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LEGGENDO RÂMANA MAHÂRSHI
RIFLESSIONI SULLA NATURA DELL'IO
Ezio F.
AVVERTENZA
Il “sé” di cui si parla nel testo è da interpretarsi nel senso del pensiero advaita. Quanto segue infatti consiste in una serie di pensieri, stimolati dai discorsi del Mahârshi, resoconto di sviluppi cognitivi per introspezione durante dieci giorni - due settimane.
Sommario:
PARTE I. | PARTE II. | PARTE III. |
La natura dei pensieri - La mente e i dubbi - L'io e il sé - Osservazioni conclusive |
L'io - Soggetto-oggetto - Centri e assi | Attenzione intenzionale - Significati - Io informale - Conclusioni |
PARTE II.
Afferrare l’io
È impossibile
Non è un oggetto vero e proprio
Si può parlare dell’io, ma è un io oggettivato
Solo un riferimento formale
Un punto senza estensione
Quindi non c’è
Quindi azioni giudizi affezioni non sono di nessuno
Ciò non corrisponde a ciò che si esperisce
Cioè, la qualità dell’esperienza viene interpretata ammettendo un io
In effetti, si direbbe che senza un centro l’esperienza non abbia un riferimento
Anche affermare che l’io corrisponde all’integrazione o senso o ordinamento dell’esperienza non è soddisfacente
Insomma in qualche modo l’io esiste
Se però non lo identifichiamo con niente in particolare ci sfugge
Ciò è normale, possiamo afferrare solo ciò che identifichiamo
Se consideriamo l’io come non-quello, non questo ecc abbiamo come risultato un testimone
Cioè, un quid persistente
Dunque l’io è anzitutto una presenza non identificata
Come si collega al senso dell’identità?
In effetti, l’io è sempre identico a se stesso...
O almeno si è tentati di considerarlo così (oggettivandolo attraverso il linguaggio, come quando uno dice “venti anni fa io...”)
Ciò implica il riconoscimento di una continuità diacronica
Questa sembra essere una descrizione abbastanza corretta del senso della identità dell’io con l’io
Si può anche riconoscere l’individualità come distinzione dell’io dal “resto”
Sta di fatto quindi che nell’io si riconoscono almeno tre elementi
l’essere presente
la continuità nel tempo
la separazione rispetto al resto
Tuttavia, questi tre elementi non sono costanti assolute, ma piuttosto note dominanti o, forse, situazioni dominanti
Cioè, in un certo senso l’io è un modo di essere
Per esempio, nel sonno profondo l’io non è presente
La continuità non è veramente tale; l’io è una condizione ricorrente ma non persistente in assoluto
Anche la separazione non è sempre netta. È chiara nelle formulazioni linguistiche (“questo brano mi piace”), tuttavia quando si è immersi in una attività o passività è difficile discernere chiaramente tra soggetto e oggetto
Peraltro, il confine tra “io” e il resto è opinabile
Per esempio, i fenomeni mentali sono “miei”?
Cioè, sono separabili dall’io o sono sue affezioni?
Qui c’è incertezza, ma si potrebbe osservare che la “distanza” tra l’io e i fenomeni non è costante
Un pensiero può essere recepito come qualcosa di estraneo all’io
Ciò si rispecchia nell’uso della parola “mente”
Questa può essere considerata una funzione dell’io, ma tutto sommato le funzioni dell’io non sono l’io
Così gli stati emotivi possono essere visti come non-io
Tuttavia, un pensiero può essere molto coinvolgente
Se l’attenzione è catturata da qualcosa, il senso di separazione tra il soggetto e l’oggetto decresce fino a scomparire
Ciò sembra tradursi in un senso di perdita della coscienza
In effetti, l’io è anche cosciente e agisce
In queste fasi, l’io persiste? In base alle caratteristiche enumerate prima, la risposta è no
Tuttavia, se si elimina la condizione di separazione di soggetto e oggetto, si può asserire che l’io persista
Ma si può anche asserire che l’io resti latente, salvo poi ricostituirsi alla fine dello stato di concentrazione
Le tre caratteristiche quindi non sono tutte compresenti necessariamente
Il linguaggio dell’io quindi privilegia la fase dominante nel tempo
Peraltro la distinzione tra soggetto e oggetto è una formulazione, una rappresentazione dell’esperienza
In realtà, non è chiaro come stiano le cose nell’esperienza immediata (cioè, a prescindere dall’analisi)
Un’esperienza analizzata non è un’esperienza
C’è solo la traccia
Le affermazioni sono nel piano mentale
Le affermazioni su qualsiasi evento non sono sullo stesso piano del fenomeno
La descrizione del fenomeno non è lo stesso fenomeno
L’esperienza viene descritta al di fuori di essa
Tale discontinuità viene mascherata dalla supposta continuità dell’io
Descrivere un’esperienza è come immaginarsi un oggetto concreto
L’oggetto immaginato è solo virtuale
Si ragiona sulla traccia dell’esperienza
L’evento è unico
Tutto scorre
La memoria fissa una traccia dell’evento, ma non l’evento
Quindi non è proprio chiaro che l’esperienza esiga un rapporto soggetto-oggetto
Anzi, sembra difficile che ascoltando un brano musicale siano anche presenti il soggetto e l’oggetto
Un brano musicale è un brano musicale
Al soggetto è presente il brano musicale, non lo stesso soggetto
La dialettica di soggetto-oggetto potrebbe essere una descrizione che sottolinea la variabilità dell’esperienza, mantenendo la continuità dell’io
Cioè sottolinea l’identità dell’io (essere) contro il divenire
Questo va bene, però è un superamento dell’esperienza singola
La singola esperienza non si spiega con l’opposizione tra soggetto e oggetto
La diversità è inferita dalle tracce mnestiche
Quindi cade sotto il potere ordinatore della mente
Cioè è una funzione dell’intelletto
La continuità del soggetto dunque non è sufficiente per integrare i singoli momenti dell’esperienza, ci vuole una struttura dialettizzante che separa due poli
Ciò determina la forma generale dell’esperienza, ma non quella “locale”
L’io come polo persistente e separato quindi fa parte di una scena allestita da una funzione ordinatrice – chiamiamola mente-radice
Fino a dove arriva l’attività della mente-radice?
A questo punto, sorge il sospetto che altre qualificazioni dell’esperienza siano frutto della mente-radice
Per esempio, tutti i giudizi su una esperienza locale sono estranei alla suddetta esperienza locale
Ora, può essere che l’esperienza suddetta fosse qualificata in un certo modo
Ma può essere che tale qualificazione sia un prodotto del mentale
L’evento reca con sé delle tracce (significati) che in un certo senso gli vengono attribuiti, dopo o durante
Quindi l’evento è scindibile in una componente neutra e una significante (per esempio, sul piano emotivo)
La qualità della componente significante (per es. la bellezza) è più universale del singolo evento, per cui si può dire che nel corso dell’esperienza una molteplicità di eventi si associa a un numero limitato di significati universali
Questa associazione determina situazioni esistenziali
Infatti i significati aderiscono alla traccia che verosimilmente si conserva appunto perché associata a un significato
Ma determinano anche reti associative
Tali associazioni spingono il soggetto verso certe direzioni o lo respingono, condizionandolo ecc.
L’esperienza viene ad essere influenzata da una serie di condizionamenti legati ad associazioni che legano il soggetto in una struttura affettiva
La struttura mnemonica è di natura essenzialmente affettiva
Dunque la continuità dell’io è mantenuta da una serie di tracce qualificate e legate da connessioni di tipo affettivo
Questa serie di immagini oniriche, ricordi, idee varie crea una idea di sé approssimativa e fasulla
L’io è inafferrabile
Tuttavia c’è
Il processo dialettico non afferra il centro
Concepisce l’inconcepibilità dell’io
Questa idea mi piace
Si afferra l’inafferrabilità dell’io
Cioè il processo dialettico può rappresentare nel mentale l’impossibilità di afferrare il centro
Il centro non è un concetto o oggetto
C’è un concetto del centro, che non è una sua traccia
Il centro è (mentalmente) vuoto
Cioè non c’è la traccia
Come se si ponesse da sé
Ma non è proprio così, perché l’idea del centro deriva dagli sviluppi superiori del processo dialettico
La sua inafferrabilità, cioè l’idea della inafferrabilità sorge e poi sviluppa in seguito ai tentativi falliti di comprenderlo
È una comprensione sintetica
Che quindi riassume le fasi superiori del processo
Infatti una comprensione sintetica si attua mediante un’immagine quasi-visiva del processo
Il processo non è caotico, ha una specie di forma geometrica
È come se fosse un’elica/spirale
Convergente all’infinito ad un asse
È come fosse un disegno
Una spira dopo l’altra
Dal caos reticolare verso il polo all’infinito
* * *
L’idea di una convergenza asintotica del processo può essere inferita osservando un megaprocesso non semplicemente individuale, quale può essere lo sviluppo della scienza fisica. Da una rete di nozioni mitiche e di associazioni immaginative si sviluppano, concentrando l’attenzione verso alcuni aspetti, spiegazioni parziali e teorie parziali. Le vecchie idee vengono abbandonate e il processo si accresce fino a inglobare un’enorme quantità di dati, per lo più non organizzati. A un certo punto il processo inizia il suo percorso superiore, la fase nella quale le spiegazioni parziali vengono sostituite da teorie più complesse, capaci di integrare il dato. Nella fase superiore, la riflessione teorica può procedere anche in assenza di dati. Sorgono diversi centri formali, sotto forma di equazioni ecc. Il processo formale diventa auto-organizzato, procede impersonalmente verso un limite asintotico – una teoria del tutto, l’unificazione di tutte le forze, equazioni ecc.
Probabilmente tale tipo di convergenza è intrinseca a qualsiasi processo “mentale”
[ settembre 2006]
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