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LEGGENDO RÂMANA MAHÂRSHI
RIFLESSIONI SULLA NATURA DELL'IO
Ezio F.
AVVERTENZA
Il “sé” di cui si parla nel testo è da interpretarsi nel senso del pensiero advaita. Quanto segue infatti consiste in una serie di pensieri, stimolati dai discorsi del Mahârshi, resoconto di sviluppi cognitivi per introspezione durante dieci giorni - due settimane.
Sommario:
PARTE I. | PARTE II. | PARTE III. |
La natura dei pensieri - La mente e i dubbi - L'io e il sé - Osservazioni conclusive |
L'io - Soggetto-oggetto - Centri e assi | Attenzione intenzionale - Significati - Io informale - Conclusioni |
PARTE I.
Non è la riflessione l’origine reale dei pensieri (riflessione = attenzione volontaria verso un problema che interessa, e per il quale il soggetto desidera una soluzione)
I problemi non sono risolti dalla riflessione
La riflessione abbassa il livello dell’attenzione e ciò permette ai pensieri di emergere
Da dove emergono i pensieri? Da una latenza che contiene ricordi ed elaborazioni pregresse, ma può essere che l’elaborazione venga prodotta sul momento
Vi sono elaborazioni intellettive inconsce? La conoscenza è la loro emersione a livello cosciente?
Il processo è apparentemente inconscio nel suo svolgersi, ma l’esito può essere chiarissimo (insight)
Il mondo delle idee è il mito di questa ‘latenza’?
L’uso di esempi matematici dimostra come l’intuizione della soluzione di un problema o i passi di una dimostrazione appaiono come l’emergere a livello cosciente di un contenuto che non era apparentemente presente al soggetto (all’io empirico)
La soluzione di un problema emerge come un punto-istante ed è simile all’emergere di un ricordo improvviso
Non è conseguenza di una riflessione o di un pensiero – si vedano anche i “calcolatori” umani che “eseguono” calcoli complessi in frazioni di tempo piccolissime
Il mondo delle idee è la prima fase di un processo che culmina nella consapevolezza dell’Io?
L’intenzione di Platone era quella di divulgare alcune semplici verità come base per una riflessione più approfondita sulla natura della coscienza?
È pensiero metafisico, o è pensiero critico (Socrate, dialettica) esposto in forma mitica, per renderlo più accessibile? Si tenga presente anche quanto detto da Platone stesso su “cose serie e cose non serie” – si divulgano solo queste ultime
La parola alétheia contiene implicitamente un’idea del genere? (deposito latente = mondo delle idee dimenticate, conoscenza = riemergere di un ricordo = privazione della dimenticanza)
* * *
Se si vede l’emergere dei pensieri, si è portati a considerare l’io come un mero osservatore del proprio contenuto mentale – e che questo non è “proprio” in quanto è fenomeno
I pensieri sono oggetti? Allora sono come i fenomeni esterni, salvo la loro minore fissità
Ragionare in questo modo può diminuire la consapevolezza della separazione tra esterno e interno
L’esterno sembra associato alla passività, l’interno all’attività
Se i pensieri sono oggetti esperibili, l’io è un osservatore distinto e non un pensiero transitorio
I pensieri, prodotti o no dall’io, sono visibili perché proiettati su uno schermo? O sono stati qualificati dell’io? In entrambi i casi, sembra doversi parlare di un riflesso (il pensiero visto come oggetto)
Se vi sono processi consci e inconsci, è perché i primi sono “riflessi” e i secondi no?
* * *
I pensieri attivati nella dimensione latente, sono come i sogni? È un’attività onirica? (risposta probabile: sì )
Lo spazio dei pensieri è la coscienza riflessa? L’origine dei pensieri una coscienza attiva? Il fatto che i pensieri siano “visibili”, significa che la coscienza è scissa in due? (coscienza che contiene i pensieri + coscienza che osserva) o addirittura in tre? (+ sorgente dei pensieri)
La scissione della coscienza ha qualcosa a che vedere con espressioni tipo se stesso, idea di sé eccetera?
I pensieri, vengono dalla “mente”? o vi è qualche altra sorgente?
La produzione dei fenomeni mentali è completamente inconscia e l’io è solo un testimone passivo? (risposta tendenziale: sì )
L’io è l’autore dei pensieri, ma li può vedere solo se riflessi?
Chi o cosa riflette i pensieri?
Il riflesso – se c’è – ammette ulteriori duplicati? Può diluirsi in una serie di fenomeni?
Ci sono una sorgente e un riflesso, e questa è la base intellettiva della dualità?
Dove si posiziona l’io empirico? È solo un osservatore rivolto ai fenomeni? La sua attività consiste nel rielaborare il materiale riflesso?
O vi è solo un processo ricorsivo (la mente) che rielabora i propri prodotti, dopo averli in qualche modo memorizzati e resi “richiamabili”?
* * *
Mentre si riflette l’attenzione al mondo esterno e ai fenomeni mentali si riduce, l’attenzione si concentra su un punto e la consapevolezza si riduce. Ma è proprio vero che la coscienza si perde?
(questa domanda nasce dall’osservazione che, nelle fasi di riflessione, il tempo sembra scorrere più velocemente perché si perde coscienza, sia pure a tratti. La riflessione implica una alternanza di stati coscienti e incoscienti?)Che rapporto c’è effettivamente tra l’attenzione dell’io verso i fenomeni e la coscienza? La consapevolezza di sé è una forma di attenzione? Verso che cosa? O è solo un “livello di attivazione” variabile? Se c’è un nucleo costante, dove si trova?
* * *
La realtà del mondo è solo la presa dei fenomeni sulla coscienza?
Il mondo esiste perché è pensato o “noi” possiamo comprendere intellettivamente il mondo perché possiamo coscientemente riprodurre gli schemi formali del mondo (fisico)?
Il mondo è una rappresentazione di un sistema formale? Se è così, questo sistema ha un’origine o è giustificato solo dalla sua coerenza intrinseca?
Il punto di vista advaita è opposto a quello scientifico.
Senza pensieri coscienti e latenti, il mondo non apparirebbe come uno spettacolo di fronte all’io contemplativo?
Il processo è incondizionato? No – è condizionato dalle strutture
Le strutture ordinano il processo, lasciando del caos
Tuttavia il processo non è totalmente determinato dalle strutture (casualità)
Da una parte l’esperienza immediata, dall’altra le operazioni e le strutture
L’esperienza immediata è un limite asintotico [*]
[*] «Asintotico» è ciò «che tende ad avvicinarsi sempre più a una determinata grandezza senza mai raggiungerla» (De Mauro, Dizionario della lingua italiana).
* * *
Ordinariamente noi non distinguiamo tra la sensazione e le sue immediate conseguenze. Ma tra un evento e il suo significato – cioè la sua capacità di “perturbare” la coscienza – vi può essere uno iato, che nel tempo può essere impercettibile, durare una frazione percepibile di tempo, o anche durare anni. Tale distanza temporale è, a mio avviso, riconducibile alla differenza tra fenomeno puro e sua rappresentazione. Ci si può rendere conto di ciò osservando come, nelle fasi di distrazione ma di non completa dissociazione dall’ambiente esterno, si possa sentire che una persona ci sta parlando, ma non capire quello che dice o – pur avendo capito – non rispondere immediatamente. In questo caso il nostro comportamento non è adeguatamente integrato. La mancata risposta può essere intesa come un difetto percettivo, una imperfezione nella ricostruzione completa della situazione. La rappresentazione richiede la consapevolezza di un contesto cui ci si adegua in base a schemi più o meno ricorrenti, ma se la costruzione del contesto è carente (per es. perché l’attenzione è rivolta a qualche oggetto mentale) anche il comportamento risulta disturbato.
Dunque ogni fenomeno viene interpretato, contestualizzato, insomma rappresentato in sé e nelle sue relazioni con un ambiente variabile.
* * *
Il fenomeno puro non esiste, o è un limite difficilmente tangibile, forse asintotico. Perciò…
le operazioni intellettive si fanno sulle immagini riflesse dell’esperienza, sulle parole (simboli vuoti) e su oggetti virtuali (significanti elementi non derivanti dall’esperienza) – p.es. “il mondo prima che io nascessi” è un oggetto virtuale: come idea, è una sintesi tra il “mondo” che è un complesso di immagini e significati riflesso dell’esperienza e un “virtuale” stato delle cose prima che nascessi , che non deriva dall’esperienza – a meno che non si pensi che gli oggetti virtuali siano il riflesso di una esperienza prenatale
Vi è però una componente affettiva, sensitiva e mitopoietica che genera senso e significato
Queste componenti hanno dinamiche proprie; il loro effetto è quello di attrarre l’osservatore, condizionarne lo stato affettivo e intellettivo, fino nei casi estremi a trasformarlo in un esecutore di una “volontà” percepita come agente esterno
* * *
La mente quindi contiene un’attività operante, strutturante attraverso le tracce delle operazioni compiute, che si applica a qualsiasi oggetto mentale (in realtà qualsiasi oggetto su cui opera è un contenuto mentale, indipendentemente dal fatto che tale oggetto abbia o no un sostrato non mentale ) che è il processo, e un potere latente che si manifesta come legame tra un soggetto e qualcosa che il soggetto percepisce come estraneo a sé
Ciò presuppone che il soggetto abbia un’immagine di sé; più esattamente, una serie di rappresentazioni di sé, divise secondo la funzione: alcune strumentali, in funzione dell’agire concreto; ancora più esattamente, il processo opera attraverso la produzione e la conservazione di una serie di immagini e contenuti mentali persistenti o lentamente variabili che possiamo categorizzare come idea di sé e che, nella loro qualificazione contestuale, sono delle identificazioni
Tali serie di immagini, latenti o presenti, vengono difese e nel loro complesso costituiscono una abitudine che si configura come personalità. Il potere di attrazione della persona – cioè della coordinazione inconscia dell’insieme delle personalità contingenti – attraverso la costruzione della memoria che agisce selettivamente a vari livelli – si manifesta come individualità. Questa, attraverso la continuità nel tempo – appare come l’io empirico; cioè l’io è il risultato di una strutturazione dei risultati delle operazioni mentali, che ordinano l’esperienza, contribuendo a darle un senso e un significato. Tuttavia, questo non è sufficiente a produrre l’io. Infatti, l’io è consapevole. Il processo è conscio? No, tuttavia si è consci dei risultati del processo. Chi è conscio dei risultati? Qualsiasi attività mentale può lasciare una traccia; l’insieme delle tracce è una coscienza riflessa, e le operazioni hanno luogo sugli elementi riflessi. Ma la coscienza, è solo l’insieme delle tracce dell’attività mentale, cioè del processo? Sembra vi debba essere un centro, un punto di coordinazione, che possa esperire tutto ciò
* * *
L’io è semplicemente l’oggettivazione dell’individualità e delle persone (autoimmagini e ruoli sociali ricorrenti) che in essa si riconoscono? O veramente c’è un Osservatore inosservabile del processo di formazione dei fenomeni, non toccato dai fenomeni stessi e quindi almeno apparentemente trascendente e ultimo, rispetto alla esperienza ordinaria?
È paradossale che colui che è al centro dell’esperienza non esista!
Tre limiti: l’esperienza immediata, le forme delle operazioni, la materia.
* * *
La consapevolezza di sé interrompe gli automatismi nella sequenza stimolo-risposta
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Se la mente è un insieme di operazioni, allora debbono esservi degli operandi cioè immagini di fenomeni, ricordi, sensazioni ecc. ma, se la natura della mente è una struttura immaginativa, le stesse operazioni riflesse possono essere oggettivate (come fossero ricordi) e quindi possono essere rappresentate e su queste rappresentazioni si possono fare operazioni. Ma una operazione esige degli operandi, dunque nella rappresentazione dell’operazione gli operandi debbono essere virtuali. Che ruolo hanno gli oggetti virtuali nella rappresentazione complessiva del mondo?
Il linguaggio contiene parole. Queste sono oggetti virtuali, quando non hanno significato immediato – cioè, quando non sono immediatamente riferite a oggetti “esterni”. Attraverso il linguaggio noi possiamo operare astrattamente su oggetti virtuali, cioè su termini che non sono immagini e non si riferiscono a immagini ricordi ecc., cioè in sé non-significanti, e che rappresentiamo mediante fonemi o grafemi ecc.
Dunque la struttura del linguaggio può essere applicata a elementi vuoti cioè privi di significato (schematismo) – potrebbe essere la radice del concetto di intelletto
La mente è ricorsiva – opera sulle stesse rappresentazioni
* * *
“Il mondo prima che nascessi”, “il mondo indipendentemente da me” non hanno contenuto
Lo “stato di cose” non è definito in sé – deve essere qualcosa di presente
Il contenuto di un pensiero? Un richiamo ? L’attenzione è rivolta al valore di verità e all’intenzione…
Il mondo – un’idea vaga
Mondo o immagine del mondo? Mondo come insieme dei fenomeni – non è un fenomeno, è un’idea?
I fenomeni appaiono coordinati
La loro coordinazione non è solo un’idea, il mondo contiene un ordine
L’ordine è solo un’idea? Difficile considerarlo una mera funzione mentale
Però senza mente l’ordine non è riconoscibile
Anzi senza la coscienza
Tuttavia la coscienza potrebbe essere semplicemente una condizione per comprendere l’ordine
L’ordine viene compreso
Vi è l’ordine + la comprensione dell’ordine o i due momenti sono lo stesso?
Potrebbe essere un problema di linguaggio
Il linguaggio oggettiva
L’ordine è un oggetto?
Probabilmente no, ma può essere descritto mediante schemi
Attraverso gli schemi si concepisce l’ordinamento dei fenomeni e non solo
Gli schemi sono funzioni mentali?
Definiscono le operazioni mentali?
Sono un ricordo delle immagini che ci facciamo dell’ordine
Tuttavia l’ordine c’è
O non c’è, non è una cosa
L’ordine è un intelligibile
Lo schema è una potenzialità
Esiste il mondo prima che uno nasca?
L’esistenza del mondo ecc. deriva dal fatto che si crede a dei testimoni
I testimoni sono reali? Come tutte le altre cose
L’idea del mondo coordina le azioni proiettandole dal passato verso il futuro
Non si riesce a prescindere dalle abitudini mentali radicate
Il mondo esterno è un’abitudine mentale radicata?
L’io empirico e il mondo sono il materiale prodotto dalla mente. Dov’è la materia originaria, se c’è? Sembra essere inaccessibile
La verità dunque sarebbe inaccessibile
Qualsiasi idea su ciò che è inaccessibile viene formulata a partire dai pensieri
È un derivato del giudizio applicato alle idee ricorrenti del soggetto
La mente riconosce un ordine, ma anche la mente funziona secondo principi di ordine
Tali principi di ordine si sviluppano con la mente
O la precedono in qualche modo?
La precedenza potrebbe essere solo logica, cioè una conditio sine qua non
Questa comunque è una serie di pensieri
Questi pensieri possono essere analizzati e considerati sotto diversi rapporti
Anche la riflessione è un pensiero, ecc.
Credere di concludere qualcosa mediante la riflessione è ancora un pensiero e la riflessione conduce a una serie potenzialmente infinita di riflessioni, cioè da nessuna parte
* * *
Sembra ragionevole ammettere che siano adattamenti alla realtà esterna, solo che questa appare solo come output
La realtà esterna non è fissabile in una costante
Ciò rimanda a un Principio?
O a un processo ciclico, nel quale la coscienza è solo una fase?
Veramente la coscienza contiene tutto?
Se contiene tutto, da dove viene la novità?
* * *
Il contenuto di un pensiero (proposizione) è una traccia onirica
Il piano del discorso significante è quello del sogno
Le frasi evocano tracce oniriche
In questo senso il linguaggio non comunica nulla, ma richiama una traccia dalla memoria alla coscienza qui-ora dell’ascoltatore
Non esiste alcuno “stato di cose” se non nell’ambito della percezione integrata, e solo in alcuni casi il linguaggio allude a “stati di cose”
La traccia onirica contiene anche il valore di verità dell’affermazione
Il valore di verità è una associazione con una abitudine mentale o con una percezione integrata
* * *
Il contenuto del pensiero è onirico
La dimensione esistenziale dell’uomo è magica
Infatti i condizionamenti e i comportamenti possono essere considerati come incantesimi
Lo stesso per quanto riguarda ruoli convinzioni ecc. e le identificazioni
Sotto questo aspetto il mondo è un insieme di condizionamenti insuperati
La dimensione di questi condizionamenti è una latenza onirica
Fino a che punto sono superabili?
La risposta è soggettiva
Centri virtuali o direzioni virtuali
Intorno cui gira l’attenzione
Immersione in un pensiero = trance = perdita del senso dell’identità
Se ci si concentra su un pensiero l’individualità si perde
Quindi l’io individuale – l’io, semplicemente – è della stessa natura del pensiero
L’io è un pensiero ricorrente, di intensità variabile
L’intensità è massima se non si è concentrati su nulla in particolare, minima o nulla se si pensa fissamente
Può coesistere con altre rappresentazioni
I pensieri possono coesistere e possono essere mutuamente esclusivi
La concentrazione esclude l’io, ma il pensiero “io” coesiste solitamente con pensieri superficiali e spontanei, con le impressioni stati affettivi ecc. e si proietta nella dimensione temporale attraverso la continuità della memoria
Il pensiero dell’io deve avere un contenuto
Qual è questo contenuto?
Durante la concentrazione (esclusione dell’io) l’attenzione è ferma su un oggetto
Potremmo descrivere questa fase come identificazione del sé (non dell’io, per via dell’incoscienza dell’individualità)
Questa non è una fase di assenza mentale, perché è presente un pensiero
La ricostituzione dell’io equivale alla non identificazione del sé in alcun oggetto particolare
L’io è quindi la consapevolezza che “io non sono questo o quello”
È la consapevolezza della non-identificabilità del sé
* * *
Il sé è il centro non esperibile
Questa è solo un’idea, ma serve per delimitare il campo dell’esperienza e della rappresentazione
Il sé può essere definito solo per negazione
Peraltro non è possibile stabilire se tale centro sia “reale”
Infatti la “mente” può operare su centri virtuali (“mente” = pensieri e operazioni sui pensieri-oggetto)
Il “centro” è tale per via delle oscillazioni della coscienza, cioè dell’attenzione
Questa può essere diretta verso l’io, verso i fenomeni... ma ha un carattere ciclico
Ciò che è ciclico rimanda a un “centro”, ma non è detto che il percorso del punto mobile lo incroci
Comunque il centro fondamentale è il sé, per definizione (assioma, postulato del lessico)
Il sé è, indipendentemente dalle sue fasi (è un assioma, l’essere non è deducibile)
Nessuna delle fasi è identificabile nel sé, perché queste sono provvisorie e contingenti, mentre quello è stabile – ciò si esprime affermando la separazione dell’io dalle fasi, singole e come insieme
La consapevolezza di tale negatività è l’io
* * *
Tale definizione è essenzialmente cognitiva
L’io è quindi definito negativamente (“io non sono questo pensiero” ecc.)
L’io esprime la consapevolezza del contrasto tra il sé (centro dell’attenzione) e i pensieri
L’io è il contrasto
Quindi è il margine, auto-posto, del sé
I fenomeni e i pensieri, appaiono quindi oggetti nei confronti dell’io
Si può dire che l’io è una fase del sé, la sua nota dominante
L’io sembra il centro a causa di questa dominanza
È una fase del centro – la fase in cui l’attenzione non è focalizzata su un punto
È la fase che consente l’analisi del mondo
È la premessa di ogni operatività
Infatti
Gli oggetti e i pensieri, proprio perché separati dall’io, acquistano realtà
Non c’è risposta alla domanda se siano reali in sé, perché non c’è l’in sé
Essi appaiono sullo stesso piano dell’io, nel campo delle rappresentazioni
L’io sembra essere il centro di riferimento di questo campo, ma ciò è impossibile appunto perché l’osservatore permanente (il sé) persiste, come fonte di attenzione, anche durante le fasi di assenza del senso di identità
Ciò dimostra che, se l’“io reale” è, non è il pensiero dell’io
Poiché i pensieri e i fenomeni acquistano l’auto-realtà nei confronti dell’io, il soggetto cosciente ritiene che l’io ne sia influenzato
Effettivamente questa è una illusione, perché, attraverso il pensiero dell’io, altri pensieri acquistano una influenza più o meno latente fino a dominare lo stesso io
Il soggetto (centro dell’attenzione = sé nello stato di veglia, fase dell’io empirico) crede di pensare gli oggetti e di subirne l’influenza, attraverso le varie fasi (piacere ansia ecc.) che ne qualificano l’esperienza
Ne consegue che l’io appare qualificato, cioè si esperiscono stati mentali che vengono ricondotti a cause separate dall’io
Questo potere ipnotico dei fenomeni sull’io, qualora i fenomeni siano persistenti, appare come la realtà
Se si presta meno attenzione ai fenomeni, tuttavia, l’io viene indebolito
Proprio per il suo carattere di “contrasto” con il mondo fenomenico, cui è in opposizione, la forza dell’io deriva da quella dei fenomeni, percepiti come persistenza oggettiva
* * *
L’io riconosce nel mondo esterno una serie di connessioni, relazioni che vengono interpretate come intrinseche al mondo esterno
Il quale quindi acquisisce una struttura
Questo rafforza l’idea della realtà esterna, che può venire identificata in queste strutture, che hanno come riferimento formale i linguaggi
Il linguaggio struttura la stessa mente, cioè l’attività formante i pensieri
Lo sviluppo della mente è visto come adeguamento alla realtà
Ai fenomeni viene quindi sovrapposta una rete concettuale-operativa senza cui l’esperienza è impossibile
L’assenza ipotetica di tale rete sarebbe il caos
L’io è quindi il limite al caos, precondizione formale di ordinamento
L’ordinamento avviene attraverso strutture fisse, che non sono oggetti o fenomeni, ma che possono essere riconosciute e rappresentate attraverso schemi, cioè particolari oggetti virtuali
Le riflessioni precedenti – invero un po’ disordinate, ma la successione dei pensieri era approssimativamente quella – derivano da precedenti dubbi sulla consistenza dell’io e da certe riflessioni sul ruolo della mente nei suoi rapporti con la posizione del soggetto e con l’immagine del mondo. Ero incline a pensare che la consistenza del mondo fosse di natura logico-matematica. Quest’ultima posizione è difficilmente attaccabile, ma la mente è un punto debole. Si può postulare una attività o processo ordinatore che coordina il soggetto e il mondo, spiegandone la comprensibilità; solo che questo procedimento... non “spiega” il soggetto, anzi non spiega il fatto che è conscio. Inoltre, qualsiasi formulazione farebbe parte del processo mentale (che comunque è una mera ipotesi, essa stessa parte del processo...) mentre l’io appare comunque vigile e in sé sussistente... la sua esistenza qui ed ora è più evidente di ogni formulazione intellettuale.
Mi è capitato di leggere qualcosa sui discorsi del Mahârshi e l’effetto sono le considerazioni qui esposte.
* * *
L’aspetto più interessante, essenziale del pensiero del Mahârshi è la radicale affermazione della realtà del Centro, ovvero Sé (Âtman). Il Sé non è l’“anima” così come viene più o meno chiaramente raffigurata in Occidente (qualcosa che deve “salvarsi”), ma è “semplicemente” ciò che è, ed è il fondamento di ogni fenomeno cosciente.
È un fatto che si tende a pensare al “mondo” come a qualcosa di reale, concreto, esistente di per sé, creato (ma cosa vuol dire?) o increato a seconda delle abitudini mentali, nel quale, attraverso un processo evolutivo prima fisico e poi anche biologico si sono costituiti gli esseri viventi fino a produrre la coscienza. Non solo, ma c’è anche il “mondo” delle relazioni umane, dell’economia, ecc... insomma una pluralità di mondi, rispetto ai quali il soggetto cosciente sembra essere un punto di intersezione, un osservatore giudicante neutro. La mente, storicamente e individualmente, riconosce le leggi del mondo e si sviluppa adeguandosi ad esse.
Questo concetto del “mondo” si impone attraverso osservazioni mirate, integrate in modelli e rappresentazioni formali che ne forniscono una immagine coerente, oggettiva, che può essere studiata se si possiedono gli strumenti concettuali adeguati ecc...
Tale immagine è concettualmente soddisfacente, perché nel complesso funziona, anzi direi che nel complesso è vera, in un senso vicino a quello del senso comune.
Tuttavia, essa presenta alcune lacune. In primo luogo, è piuttosto inquietante che l’immagine del mondo – come qualunque immagine – deve essere presente ad un soggetto. Il mondo stesso deve essere presente a un soggetto. Un “mondo senza il soggetto” è un’espressione vuota, controfattuale – perché c’è di fatto la compresenza – e non è neppure una traccia mnestica effettiva, per questioni logiche oltre che empiriche. È in realtà un’ipotesi astratta, che può essere formulata linguisticamente, irriducibile a rappresentazione.
Questa è comunque una considerazione intellettuale, ma è anche un fatto che il mondo “contiene” oggetti la cui valenza è neutra in assenza (ipotetica) del soggetto. Inoltre, lo studio del mondo implica l’attività del soggetto, ecc.
Oltre ancora, il “soggetto” stesso è complesso, ci si può chiedere come può effettivamente comprendere il mondo, ecc...
Ma, soprattutto, il soggetto considera se stesso come il punto di riferimento dell’esperienza e quindi del mondo. Gli oggetti, i fenomeni, sono tali in relazione ad esso. Il “soggetto” sembra essere la sorgente dei giudizi, ha delle opinioni ecc... Tuttavia il soggetto non è propriamente una unità. Vive situazioni di conflitto. Il suo status esistenziale è spesso deplorevole. È costantemente minacciato da pericoli latenti e presenti. Difficile che non abbia problemi di qualche natura, che richiedono la sua attenzione. Inoltre può disperdersi in fantasticherie, deviare dalla direzione seguita, perdersi per cause esterne o interne. In questi casi, non è che l’esistenza in sé del mondo gli serva a molto. L’apice della catena evolutiva si trova stranamente confuso, sradicato, annoiato, ansioso, disperato, bisognoso di aiuto, frustrato, senza senso ecc. ecc.
Tali situazioni spiacevoli – o anche solo la considerazione del loro possibile verificarsi – spingono il soggetto alla ricerca di un centro. Ma può anche essere che tale ricerca sia la conseguenza di una forza compulsiva che costringe il soggetto ad abbandonare abitudini di comportamento e mentali, fino a riformulare radicalmente la propria individualità, anzi fino a perderla, immersa nel Sé.
Il “centro” può essere inteso in molti modi. Cognitivamente, è il soggetto analizzante, giudicante, osservante, che manipola rappresentazioni e segni, formula progetti, ha ricordi ecc. ecc. Moralmente, è l’agente responsabile. Ma il soggetto stesso tende verso un equilibrio esistenziale che è un centro di attrazione. Può credere che la (sua) vita abbia uno scopo, e questo costituisce un centro dinamico – più esattamente, una direzione, un orientamento significativo.
Ciò che attira il soggetto non è la conoscenza o la verità. Nessuno o quasi cerca la “verità”. La ricerca della verità in sé è qualcosa di molto simile al “mondo in sé”, anzi è una riformulazione metafisica della stessa idea. Il soggetto è attratto dal senso e dal significato. La ricerca del piacere è una forma, molto grossolana, di tale attrazione.
* * *
Non è possibile dare una definizione universale di significato in senso esistenziale, se non nel suo potere attrattore. Il significato è potere mentale. La presa dei pensieri, dei fenomeni, del mondo sul soggetto è di natura mentale. Tale presa provocherebbe la dispersione dell’attenzione del soggetto (e quindi dello stesso soggetto) e la perdita della sua continuità, e quindi il soggetto “cerca” un centro. In realtà, ne ha a disposizione una lunga serie: la sua attività, la posizione sociale, la famiglia, lo sport, l’Umanità, Dio, ecc. ecc... Tuttavia, questi hanno un carattere contingente e provvisorio.
Abbiamo quindi dei significati potenzialmente dispersivi e dei centri attrattivi; niente di più naturale che i centri e i significati si fondano, formando così il tessuto esistenziale dell’individuo. Tuttavia, questi centri non sono il soggetto; anzi, questo mantiene la sua autonomia rispetto ai singoli centri. Questi infatti sono solo attrattori della sua attività mentale, punti di riferimento e di concentrazione. Il vero centro, il centro dei centri, rimane il soggetto, se non altro per ragioni di continuità temporale ed esperienziale.
Il soggetto tuttavia non sembra essere sempre pienamente consapevole della sua posizione centrale, dato che generalmente la sua attenzione e i suoi sforzi non sono orientati verso l’ “interno”. Anzi: la riflessione e l’introspezione sono spesso considerate perdite di tempo, energie sottratte all’azione; la persona ideale è socialmente responsabile, attivamente impegnata in progetti ecc. ecc. – ragion per cui può diventare un esperto in più campi ignorando proprio se stesso.
La domanda chi sono io? lungi dall’essere stravagante sembra essere perfettamente naturale, anzi parrebbe la domanda più significativa; non è qui il caso di indagare perché moltissimi sembrano occuparsi di altro – ammettiamo pure che tutti o quasi abbiamo la risposta. Quale poi sia, e quale sia il suo fondamento, meriterebbe una piccola indagine.
* * *
La risposta dei non-dualisti – per cui “io” è il Sé, e questo è l’unica realtà – è a prima vista assolutamente sconcertante, e apparentemente controintuitiva. Come, il mondo “esterno”, il corpo, tutti i riferimenti costanti sono irreali? Anzi, effetto di illusione. Il soggetto – il centro di tutto – esso stesso vittima dell’illusione. La corda e il serpente. Peggio ancora, gli stessi io individuali sono illusioni. Non solo, il Sé è sempre realizzato (altrimenti, come sarebbe reale?) ma il soggetto, nella sua ignoranza, non ne è consapevole…Per “liberarsi” dall’illusione il soggetto deve afferrare la mente, afferrare l’ego…
Il soggetto può, se proprio vuole, liquidare tutti gli advaita come sognatori essi stessi vittime di una loro illusione – tanto più che certe pratiche suggeriscono questa eventualità, eppure il punto di vista advaita non è, a priori, insensato.
“Realtà” e “illusione” non sono oggetti definiti, sono categorie. Il significato di questi termini è contestuale. Se per “reale” si intende “ciò che è presente al soggetto cosciente qui ed ora” , è perfettamente lecito porre in dubbio la “realtà” del mondo. Il mondo non afferma la propria esistenza – è un soggetto cosciente ad affermare l’esistenza del mondo. È una questione di punto di partenza, di centro di osservazione. Il vero centro non può non essere un osservatore. Non solo; ma “il mondo” è comunque sempre immaginato. O, meglio, sono immaginate certe sue parti.
L’obiezione principale a questa posizione è che l’universo fenomenico manifesta persistenza degli oggetti e delle correlazioni tra fenomeni e oggetti (causalità). In questo starebbe la sua realtà. Tuttavia, tale “persistenza” è essa stessa sostanza mentale, pensiero.
Ma la questione essenziale non è quella intellettuale, è esistenziale. Il “mondo” è di fatto un insieme di abitudini radicate ovvero pensieri radicati il cui potere ipnotico avvolge il soggetto, che scambia la corda per il serpente. Personalmente non ho dubbi su tale potere ipnotico. Basta osservare la storia nel corso dei secoli per convincersi che l’uomo è generalmente vittima di illusioni collettive di portata universale, cui è impossibile sottrarsi. Una convinzione non è altro che fissazione ipnotica su tracce mnestiche, o su oggetti virtuali. La questione non è se tale convinzione sia vera o falsa. In linea di principio, nulla vieta di pensare che le idee siano vere o false – anzi, il giudizio è indispensabile e implica questa distinzione. La questione è il potere ipnotico in quanto tale. Il soggetto subisce il potere ipnotico; questo da dove viene? La risposta potrebbe essere: dalla mente stessa, ecc.; ma la mente è la successione dei pensieri, mentre l’ipnosi è lo stato del soggetto.
Comunque, la mente non è proprio separata dal soggetto – è solo l’oggettivazione di una serie di attività di natura piuttosto eterogenea – e quindi il potere ipnotico, in qualche modo, è un prodotto dello stesso soggetto. La conclusione è chiara, a questo punto: il Sé si autolimita, e si tratta di rimuovere l’ignoranza distruggendo gli oggetti – cioè il loro (apparente) potere sul soggetto.
Dire che il mondo è dentro di noi è quindi come dire che il complesso delle sue influenze sul soggetto – cioè la rete che lo stesso soggetto ha costruito nel corso della storia individuale e collettiva – può essere ricondotto sotto il controllo dello stesso soggetto...
[ settembre 2006]
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