OMAR KHAYYÂM TRADOTTO DA ITALO PIZZI
Edizione elettronica di Dario Chioli, 2007-2010
Le fonti delle traduzioni da Khayyâm di Italo Pizzi sono le seguenti:
MLP] Italo Pizzi, Manuale di Letteratura Persiana, Hoepli, Milano, 1887, pp. 156-157 – 5 quartine.
SPP] Italo Pizzi, Storia della Poesia Persiana, U.T.E., Torino, 1894, 2 voll., 1° volume, pp. 280-286 – 60 quartine, tra cui quelle pubblicate nel Manuale di Letteratura Persiana.
Italo Pizzi, Fiori d'Oriente, Trevisini, Milano, 1907 – finora non ho potuto vedere il libro, e non so quante quartine contenga, ma almeno una parte di esse devono essere state riprodotte nel libro del Chini, dove, tra le sedici presenti, dieci non provengono né dal Manuale di Letteratura Persiana né dalla Storia della Poesia Persiana.
ROK] Rubâiyât di Omar Khayyâm secondo la lezione di Edoardo FitzGerald, a cura di Mario Chini, Carabba, Lanciano, s.d. ma con data dell’introduzione 1916 (prima vers. 1907), pp. 113-115 – 16 quartine. Mario Chini, che riproduce in appendice alla traduzione sua un'antologia di traduzioni altrui, scrive che: «Nonostante le date su riferite, la traduzione del Pizzi è anteriore a tutte le altre traduzioni italiane, di cui diamo un saggio, disponendole in ordine cronologico»; e queste altre sono quelle di Vittorio Rugarli, di Vincenzo Gottardi e di Massimo da Zevio (cioè Massimo Spiritini).
Riproduco di seguito sia la silloge riportata dal Chini sia la più vasta raccolta contenuta nella SPP.
Da: Rubâiyât di Omar Khayyâm secondo la lezione di Edoardo FitzGerald, a cura di Mario Chini, Carabba, Lanciano, s.d., pp. 113-115 | Concordanze con le altre fonti | Note |
I Di tre cose il valor sanno le genti. | =1MLP, =60SPP | |
II Ho visto nel mercato un pentolaio, | =2MLP, =36SPP | |
III Vezzi donasti, il core io ti donai; | =3MLP | |
IV Partisti e mi restâr nel cor gli affanni, | =5MLP | |
V Ahimè! di gioventù s'è chiuso il libro, | ||
VI Sempre la voglia mia si volge al vino, | =4MLP, =48SPP | * Ribeba, o ribeca, strumento a corde in uso nel medioevo per accompagnare la danza sia in occidente che nei paesi arabi (dall'arabo rabâb, "piffero"). |
VII Ber vino e allegro stare è mio costume; | ||
VIII Da questa terra, che per alcun tempo | ||
IX Poi che nessuno fa malleveria | ||
X Sul giorno di doman nulla tu puoi; | ||
XI Di tua felicità poiché la rosa | ||
XII Non ti pensar ch'io tema del destino, | ||
XIII Poiché non vanno le faccende nostre | ||
XIV Io sempre in lite sono con me stesso. | ||
XV Di questa terra sulla superficie, | ||
XVI Della mia vita questo breve tempo | =6SPP |
Da: Italo Pizzi, Storia della Poesia Persiana, U.T.E., Torino, 1894, 2 voll., 1° volume, pp. 280-286 | Concordanze con le altre fonti | Note |
1. Dalla taverna, all'alba, venne un grido: O scapestrati da taverna, o folli, Levatevi e di vin s'empia una coppa, Pria che s'empia misura a nostra vita. | ||
2. Solo un nostro desìo, dottor *, concedi. Taci e fa che operiam quel che a Dio piace. noi dritto camminiam, tu storto vedi. Gli occhi a curar ti va, lasciane in pace. | * Pizzi: «Dottore ortodosso della legge mussulmana». | |
3. Quand'io morrò, nel vino mi lavate; Del vino e del bicchier fate l'elogio. Nel giorno estremo * se mi cercherete, Sotto al suol de la bettola frugate. | * Pizzi: «Alla fine del mondo». | |
4. Ebbro e folle l'amante a tutto l'anno, Insano e matto e privo dell'onore. Quando in senno siam noi, sentiam dolore, Quand'ebbri siamo, avvenga ciò che avviene! | ||
5. Tanto vino berrò, che dalla tomba, Quando sotterra andrò, ne verrà odore, Perché, se a quell'avel giunge un beone, All'odor di quel vino ebbro diventi. | ||
6. Della mia vita questo breve tempo Ecco è passato; Passò qual vento che in deserto passa Abbandonato. Fin ch'io vivo sarò, sol di due giorni Non vo' far cruccio, Non di quel giorno che non anche venne, Non del passato. | ||
7. Luoghi d'adorazion pagoda e kàaba *; Inno d'adorazion, suon di campane; Croci, rosari, cattedrali e pulpiti, Segni d'adorazion sono egualmente.** | * Ka'ba, nel cortile della Grande Moschea della Mecca, è l'edificio cubico nel cui muro è incastonata la Pietra Nera e che la tradizione dà per costruita da Abramo ed Ismaele. ** Pizzi: «Cioè ogni forma di religione è buona» | |
8. Col decreto di Dio nulla rïesce Fuor che rassegnazione; Con la gente di qui nulla rïesce Fuori che ipocrisia; Ogni astuzia che nasca de la mente Nell'immaginazione, Ponemmo in opra, ma contro alla sorte Nessuna astuzia è forte. | ||
9. In chiesa, in sinagoga, alla moschea, Al convento, si teme dell'inferno E vuolsi il paradiso. Oh! chi scïenza Ha di Dio de' secreti, entro al suo core Giammai non seminò questa semenza! | ||
10. Hai visto il mondo, e ciò che hai visto, è nulla. Ciò che dicesti e ciò che udisti, è nulla. Tutto l'orbe scorresti, e non è nulla. Ciò che avesti in tua casa, anch'esso è nulla. | ||
11. Er'io nel sonno allor che sì mi disse Un sapïente: Non si dischiuse mai fresca la rosa Al dormïente. Opra che fai che suora della morte È veramente? Bevi del vin, ché dormirai sotterra Eternamente. | ||
12. Coppier, poi che il destino e me e te Annienterà, non è per me, per te, Soggiorno il mondo *. Se fra me e te Si sta un bicchiere, sappi allor di certo Iddio starsi in poter di me, di te. | * Pizzi: «Cioè in eterno». | |
13. Ber vino e allegro star gli è mio costume; Nulla pensar di dogmi e di eresia Religïone è mia. Dissi alla vita: La tua dote? – Ed ella: Mia dote è del tuo cuore l'allegria. | ||
14. D'inferno e paradiso io sono indegno; Dio ben sa di qual creta ei m'ha impastato. Qual dervìsh * miscredente diventato, Pari a laida puttana, io non ho fede, Non fortuna, non speme in paradiso **. | * Pizzi: «religioso mendicante; qualche volta ipocrita». ** Pizzi: «Sono queste le accuse che i bacchettoni facevano a Omar Khayyam e le quali egli affrontava arditamente». | |
15. Ogn'anima in cui Dio luce d'amore Prima infondea, Anche se sta con quei di Sinagoga O alla moschea, Poi che nel libro dell'amore il nome Dio ne scrivea, Non cura il ciel, fuggita ha de' dannati La chiostra rea. | ||
16. Ben che infelice e laido per mie colpe, Io non dispero, come in lor pagode Fan gli idolatri. All'alba, quand'io mora Dopo il bagordo, chiederò l'amante E il vin. Che importa paradiso o inferno? | ||
17. Guasto la gente ognor mi dice, ed io Son senza colpa. O gente santa, il vostro Stato, qual è, guardate. Io, contro a legge Non ho per colpa mia Che crapula, adulterio e sodomia *. | * Pizzi: «Vuol dire che, se egli avesse tutti questi vizi, sarebbe eguale ai bacchettoni che ne sono macchiati». | |
18. Son io schiavo ribelle. Ov'è tua grazia? * Il core ho fosco. Ov'è tua chiara luce? Se, per servirti, doni il paradiso, Questa è mercé dovuta, E dov'è il favor tuo, dove il tuo dono? | * Pizzi: «Queste parole sono rivolte a Dio». | |
19. Io non so se colui che m'ha creato, Era di gente di bel * paradiso O di tremendo inferno. Un bicchiere, un lïuto, una fanciulla All'estremo del prato, Son queste cose la mercede mia; Ma tu del cielo hai la malleveria **. | * Pizzi: «Questo bel non è un riempitivo del traduttore. Nel testo è khûb, bello». ** Pizzi: «Ironico. Tu hai molto, o credente, se ti appaghi della promessa del paradiso». | |
20. Signor, tu sei pietoso, e la pietade È pur clemenza. Or, perché fuori del giardin d'Iremo * Sta chi è ribelle? A obbedïenza mia tu guardi, e questa Non è clemenza; Ma se a mia ribellion sei tu pietoso, Questa è clemenza! | * Pizzi: «Giardino favoloso, qui sta per dire la grazia di Dio». | |
21. All'esistenza con mia meraviglia Trassemi * in pria; Fuori del mio stupor di nulla accrebbe La vita mia. Ne partiam con dolore e quale il frutto Non conosciamo, Perché veniam, perché restiamo in terra, Perché ne andiamo. | * Pizzi: «Iddio». | |
22. E questi pentolai che nella creta Hanno le mani e adopranvi la mente, La ragione e l'ingegno, e fino a quando Le daran schiaffi e calci e pugni? E quando S'accorgeran che quella è fango umano? | ||
23. Quanta sarà stagion che non saremo, E il mondo ancor sarà! Non un sol nome, non un sol vestigio Allor di noi sarà. Non eravamo prima d'ora noi, E danno alcun non fu; Questo ancor fia se da quest'oggi in poi Noi non saremo più. | ||
24. Questa volta del ciel trista e maligna Che ha sede in alto, di faccende umane Non sciolse un nodo mai. Ma dove scopra Un cor piagato, al margine di quella Un'altra piaga ad assestar si adopra. | ||
25. Aimè! di gioventù s'è chiuso il libro E cessò quest'allegra primavera; Il gaio augel che ha nome giovinezza, Ah! non so donde venne e dove è ito! | ||
26. Dal volger di fortuna alcuna buona Parte ti prendi, T'assidi al loco della gioia e al nappo Il labbro intendi. D'obbedïenza nostra o ribellione Iddio non cura; Da questo mondo almeno il tuo più dolce Desìo ti prendi! | ||
27. Di scapestrati vadan sempre liete Nostre taverne, e dei devoti al lembo S'appicchi il fuoco. Oh! la lor veste e quelli Azzurri drappi * cadan tutti a brani Sotto al piè di chi bee sino alla feccia! ** | * Pizzi: «Proprii dei preti mussulmani». ** Pizzi: «Di chi, nelle taverne, vuota il bicchiere fino al fondo». | |
28. Godi! Senza confin sarà il dolore, D'astri congiunzïoni in ciel fian sempre *; Matton, che dal tuo corpo altri distempre **, Formerà un giorno agli altri le dimore. | * Pizzi: «Vi saranno sempre dolori e sventure prodotte dal congiungersi dei pianeti». ** Pizzi: «Cioè con la terrea poltiglia del tuo corpo sepolto e imputridito». | |
29. Male sarìa che questa man che suole Tazze ed orci afferrar, pulpiti e sacri Volumi ora pigliasse. Tu sei devoto secco, io scapestrato Umido *, né sepp'io che umida un'esca Il fuoco ** mai bruciasse. | * Pizzi: «Bagnato dal vino». ** Pizzi: «Allusione al fuoco dell'inferno». | |
30. In quel dì che straniero mi faranno A' miei congiunti e come d'una fola Dell'esistenza mia favelleranno, Ben che dire io non osi esta parola, Un orciuol da osteria Fate, vi prego, con la polve mia. | ||
31. Dal venir mio quaggiù frutto nessuno Ebbesi il fato; Dal partir mio né dignità né onore Gli sarà dato. Davver! che da nessun gli orecchi miei Hanno imparato, Il mio venire, il mio partir per quale Cagione è stato! | ||
32. Quando inclinò al digiuno e alla preghiera L'animo mio, dissi fra me: S'avvera Ogni mio voto! – Aimé! l'abluzïone * È andata al vento, e per mezza boccata Virtù del digiunar s'è terminata. | * Pizzi: «Abluzione di rito comandata dalla legge maomettana». | |
33. Cadde gente in error per sua superbia, Altra per Hùri * o celestial dimora. Quando fia tolto il vel **, saprassi allora Che lontano, lontan, lontano assai Da sentiero ei cadeano in che tu *** vai. | * Pizzi: «Il paradiso maomettano con le fanciulle dagli occhi neri (Hûri)». ** Pizzi: «Quando sarà svelato ogni mistero». *** Pizzi: «Tu, o Dio. Vuol dire che questi sognatori, filosofi, sapienti e devoti, alla fine del mondo, si troveranno assai lontani da Dio, al quale si credevano vicini». | |
34. Il vino io bevo e il beve anche ciascuno Che m'è pari in scïenza. Se il vino ei beve, innanzi a Dio cotesto È piccola fallenza *. Sapeva Iddio fin dal principio primo Che il vin bevuto avrei. S'io nol bevessi, ignoranza sarìa Di Dio la prescïenza. | * Fallenza, arcaico per "errore". | |
35. Il ciel che altro non fa che duolo accrescere, Nulla depone che non venga a togliere. Se i non venuti * questo conoscessero, Quanto ci è d'uopo sopportar nel vivere, Davver! che in terra mai non scenderebbero! | * Pizzi: «Quelli che non sono ancora nati». | |
36. Ho visto nel mercato un pentolaio Su fresca terra menar calci assai, Quando la creta così disse: Sai? Un dì fui come te. Non trattar male. | =2MLP, =2ROK | |
37. Deh! tu che sovra tutti i re del mondo Vittoria avesti *, sai qual tempo sia Di bere il vin che l'anima ricria? Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì, Sabato, ancora Domenica, del giorno in ciascun'ora. | * Pizzi: «Maometto che ha vietato il vino ai fedeli». | |
38. O bel garzone incantator che d'occhi Suoli ammiccare, Siedi e cessa que' mille vezzi tuoi, Né ti levare! Or tu mi fai questo precetto e gridi: Non mi guardare! – Precetto è tal qual di chi dice: Inclina E non versare! * | * Pizzi: «China il nappo e non versare; comando impossibile da eseguire». | |
39. Noi siam zimbelli e giocolier gli è il cielo. Non per traslato, ma da ver ciò è detto. Dell'esistenza sul tappeto, un breve Giuoco facciamo; ad uno ad uno poi Del nulla nel forzier ritorniam noi *. | * Pizzi: «il giocoliere fa saltare i suoi burattini sopra un tappeto steso per terra, poi li rinchiude nel suo forziere». | |
40. Sono settantadue religïoni *, Grandi e piccine, in materia di fede, E scelsi l'amor tuo ** fra tutte quante. Eresia che gli è mai? che gli è islamismo E peccato e pietà? Solo tu sei La meta mia. Lascia pretesti e scuse. | * Settantadue, numero tradizionale. ** Pizzi: «Di te, o Dio». | |
41. D'acqua e d'argilla m'hai fatto; or che farò? Lana e seta hai filata; or che farò? Ogni bene, ogni mal che da me venga, Sul capo mio l'hai scritto; or che farò? | ||
42. Di questa terra sulla superficie Quanti dormienti io vedo! E sotto il suolo della terra, oh! quanti Che son nascosti, io vedo! Gli occhi per quant'io volga a riguardare Al deserto del nulla, Non altro che partiti * e che non anche Venuti in terra io vedo. | * Pizzi: «I morti». | |
43. E fino a quando, o monaco noioso, Rabbuffi mi farai? Noi da taverna Siam scapestrati ed ebbri eternamente. Tu con rosari e con ipocrisie Ti vai crucciando e con inganni e scede *; Conforme a ciò che piace, Con l'amante e col vin sempre siam noi. | * Sceda, voce arcaica per scherno, beffa. | |
44. Dïadema del Khan, serto de' Kay *. Suvvia, suvvia vendiamo! D'un lïuto pel suon vesta e turbante Suvvia, suvvia vendiamo! E il rosario ch'è primo In esercito intier d'ipocrisie, Di vin, senza indugiar, per un boccale, Suvvia, suvvia vendiamo! | * Pizzi: «I Khân sono i principi della Tartaria e della Cina; i Kay sono una famiglia di re dell'epopea persiana (v. il Libro dei re, di Firdusi)». | |
45. Il mondo è illusïone ed io soltanto Ordir vo' astuzie e fraudi. Di nulla vo' parlar fuor che di gaudi E di limpido vino. Altri mi dice: Iddio ti doni il pentimento! – Iddio Nol darà; se il darà, nol vo' far io! | ||
46. Primo de' scapestrati alla taverna, Quello son io! Venuto in ribellion per tante fole * Quello son io! Quello ch'ebbro di vin, le lunghe notti, A Dio favella col dolor dell'alma, Quello son io! | * Pizzi: «Gl'insegnamenti della religione positiva». | |
47. È l'aurora, e bevendo un rosso vino Alquanto respiriamo. Nome e riputazion, fragile vetro, Contro a un sasso rompiamo. La man da speme ch'è lunga soverchio, A dietro ritiriamo *. Fra lunghe trecce e lembi di guarnelli ** Suvvia! la man cacciamo. | * Pizzi: «Cioè guardiamoci dal desiderare e dallo sperar cose impossibili». ** Guarnello è un tessuto di accia e bambagia, ma vale anche sottana femminile. | |
48. Sempre la voglia mia si volge al vino, Sempre l'orecchio ai flauti, alle ribebe. Quando col cener mio Formerà un vaso, un giorno, il vaselliere, sempre colmo di vin resti quel vaso. | =4MLP, =6ROK | |
49. Fracasso non facciam, via! ne la bettola Passiam dalla taverna e non si parli. Vendiam pel vino e Corano e turbante, Passiam per il collegio e non si alterchi *. | * Pizzi: «Parole messe in bocca agli ipocriti che vogliono andare ai vizi senza farsi scorgere». | |
50. Per quanto i savi stiansi a riguardare Il mondo di quaggiù, pieno di polve, Da confino a confino, Nel mondo infido non son cose care Fuor che la gota di garzon vezzoso E un rubicondo vino. | ||
51. Una gente alla fede e all'eresia Sempre sen va pensando; Tra dubbio e verità stordita e incerta Un'altra va ondeggiando. Sbucherà fuor repente dall'agguato Tal che verrà gridando: Non è questa, o ignoranti, e non è quella La via che ite cercando! * | * Pizzi: «Cioè tutti siete ben lontani dalla verità». | |
52. Se potestà sul cielo m'avess'io Come potere ha Iddio, Ratto quel ciel di mezzo toglierei, E in guisa un altro ciel fabbricherei, Perché al desìo del cor l'uom di gran mente Giugnesse agevolmente. | ||
53. Uom che mai non peccò se v'è nel mondo, Dillo, suvvia! * Se visse tal che non fe' mai peccato, Dillo, suvvia! Io faccio male, e tu retribuendo Rendi del male; Se fra me e te v'ha differenza, dillo, Dillo, suvvia! | * Pizzi: «Intende di parlare a Dio». | |
54. Per l'ebbrezza e pel vino ora m'incolse Un caso strano. A me biasmar la gente A che tanto si volse? Ogni illecita cosa oh! dell'ebbrezza Fosse cagion, per ch'io più non trovassi Quaggiù che sia saviezza! * | * Pizzi: «Sferzata agli ipocriti che si fanno creder savi. Essi fanno mille cose illecite; ora, se, per farle, diventassero ebbri come si diventa tali per ber vino, tutti al mondo si vedrebbero briachi e ogni segno della creduta saviezza sparirebbe tosto». | |
55. Dugento lacci in ogni luogo apponi E dicendo vai tu: Se il piè vi poni, Ti ucciderò. – Dunque tu il laccio tendi, Chi il piè vi reca, per uccider, prendi, E nome di ribelle anche gli doni? | ||
56. Io l'oroscopo mio cercando stava Nel libro dell'amore, Quando repente così disse un saggio Dell'alma nell'ardore: Oh! beato colui che una fanciulla Simile a bella luna Ha in casa e per cui lunghe come un anno saran di notte l'ore! | ||
57. Nell'officina entrai del vaselliere. Vidi il maestro in piè, presso la rota. E manichi e coperchi ei di gran core Fea per orci e vaselli Con crani regi e piè di poverelli *. | * Pizzi: «Cioè con la creta». | |
58. A una puttana così disse un prete: Ebbra tu sei E ad ogni istante al laccio di qualcuno Presa tu sei. – Ciò che tu dici, o prete mio, rispose, Io son davvero, Ma tu, ciò che sembri essere all'esterno, forse che sei? | ||
59. Davver; che senza vino schietto e puro Io vivere non posso! Questo fardel del corpo, senza vino, Io strascinar non posso! Son io devoto a quell'istante in cui Mi dice il mio coppiere: Suvvia! suvvia! ti prendi un altro nappo –; E prenderlo io non posso *. | * Pizzi: «Tanto sono ubbriaco». | |
60. Di tre cose il valor sanno le genti. | =1MLP, =1ROK |