The Zennist Going to the very heart of Zen
Tu puoi sperimentarlo?
“Ricoprire il cielo e la terra, distinguerne la sottigliezza, trascendere tutte le condizioni del mondo, Come puoi raggiungere questo stato?” – (Yun-men, Yi Wu);
Risvegliandosi alla Pura Mente certamente si risponderà alla profonda domanda di Yun-Men. Chi altri può ricoprire cielo e terra se non la Pura Mente che è universale? Distinguere questa sottigliezza, vuol dire vedere la Pura Mente. E chi è che trascende tutte le condizioni del mondo? Solamente la Pura Mente.
Ma ora, cosa e qual’è la Pura Mente? Tu sei direttamente impegnato con essa? Puoi sperimentare la sua luce immateriale che pervade il tuo intero essere, compresi i tuoi pensieri? Altrimenti, tu dovrai guardare molto più in profondità finché non potrai attualizzare questa Mente. Soltanto leggere sulla Pura Mente non sarà sufficente. E neanche frequentare le cerimonie ti aiuterà. Indossare una tonaca e sedere su un cuscino sono attività inutili. Queste cose conducono solo fuori strada…
Ed ora noi veniamo al vero compito dello Zen. Qui noi dobbiamo mettere da parte sia cielo che terra. Per poterlo fare, non possiamo essere soddisfatti solo con parole e frasi, o sedendo su un cuscino per ore lasciando fuori tutto il resto. Noi abbiamo bisogno di arrivare alla presenza di questa Pura Mente radiante. Se teniamo la nostra mente vuota di preconcetti, certamente in qualche modo ci soddisferà. Poi, però, la luce della Pura Mente dovrà accertare se facciamo ogni sforzo per aprirci al suo potere animativo. Ma come possiamo aprirci? Non è che prima dovremo esaurire tutti i nostri presupposti su questa Mente? E per quanto sia strano, quando tutte le nostre strade orizzontali sono bloccate o non portano da nessuna parte, ne appare una in verticale. È piuttosto come guardare un'immagine in uno specchio, e vedere poi il mercurio che lo riveste, sul quale appare l'immagine. La strada orizzontale è un mondo di immagini. Ma su cosa esse si sostengono?
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Le mie prime istruzioni.
Quando io cominciai il mio addestramento Zen (talmente tanti anni fa da non ricordarmelo), la mia prima istruzione fu di posare giù la mia tazza di tè, senza fissarla e senza far alcun rumore. Il fatto di non poterla guardare fu uno shock per me. Io non sapevo di fissare così tanto le cose. Mi si diceva che era come accendere la luce senza una lampada! Posso ricordare anche molti tentativi per cercare di non fissare; e cercando di restare interessato al mondo che mi stava intorno.
Col passare del tempo, imparare a non fissare diventò più facile. Quando Sensei (in Giap. il maestro) mi chiese di pulire il giardino in stile giapponese io potei mantenere la focalizzazione senza fissare direttamente. Tre mesi più tardi, io ero consapevole di non fissare più. Riparando il tetto, tirando le pietre o nel semplice atto di scopare il davanti del tempio, tutto era fatto senza fissare.
Poi un giorno Sensei mi chiese di dirgli quello che io stavo pensando proprio in quel momento esatto. Oops! Stavo pensando ad una ragazza che avevo conosciuto al liceo. Nella mia mente lei era del tutto senza vestiti. Io ero molto imbarazzato di dover confessare questo, ma però lo feci. Dopo questo episodio, cominciai a guardare la mia mente come un falco affamato. Io guardavo così attentamente la mia mente che potevo cominciare a permettere certi pensieri e riuscivo a spingerne via altri. Io non avevo idea di che razza di pazzo luogo fosse l'interno della mia testa. Ma presto lo imparai. Notai che per diverso tempo la mia mente non era impegnata. Era come la questione del fissare. La mia mente era annoiata.
Dopo questo tipo di pratica, con cui arrivai a vedere la parte interiore di me, io fui più in grado di mantenere la presa sulla metodologia Zen. Ma il lettore deve sapere, che era ancora soltanto la presa di un bambino. Dopo quarant’anni, io ho una presa molto migliore. È proprio come leggere un libro che è assai difficile quando sei adolescente; ma poi leggendo di nuovo lo stesso libro a cinquant’anni, riesci a capirlo molto meglio.
È facile imparare molti fatti, ma non è facile divenire spiritualmente maturi. Imparare a non fissare, mentre si è consapevoli di ciò che sta accadendo nella propria mente, è uno degli aspetti di questo processo di maturazione. Eppure, era solo l'inizio. Io avevo molto più da imparare che non i passi di un bambino. La cosa più difficile fu di divenire consapevole del misterioso potere animativo che diede vita al mio corpo. Questo sentiero cominciò quando, una sera, mentre ero solo nella mia stanzetta con una piccola lampada a kerosene con cui leggere, il Lankavatara Sutra cominciò a brillare. Io mi strofinai gli occhi. "Non è possibile!" mi dissi, "Ciò non può essere vero". Però, senza preoccuparsi di ciò che che io dicevo o facevo, il Sutra continuò a brillare per alcuni minuti. Seppi poi che ciò aveva significato qualcosa di importante. E così compresi che avrei fatto meglio a studiare questo Sutra.
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Realmente, senza far niente!
Bodhidharma disse che il Buddha era un uomo pigro. E ciò, in senso lato, è vero perché l'ambizione non vince mai il premio da genio. Per citare Gertrude Stein: "Essere un genio richiede molto tempo, devi sempre star seduto senza far niente, realmente non facendo niente".
Ciò potrebbe far sollevare le sopracciglia a coloro che sono abituati alla frenesia del mondo moderno; i quali credono, quasi come questione di fede, che i nostri più grandi santi fossero nevrotici maniaci del lavoro, incapaci di star seduti anche solo per un minuto; sentendosi colpevoli che in tal modo essi stiano sprecando la loro vita. Salvo avere poi lo shock di scoprire che il più grande di tutti i premi, cioè il risveglio (il Buddha), andò ad un genio pigro che restò seduto alla base di un albero.
Ora, non mi si fraintenda. Io non sto difendendo la pigrizia per sua propria causa. Ma quando noi cominciamo a sederci, - realmente senza far nulla - in circa poco tempo, saremo capaci di ponderare la profondità del nostro proprio essere.
Questa profondità risiede sotto la superficie delle nostre immagini mentali e delle nostre emozioni. Mentre noi la ponderiamo, dobbiamo disimpegnarci dall’azione, cioè dall’azione-esterna. A tal riguardo la nostra vita è una sorta di intersezione che esiste tra la superficie orizzontale della realtà di ogni giorno, che noi diamo per scontata, e la sua vera natura verticale che è da noi celata. È precisamente su questa intersezione che noi decidiamo di agire: o rimanere nell'orizzontale mondo fittizio oppure restare fermi ed ascendere verticalmente alla vera natura della realtà.
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‘Sono pochi gli umani che arrivano alla sponda più lontana: le altre persone camminano lungo questa sponda qui’. – Dhammapada, 85.
Arrivare all'altra sponda è un completamento trascendente che raggiunge l'Incondizionato, vale a dire il Nirvana. Non c'è nessun vero corso d’acqua che qualcuno attraversi. Questo sembra ovvio. L'oceano che noi vediamo da questo lato, che è la realtà condizionata, è l'oceano del samsara in cui gli esseri continuamente rinascono e di nuovo muoiono. Se vogliamo attraversarlo, noi non possiamo farlo per mezzo di un sentiero orizzontale che ci condurrebbe solo ad altri cicli di nascita e morte. La traversata deve essere una traversata verticale. Ma il metodo verticale è sempre il sentiero mistico. E comunque la nostra mente ordinaria contiene sia il sentiero orizzontale che quello verticale. C'è il convenzionale, che nasconde il mistico, ed il mistico paramartha (Verità Assoluta) che è di carattere trascendente.
Quelli che non odono la chiamata interiore dall’aldilà che li sprona a raggiiungere l'altra sponda; quelli che sono contenti di restarsene lungo questa sponda, saranno ripetutamente condannati a subire il samsara, passando da uno stato condizionato di esistenza all’altro senza alcuna interruzione. Questo può soltanto chiamarsi il peccato dell'ignoranza; poiché anche soffrendo, uno non desidera sfuggire le vere condizioni che rendono obbligatorio il samsara. Una tale mente ha sete soltanto per il materiale. Essa crede che, in qualche modo, troverà realizzazione alimentando i sensi. Non si rende conto che questo è un inganno; che mai nella storia dell’umanità qualcuno si è realizzato con l'acquisizione di sensazioni materiali.
Nell’umanità, i più saggi sono pochi. Quando guardano all’interno di se-stessi, essi vedono un altro lato della mente che la persona piena di appetiti non vede. Essi possono vedere l'oceano che devono attraversare, là dove l'oceano finisce e comincia la sponda del Nirvana. Essi hanno anche il coraggio di lasciare la riva comune. Ed hanno un spirito che si eleva verso il cielo, perchè non è felice di stare qui, in questa sterile spiaggia di nascita e morte.
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L’Editto n. 133 pubblicato dal governo di Meiji nel 1872 decreta che, in Giappone, tutti i monaci buddisti dovrebbero essere liberi di "mangiar carne, prendere moglie, e radersi la testa", come a loro aggrada.
Lo Zen Americano è principalmente una modifica dello Zen Giapponese. Quasi tutti i fondatori di Zen Americano erano Giapponesi che presentarono lo Zen attraverso l’etica Giapponese. Molti principianti non lo sanno. Molti presumono che tutti i preti Americani di Zen prendono i precetti monastici, uno dei quali è il celibato. Questo non è vero, secondo la tradizione Zen del Giappone. In altre parole, un prete Zen può fare quasi qualsiasi cosa, incluso fare sesso e ubriacarsi. In effetti, uno dei più stretti e guardinghi segreti nei Centri Zen Americani è la frequenza di sesso tra i preti Zen ed i loro studenti.
Quindi, che genere di precetti o regole prendono generalmente questi preti Zen Americani? Sono i precetti del Bodhisattva, piuttosto che i precetti tradizionali Hinayana, dato che quest’ultimi hanno delle definite proibizioni contro il sesso; la cui violazione può condurre all’espulsione dal Sangha.
Per paragone, i precetti di Bodhisattva sono pressocché come i precetti delle persone laiche ma, ben più importante, i precetti di Bodhisattva sono per i Bodhisattva - un fatto trascurato da quasi tutti. I preti Zen non sono, come regola, Bodhisattva. È anche giusto dire che essi non sono Bodhisattva del primo livello e che non hanno neanche raggiunto Bodhicitta, che è una realizzazione alquanto rara. Per capire il senso di tutto ciò, Il Bodhicitta è l’iniziale risveglio della Mente, in cui, per la prima volta, per così dire, uno è direttamente alla presenza della Pura Mente.
L’aspetto più importante del precetto del Bodhisattva è l'impegno a sviluppare il risveglio iniziale (bodhi) della Mente (citta), ovvero, Bodhicitta. Tali precetti, perciò sono per il successivo dispiega-mento della Pura Mente; che alla fine conduce allo Stato di Buddha. Questa idea, ad esempio, è raccolta nel voto di portare tutto lo spirito (sattva) alla maturità grazie agli abili mezzi. Tale voto, è bene sottolinearlo, non ha niente a che fare con la liberazione dell’umanità - esso ha a che fare con lo spiritualizzare completamente sé-stessi e diventare un Buddha. Infatti, secondo il Vimalakirti-nirdesha Sutra. "nessuno che sia in schiavitù può liberare gli altri".
L'unica seria trasgressione per un Bodhisattva sta nel fare le cose con l’odio e l’ignoranza, per la qual cosa essi rischiano di perdere il Bodhicitta. A tal riguardo, il desiderio non è una trasgressione seria. Anche se uno ha un rapporto sessuale, finché durante il coito è mantenuto il Bodhicitta, ed è sentito lo spirito dell'altro durante il rapporto, fondamentalmente non c'è nulla di veramente sbagliato. Infatti non c’è alcun danneggiamento dell'altro durante il sesso. Tuttavia, quando ci dominano l'ignoranza e l’ odio, c’è sempre un danno per l’altro.
D'altra parte, il non voler fare sesso a causa di odio verso di esso, o verso coloro che fortemente lo risvegliano in noi, interrompe il voto del Bodhisattva, se abbiamo il Bodhicitta. Questo per dire che dalla parte del Buddismo Mahayana, quella è un'offesa grave. Ma ancor peggio che avere l’odio verso il sesso, è il fare sesso con l'ignoranza nel cuore perché ciò ci lega direttamente alla blasfema carne, senza nessuna opportunità di entrare in comunione con lo spirito, o sattva.
Un altro punto di merito da menzionare sui precetti del Bodhisattva, è che il vero Pratimoksha non ha niente a che fare con l'obbedienza a certe regole o regolamenti. Questo termine in realtà riguarda lo spirito che ha (pra) la suprema (ati) liberazione (moksha). Nei commentari al canone Pali si dice:
“È il Patimokkha (scritto in Pali), quando si cade, che libera (mokkheti) dalla sofferenza del samsara. Poiché è dovuto alla liberazione (vimokkhena) della mente (cittassa), che si dice che un essere è reso 'liberò'." (UdA 223-224).
Preso così, non c'è un gran crimine spirituale nell’Editto n. 133. Il grande crimine spirituale è odiare lo spirito (sattva) o volontariamente rimane ignoranti di esso, anche confondendo la passione sessuale con lo spirito che è spesso il caso di questi tempi…
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‘Sedere un lungo tempo e non stendersi giù non è obbligatoriamente di beneficio’. (Hui-neng -Yi Wu)
Il Sesto Patriarca Hui-neng era contrario alla seduta formale in quanto ‘solo sedere’. Sfortunatamente, proprio questa sembra essere la pratica nei moderni centri Zen, che ha portato alla discutibile pratica di fare lunghe maratone sedute, altrimenti chiamate in Giapponese, sesshin, il cui significato letterale è "unificare la mente". Hui-neng credeva che l'attaccamento alla forma della seduta facesse perder di vista l'intera essenza dello Zen. Egli era anche contrario alla pratica di cercare di immobilizzare la mente per renderla vuota e scura. Per Hui-neng, nel mezzo del pensiero ordinario, uno deve cercare di scoprire l’originaria auto-natura animativa che partorisce continuamente tali pensieri. Ciò che Hui-neng principalmente obiettava era l’equivocare la meditazione seduta con il vedere la propria vera natura.
Possiamo anche andare avanti col dire che la vera meditazione è di percepire la Pura Mente, che è la sorgente dei nostri pensieri mondani. Questa Mente è naturalmente trascendente per colui che la rivela. Uno si risveglia veramente quando non c'è più un pensiero o un fenomeno, di cui non ci si renda conto che è dipendente da questa creativa Mente. Così, questa Mente non dipende da pensieri o dai fenomeni. Né dipende dallo star seduti, stare in piedi, camminare o riposare. Codeste pratiche fisiche non risveglieranno una persona comune, né tali pratiche aumenteranno il risveglio ad un Buddha.
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Il mondo condizionato è tutto nel samsara, in cui noi siamo prigionieri di un un corpo temporale, per sperimentare la nascita e la morte di questo corpo, ed ancora l'ulteriore rinascita in ancora altri corpi temporali. Per quante tristi esperienze possiamo aver avuto nell'ultima nostra vita, in questa vita noi le abbiamo tutte dimenticate. Quindi, qui noi ricominciamo da capo, rimettendo in moto la viziosa ruota del samsara.
Alcuni di noi, ovviamente, possono ricordare un po’ della loro ultima vita passata. Istintivamente, noi sappiamo che non si può avere troppa fiducia nelle persone; che anche il più grande amore prima o poi si trasforma in sicura e reciproca disgrazia; e che gli dèi non possono rispondere alle preghiere non più di una cieca possibilità. Noi sappiamo anche istintivamente che probabilmente non fu una buona idea essere rinati in questo periodo, perché alla fine del nostro arcobaleno c’è il buco-nero della rinascita. Chissà, forse nella nostra prossima nascita noi saremo consapevoli di un nuovo corpo con un paio di ali, o con quattro gambe ed un insaziabile appetito per i topi e gli altri tipi di piccole creature.
Quindi, come poter uscire dal samsara? La risposta non è facile. Noi abbiamo bisogno di una corretta analogia da cui vedere il problema, che poi ci darà degli indizi per la corretta soluzione. Bene, noi siamo tutti come delle onde-radio, per spiegarlo usando un'analogia moderna. Questo significa che noi abbiamo la capacità di risuonare con un'antenna; poi diventare amplificati dalla radio (la funzione di una radio è di amplificare le onde eteriche). Infatti, è così che siamo rinati. Mamma e papà stavano facendo sesso; mamma e papà furono fortunati e centrarono il jackpot biologico. Quando le loro antenne di DNA si combinarono per fare una nuova antenna di DNA, cosa successe? Noi ci siamo accordati e fummo incarnati in una radio biologica, in cui tutto divenne – all’improvviso – terribilmente amplificato ed assolutamente doloroso.
Beh, per stringere, noi al momento siamo intrappolati nell'equivalente di una radio biologica – cioè un corpo - e realmente non sappiamo come de-sintonizzare il nostro essere-onda-radio da questa radio fisica! Per quanto lo si tenti, nulla sembra funzionare perché tutto ciò che noi identifichiamo come la nostra onda primordiale è parte integrante della radio-corpo-fisico (nel Buddismo, la radio è i Cinque Aggregati). Perciò, la de-sintonizzazione è impossibile. Le persone che hanno avuto delle esperienze fuori dal corpo possono testimoniare questo strano fenomeno di de-sintonizzazione.
Qui, infatti, è il Buddha che descrive tale esperienze: “Io ho mostrato ai miei discepoli la Via che essi chiamano ‘l’essere fuori da questo corpo [materiale, però] in un altro corpo di creazione della mente’, completo in tutti i suoi arti e organi e con facoltà trascendentali" (M.ii.17).
Ricapitolando, il Buddha disse che c'è un altro corpo che è immateriale, all'interno del nostro corpo fisico. Egli disse che è come una spada che può essere sfoderata dal fodero. Comunque, questo corpo immateriale può sganciarsi dal corpo materiale solamente quando noi ci accordiamo in qualcosa di più alto di questa nostra limitata carcassa.
Incapaci di comprendere pienamente questo immateriale corpo-onda, possiamo applicare la nostra coscienza per percepire stati più puri dell’essere temporale, pensando pensieri più alti, sia come sia, cercando di evitare di coinvolgerci con l’ignoranza, la rabbia, e il crudo desiderio. Il Buddha intese che questi stati così puri dell’essere fossero il mondo degli dèi, o deva. Tuttavia, anche il mondo degli dèi non è totalmente perfetto. Ma, per come vanno le radio fisiche, rinascere in una radio divina è assai meglio. Comunque, se voi amate la vostra condizione umana, allora dovete prendervi i vostri rischi dopo la vostra morte, perchè è improbabile un ritorno ad una vita felice. Infatti, le opportunità che voi possiate ritornare nel reame umano sono del tutto scarse, secondo il Buddha.
Finché noi persistiamo nell'accordarci in stati bassi dell’essere, la nostra prognosi per una rinascita decente sembra essere molto cupa. Le religioni di oggigiorno non possono aiutarvi, a meno che tali religioni non insegnino il distacco dal temporale e la comunione con l'incondizionato. Invece, molte religioni di quest’oggi insegnano pressocché l'opposto, e cioè che ci si preoccupa assai più delle cose temporali e della comunione con i desideri e le emozioni umane.
Nell’indirizzare quelli che pensano che questa sia tutta spazzatura, la scienza li sta spingendo molto più velocemente e più lontano di quanto si possa immaginare, e di sicuro più velocemente dei nostri pregiudizi. L’opera di P.P. Gariaev, ed altri, ha fatto significativi progressi in quella che è chiamata genetica delle onde. La chiave di questo straordinario sviluppo è che il 98% del DNA, ritenuto una cosa inutile, può ben essere un apparato di comunicazione che si comporta come un ponte tra la non-locale realtà incondizionata (il nirvana), e la locale realtà condizionata (il samsara). Persone come il Buddha ed i suoi discepoli più avanzati potrebbero probabilmente riuscire ad andare avanti e indietro tra il condizionato e l'incondizionato. Essendo de-sintonizzato dal suo corpo, il Buddha non era né in questo corpo temporale, né era separato da lui. Egli realizzò di essersi accordato in esso; attivandolo; facendolo muovere. In seguito, Egli non era più dipendente dal corpo. Il corpo dipendeva dal Buddha.
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Noi possiamo vedere le originazioni dipendenti della Mente. Infatti l’intero cosmo è una originazione dipendente della Mente. Galassie, sistemi solari, pianeti e satelliti sono tutte originazioni della Mente, come lo sono tutte le creature. Paradossalmente, noi non possiamo vedere la Mente non-originata. Essa è completamente invisibile come la gravità.
Proprio in questo stesso momento, tutti noi siamo legati allo spettacolo illusorio dell’esistenza – cioè, la Mente originata. Eppure, sembra tutto così reale per noi. Però, tutto ciò è irreale. Noi non possiamo immaginare che la vera realtà è invisibile ed immateriale. È difficile per noi credere in un qualcosa che non ha suoi propri discernibili segni. A causa di ciò, quelli che cercano il vero significato dello Zen devono iniziare con l'irreale e lavorare per la loro via alla Mente non-originata, che è l'unica realtà. Ch'ing-yüan la descrisse così: “Prima di studiare per trent’anni lo Zen, io vedevo le montagne come montagne, e le acque come acque…”.
Noi abbiamo ingoiato il mondo irreale, con tutto l’amo e la lenza. Tutto ciò che vediamo è la Mente originata, che sono i fenomeni. Per conoscere e vedere la Mente non-originata, che è priva di segni, dobbiamo negare la totalità dell'irreale finché non arriviamo all'indescrivibile reale. Di nuovo Ch'ing-yüan descrive questa nuova fase della Mente nel modo seguente: “Quando arrivai ad una conoscenza più intima, giunsi al punto in cui io vidi che le montagne non sono montagne, e le acque non sono acque”.
Questo è un stato molto profondo. Ma non è ancora abbastanza. Per usare un'analogia, Ch'ing-yüan con lo sforzo dominò la capacità di vedere l'oro del leone dorato separatamente dalla forma del leone. Ma lui era ancora incapace di comprendere disinvoltamente che l’oro non ostruisce la forma; che l'intero universo è soltanto Mente! Quando finalmente arrivò a questa visione finale, lui la descrisse così: “Ma ora che io capito cos’è la vera sostanza, sono in pace. Perché ora vedo ancora le montagne come montagne, ed ancora una volta le acque come acque!”.
Questa è la forma più alta di Zen. Va aldilà di qualunque sforzo - ed è senza sforzo. Ora, non importa in che modo noi guardiamo, il mondo è come l’oro prezioso. La beatitudine penetra nel nostro cuore perché noi vediamo che tutte le cose sorgono dalla Mente non-originata e che tutte le cose ritornano ad essa. In altre parole, l'universo che percepiamo è una potente vibrazione della Mente assoluta che è sempre in pace con se-stessa.
Una nota finale, se vedete le montagne come montagne e le acque come acque senza ‘sentire’ la luce della Mente assoluta da cui tutto questo è generato, - voi non avete affatto iniziato il lungo viaggio di Ch'ing-yüan…
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… Hakuin cacciò fuori un grido involontario e cominciò a piangere in modo incontrollabile…
- Hakuin Oshô Nempu;
Nella biografia del monaco Zen Hakuin, è detto che egli "realizzò la comprensione che tutto quello che egli aveva ottenuto con il suo ‘satori’ era stato totalmente frainteso". E chiunque abbia sinceramente cercato il satori Zen è più che probabile che sia nella stessa situazione di Hakuin prima del suo grande risveglio, quando ebbe quarantadue anni. Invero, l’nganno può essere molto sottile.
Non è difficile capire perché Hakuin pianse. Chiunque piangerebbe quando alla fine discerne l'oscurità dalla luce. Il vero satori, nel caso di Hakuin, rivelò sia il vero che il falso. In altre parole, non solo la natura della verità deve rivelarsi, ma anche il falso, cioè qual è il falso satori… ;
E’ detto che in realtà quello di Hakuin non fu lo stridìo di un grillo, ma fu simile a quello del Sutra del Loto. Fu l’animativa luce del Buddha, che sta eternamente lavorando nel samsara per liberare tutti gli esseri, che lui in un attimo riconobbe. Infatti, egli riconobbe anche che la luce del Buddha non aveva mai lasciato il supremo Nirvana. Esso è sempre qui. Quindi la storia della morte del Buddha, e la sua entrata nel Parinirvana finale, è stata grandemente esagerata.
Io penso che la grande malattia dello Zen, che pochi riescono a superare, inclusi i maestri Zen, sia di prendere erroneamente straordinari concetti per il genuino risveglio. Nel risveglio genuino, uno gira la Ruota del Dharma, invece di essere affascinato e rigirato da essa. Oppure, possiamo metterla così. Un momento, state seguendo i vostri pensieri; poi l’attimo successivo voi siete la stessa sorgente creativa di quei pensieri ordinari! E per di più, questo è il modo che è sempre stato, da tempi senza inizio. Il problema è sempre stato di guardare alla coda, e non alla testa, o alla fonte. Quando Hakuin guardò alla fonte, udendo stridere il grillo - egli divenne immediatamente la fonte. Egli non poteva sfuggire il suo fantastico destino! Io spero che un giorno noi si possa tuti piangere per la gioia!.
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La Morte, come personificata da Mara, è il grande male del Buddismo. Non ci può essere una corretta salvezza se non si supera la morte. Similmente, il Nirvana non significa nulla, se la morte non viene superata. Quindi, il Nirvana, se è da intendere come qualcosa di soteriologico, non può essere inteso come annientamento o estinzione. Essere salvi, perciò, significa conoscere e mettere in pratica quell' imperituro che è il Nirvana.
Ma l'idea di affrontare la nostra morte con equanimità, conoscendo benissimo che noi saremo falciati e distrutti, in nessun modo si inserisce all'interno dell’idea di un’accettabile definizione di salvezza. Se ciò significa qualcosa che dev’essere salvato, la salvezza significa essere salvati dalla morte; essere definitivamente liberi da ciò che muore. Ad esempio, uno che può andar incontro alla sua morte con equanimità, non è affatto migliore di uno che non può. Entrambi saranno distrutti.
Per illustrare ciò, immaginiamo qualcuno che sta morendo con dolore. Poco prima che questa persona muoia, si viene improvvisamente riempiti di grande amore per il mondo. Anche il dolore diminuisce presto. Ma questa che salvezza è? Non può esserlo. È come se questa persona stesse ancora in un sogno. Nonostante il grande amore che essa sente, è ancora un sognatore; sta ancora dormendo. Il sognatore non si è risvegliato.
In quanto al Buddismo, immaginate che la nostra meditazione sia non-aggregata, riguardo ai cinque aggregati che costituiscono l'essere psico-fisico. Durante questa meditazione, noi siamo stati in grado di concentrarci su un punto che è oltre le tre dimensioni, in cui sono situati i cinque aggregati. In questa concentrazione estatica noi realizziamo che non siamo più appiccicati al nostro corpo, con cui siamo stati connessi fin da quando siamo nati. Per tutto questo tempo, noi restiamo aggrappati ad un’ immagine passiva di una proiezione psichica. In seguito, noi impariamo come rientrare nel corpo ed a sganciarci da esso, anche mentre continua ancora a vivere. E’ questo stato che sarebbe caratterizzato come salvezza.
Per concludere, la salvezza avviene soltanto quando siamo testimoni di quell'imperituro, in cui siamo inclusi. Alla luce di questo, l'idea che il Nirvana sia come una fiamma estinta è assurda. L'analogia è diretta alla non-localizzazione dell’essere, non alla sua estinzione. In questo senso, noi siamo liberati, quando non siamo più incollati alla localizzazione del corpo formale, il quale è soggetto alla morte.
(FINE I° PARTE) (Traduzione dall’Americano di Aliberth);
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The Zennist Going to the very heart of Zen
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Tutti noi sappiamo che un'ombra rimane indietro nelle azioni del nostro corpo. E capiamo anche che il corpo non è un'emanazione dell'ombra! Ma siamo in grado di capire che anche il corpo è un'ombra? Lo capiamo che esso resta indietro alla Talità (tathata) che lo anima? Sembra che non molti lo comprendano. Noi trattiamo il corpo come primario – e non come l'ombra che gli sta dietro.
Così, per un’errata abitudine, siamo predisposti ad immaginare che venga prima il nostro corpo, e che tutto ciò che sembra sorgere da esso, come secondario o uguale, sia un epifenomeno. Anche se può sembrarlo, non è così come appare. Il nostro corpo è un’originazione dipendente, il quale dipende in realtà da uno spirito che lo anima. Ma se si cerca di percepire questo spirito, o Talità, non possiamo. Noi non ci riusciamo, perché anche il percipiente è un’originazione dipendente! Cioè, in altre parole, il percipiente è un'ombra. E qui veniamo alla difficoltà di risvegliarci (sambodhi), o anche solo di avere un risveglio iniziale (bodhcittotpada).
In un certo modo, la Talità deve dedurre se-stessa da fuori di sè. Questo può essere realizzato solamente comprendendo la differenza tra la Talità pluralizzata come i corpi, e la Talità singolare, focalizzando la mente, che è uno stato incorporeo. Quando il nostro corpo si muove, essendo solo un'ombra, esso è mosso da un essere senza corpo – non dalla persona incarnata (satkaya). Dalla prospettiva del corpo, questo è rigidamente un nulla per noi. Questo forse giustifica il perché sembra facile negare lo spirito, perché in termini di corpo, lo spirito o Talità non è niente (come corpo). Ed è anche un mistero, perché questa conoscenza è conosciuta solamente da quei pochissimi che sono stati misticamente in presenza della Talità; chi può distinguere la Talità singolare dal suo corpo, o aggregazione fisica (la massa, potrebbe essere un termine più adatto a questo punto).
I grandi saggi, ad un certo punto, hanno preso contatto con la Talità così che la loro esistenza fisica è simile ad un ombra, e secondaria. In questo stato, il saggio si è unito, in qualche misura, con la Talità così che il corpo è sempre più percepito come una colorata ombra che si attarda dietro all'animativo potere della Talità.
Per le persone ordinarie, questo equivale ad un ingarbugliamento o nonsenso. Ciò è perché esse sono in un totale stato di ignoranza, mentre credono che il corpo dipendentemente originato sia primario. Per così dire, esse stanno guardando le ombre per così tanto tempo da aver perso di vista l’animativo aspetto, che è la Talità. La loro condizione è così estrema che in molte culture il saggio è disprezzato, essendo spesso trattato come un parassita che se ne sta seduto senza far niente. Però, saranno poi le persone ordinarie ad essere disprezzate, perché esse hanno abbandonato insieme laTalità che rende possibile la loro stessa vita. Con tale rifiuto, esse adorano ciò che muore, anziché l'imperituro. E nelle loro vite quotidiane esse inseguono ciò che è fisico invece di ciò che è sottile e incorporeo. Con le loro azioni fortificano il mondo della morte, arrivando alla fine al nichilismo. Al contrario, il saggio fortifica la vita e l'immortale. Il saggio porta nel mondo la luce che dissipa l'ombra.
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Il ‘Sé’ non-convenzionale
L'essenza del Buddismo Mahayana è il suo indirizzo verso il trascendente, perfino riesumando l'atman nei Sutra, come nel Nirvana Sutra e nel Lankavatara Sutra.
Potrebbero esserci molte ragioni sul perché il Buddismo Mahayana si sviluppò e divenne preminente. Una probabile ragione è quella che, dopo la morte del Buddha, alcuni Buddisti divennero seguaci della ‘Dottrina del Non-sé’, che aveva preso una svolta verso il nichilismo. Essi potrebbero aver stimolato le altre scuole nel cercare di riformare il Buddismo; tentando così di renderlo una religione di speranza anzichè di disperazione. Un'altra ragione possibile, è che poco tempo dopo la morte del Buddha si sviluppò una radicale divisione tra i contrari al trascendente, che mettevano in dubbio qualsiasi cosa che i loro sensi non potevano percepire, ed i trascendentalisti che erano fedeli alla teoria che dietro al velo temporale c’è una base immutabile di realtà.
Lasciando per ora da parte ulteriori analisi, c’è da dire che, nel corso degli anni, alcuni dei dogmi del Buddismo non-Mahayana ottennero un vasto seguito. Uno, in particolare, è la dottrina del non-sé che ha principalmente le sue radici nella tradizione Theravada. La spinta principale del Buddismo Thera-vada è il suo rifiuto di un ‘sé’ non-convenzionale che trascende la coscienza sensoriale. Anzi, esso scelse di limitarsi ad una visione convenzionale del ‘sé’; un ‘sé’ che è personale ma, tuttavia, limitato non avendo nessuna vera esistenza.
Questa interpretazione convenzionalistica dei discorsi di Gautama sta in piedi su due appoggi. Il primo è che il termine 'sé', com’è usato nel canone Pali, ha una designazione solamente convenzionale. Si riferisce strettamente al personale essere psicofisico, che è composto dei Cinque Aggregati; i quali di solito sono ricordati come forma, sensazione, percezione, formazioni abituali, e coscienza. Il secondo appoggio è che il Buddha negò, senza eccezione, un ‘sé’ non-convenzionale che trascenda i Cinque Aggregati. A cio si dovrebbe aggiungere che entrambi questi appoggi sono critici per la dottrina del non-sé del Buddismo Theravada. Non ci possono essere eccezioni nelle scritture.
Se, infatti, all'interno delle scritture vi è un'eccezione, allora è più che probabile che il Buddha avesse insegnato un ‘sé’ trascendente e che il Buddismo Mahayana, nel suo sviluppo, abbia fatto uno sforzo per ripristinare l’aspetto trascendente e non-convenzionale dell’insegnamento di Gautama che era stato prima soppresso dagli 'antitranscendentalisti'.
A questo punto, abbiamo bisogno di esaminare il canone Pali per vedere se il ‘sé’ è strettamente usato 'sempre-convenzionalmente' e 'mai-non-convenzionalmente'. Se ci sono aree grigie, o alcune espressioni dette da Gautama che sembrano anche riferirsi ad un ‘sé’ non-convenzionale che sia altro da una designazione per i Cinque Aggregati, allora la dottrina del non-sè dovrebbe essere rifiutata; il che significa che essa è un insegnamento insufficiente (hina) del Buddha; così che l'insegnamento più completo è il Mahayana. Piuttosto che porre argomenti che possono divenire complessi ed arcani, sia per i Buddisti che per i non-buddisti, io presenterò una serie di passi che rientrano nella categoria del ‘sé-non-convenzionale', che non è associato ai Cinque Aggregati. Questo significa semplicemente che il ‘sé’ usato in questi contesti è trascendente e non convenzionale.
"Coloro che hanno la luce del sé (attadipa), non possiedono nulla. Essi vanno di luogo in luogo in ogni modo rilassati" (Sutta-Nipata, 501).
"Uno, che dal sentiero fatto dal ‘sé’ (pajjena katena attanâ), è andato alla pace assoluta (parinibbâna-gato), ha superato ogni dubbio, lasciando da parte il divenire e il non-divenire, uno che ha vissuto la vita così, che ha soppresso ogni rinascita, costui è chiamato un vero bhikkhu" (Sutta-Nipata, 514).
"Che il bhikkhu diventi calmo nel proprio ‘sé’ (ajjhattam). Che egli non cerchi la quiete da un altro, perchè uno che è calmo nel ‘sé’ (ajjhattam), nulla desidera e nulla rifiuta" (Sutta-Nipata, 919).
"Il ‘sé’ (in te), o uomo, sa bene ciò che è vero o ciò che è falso. O signore, di sicuro tu giudichi male il nobile Testimone, cioè il Sé, perchè quando c’è il peccato tu nascondi il Sé all’interno del sé... Così colui che ha il Sè come maestro, camminerà con attenzione, perché egli è il padrone del mondo –cammina accortamente, perchè chi è padrone del Dhamma, (camminerà come un) meditante. Colui che vive come il Dhamma prescrive, non sbaglia mai!" (Anguttara-Nikaya, 1.149, da Early Buddhist Theory of Man Perfected, p. 145 di I.B. Horner).
"Il Perfetto Buddha che è passato, il Perfetto Buddha ancora da venire, il Perfetto Buddha che c’è ora, e che per molti ha bandito il dolore – tutti furono e vi saranno: questo è il loro modo. Quindi, colui che ha caro il proprio ‘sé’ (attakâma), che anela al grande Sé (mahattam) - costui deve rendere omaggio al Dhamma, ricordando la parola del Buddha" (Anguttara-Nikaya, ii.21 IV, III 22).
"Quando la coscienza è instabile, non idonea alla crescita, non-generativa, essa è comunque liberata (vimuttam). Il sé liberato (vimutt-attâ), è immobile, il sé immobile è felice. Colui il cui sé è felice, non è agitato. Non essendo agitato, il vero-sé (paccattam) certamente raggiunge il completo nibbana". (Samyutta-Nikaya, iii.53-54).;
"Ma, monaci, un istruito discepolo di quelli puri... considera la forma materiale come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sè'; lui considera le sensazioni come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sè'; lui considera la percezione come: ''Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sè'; lui considera le tendenze abituali come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sè'; lui considera la coscienza come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sè'. E lui anche considera qualunque cosa che è vista, sentita, percepita, conosciuta, raggiunta, osservata, ponderata dalla mente come: 'Questo non è il mio, questo non sono io, questo non è il mio sè'." (Majjhima-Nikaya, i.136).
"È come se per un uomo vi fosse una casa che ha undici porte; se quella casa andasse a fuoco, egli sarebbe in grado di salvarsi (cioè, il suo sé) uscendo da una di quelle porte. Allo stesso modo, io sarò in grado di salvare il sè (attânam sotthim kâtum) per mezzo di qualunque di quelle undici porte, che conducono all'imperituro (amata) " (Majjhima-Nikaya, 1.353).;; ;
"Qui, lui si allieta, in futuro lui si allieterà; uno che ha compiuto atti meritori si allieta in entrambe le esistenze. Egli si allieta, e si rallegra vedendo la purezza karmica del ‘sé’ (kammavisuddhim attano)". (Dhammapada 16).
"Seguite il corretto sentiero annunciato [a voi] e non ritornate mai indietro, stimolando il sé con il sé (attana codayattanam), uno dovrà ottenere il Nirvana" (Theragatha 637).
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Sì, chiaramente anche lo Zen ha un insegnamento segreto, come molte delle tradizioni del Buddismo Mahayana. Il segreto è attentamente protetto. È nascosto nell'ovvio, come una barca si nasconde in un battello. Le persone che si aggrappano a caratteristiche fenomeniche; che inseguono il nome e la forma, non potranno mai entrare attraverso la porta misteriosa che dà accesso al tempio segreto dell’Illuminazione Buddista. I veri insegnanti di Zen fanno apposta a nascondere la loro saggezza così che quando degli estranei giungono alla loro presenza essi non possono scoprire niente di speciale.
Quando il Buddha cominciò ad insegnare, egli prima insegnò un insegnamento segreto. Solamente gli Arya-sravaka (spesso tradotto con 'i discepoli') capivano ciò che il Buddha stava realmente cercando di insegnare, mentre quelli che non capivano l'insegnamento segreto furono chiamati Prithagjana, cioè persone mondane ordinarie. Secondo gli studiosi, in origine un Bodhisattva aveva il significato di Aryasravaka. Egli aveva avuto un risveglio iniziale (bodhi) che lo rendeva abilitato a comprendere il principio segreto del Buddismo, potendolo così poi espandere (mahayana).
Quando il Buddha parlò di certe pratiche, come il creare un corpo spirituale che come una spada in un fodero potesse essere estratto dal corpo carnale, lui stava parlando con Aryasravaka-non-Prithagjana. Quando il Buddha si riferiva alla Triplice Gemma del Sangha, lui intendeva solamente il Sangha degli Aryasravaka, non dei monaci o dei Prithagjana…. I Prithajana sono sempre sotto l'impressione che il Buddha abbia una forma umana; ed insegnasse loro pratiche etiche. Essi non capiscono che, secondo il Mahavastu, i Tathagata nascono con corpi spirituali (manomayarupa). A tal riguardo, il termine 'Buddha' significa realmente la Pura Mente, che si è totalmente e pienamente risvegliata a se-stessa, tale che esso è un effettivo potere spirituale che supera e vince la sofferenza.
Quando gli Aryasravaka erano alla presenza del Buddha, essi erano in un stato di sukha o beatitudine, in tale misura che non avevano voglia di fare nient’altro che sorridere. Essi sentivano i loro imperituri corpi spirituali come se questi stimolassero i loro corpi carnali a cui davano vita. Così, essi ruppero il loro attaccamento al corpo carnale, il quale è sempre soggetto alla morte.
I Prithajana, d'altra parte, sono profondamente attaccati ai loro corpi carnali perché loro non vedono e non conoscono nient’altro di diverso dal fisico. Essi immaginano che le varie pratiche fisiche siano adatte al sentiero per il Nirvana. Quando il Buddha era vivo, essi potevano solamente effettuare pie azioni davanti a lui, che non lo impressionavano di certo. Essi non avevano idea di quello che stava accadendo. Io sono sicuro che il Buddha e gli Aryasravaka passavano molto del loro tempo a ridere delle pie buffonate dei Prithajana e dei monaci Prithajana.
Successivamente, nelle prime scuole di Zen, dove era detto che risiedesse l'insegnamento segreto, molte persone del tipo Prithajana furono assai impressionate nell’interpretare le buffonate dei maestri Zen. Esse non potevano munire di testa o di coda le loro enigmatiche parole o, ancor più spesso, il loro pazzo comportamento. Se fossero state messe al corrente del segreto, avrebbero potuto vedere qualcos’altro. Ogni maestro Zen che capiva il segreto, dimostrava come il principio spirituale segreto si rivelasse in ogni situazione del quotidiano. Più tardi, questi eventi furono ricostruiti in koan. Ma, ovviamente, quei monaci e quei laici che erano attaccati alla mente secolare non li capirono. Per esempio, essi credevano che i koan fossero degli indovinelli invece di una vivente dimostrazione del principio spirituale.
Ora, le cose per il Buddismo sono ancor più peggiorate da quando è venuto in Occidente. In Asia, dopo che l’insegnamento segreto del Buddha è andato quasi del tutto perso, gli insegnanti Buddisti almeno ammettono, per un senso di umiltà e rispetto, che essi non sono nulla più che dei pappagalli; che loro non capiscono realmente il principio segreto del Buddismo. Quando alla fine il Buddismo si è insediato in Occidente, gli insegnanti, naturalmente Occidentali, ritengono di capire completamente il Buddismo, che poi vanno in giro a trasmettere ciò che può essere descritto soltanto come Buddismo dei Prithajana, o meglio ancora, Buddismo borghese. Tale Buddismo è stato soltanto accomodato in ciò che vuole il pubblico - e il pubblico non vuole alcun insegnamento di Buddismo che sia anche solo lontanamente esoterico.
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Una volta un monaco chiese a Chao-chou quale fosse, nel Sutra del Loto, l’ 'offerta intima' della figlia del Re Dragone fatta al Buddha. Rispondendo alla sua domanda, Chao-chou distese misteriosamente in avanti entrambe le mani in un gesto di offerta.
Io sono certo che i moderni geni odierni di Zen hanno tutti dedotto il gesto di Chao-chou. Lasciatemi indovinare ciò che loro immaginano possa essere l’'offerta intima'. Molto probabilmente un moderno insegnante di Zen insisterebbe senza dubbio che il gesto di Choa-chou fosse l’ 'offrire nessuna offerta' perché l’offrire nulla sarebbe qualcosa, e il Buddismo è pressochè nulla. Questa risposta porta fuori strada. Un'altra risposta potrebbe essere che Chao-chou stia offrendo il vuoto (la vacuità). Ma anche questa è lontana un miglio. Tali risposte non sono affatto intime. Esse giocano con le parole. Stanno solo ad indicare l'ignoranza (cioè, l'immediatezza della consapevolezza) che oggi qualcuno nello Zen prende per illuminazione.
L'offerta più intima di tutte dovrebbe naturalmente essere la Talità (tathata). Ma cos’è la Talità? Se la nostra mente non è idonea a percepire la Talità, in primo luogo, noi non possiamo realmente fare una tale offerta. Noi certamente potremmo chiamare la nostra offerta "Talità" e giocare con le parole, che è una cosa facile da fare. Ma questao non è l’autentica Talità. I Buddha sarebbero molto scontenti della nostra offerta perché essa non è la vera Talità. La vera Talità è molto più delle parole, o giochi di parole. Sperimentare la vera Talità è conoscere e vedere la luce spirituale della Pura Mente.
Quando Chao-chou distese in avanti le mani, lui fece realmente la stessa esatta offerta come la figlia del Re Dragone. Non fu un gesto vuoto, da parte sua. Se il monaco avesse avuto una conoscenza intima dell’offerta della figlia del Re, egli certamente avrebbe sorriso ricevendo la splendida 'offerta' di Chao-chou! Ma chiaramente lui non l’aveva. Egli ne era totalmente ignaro, così come molti altri che oggi praticano lo Zen. Gli Zenisti di oggi sono infettati dal pensiero e dalle credenze Occidentali. Non si può supporre che c’è un’ultra-essenziale luce che anima il nostro corpo. È tutto una finzione della nostra immaginazione. Però, la vera mèta dello Zen è di percepire questa luce. Questa è la cosìddetta ‘trasmissione della luce’. Cos’altro potrebbe essere trasmesso oltre alla luce spirituale, o Talità? E cos’altro poteva donare la figlia del Re Dragone se non la luce spirituale?
Se noi desideriamo essere in grado di fare tale offerta, dobbiamo cercare la Talità in qualche altro lugo oltre la nostra immaginazione. Dovremmo cercare un buon insegnante di Zen come Chao-chou che ci aiuti. Ma lui ci spaventerà con i suoi non-sense perché in tutta la nostra vita noi in realtà stiamo scappando dalla Talità - noi la odiamo. Infatti, incontrare un vero insegnante che sia un portatore di luce è un evento spaventevole. La sua Talità non trova niente in noi che sia compatibile con la Talità.
Solamente svuotandoci della nostra corruzione che ci fa essere incapaci di percepire la Talità, noi possiamo sperare di vedere ciò che la figlia del Re Dragone donò al Buddha. Secondo il Sutra del Loto, il nostro compito per molto tempo sarà di svuotare innumerevoli secchi di sterco finché noi non saremo degni di ricevere la suprema trasmissione, essendo capaci di donare come Chao-chou.
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Il sogno è un soggetto che nel Buddismo è stato trattato un pò tardi. Uno degli scopi del sogno è di esaminare la profondità del voto di Bodhisattva con riguardo al salvare gli esseri senzienti. Siccome la coscienza non può distinguere il mondo di sogno dal mondo di non-sogno, il sogno può essere una importante prova del nostro profondo impegno a salvare gli esseri senzienti.
Per capire le piene implicazioni di ciò, noi dovremmo pensare di sognare in questa maniera: ‘Alla fine, il mio sogno si risolve in qualcosa che dal male diventa bene? Per esempio, se sogno che io ho sete, alla fine, sono capace di trovare l’acqua nel mio sogno? Se io sono nudo, alla fine qualcuno mi offrirà dei vestiti così da potermi scaldare? Se io sto con persone malate, alla fine esse tornano a star bene? Se sono in presenza di persone del sesso opposto, mi sento attratto?’ Se i miei sogni non finiscono con un esito che dà beneficio, la forza del voto di Bodhisattva è debole. Ma quando i nostri sogni si risolvono dal male al bene questo indicherebbe che nella vita da svegli esiste un buon cuore ed è così anche nella vita del subconscio. Questo è il cuore da Bodhisattva.
L'idea dell’interpretazione del sogno non rientra nel quadro. Essa è irrilevante. Ciò che nel sogno è stato esaminato è la forza della predisposizione che la nostra coscienza possiede per districarsi dalla sofferenza. È una sorta di test per misurare la nostra sincerità e impegno nel sentiero di Bodhisattva. Se sognando, per esempio, la maggior parte dei nostri sogni funzionano per il meglio, allora la nostra vita da svegli si sta muovendo nella direzione corretta. E, per la maggior parte del tempo, anche noi sperimenteremo la 'buona sorte'. Questo significa anche che alla nostra morte noi automaticamente rinasceremo in mondi più elevati come se fossimo in possesso di una gemma che esaudisce i desideri.
Come possiamo modificare i nostri sogni, così che l’esito funzioni quasi sempre per il meglio, dipende dalla nostra profondità di introspezione, attraverso la quale il nostro collegamento con la Pura Mente è gradualmente approfondito e sviluppato. Se non ci siamo impegnati con il lavoro sulla Pura Mente, la nostra vita futura è a rischio. Perché è grazie all'influenza della Pura Mente che tutte le cose vanno a finire bene. Ed è anche per l'influenza della Pura Mente che la nostra prossima vita sarà buona.
Recentemente, mi ricordo di un sogno in cui io aiutai un vecchio uomo a uscire da una macchina. Lui era così debole che da solo non poteva farcela. Io sedetti sull'erba e lo sostenni. Poi alcune persone vennero verso di me chiedendo soldi. Io vidi aprire il mio portafoglio. Era vuoto. Però, poi ne uscì del denaro. Io guardai alla mia sinistra, l'uomo anziano al mio fianco stava seduto vicino a me come un ragazzo. Questo sogno non è simbolico. Non è una profezia del futuro. Mostra semplicemente che la forza della mia pratica quotidiana si ripercuote nei miei sogni. In altre parole, il mio subconscio agisce come un Bodhisattva che fa ogni cosa nel modo giusto.
Io penso che questo approccio ai sogni sia il miglior approccio. Io offro ad ognuno un'opportunità di testare la sua pratica. In altre parole, quant’è profondo? Se un mattino potete ricordare che un sogno è stato una meraviglia, quando magari era cominciato come un incubo, allora significa che di giorno state facendo le cose giuste. La vostra pratica sta toccando il subconscio. E un'ottima indicazione che voi siete sul sentiero del Bodhisattva.
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Forse il primo vero Sutra Zen, ma non certo l’unico, fu trasmesso da Hui-neng, il quale è considerato il sesto Antenato, o il sesto Patriarca, che è il nome più comune. Il discorso di Hui-neng fu chiamato Il Sutra della Piattaforma. Esso contiene alcune delle idee-chiave del Buddismo, che per gli Zenisti di quell'era furono estremamente importanti.
Il Sutra della Piattaforma inizia con l'insegnarci una di quelle importanti idee-chiave. Grazie a delle strofe che cercano di determinare chi diverrà il sesto Patriarca, noi veniamo ad imparare qual è quella pratica Zen accettabile per le persone illuse, e cos’è il Patriarca Zen, che è il vero insegnamento del Buddismo.
Il quinto Patriarca, che più tardi riconoscerà che i due poemi composti da Hui-neng sono degni di un Patriarca Zen, fu molto acuto nell’avere un'intuizione positiva della Buddha-natura. Il quinto Patriarca non era innamorato della negazione come pratica da cui, sia come sia, il praticante Zen imparasse la tecnica di rimuovere le oscurazioni dalla Pura Mente. Il quinto Patriarca esortava i suoi discepoli ad avere un'intuizione della Buddha-natura e, quindi, vedere direttamente la sua natura indefettibile. Noi potremmo anche vederla così, cioè che è più importante vedere la Pura Mente, direttamente, che non preoccuparsi di questioni che non sono intrinseche alla sua natura.
Durante la disputa, il quinto Patriarca comprese che il poema del Capo dei Monaci toccava lievemente la conoscenza della Buddha-natura. Esso infatti rappresentava il metodo negativo di rimuovere le oscurazioni, come il pulire la superficie di uno specchio. Ma quando il quinto Patriarca arrivò a leggere i due poemi di Hui-neng, lui comprese che questi era il Patriarca Zen (anche se lui finse che entrambi i poemi non riflettevano un'intuizione della Buddha-natura). Questo forse spiega il perché, nel suo primo incontro con Hui-neng, il quinto Patriarca fu impressionato da questo boscaiolo analfabeta. Hui-neng sembrò capire l'implicazione positiva della Buddha-natura. D'altra parte, il Capo-Monaco che non l'aveva direttamente intuita, non sembrò capire l'implicazione positiva della Buddha-natura.
Nei moderni centri di Zen, non viene dato quel tipo di insegnamento che è vicino al Patriarca Zen. La pratica è principalmente negativa. Essa va dall'imparare a sopprimere i pensieri, al controllare il corpo mettendolo in una invisibile costrizione meditativa. Ma questa non è la pratica raccomandata di Zen – almeno non nel Sutra della Piattaforma. Secondo il Sutra di Hui-Neng, la pratica di voler rimuovere i pensieri contaminati stando seduti porta a casi di alienazione mentale. Il pericolo nel fare di questa la predominante pratica Zen è che alla fine lo Zen non riconoscerà nemmeno il Patriarca Zen. Questi insegnanti trasmetteranno ai loro studenti uno Zen per persone illuse. Essi insegneranno loro soltanto a star seduti e cercar di sopprimere i loro pensieri. E alla fine, quelli che praticano così, a causa di questo metodo sbagliato, chiameranno il loro Zen, il Patriarca Zen, e lo Zen che dischiude la Buddha-natura, lo Zen delle menti illuse ed ingannate.
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Il punto-chiave del Buddismo è solo il ‘vedere’. Quello è tutto. - Steve Hagen; prete Zen;
Hagen fa del supremo risveglio del Buddha un intransitivo. Il Buddha, invece di vedere l'oggetto che viene illuminato, solo ‘vede’! O forse, il Buddha, solo ‘sente’. In ogni caso, Hagen sta descrivendo ciò che io penso sia poco meno che un non-senso. Nel canone del Buddismo Zen non c'è niente connesso lontanamente con un risveglio di solo vedere. Presentare questo come Zen equivale ad una sorta di frode religiosa perché travisa ciò che è di fronte a noi, come il canone di Zen che non contiene nessuna tale teoria. Non c'è certamente nessun senso di ‘solo vedere’ in queste mistiche parole di Fu Shan-hui (d. 569): “Quando tu conosci il Buddha che è all’interno, e non lo cerchi fuori, allora la mente stessa è il Buddha, e il Buddha è la mente. Quando la mente è chiara, tu percepisci il Buddha e comprendi la mente che percepisce. Separatamente dalla mente non c’è Buddha; separatamente dal Buddha non c’è mente”.
‘Semplicemente vedere’ non significa niente per uno che percorre il sentiero Zen per trovare la Mente di Buddha. Prendere tale sentiero deve culminare con l'esperienza di realizzare la Pura Mente, cioè, la Mente di Buddha. Questo è il significato fondamentale del risveglio – ovvero, uno deve risvegliarsi al trascendente che è oltre il mero ‘vedere’ e l’acquisizione mentale.
Se si procede accanitamente verso questa mèta con ogni fibra del proprio essere, non ci potranno aiutare, ma possono risvegliarci. Ma loro non potranno ‘solo vedere’. Invece, percepiranno una pura luce animativa che è stata sempre naturalmente liberata; che è stata sempre presente, con ciascuno di noi che cerca di dirigersi nella giusta direzione.
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La Sorgente Ultima del Respiro
Quando cerchiamo di pensare alla Pura Mente, il pensiero non è la Pura Mente. E neppure il nostro corpo e il ragionamento sono la Pura Mente. Se noi desideriamo praticare la meditazione sul respiro, anche il seguire il respiro non è la Pura Mente. Né l'inspirazione né l’espirazione sono la Pura Mente.
Quando un Buddha fa la meditazione sul respiro, la sua attenzione non è rivolta al respiro. La sua attenzione è diretta alla ‘sorgente ultima’ chiamata parimukha. E questo è un altro nome per la Pura Mente. Nell'inspirare ed espirare, si dice che il Buddha sia sempre consapevole della sorgente ultima del respiro. Se noi desideriamo praticare la meditazione del Buddha, la chiave deve essere sul respiro, così com’e, ritornando alla sorgente del respiro che è oltre l'inspirazione e l’espirazione. Dal punto di visto dello Zen, se desideriamo ritornare al nostro volto originale di prima che noi nascessimo, esso è il volto trascendente che è prima del respiro.
Benchè gli insegnanti buddisti sottolineino di seguire il respiro – quando mai il Buddha ha detto che la pratica corretta è di seguire il respiro? La nostra reale natura è oltre il respiro. Noi, invece, dobbiamo trovare la sorgente al nostro interno che trascende l'inspirazione e l’espirazione. Siccome la nostra coscienza è connessa al corpo attraverso il respiro, noi dobbiamo rivolgere la nostra coscienza via dal respiro e posizionarla a ciò che è antecedente al respiro. La nostra coscienza, con la pratica, potrà essere attenta dell'inizio dell'inspirazione ed espirazione che, per così dire, sono senza-respirazione. Quando saremo riusciti a fare questo, allora capiremo perché il Buddha è stato talvolta chiamato il portatore di luce.
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‘Se noi siamo già nati una volta, allora non c’è la certezza assoluta che non rinasceremo di nuovo’.
- W.G. Wobbermann
Ad alcune persone piace credere che dopo la loro morte, esse non ci saranno più. L'unico problema con questa teoria è che essa non ferma la rinascita. Non c'è nessuna assicurazione che dopo la morte del corpo noi si diventi totalmente estinti. E non c’è bisogno di dire che il mistero della nascita è il più grande mistero perché la morte, evidentemente, è dipendente dalla nascita. Rispetto al nostro stato attuale di essere, noi non possiamo spiegare il perché siamo qui – in questo momento presente -piuttosto che non esserci. Inoltre, non abbiamo nessuna garanzia al 100% che noi non rinasceremo ancora proprio come prima.
Possono alcuni credere realmente che quando fummo concepiti nell'utero di nostra madre, questa fu una cieca opportunità sufficiente per non farla mai accadere di nuovo? In realtà, le opportunità sono tali che ciò accadrà di nuovo. Secondo il Buddha, la rinascita accade quando si incontrano certe cause e condizioni. Se queste condizioni non sono sufficientemente concluse un essere senziente è aperto ad una nuova rinascita. In altre parole, la sua mente prenderà un altro corpo.
Sempre secondo il Buddha, la mente che trasmigra ha un'inclinazione per un embrione fertilizzato, a cui essa si lega e questo è chiamato l'ingresso della coscienza. A questo punto, la mente entra nel mondo temporale, o samsara, che è dipinto come avente i cosiddetti dodici-anelli comprendenti le Dodici Catene, che sono chiamate anche i grandi oppressori.
Venire al mondo non è la manifestazione di un'anima eterna. Nascere è un’escrescenza fenomenica in cui noi siamo intessuti, come coscienza, con una molteplicità di oggetti di consapevolezza dai quali non vi è apparente possibilità di fuga. Quello che non è legato a questa condizione ci è nascosto, e quindi, la nostra sofferenza è un risultato del non riuscire a trovarlo. La Morte può essere vista come un cambiamento-in-qualcos’altro. Noi potremo trasformarci in un demone, un animale, un fantasma affamato, un essere umano o una divinità con cui, dipendendo dalla forza e dal dominio di certe tendenze e inclinazioni, la nostra mente risuona per abitudine. Benchè il processo sia apparentemente invisibile, nondimeno, in questo momento noi siamo proiettati verso il nostro destino futuro. Per esempio, noi potremmo volere cose buone che si trovano solo nei reami divini. Inoltre, potremmo desiderare di comandare le persone e dominarle. In questo caso, noi ci stiamo comportando proprio come un demone. Dopo la nostra morte noi rinasceremo in mondi demoniaci. Ecco perché la moralità è così importante. Attraverso essa possiamo andare in cielo o all’inferno.
Noi di solito possiamo parlare su quale sarà la nostra prossima rinascita. Se il nostro destino, dopo la nostra morte, sarà l’inferno, prima di morire avremo continuamente orribili pensieri. Noi sentiremo di essere sempre tormentati e perseguitati. Non potremo mai rilassarci. Saremo in un continuo stato di ansia. Se invece nella nostra prossima vita dovremo diventare un fantasma affamato, noi avremo sempre fame non importa quanto si mangi. Desidereremo insistentemente cibo, alcool, droghe, soldi, e molte più cose di cui non potremo averne abbastanza!
Se veramente vogliamo sfuggire una cattiva rinascita, noi dobbiamo seguire il sentiero del Buddha, o uno simile. È importante capire che la mente è realmente ciò che trasmigra. Essa vuole sempre certe condizioni, cadendo così in un particolare genere di rinascita. "La bramosia è ciò che costruisce una persona; la sua mente (citta) è ciò che vaga costantemente; così un essere entra nel samsara; egli allora non è più libero dalla sofferenza" (S.i.37).;
Le varie rappresentazioni che la mente produce riempiono la mente stessa di bramosia, causando così che essa vada vagando all’intorno come una mente che non si conosce. Il suo non-conoscersi della mente (avidyà) è il primo anello della catena delle Dodici Concatenazioni. Se realmente la mente riuscisse a realizzare se-stessa, non sarebbe più costretta a vagabondare nel samsara da un'esistenza all’altra. Superato l’anello della non-conoscenza di sé, uno realizza il Nirvana.
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Per molti Occidentali interessati allo Zen, il fatto che lo Zen è realmente una forma di misticismo Buddista si rivela una verità che arreca loro disturbo. Qualunque cosa essi credano che lo Zen sia - non lo ritengono essere una forma di misticismo. Nelle loro menti spesso lo Zen appare essere una forma di mediocrità radicale, nel senso di imparare ad accettare la vita come viene, in cui non vi è niente di trascendente eccetto, forse, la morte. Questa errata visione è stata ampiamente perpetuata dalle sale di meditazione Zen degli insegnanti Zen Occidentali. Costoro hanno trovato una strategia per vendere lo Zen agli Occidentali che in gran parte sono materialisti e che, inoltre, trovano più o meno ripugnante la religione.
Quando lo Zen arrivò in Occidente, esso incontrò una visione del mondo profondamente trincerata in varie filosofie materialistiche, come il fenomenalismo, il quale crede che oltre l'esperienza sensoriale non vi sia niente. Sotto una tale visione, gli Occidentali non erano ansiosi di abbracciare una religione asiatica diretta verso il misticismo; che professava di trascendere l'esperienza sensoriale e realizzare un'esperienza trascendente. Ciò che essi volevano era una religione che li avesse aiutati a tener testa all’essere in un ingranaggio del macchinario materialista. Con un leggero pizzicorìo, lo Zen divenne la risposta perfetta. Fu introdotto sul mercato dagli insegnanti Zen Occidentali come l'antidoto per le nostre nevrosi quotidiane. Questa rappresentazione dello Zen faceva credere che lo stress nella vita nostra fosse causato dal troppo pensare. Questo riporta ad un periodo della storia americana quando si credeva che la nevrastenia (cioè, la nevrosi) fosse causata da "eccessivo lavorìo del cervello". Negli anni 20, memori di questo, lo Zen divenne la pratica del non-pensare, come metodo di affrontare lo stress. Secondo Dainin Katagiri, il non-pensare, in cui l’eccessivo lavorìo del cervello diminuisce, viene realizzato quando noi "pensiamo non-pensando!".
Malgrado il fatto che la storia dello Zen non sapesse niente del non-pensiero come antidoto per la nevrosi o come metodo di realizzare l’illuminazione, tale credenza, nondimeno, rimane fortemente inserita nei circoli Zen Occidentali. Però, la gran parte della letteratura classica Zen essenzialmente non dice nulla sulla soppressione dei pensieri. In realtà, dice l'opposto. Secondo il maestro Zen Hui-neng, non-pensiero significa solo non essere trasportati dai nostri pensieri nel processo del pensare. Meglio ancora, dovremmo conoscere e vedere lo stesso strumento del pensiero, puro e radiante, come un'esperienza mistica. Come conseguenza del conoscere e vedere questo mezzo puro, quando un pensiero sorge e poi si ferma noi, intrinsecamente, sappiamo che il mezzo rimane se-stesso; che è la nostra vera natura. Questo è ciò che realmente Hui-neng vuol dire col ‘non venir trasportati’.
Gli Occidentali, particolarmente legati al materialismo, durante il corso degli anni, hanno tentato di escludere la letteratura Zen tradizionale dai moderni testi sullo Zen. Al massimo, essa è trovata ai margini dei discorsi pubblici di Zen. Benchè non vi sia nessuna scarsità di libri sullo Zen in più librerie, i libri sullo Zen tradizionale devono essere ordinati. Uno, per esempio, non troverà il libro di Sohaku Ogata, La Trasmissione della Lampada alla libreria ‘Borders’ - in effetti, esso ora è fuori corso. Quelli che comprano e vendono libri guardano alla quantità - non alla qualità del libro. Infatti, assai poche persone sono interessate allo Zen tradizionale. Esse vogliono la versione moderna dello Zen, in cui solo sedere e non-pensare.
Ma forse dovremmo fermarci e rivisitare ciò che il misticismo significa da una prospettiva Buddista. Secondo Heinrich Dumoulin: "La sfera del misticismo è così chiaramente differenziata dai fenomeni, come la magia, e perfino dalle metafisiche speculative. Siccome il contatto con l'Assoluto diviene, nell’ esperienza mistica, un mezzo di salvezza, il Buddismo, proprio a causa del suo elemento mistico, deve essere considerato una religione. Il Buddha, e coloro che lo seguirono, vide nell’illuminazione mistica il 'veicolo di salvezza' che li portò all' 'altra sponda' oltre questo mondo" (A History of Zen Buddhism, 4).
Non occorre dirlo, ma senza il trascendente non può esservi certo esperienza mistica. Inoltre, senza il trascendente, non può esservi la genuina salvezza e, quindi, nessuna vera liberazione dal soffrire. Perciò, qual’è il senso della salvezza senza la religione; infatti, qual è il senso del Buddismo se non vi è niente di mistico in esso? Il fatto di non perseguire il misticismo nella religione - e quindi nello Zen - si può paragonare piuttosto ad un vagare senza scopo fatto solo per camminare, pertanto come può una persona sentirsi bene? Mentre un Cristiano, che non si preoccupa del misticismo, potrebbe su questa via portare una croce sulle sue spalle, al moderno praticante di Zen viene insegnato di stare attento ai suoi passi, come modo di sopprimere i pensieri agitanti. Inutile dire che questa è una scena davvero assurda.
Si può credere che il misticismo sia il processo di liberarci trascendentalmente dalla nostra condizione incarnata, in cui occorre una netta distinzione tra il corpo al quale noi siamo apparentemente legati, e la nostra natura primordiale, che non è mai stata legata o incarnata. Nello stato di incarnazione, la stessa consapevolezza del nostro corpo e la consapevolezza della nostra vita mentale è la causa della incarnazione. Si potrebbe dire che abbiamo de-trascendentalizzato noi stessi dal nostro desiderio per il corpo ed il mondo che esso ha scolpito per sé. D'altra parte, rivolgendosi la nostra consapevolezza a ciò che nel Buddismo è chiamato l’elemento immortale, che è anche incondizionato, noi per la prima volta sperimentiamo una netta separazione dalla nostra precedente condizione incarnata. Questo è precisamente il Nirvana. Infatti, l'etimologia di nirvana suggerisce che la fiamma della vita è liberata dal combustibile, così che sia gioiosamente fresco piuttosto che dolorosamente caldo (duhkha). Questo stato, c’è bisogno di sottolineare, non è morte. Non c'è paragone. Nella morte, la fiamma rimane assetata e bisognosa di combustibile. Nel Nirvana, si è spiritualmente separati dal combustibile corpo, mentre esso è ancora in vita, come per dire, "Questo corpo è una cosa – però, io non sono parte di esso. È come un burattino che io animo; ma io non ho un vero collegamento con esso. Io sono indipendente". Tale esperienza, inutile dirlo, non può essere in alcun modo immaginata. Perché noi siamo così condizionati dalla nostra consapevolezza sensoriale da percepire solamente i fenomeni basati sensorialmente.
Tradizionalmente, lo Zen ha cercato di sperimentare il trascendente che non è connesso col corpo. Non poteva preoccuparsi di meno di trattare con le attitudini e i comportamenti nevrotici dei molti che si radunavano nei centri Zen moderni. Né lo Zen tradizionale è interessato a sedere in meditazione. La meditazione deve essere sviluppata - non confinata solo nello star seduti. La meditazione per lo Zen è realmente una ricerca interiore. Uno, per dire, è immerso nella giungla della propria ‘mentazione’; chi spera di trovare una traccia del trascendente. Questo è ciò che è espresso nella prima stampa dello straordinario Ten Ox Herding Prints di Kaku-un. Lo Zenista, è dipinto come un giovane mandriano che sta cercando il suo bue perduto. Nella traduzione del commentario di D.T. Suzuki alla prima stampa, il bue è una metafora per la nostra vera natura che noi abbiamo perso di vista. La ragione per cui il bue è perso, è a causa dei nostri sensi che ci ingannano e che aspirano al guadagno mondano. La prima strofa dice: "Solo nella regione selvaggia, sperduto nella giungla, il ragazzo sta cercando, cercando!" Non serve dire che questa è una ricerca meditativa della nostra natura trascendente - non la nostra psicologica natura mondana che affronta la corsa del topo.
Senza un impegno per il trascendente ed il processo mistico per realizzare la comunione con esso, un discepolo Zen non è un discepolo Zen. E’ uno che fa finta. Un tale studente potrebbe perfino essere un insegnante Zen che si sta creando un vivere comodo facendo funerali (come succede in Giappone) o interpretare il ruolo di uno psicologo Zen, come spesso succede in America e in Europa. Solamente frequentare un centro di Zen non può essere chiamato proprio un impegno al trascendente. Facendo così, uno in realtà è impegnato ad aver incontrato le sue proprie necessità private che vengono da un deficit di personalità. Prendere l’approccio mistico richiede molto di più. Bisogna essere una persona intelligente con pochi attaccamenti e abitudini. Questo è un sentiero difficile che richiede straordinarie capacità. Non è che basta essere il ragazzo-factotum del maestro Zen o un suo ammiratore, ma occorre avere un genuino amore per il sentiero mistico; desiderando solamente di realizzare il trascendente. Ma tali qualità sono rare ai giorni nostri. Alla maggior parte delle persone che praticano lo Zen manca l'abilità di pensare fuori dal comune modo di pensare. Le persone comuni sono più felici di essere seguaci che non spiriti che si elevano verso il cielo.
(FINE SECONDA PARTE)
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