Articoli di Aliberth


 

IL DISTACCO (Vairagya)
Spesso, nella rubrica ‘Posta’ di Facebook, possono generarsi dei dialoghi o domande veramente interessanti tra più interlocutori che dibattono sulle proprie opinioni personali e che, alla luce di una successiva rilettura, possono diventare interessanti anche per altri lettori. A questo scopo, comunque, visto che la cosa stimola il mio pensiero, mi sento spinto a postare sul sito questi dialoghi….
 

 
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Domanda: Caro Aliberth, ti faccio una domanda… ho sentito dire che per essere veramente liberi bisognerebbe staccarsi da ogni evento che la vita ci pone dinanzi... io ci provo, ma non sempre ci riesco. Potresti aiutarmi a comprendere? Un abbraccio. Mirella
 

Risposta di Aliberth - Cara Mirella... mi chiedi una cosa quasi impossibile da spiegare per iscritto... Nel nostro piccolo gruppo di meditazione, ci sono persone che vengono ormai anche da 10 anni, eppure a causa dei loro coinvolgimenti nel mondo (famiglia, lavoro, amici e quant'altro...) non sono ancora riuscite ad arrivare nemmeno alla prima illuminazione (che è appunto la capacità di distaccarsi dal mondo...). Come pensi che io ti possa aiutare in questo modo?... D'altra parte, ci sono pure persone (invero assai poche) che sembrano apparentemente esserci riuscite... e questo mi conforta, perché significa che in qualche modo la cosa è possibile ed io sono riuscito ad aiutarle...
Devi sapere che circa 15 anni fa (1995) io ho perso la mia compagna a cui ero molto affezionato... Tra l'altro, sia io che lei eravamo entrambi discepoli di un maestro che predicava appunto il distacco dal mondo (vairagya)... e tuttavia, malgrado entrambi avessimo capito sia il metodo che l'importanza di questa pratica, a causa dell'affetto che provavamo l'un per l'altra (e non solo quello per noi, ma per le nostre famiglie, per gli altri, per le cose belle, insomma... per la vita stessa), non eravamo stati capaci di distaccarci veramente... Poi, dopo che lei è morta per un male karmico, che peraltro lei stessa aveva vaticinato, per me è stato giocoforza cercare di staccarmi da quante più cose possibili... e solo allora, solo dopo, ho compreso e sono riuscito a distaccarmi da tutto (o quasi tutto... a voler essere onesti...)
Comunque, cara Mirella, posso solo dirti questo... che non si può forzare ciò che non è maturo... perciò, stai serena, se veramente nel tuo cuore tu desideri distaccarti dalle cose mondane, non preoccuparti, perchè prima o poi ci riuscirai... ciò che noi vogliamo veramente prima o poi si realizza, basta continuare a volerlo...Ti abbraccio e ti mando un caro affettuoso saluto... Aliberth
 



Questa mail mi offre l’occasione per parlare di un argomento davvero importante, oltre che terribilmente arduo e difficile da affrontare e, soprattutto, da mettere realmente in atto… quello del ‘distacco’ dalle cose mondane e dallo stesso mondo … il mondo così come è percepito e forzatamente accettato dalla maggioranza degli esseri viventi. Per noi, adepti della Verità Ultima, non è un segreto che le persone di questo mondo siano davvero incatenate alla loro incapacità di poter vedere lo stesso come una ‘vacuità’, o come un sogno, una creazione immaginaria, una fata morgana, come d’altronde ci è costantemente rivelato e riferito dai sutra e dai testi sacri del Buddismo, dell’Advaita Vedanta ed anche da altre dottrine profonde della “Philosophia Perennis”…
Ciò che maggiormente costringe le persone ad essere ‘attaccate’, cioè ad aderire, ad essere ‘incollate’ ai loro affetti e desideri è la ‘tanha’, termine Sanscrito che significa più o meno ‘brama, attaccamento, sete di vivere’… Questa terribile ‘tanha’ è collegata strettamente alla nostra ignoranza metafisica (avidyà), cioè alla incapacità della nostra illusa mente karmica di poter cogliere l’aspetto reale di questa manifestazione (mondo) e di tutte le cose (fenomeni) in essa contenute. Questi fenomeni, che altro non sono che ‘apparenze’ o apparizioni nella nostra mente-spazio che si protende all’infuori della nostra coscienza, ci fa apparire là fuori gli oggetti del desiderio, provocati dalla nostra illusoria visione dualistica e generati all’interno della nostra mente, a causa della nostra oscurata visione della realtà. Così, come in un film su uno schermo bianco, l’energia creativa della nostra mente fa apparire nel grossolano mondo materiale persone, cose, e oggetti formali dotati di concretezza, a cui la nostra mente stessa, ovviamente, si attacca per cercare di mantenerne il possesso (quando queste forme sono desiderabili) o di espellerle cercando di eliminarle (quando queste forme materiali o sottili non sono più di nostro gradimento)…
A tutto questo si accompagna (anzi, direi che ne è una concausa principale) la forza ed il potere del karma, vale a dire l’obbligatorietà dell’energia della mente a produrre degli effetti motivati dalle cause e condizioni; effetti peraltro sempre collegati alla sfera dei nostri desideri ed alla ignoranza di base della mente individualizzata che, producendo pensieri ed azioni volti a soddisfare questi desideri, agiscono come potenti attivatori degli eventi a cui l’ente poi è costretto ad essere sottomesso. A questo punto, non c’è più scampo… la mente incatenata alle sue stesse proiezioni diventate ‘realtà’ materiali, si attacca tenacemente alla volontà di perpetuare l’esistenza dell’oggetto o condizione ritenuta piacevole oppure al desiderio di eliminazione di un oggetto o condizione che risulta sgradevole e detestabile. L’alternanza ciclica e la caotica distribuzione di queste due forze (attrazione e repulsione) in definitiva determinano quello stato di sofferenza a cui tutti gli esseri sono quindi condizionati e sottomessi e che ben si conosce.
Bisogna peraltro dire che questo ‘distacco’ (che non è assolutamente un ‘rifiuto’, visto che il significato del nome datogli sta ad indicare che la mente è libera di ‘andare-e-venire’), esprime proprio quella mente naturale e spontanea che non è assolutamente imprigionata, né repulsivamente interdetta, tanto che essa ha piena facoltà di entrare in contatto con i fenomeni, ed anche di soffermarvisi per un certo periodo di tempo, ma, altrettanto liberamente, essa se ne può distaccare, restando così costantemente libera e indipendente, appunto, di ‘andare-e-venire’ a suo piacimento.
Perciò, il ‘distacco’, inteso come il rilascio delle nostre tendenze mentali (samskara), è la capacità di una effettiva e reale ‘comprensione’ di questi meccanismi, in cui tutti noi siamo coinvolti e imprigionati, e la determinazione a non produrre più ‘attaccamenti’ o ‘rifiuti’ volontari rispetto agli eventi fenomenici che costellano la vita di tutti i giorni, ivi compresi quei piccoli vizi e le (apparentemente) innocue abitudini quotidiane, a cui noi siamo un po’ tutti tenacemente ‘attaccati’. Queste nostre abitudini, soprattutto quando non sono consapevolizzate, hanno anche l’effetto degradante di ostacolare la mente nella sua capacità di comprendere l’insegnamento profondo del Dharma e di impedire quindi una corretta e chiara visione della vera ‘Realtà’ delle ‘cose-così-come-sono’.
La pratica del Distacco, detta anche del ‘lasciar essere le cose nel loro modo di essere’, si effettua cominciando a comprendere che la nostra vita non è una visita al Luna Park dell’Esistenza, in cui erroneamente si pensa che bisogna obbligatoriamente divertirsi, come purtroppo molti credono, ma è esattamente il contrario, cioè è la ragione per cui la nostra mente deve smettere di creare ‘Karma’, proprio per evitare di dover ancora e ancora sottostare alla sofferenza, che è inevitabile finché non si comprende proprio la ragione del nostro venire a esistere in questa cosiddetta ‘valle-di-lacrime’.
Naturalmente, quando e se si capisce questo, e soprattutto si mette in atto la pratica del ‘Distacco’, allora la vita riacquista veramente un senso, ed il vivere stesso diventa una pratica di Dharma. La mente riprende il possesso delle sue naturali facoltà positive e quindi finalmente potrà dimorare nella naturale ‘calma e chiarezza’, che sono i reali testimoni di una mente sana ed illuminata (la Vera Mente, o Natura-di-Buddha). In tal modo, essa potrà finalmente vedere e percepire l’esistenza non più come un luogo di battaglia, non più come un mercato in cui i più furbi vendono meglio, non più come un’arena in cui i più potenti sottomettono i più deboli, ma come un giardino della vera felicità, in cui lo scopo della vita è stato raggiunto e la serenità del cuore pienamente stabilizzata. A quel punto, si potrà davvero ‘sentire’ che la vera felicità non è prodotta dalla continua acquisizione di tutte le ambite cose che non abbiamo, ma dall’imparare a non desiderare più nulla… infatti, non c’è migliore condizione di felicità di quella di una mente che abbia capito l’importanza dell’eliminazione del desiderio, perché alla fine essa sarà in grado di saper eliminare perfino il desiderio di non aver più desideri…