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LEGGENDO RÂMANA MAHÂRSHI
RIFLESSIONI SULLA NATURA DELL'IO
Ezio F.
AVVERTENZA
Il “sé” di cui si parla nel testo è da interpretarsi nel senso del pensiero advaita. Quanto segue infatti consiste in una serie di pensieri, stimolati dai discorsi del Mahârshi, resoconto di sviluppi cognitivi per introspezione durante dieci giorni - due settimane.
Sommario:
PARTE I. | PARTE II. | PARTE III. |
La natura dei pensieri - La mente e i dubbi - L'io e il sé - Osservazioni conclusive |
L'io - Soggetto-oggetto - Centri e assi |
Attenzione intenzionale - Significati - Io informale - Conclusioni |
PARTE III.
L’io è inafferrabile
Cioè non c’è un vero concetto dell’io
Chi o cosa ha tentato di afferrarlo?
Questa domanda è nel mentale
O “io” è solo un riferimento formale?
Se è così c’è solo una serie di fasi mentali
L’io è un aggregato di idee funzioni più o meno consistente
Una persistenza di certe associazioni coordinate
Un insieme di tracce connesse dalla memoria
Queste cose ci sono e si può parlare di io empirico
Quindi l’io empirico pensa l’io empirico
Quello che pensa l’io empirico non è l’io empirico
Ammettiamo quindi che l’io pensante non sia l’io pensato
Tanto vale ammettere un io- sorgente, cioè l’io e basta
* * *
Quando l’io vede ciò che gli succede – per es. attraverso queste riflessioni – si ritrae e si ricostituisce
È come una pulsazione
Un continuo ritorno
La domanda è: chi fa questo
Il processo dialettico lo fa
Quindi il processo ha una forma legata ai suoi ricorsi
Cioè i centri
Uno potrebbe pensare che il centro derivi dalla forma geometrica del processo
Il vuoto al centro del processo
Un vuoto c’è, ma relativamente al processo
Se tutto consistesse nel processo, il centro sarebbe un’apparenza prodotta dal processo
Ma il processo è una serie di momenti che sono solo potenzialità, se l’attenzione o l’intenzione di qualcuno non li attiva
A ben guardare è una questione di attenzione
Se si osserva l’idea del processo ci si immerge nel mentale pensato, ma ci si può distogliere
* * *
Abbandoniamo il soggetto e il processo e concentriamo il mentale sull’attenzione
Vista come oggetto, rifacendosi alla memoria
Dunque si considera l’attenzione
Si fa attenzione all’attenzione
È possibile perché l’attenzione è un’oscillazione dal soggetto al mentale-oggetto
Chi fa attenzione? Il soggetto, ma l’attenzione si sposta sull’oggetto e il soggetto si perde
Si potrebbe tentare che l’io è il centro dell’oscillazione
Un po’ eccentrico rispetto al soggetto, che è realizzato quando l’attenzione non è troppo concentrata sugli oggetti
Dal soggetto attivo all’oggetto passivo attraverso il centro dell’io
Potrebbe funzionare
L’io, come possibilità di ricostituire il soggetto
Il fatto cioè che l’attenzione prima o poi si ritrae dagli oggetti
Quindi l’io è il “centro” di oscillazione dell’attenzione
Il soggetto è il “centro” da cui l’attenzione sembra proiettarsi
* * *
Senso dell’individualità = senso della presenza separata
L’io appare come legame tra il soggetto (presenza separata dall’oggetto) e l’oggetto
In questo senso io supero la distanza tra soggetto e oggetto
L’attenzione può essere fermata su un oggetto, ma può essere isolata percettivamente?
Cioè, ci può essere attenzione indifferenziata?
Sembra che debba applicarsi a uno o più oggetti definiti o non esserci – stato di torpore
Anche una forte concentrazione sembra oltre l’attenzione
Se il soggetto si concentra fortemente su un oggetto, la vigilanza diminuisce e così anche il senso di presenza, l’Esserci
Eppure la concentrazione sembra essere una forma estrema di attenzione
In effetti l’attenzione estrema svuota il soggetto e lascia libero campo all’immagine(oggetto o pensiero, ecc.), finché anche questa si dissolve nella trance
È come se l’io si identificasse con il non-io
Si può risolvere ammettendo che gli oggetti di attenzione siano fasi dell’io
Un io allargato
O distinguendo tra l’io e il sé
* * *
Ci sono diverse convenzioni linguistiche, e l’io, essendo inafferrabile, è visibile sotto diversi aspetti, o meglio diversi aspetti o fasi sono “io”. Quindi l’idea “io” si collega ad una pluralità che la contraddice. Tale diversità sembra emergere più chiaramente nell’analisi, che però rielabora tracce e ha un suo percorso. Dunque nell’io si distinguono unità e pluralità. Ciò implica una differenziazione tra un io fondamentale non analizzabile e degli pseudo-io, analizzabili, o, se si preferisce, tra un io non-qualificabile e un io qualificabile. Il “soggetto” è l’io qualificato nel rapporto con l’oggetto. È l’io vigile cosciente di sé e della presenza di oggetti, una fase di equilibrio quasi-stabile di compresenza di diversi elementi. Il “soggetto” allo stato puro non c’è, è una finzione di uno dei poli del rapporto – il polo del riferimento costante o quasi, mentre l’oggetto è transitorio.
* * *
È comunque un fatto che l’attenzione su un oggetto svuota la contrapposizione tra soggetto e oggetto, finché il soggetto non è più presente a sé
La concentrazione estrema sembra rimuovere entrambi i poli
In effetti, se l’attenzione si risolve in concentrazione spersonalizzante, la domanda chi è attento non avrebbe come risposta l’io
È come la trance o il sonno
Si dovrebbe considerare l’attenzione come una modalità dell’essere, e soggetto-oggetto come una fase dell’attenzione
Lo stesso costituirsi del rapporto soggetto-oggetto dipende dall’intensità dell’attenzione
Il soggetto (io individuo, presente, conscio) è quindi una fase di “condensazione” dell’attenzione in un centro, mentre la proiezione dell’attenzione sull’oggetto fisico o mentale è una fase di rarefazione del “centro”
Il soggetto ha intensità variabile, in funzione della modalità dell’attenzione
Soggetto oggetto vuoto sono qualificazioni dell’attenzione, cioè della consapevolezza
Dissolvenza nell’oggetto e dissolvenza dell’oggetto come fasi del soggetto, anzi del sé
* * *
L’attenzione e la concentrazione possono essere rivolte al vuoto (assenza di contenuto mentale)
In questo caso si parla di meditazione
* * *
Quindi mediante l’attenzione il sé fa emergere i momenti del processo mentale e ne riconosce la struttura
L’io come “consapevolezza di sé” del soggetto appare una fase, sia pure dominante
La dialettica del mentale è stimolata dal sé, e quindi il suo svolgimento è, sul piano del mentale, contingente; infatti non è detto che, solo perché è stata raggiunta una certa posizione, le posizioni successive debbano essere raggiunte. Ciò richiede attenzione e intenzione. Tuttavia vi sono automatismi nell’ambito del processo (logica)
Anche le intuizioni che interrompono il normale svolgersi del processo sono contingenti
Sembrano aperture sull’invisibile
Rivelazioni spontanee improvvise, molto convincenti almeno in un primo momento
Sono punti di rottura dopo i quali il processo riprende
Il processo può essere arrestato, o almeno certe sue fasi
Il soggetto proiettando l’attenzione aggrega e organizza il mentale, quando la ritira si ricostituisce
* * *
Se il soggetto si concentra “appare” il vuoto
In questa fase la consapevolezza può attenuarsi fino al torpore
Immagini ipnagogiche, consapevolezza molto sottile, assenza dell’io e del mondo
Il rapporto soggetto-oggetto viene sostituito dal rapporto soggetto-vuoto
La concentrazione rimuove il soggetto cosciente
Ma anche l’oggetto, che perde le qualità
Ciò rimanda alla struttura dell’esperienza
Fondamentalmente l’esperienza è bianca (senza qualità)
Pura serie di accadimenti
Le sue qualificazioni e significati sono in relazione alle componenti cognitive, estetiche e affettive del soggetto
L’immediato non è analizzabile
È appena concepibile
L’esperienza bianca è il limite della concettualizzazione
Il vuoto più i fenomeni
* * *
Un brano musicale
Una serie di suoni
Ci possono essere attenzione emozione può piacere o no
Nei casi estremi di forte concentrazione sull’oggetto o forte distrazione (concentrazione sull’interno) l’oggetto è al limite non-presente, e così il soggetto
Nel caso di forte attenzione l’oggetto appare come un fenomeno non analizzato
Il fatto che per es. piaccia o non piaccia presuppone una reazione affettiva spontanea, che il soggetto attribuirà all’oggetto
La corrente dell’affettività sembra opposta a quella dell’attenzione, cioè dall’evento al soggetto
Se però l’attenzione è piuttosto forte, il fenomeno completo (oggetto e reazione estetica) avrebbe luogo in assenza della consapevolezza di sé (soggetto assente), cioè in uno stato di vuoto relativo dell’individualità
Dunque in questa fase la consapevolezza del “mi piace” a tutto rigore non c’è, pur essendoci quella del “piace”
* * *
Tuttavia questa è una analisi che non è eseguibile in tempo reale; infatti per l’analisi il soggetto deve tornare a sé e passare all’esame della traccia dell’evento, cioè deve oggettivare
Non solo, ma può fare una descrizione di secondo livello – cioè considerare le riflessioni sul fatto, immaginarsi mentre per es. ascoltava musica, inquadrare il tutto in uno schema...
In ogni caso, le tracce dell’evento saranno comunque organizzate inconsciamente.
Si costruisce una storia personale fatta di tracce...
È chiaro tuttavia che l’ipotesi di un completo distacco del soggetto dall’oggetto non è del tutto soddisfacente. Per esempio, il “piace” non è certo un’azione dell’oggetto
* * *
In un certo senso le reazioni di vario tipo sono la presenza del soggetto
Vi è quindi una sorta di attenzione non intenzionale, che si manifesta anche quando il soggetto è abbastanza concentrato sull’oggetto
Cioè un significato
I significati sono esperiti dal soggetto, che non li controlla
Se così fosse, saremmo tutti felici
In gran forma
Il fatto è che i significati non sono concettualmente elaborabili, anche se chiaramente identificabili
In realtà la qualificazione è del soggetto, solo che la compresenza con l’oggetto la collega a quello come causa
* * *
Ciò crea confusione
Perché la dimensione temporale si sovrappone al presente sempre presente
La riflessione cerca di mettere le cose a posto
Solo che ci sono molti modi per sistemare le cose
* * *
L’io qualificabile proietta la qualità sull’esperienza
Questa assume un colore (significato)
Si instaura un processo sul piano affettivo, per cui il soggetto mediante le proprie azioni cerca i colori positivi e i significati orientano il soggetto
Il soggetto sembra un punto trascinato dai processi fenomenici, cognitivi, affettivi
O è l’insieme dei processi
La loro intersezione
Un punto di incrocio quasi stabile di piani eterogenei
O è semplicemente il riassunto delle tracce mnestiche
Ci sono molti “soggetti” o meglio l’io qualificato da latenze impressioni idee ecc.
Tutti residui di azioni e eventi passati
* * *
La realtà del punto-istante
Né passato né futuro
Proiezioni del mentale, a causa delle tracce della memoria e delle latenze
Passato e futuro sono l’origine di ogni problema
L’ideale sarebbe considerarli irreali
In effetti l’essere è presente indefinito
L’io nel punto istante è solo presenza, essere ed esserci
Consapevolezza di sé
Non c’è essere senza consapevolezza
* * *
Quindi è chiaro che l’integrazione dell’esperienza avviene su un piano diverso da quello dei fenomeni immediati
Perciò l’immediatezza sembra una situazione-limite
L’esperienza “reale” sembra piuttosto il risultato delle operazioni di integrazione
Si può qualificare ciò come illusione?
È più difficile sul piano meramente sensitivo, la fonte della “realtà” del senso comune
Le operazioni consce o inconsce sono più attaccabili sul piano cognitivo-intellettivo
Il riconoscimento di un problema avviene sul piano intellettivo
Solo sul piano intellettivo le categorie possono essere comprese e ricondotte a fenomeni mentali
Infatti non interessa cosa siano in sé, perché sono solo in rapporto a un soggetto cosciente
Quindi sul piano intellettivo si discrimina sulla realtà e sulla non-realtà
Senza il soggetto è come fossero oggetti virtuali
Questo stesso pensiero è un oggetto virtuale
* * *
Questi sono i giri del processo cognitivo, nel suo avvicinarsi e allontanarsi dal centro, l’Oggetto vuoto asintotico. Le spire del processo si avvolgono su se stesse. A un certo punto la spirale ascendente si proietta e allunga il collo...
Si riflette
Si pensa e ripensa
Gli aspetti dell’io
Sono un’autoimmagine
Riconoscibile nel linguaggio
Qualcosa di credibile
Che raffigura la consapevolezza dell’io
Nel senso di una idea o serie di idee sull’io
Il linguaggio dell’io è la traccia delle autoimmagini dell’io
Idee dell’io e idee della propria personalità
Le prime, vere e non-vere
Vere, perché i singoli aspetti dell’io sono quelli
L’io è quello
Non vere, perché l’io è inafferrabile
* * *
Il processo dialettico le spire
Si cerca il centro le spire si stringono
La non-identificabilità del sé crea i giri
È la premessa metodologica
La non afferrabilità dell’io la vertebra basilare del collo
L’intuizione centrale
Il pensiero gli gira intorno
* * *
L’io è inafferrabile
Non è questo o quello – un punto
Non è identificabile
Non ha confine preciso
Può essere un punto, come può essere qualcosa di molto più vasto
Fino a dove?
* * *
Il pensiero non è io
Se l’io è un punto
Il pensiero è io
Se io si allarga al pensiero
Il mondo è sostanza mentale
L’io è la sostanza della mente
Non c’è mondo senza pensiero e non c’è pensiero senza io
Non pensare se è vero o no basta pensarlo per qualche tempo – non ci devono essere altri pensieri
Dove è il confine dell’io?
L’io lo pone
O non lo pone
È informale
Se non ha forma è identificabile e non identificabile a un tempo
Può essere qualsiasi idea e nessuna idea
Qualsiasi idea convincente dell’io può essere vera
Perché è inafferrabile
Qualsiasi pensiero è nell’io
È informale
La sostanza dei pensieri è lo stesso io
L’io è pervasivo
Una intuizione molto sottile ma percepibile
Non ci sono confini precisi
L’io pone i confini dell’io
La giunzione tra il collo e la testa
* * *
Arrivati a questo punto si sviluppa la testa del processo
Pensiamo all’io le sue proprietà la continuità la dilatazione temporale la memoria l’attenzione ecc.
Gli aspetti dell’io
Quale “io”?
L’io come oggetto
Si conosce l’io attraverso le autoimmagini dell’io
Cioè le autoimmagini il conosciuto
Vere e non vere la conoscenza
L’intuizione
Chi conosce ciò?
Esso, il soggetto-sé
Il conoscitore la conoscenza il conosciuto
Si sovrappongono
Non è solo una frase
Si conosce che chi conosce e pensa la verità e non verità delle immagini è il sé
L’io informale è per un breve istante attento solo a sé
Sopra al pensiero delle immagini dell’io
Una percezione molto chiara ma breve
Il confine si attenua, gli oggetti non sono distinti dall’io
L’io individuale si ricostituisce
Il soggetto – la persona concreta, con il suo bagaglio di idee ricordi scopi ecc. – vive, più o meno consapevolmente, più o meno volutamente, una strana situazione. La sua attenzione è prevalentemente orientata verso cose che non sono lui. Ha a disposizione una enorme quantità di informazioni che non lo riguardano. Trova spiegazioni da tutte le parti, su tutto. Trova gli spiegatori, anzi gli si presentano spontaneamente sotto forma umana e non umana, che gli dicono cosa dovrebbe fare e no, come dovrebbe fare, come e perché, nonché quando dovrebbe diventare pensare fare ecc. ecc. questo o quello... se gli salta in mente (notare l’espressione) di occuparsi di sé, non mancano libri di psicologia ecc. che gli presentano la psiche le funzioni mentali ecc. ecc. Ha o crede di avere bisogni spirituali? Chiedi e ti sarà dato, i libri su Gesù Cristo hanno un volume in parole equivalenti a milioni di vangeli ecc. Ma non basta; si deve studiare il sistema solare, la Chimica, la Letteratura italiana ma non basta devi sapere questo e quello ma non basta non sei un uomo di cultura ci vuole ben altro; se fai qualcosa non basta perché c’è sempre un “Quello” che ha fatto di più ecc... si può continuare su questo tono per diverse pagine.
Il soggetto, lungi dall’essere il centro cosciente, è proprio quello che dice il termine: soggetto appunto a una serie di cose di varia inutilità, quando non distruttive. Gli si dice di continuo che deve essere avere fare le cose più insensate. Più sono insensate, più sono necessarie, hanno valore.
Di questo stato di manía programmata si possono dare molte (e convincenti) giustificazioni storicopolitiche economiche sociali ecc., solo che le giustificazioni appunto giustificano sicché il povero soggetto viene convinto due volte che deve essere il povero soggetto.
Comunque, lo studio motivato di qualche scienza, una professione soddisfacente, attività di qualche tipo rimediano molto spesso alla situazione; il povero soggetto può togliersi la soddisfazione di dire che sì insomma la vita è difficile e anche tante altre cose, ma il senso del dovere nonché le distrazioni ecc. aiutano a... rimanere tale.
La questione è che tutta questa massa di roba orienta l’attenzione verso gli oggetti, concreti e soprattutto non concreti, la cui realtà illusoria cresce a dismisura.
La mancanza di una scienza del soggetto (non di una scienza sul soggetto, che ha dimensioni elefantiache), cioè di una serie di nozioni articolate sensate sulle proprie possibilità e posizioni che abbiano un fondamento consistente – che non siano cioè la produzione mentale di qualche esagitato, arruffapopoli, fanatico, s-centrato, ciarlatano in cerca di seguaci, o peggio qualche servo del potere – è una grave carenza. Non che manchino direttori spirituali ed esempi, e nemmeno tutti sono poi messi così male. Ma le ideologie religiose prevalenti non sempre soddisfano. Sono cose precostituite, proposte dall’alto, per lo più di carattere consolatorio, e poi urtano la libertà di coscienza e tutta una serie di diritti e altre fantasie, cosicché il soggetto si trova di fronte ad elementi contrapposti che sfociano in una anarchia ideologica, in un pensiero contingente.
Insomma, il soggetto avrebbe bisogno di una conoscenza di sé che, purtroppo per lui, non è precisamente ciò che trova nel mercato delle idee e neppure nei mezzi di informazione.
Insomma, ci vorrebbe un guru – l’ultima spiaggia. I guru si trovano, volendo. Certe fantasie sono guru molto guru, anche dopo l’insuccesso. Il guru ha sempre ragione, è il soggetto che è un fallito, non è stato capace di affrontare la vita o non ha lavorato abbastanza ecc.
* * *
Il sottoscritto propone umilmente un metodo radicale ad libitum per
migliorare il proprio status mentale – per es. per dormire meglio e di più
chiarire il proprio pensiero
acquisire realtà
per i più tosti – rendersi conto che c’è un centro
* * *
La prima cosa da fare è quella di evitare lavori troppo impegnativi. Sono solo seccature. Il miraggio della carriera è pericoloso.
Dimostrazione matematica. Vuoi fare carriera? Siete in tanti. Ne trovi sempre qualcuno più bravo o più furbo di te. Insuccesso contro successo. Se hai successo, sono solo responsabilità e fastidi.
Diminuire al massimo il carico delle responsabilità. La fantasia e la creatività valgono molto di più.
Tutte le idee legate alle relazioni sociali sono pure allucinazioni. Inutile incontrare delle persone in occasioni varie. Le parole scambiate sono inutili. La conversazione sociale è assolutamente insensata nella migliore delle ipotesi, dannosa per lo più perché crea un insieme di false idee.
Eliminare radicalmente dalla mente ideologie politiche ecc. Questa operazione – insisto – deve essere radicale.
Incominciare a studiare le proprie idee. Metterle per iscritto. Chiedersi da dove vengono. Si vedrà che il loro fondamento è per lo più labile. Attenzione al meccanismo emotivo per cui ci si affeziona alle proprie idee. Questa è pura idiozia. Si cercano conferme per rimediare alla propria insicurezza.
L’esame del processo di formazione delle idee rivela il suo carattere onirico.
La produzione di idee potenzialmente è illimitata. Chi conosce questo realizza il processo mentale e diventa un medium di tale processo ipnotico.
La mente in questa fase guida il soggetto e le sue idee.
È una fase di creazione artistica che può dare un senso di soddisfazione, ma è una posizione intermedia.
La sua funzione è utile nella misura in cui il processo mentale diminuisce la forza della realtà degli eventi esterni. Il giudizio dall’interno prevale sui giudizi imposti. Questi vengono giudicati. Ciò rafforza anche la posizione del soggetto nei confronti del “resto” e questo non è male, anzi.
Questa fase di immersione del mentale sposta il centro di gravità. La mente diventa la “realtà”. Questo è un progresso, perché la mente è già l’io, ma oggettivato, alienato.
Analizzare la mente. Questo la fa lavorare. Deve essere un lavoro critico, in modo che non sia una massa amorfa e puramente recettiva. Acquisire elasticità di giudizio. Seguire linee di ragionamento diverse, parallele. Non importa molto quel che si scopre – in realtà sono solo momenti del processo, è l’attività in quanto tale che conta, perché distoglie l’attenzione da molti pensieri inutili e indebolisce la presa di preoccupazioni ecc.
Buttare via senza remore qualsiasi idea su di sé specie se negativa.
Le idee su di sé sono tracce di memoria organizzatesi spontaneamente su base emozionale-affettiva. Roba assolutamente non credibile. Buttare via.
Convincersi che la maggior parte delle idee del senso comune sono inutili comiche ecc... anche qui, c’è solo da eliminare.
Dimostrazione matematica: un po’ di studio della storia dovrebbe essere più che sufficiente per giungere a tale conclusione.
Convincersi che la realtà non è quello che si crede. Indebolire l’idea della realtà. Osservare che è una categoria, non un ente oggettivamente identificabile. Può servire la vita di Milarepa. Riflettere sul Buddhismo. Il shûnya ecc. Non importa che non si capisca subito; bisogna convincersi che tutto ciò ha un senso, anche se non si comprende bene.
Esaminare cosa significa essere convinti di qualcosa. È un’abitudine mentale, un’idea fissa. Ma bisogna paradossalmente essere convinti di ciò, tener ferma la relatività delle singole convinzioni, anzi la loro vacuità. Bisogna essere recettivi nei confronti di idee molto diverse da quelle usuali.
Leggere libri utili. Cominciare a riflettere sul “soggetto”. Vanno benissimo i discorsi del Maharshi.
Dare credito a ciò che dice. Se si è capita bene la teoria della convinzione, si può riorientare il proprio punto di vista. Va centrato sul soggetto. Il problema dell’individuo è quello, non è centrato bene, è fissato sull’esterno. Il Maharshi va bene come guru a distanza.
Lasciar perdere su ciò che si pensa essere vero o falso. Sono abiti mentali. Concentrarsi su ciò che viene detto. Non può convincere sul momento.
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Da questo punto in poi è affare della singola persona. I passaggi potrebbero essere questi, ma credo sia un processo variabile; forse può avvenire molto più rapidamente:
Afferrare la mente.
Pensare che il mondo sia sostanza mentale. È fondamentale. Non importa sia vero o falso; cercare le argomentazioni che rendono almeno possibile questa idea. Se non convince, o convincersi mediante la concentrazione – cioè pensarci finché l’idea non è presente – o accettare la cosa in via di ipotesi, in base a tutte le considerazioni che possano supportare tale idea.
Assumere come verità indiscutibile la realtà del sé e la sua non-identificabilità.
Cercare di afferrare l’io. Cercare cos’è.
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Il resto è questione di ragionamento e di intuizione. Non ci si deve aspettare niente di straordinario. Si deve procedere ad una analisi dell’io. Lasciare stare le fantasie. Non c’è nessun cielo che si apre e non c’è nessun fenomeno extranormale. Non si deve neppure credere che la meditazione o lo yoga siano decisivi. Sono degli aiuti perché permettono di realizzare lo stato ottimale di concentrazione.
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La concentrazione si ottiene prendendo la cosa con calma ma sul serio. Uno sport piacevole. Non ci deve essere nessuna ansia del risultato, anzi ci si deve sentire più rilassati e meno attaccati a qualsiasi cosa. Se non altro, servirà almeno a questo...
Si deve girare intorno all’io, la spirale procede dialetticamente. Non si deve assolutamente sottovalutare l’aspetto intellettuale. La comprensione è fondamentalmente intellettuale, gli aspetti affettivi non servono a capire niente. Lasciare perdere l’idea che debba succedere chissà che cosa sul piano sensitivo. Succederà quando sarà il momento.
La qualità della percezione dipende dal fatto che certe cose siano state capite o almeno pensate.
Le intuizioni che si incontrano nel processo di analisi sono essenziali. Vanno afferrate. Non importa se sono fantasie o no – qualsiasi pensiero è fantasia – importa che sono squarci sul sé.
L’intuizione è rottura, discontinuità del processo. Rompe il suo meccanismo dialettico. Essa implica una variazione della qualità dell’attenzione, una intensificazione del significato, una chiarificazione improvvisa.
Alcune intuizioni sono decisive.
In teoria, si dovrebbero distruggere gli oggetti – interpretiamo ciò. Non è detto che vi sia una sola interpretazione. Gli yogi hanno sicuramente un controllo del mentale che consente di far ciò molto meglio di uno che non pratica tecniche mentali. Ma si deve produrre la convinzione – anche solo temporanea, anche solo ipotetica, ma più intensa del rumore di fondo – che il mondo è sostanza mentale.
Poi si produrrà la sensazione che la mente è io – cioè, “io” è la sostanza consapevole comune ai pensieri e quindi della mente. Il “mondo” – la “realtà” – va ricondotto alla “mente” e questa all’“io” non come processo causale. Non c’è nessun processo causale, è una percezione unificante – la “sostanza io” si dilata ai pensieri ecc. e la mente si dissolve in essa, è sostanza-io.
Superare l’autoimmagine – l’insieme di ciò che abbiamo pensato sull’io. Il pensiero dell’autoimmagine, mentre l’io è dilatato – cioè, sostanza pervadente – rimanda immediatamente a chi pensa. Si ha la percezione di un passaggio ad uno “stato” superiore. Le due esperienze sovrapposte rivelano il sé informale, la sostanza consapevole di essere.
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Le tecniche di concentrazione classiche, il samâdhi ecc. servono a produrre e a mantenere questa auto-percezione consapevole. Infatti, questa esperienza dura pochi secondi; è un’intuizione, sufficientemente intensa da imporsi al rumore di fondo – che cessa al suo manifestarsi – ma senza il totale controllo del mentale non è persistente. In effetti, l’intuizione del sé informale può prodursi quasi per caso quando vi è una condizione di concentrazione forte del pensiero, ma nel contempo di vigilanza. Il soggetto deve cioè essere in una sorta di trance “vigile”, cioè deve essere cosciente della presenza di altre persone e cose. Io ritengo che l’esperienza sia tanto più intensa e chiara quanto più è profonda la trance, ma per realizzare la dilatazione dell’io – cioè, “io” è la sostanza dei fenomeni presenti – bisogna, appunto, che i “fenomeni” siano presenti – in uno stato latente, se vogliamo, in modo da non sovrapporsi alla concentrazione, ma comunque a un livello di “passività sensibile”. Ciò può accadere in un ambiente nel quale sono presenti persone che svolgono delle attività per conto loro, senza disturbare il soggetto.
* * *
L’io è inafferrabile, non si possono darne definizioni precise. Le definizioni negative (“io” non sono questo quello ecc.) corrispondono alla fase in cui il soggetto percepisce gli oggetti. Il soggetto è presente a sé e distribuisce l’attenzione a un contesto che lo include. La chiarificazione dell’io – la successione intellettiva e soprattutto intuitiva delle autoimmagini – ne rivela pluralità e unità (“io” è ciò che pensa tutto ciò). Ma “io” non è concettuale. Il processo, e la sua fase superiore in particolare, rivela i due aspetti essenziali: il presente e l’attenzione. Questi due elementi costitutivi subiscono modulazioni, e la qualità dell’esperienza – la percezione distinta – ne è il risultato. La trance svuota il soggetto della presenza, è come se questa fosse localizzabile “fuori” dal soggetto. Ma ci deve essere qualcosa in cui la presenza risiede, e quindi attenzione cosciente sugli oggetti. “Io” è consapevole dei fenomeni e dei pensieri, vi è compresenza della trance (non localizzazione dell’io) e dell’attenzione (gli oggetti e i pensieri sono presenti all’io). Un presente non localizzato cosciente.
La perfezione di tale risultato – in termini di intensità persistenza valore – dipendono: dal rumore mentale di fondo, dal sistema culturale in cui il soggetto vive, dalla fede, dall’importanza che il risultato ha per il soggetto, e da fattori non identificabili. Ma è essenziale il controllo del pensiero e della mente. È la qualificazione del presente-cosciente a qualificare l’esperienza. La conoscenza è in funzione dello strumento cognitivo.
[ settembre 2006]
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