I. – IL MURO (1)

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Sembrano antiche ferite, qualcosa che in noi era troppo sensibile e non ha retto all'urto.

...E poi l'abbiamo frequentata più o meno sovente, prima senza sapere e lasciando notevoli tracce, e poi, crescendo, abbiamo iniziato a comprendere che la ferita esiste davvero, e meno spaventati e meno violenti abbiamo iniziato ad avvicinarci quasi con familiarità, sperando che se i nostri passi fossero stati più delicati, essa non avrebbe reagito con nuovo dolore.

Vi è forse stato qualcosa o qualcuno che le si è avvicinato in un momento non favorevole, ed essa allora, per non lacerarsi ancora, per permetterci di restare, ha prodotto nuove, più lievi ferite che avremmo frequentato con il supporto del pensiero e anche alla luce del giorno. Potevamo ricordare.

Ci è capitato anche, certo non molte volte, di avvicinarvisi forti e come già guariti, e ci sembrava allora che la ferita, che non ci ha permesso di sentire, né di credere che tutto è a noi collegato, fosse qualcosa che riguardava qualcun altro che abbiamo creduto di essere, chissà come mai!

È sicuro però che l'abbiamo anche amata. Come si ama tutto ciò che è profondamente iscritto in noi, sia che lo comprendiamo o no. Talvolta, per fuggire dal mondo, l'abbiamo cercata e desiderata, meno minacciosa e nemica ci sembrava la sua presenza di quella del mondo. Meno nemica, perché comunque in noi, come un fiume che scorre tra ciò che pensiamo e sentiamo, o per alcuni di noi, come una fonte di immagini e di stati di sorprendente intensità. Sapevamo di essere feriti, e di essere perciò diversi, ma abbiamo amato quella solitudine come fosse un campo, o un sentiero dove avremmo incontrato qualcosa di definitivo e meraviglioso.

M. Z.

 

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