullo del tamburo.

LXXIII.
Perché mai tanta foia di sapere
l'avvenir, d' indagarne il sen profondo?
Sta' allegro e bevi! Per formare il mondo
nessuno ha domandato il tuo parere.  (*)

* Versione del 1939: E perché tanta foia di sapere l'avvenir, d'indagargli il sen profondo? Svàgati e... bevi! Per formarlo, il mondo, qualcun, forse, ha richiesto il tuo parere?

LXXIV.
Non creder già che il mondo mi sgomenti,
non creder che la morte mi spaventi;
la morte è il Ver, dal Ver non temo io guai.
Temo di non aver vissuto assai.

LXXV.
La goccia si dolea divisa e sola;
disse il Mar l'Impassibile: Figliola,
avanti, ancora... un attimo e m'hai giunto;
lontana non mi sei più che d'un punto.

LXXVI.
Non disperar, non disperarvi, umani;
oggi vi ammazzereste ebbri, e domani
l'Infinitamente Buono manderebbe sulle vostre ossa marce il suo perdono.

LXXVII.
Stolto, o Saki, chi spera di risolvere,
gli alti problemi e tenta l'argomento.
Accorda l'arpa, o Saki, noi siam polvere;
porgi, o Saki, la coppa, noi siam vento.

* * *

 


QUARTINE AGGIUNTE NELL'EDIZIONE DEL 1939



IL NULLA
Tutto tu vedi e ciò che vedi è nulla;
ti parlan tutti e ciò che ascolti è nulla;
l'orbe percorri e ciò che impari è nulla;
ti apparti e pensi ed anche questo... è nulla!
  LE MARIONETTE
Chi siam noi, vuoi sapere? Marionette!
Bei burattini con cui Dio si spassa.
E gioca e scherza e poi, via via ci mette,
poveri e ricchi, entro la stessa cassa. (*)

(*) Ho cambiato: “vuoi sapere?” invece di “vuoi saper?”, “la stessa” invece di “l’istessa”, “E” invece di “Ei”.   LA ROSA
Ammiravo una rosa del giardino.
Disse la rosa: Or vedi il mio tormento!
S'è sfilato il nastrin del borsellino
e i miei tesori se li porta il vento.
  IN CIMITERO
Se, in cimitero, interroghi una rosa:
«Dal sen, ti dice, io nacqui d'una sposa».
E se un giacinto interroghi ti dice:
«Sul sen d'una fanciulla ho la radice».
  IL VASAIO
Abitando un vasaio accanto a me,
del mestier mi svelò il segreto antico:
per far vasi ei prendea teschi di re,
e, per far l'anse, stinchi di mendìco.
  LA COPPA
Se la coppa rispondere potesse
ti direbbe: «Anch'io vissi i tuoi minuti:
e le mie fredde labbra, calde anch'esse,
quanti baci han già dati! E quanti avuti!».
  UN PARERE E UN CONSIGLIO
Chiedi un parere?... Io preferibil trovo
un bicchier di vin vecchio a un regno nuovo.
Un consiglio vuoi tu?... Scansa ogni via
che non ti meni dritto all'osteria.
  IL VENTO
Al mondo io venni ed il perché non so.
Donde? Sa l'acqua quale origine abbia?
Per andar dove?... Il vento nella sabbia
soffiar pur deve, ch'egli voglia, o no.
  ESSER NON ESSER
Esser, non esser, salvezza, destino,
cielo, inferno e misteri... Oh parolai!
Con tutto il mio studiare io non trovai
che una cosa quaggiù profonda: il vino.
  IL SIMBOLO DELL'AMICIZIA
D'amicizia un esempio vuoi, sicuro?
All'orcio ed al bicchier tanto onor tocca.
Guardali!... Son lì uniti, bocca a bocca,
e fra lor cola, cola il sangue puro.(*)

(*) Ho sostituito "tanto onor" a "tant'onor".

   

   

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SOMMARIO DEL PROGETTO KHAYYÂM

Dario Chioli - Omar Khayyâm, una strada verso l'unità dell'essere e del sentire

Omar Khayyâm - Filmografia
Omar Khayyâm - Galleria di immagini

la quinta e la prima edizione di The Rubáiyyát by Omar Khayyám. Translated into English by Edward FitzGerald

Rubaiyât di Omar Khayyâm secondo la lezione di Edoardo FitzGerald. Traduzione, introduzione e commento di Mario Chini

Omar Khayyâm tradotto da Italo Pizzi

Dodici quartine di Omar Khayyâm tradotte dal persiano da Vittorio Rugarli

Le Quartine di Omar Khayyam tradotte da Vittorio Gottardi, ediz. originale del 1903

Omar Khayyâm tradotto da Massimo Spiritini (alias Massimo Da Zevio)

Rubáiyát di Omar Khayyám (tradotte da Massimo Da Zevio alias Massimo Spiritini), ediz. originale del 1907)

E. FitzGerald - Quartine di Omar Khayyam. Versione di Diego Angeli, ediz. originale del 1910
E. FitzGerald - I Rubáiyát di Omar Khayyám. Versione in prosa ritmica di Fulvia Faruffini, ediz. originale del 1914

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