Nello spirito oppresso degli stati
Intorno a noi il mondo ottenebrato d’inganni ha eretto paraventi scuri come la notte perché la verità non fugga dalle celle degli eremiti con i suoi venti irresistibili che strappano la terra ed i semi di luce rimangano rinchiusi come in un sonno nello spirito oppresso degli stati.
11.2.1975
Pan custode di selve
Radiosi filari di lance cadono dal sole. Luminose follie dal fondo della coppa bevo. Sale alle trame bianche del cielo il silenzioso pensiero, e al suo delirio di luce col suo flauto accorre Pan custode di selve.
14.2.1975
Il nostro vivere
Un giorno ebbi silenzio e solitudine: tutto era notte in me e si tremava allo spirar del vento d’occidente. Che cos’era quel sogno? Forse vivere? Se era vivere, immenso è il nostro vivere.
3.III.1975
D’ogni sponda
In qualche istante ti ho veduto vivo, folgorazione che durò ben poco; ma infinito premeva e traboccava d’ogni sponda nel vuoto il nostro cuore.
3.III.1975
Kirkussend e il suo nome
Svela, Kirkussend, il segreto del tuo nome. Levasti alta la daga, percuotendoci con la lama affilata del tuo nome. Svelati a noi, messaggero nascosto. Sorto in solitudine di là da ogni confine, sei forse, Kirkussend, il principe dei deserti? Sei forse il senso ultimo delle carovane? Sei forse Venere, primo attore delle notti stellate? Sfolgorò il tuo nome, meridiana luce, ed eri, Kirkussend, l’angelo del buio. Tra notte e giorno, chi ti fece re di questo mio perenne vagabondare? Chi ti trascrisse sul capo il segno della morte e ti scolpì nel petto la forma della vita? Eri, Kirkussend, come stella appena nata avvolta nelle fasce della Via. Eri, Kirkussend, come il morente Fato che fatalmente si dissolve in se stesso. Eri, Kirkussend, la gloria senza pari, la luce ultima di tutti i deserti. Eri l’enigma di tutti gli enigmi, l’enigma del rinascere e del tornare a morire, e la stella che splendette un giorno in cielo ti ha tratteggiato un’oscura corona.
20.III.1975
Specchi
I.
Nel silenzio indosso un velo antico.
II.
Il nero perfetto della morte: cos’è quest’empio grigio timore?
III.
Cercavo favole. La realtà, bellissima, ho incontrato.
IV.
Immagini infinite nel cielo. Descriverle è percuotere il vuoto.
V.
Smemorato, ho trovato il segreto del ricordo. VI.
Nel mare uno scoglio si protende. S’inabissano le onde, infrante, nel vorticoso cuore onde nacquero. VII.
La mia anima è un bosco con fusti addossati immani. Passa il canto del deserto e si fa radura dietro la reggia della luna. VIII.
Ha sparso dentro il nulla la vita parole. Tutto assomma a un grido.
IX. Vi derido come deridono i pazzi. Troppo dolore è coscienza.
X.
Boccadifuoco apre la bocca, ognuno fugge. Ma non vedete che gli brucia il cuore?
XI.
Arturo e Lancillotto van colpendo, eroi battaglieri. Dentro di me Chisciotte va ridendo.
XII.
Dentro deserti spiriti, Chisciotte, vai forse cercando antiche fate?
XIII.
Ho già vinto e vinco ancora. Il grande pazzo scuote la terra.
XIV.
Una parola direi, ma è troppo e poco, perché non siete ricchi di ricchezza.
XV.
Povertà vo cercando e non mi fermo. Cosa resta o non resta, che m’importa?
XVI.
Amici cari, andate un poco a zonzo col pensiero o col passo. Non restate qui a guardar questi specchi che deformano.
5.IV.1975
Cieli
I.
Tra grovigli di nuvole nel cielo mio deserto uno squarcio di luce.
II.
Esser sepolto vorrei dentro quel mare, chiudere gli occhi in dolce dileguare, scorgere in cielo dietro vaste mura luce infinita d’infiniti spazi.
III.
Come un bambino cerco con le mani d’afferrar spesso quel soffice cielo. Pieno dell’aria della sera un bacio getto nel tempo, né so chi bacerà.
IV.
Prìncipi ariosi scorrazzano lassù, irrequieti bimbi là ci giocano. Quaggiù i poeti difficilmente indagano come creare così vasti amori.
7.IV.1975
I nemici di Helios
Ho un sangue di monti oscuri coperti dalla perenne mezzanotte delle nubi cozzanti negli uragani. Ur, Memfi, Cuzco e le terre del passato e Averno e i nemici di Helios continuamente c’inviano fremiti di voli istantanei improvvisi, subito ricaduti.
Nel nostro cuore, Amica, il vento caccia stridi di parti dolorosi, e abissi empiono mari dissalati e freddi. Creature cieche, mostruose, senza gioia nuotano al fondo in bracci di correnti. Perduti, gli echi della vita tacciono e un empio myste disfrena l’artificio. In mare aperto regna una bonaccia senza più aria, ferma e indifferente. È morto il mondo: questa è la visione che osservo, Amica, nei tuoi vasti occhi.
24.IV.1975
L’altalena
Si muove, Amica, l’altalena e scopre verdi riflessi a queste foglie verdi che io e te teniamo in seno nude, nudi noi stessi con riflessi verdi che ci percorrono nel ventre del diluvio. Il nostro corpo si muove leggermente, rabbrividisce, e un corpo solo siamo: tutto è scordato ed oblioso è il cuore delle tue stelle in cielo, e noi tremiamo alla sonora notte, musica cupa.
24.IV.1975
La soglia su cui scrivevi
Tremando, Amica, assieme siamo usciti da questa soglia su cui scrivevi Vivere, una parola priva di pensiero, eppure vasta quanto l’esistenza. Chi sei, Amica? come ti conosco? Dice qualcuno: tu stesso l’hai creata. Eppure è viva e ha un cuore ed è una donna: io sono donna e ho un cuore e sono vivo?
24.IV.1975
Il vaso degli stupori
Gli uomini fissavano in silenzio le sfere celesti e pregavano l’inesauribile vaso degli stupori di tornare a mondi più remoti e circoscritti. Mai grandezza si fece piccina altrettanto. Alcuni disparvero in troppo dense regioni e fecero corpo con le stelle perdute del cielo e vagano folli per le oscurità.
9.VI.1975
Canto amoroso oltre la notte
Rada è la notte, gli abissi sereni, solo rimane in qualche età che io non vedo e nessuno vede impenetrabile oscurità.
Quel fondo nero ha gran dolore, e strade opache, da cui rifuggo; di là da esse, senza respiro cerco l’essenza dai mille splendori.
Risento arie dai tempi lontani e ripercorro i più puri ricordi: amore e gioia van respirando, diletto e abbraccio vanno cantando.
Tutto il tuo mondo più non ha occhi, si è fatto larva d’immobile vita ma tu, poeta, canta d’amore, canta la fonte del cielo di vita.
Canta e ristora, canta la gioia che nella notte guida la mente, canta lo splendido rogo del cuore dove la mente canta d’amore.
Canta il dolore che puro risplende, canta illusioni cadute che puoi offrire in dono, splendenti d’amore sopra la sacra onda d’amore.
Lo sposo canta: Si canti amore, il puro fuoco di fiamme d’amore; vieni cantando, sposa d’amore, città d’amore per te fonderò. Fonderò acque che mai sian turbate, fonderò venti che corrano dolci, fonderò monti e colline selvagge, fonderò fonti di luce perenne. Fonderò cieli di terso cristallo e penetrali segreti lucenti; t’introdurrò alla semplicità che più nessuno mai turberà. T’introdurrò al mistero dell’aria, a un senso vivo d’immensità: nuda verrai nella gioia del giorno, nuda verrai nei recessi notturni. E sarai nuda nella tua mente, nuda nel cuore, nuda nei gesti; nuda verrai tra i profumi di selva, correrai nuda con me per la terra.
Canta, poeta, questo mio amore, amor lucente ti guiderà; dopo l’amore non c’è che amore, certo lo spirito ci sosterrà.
9.VI.1975
Canto di cose perdute
Sereno è il cielo, volgivi gli occhi, vedi le stelle in mezzo alla luce. Dici Non vedo eppure vedi, com’è possibile che tu non veda?
In verità fiaccole azzurre passano qua e là per il cielo; non sono forse proprio le stelle che hanno lasciato le vesti belle?
Paiono strofe per i bambini: mai si son viste stelle azzurrine. Ma v’ingannate: non può svanire la stella bianca che cade dal cielo.
Lascia una traccia e in questo mattino fa capolino, come una frase che ancora voli nell’aria movendo venti e parole, respiri e canzoni.
E così pure, sentite, rimane anche la traccia dei baci donati, anche la traccia dei chiari sorrisi, anche la traccia di gioie e dolori.
Resta ogni cosa che noi facemmo, resta ogni immagine che noi guardammo, resta ogni suono che abbiamo ascoltato, resta ogni volto che abbiamo amato.
Resta lo sguardo rivolto nel cielo, e chi lo sa se qualcuno vedrà questo mio sguardo rivolto lassù.
Può darsi che, per caso, al vederlo, pensi che in fondo non serve a nulla fare girare in tondo il mondo con insensate parole che presto vanno nell’aria, scritte per onta dove nessuno le può cancellare.
Ma per trovare come si possa fermare il libro, romper la penna che su ci scrive, dentro una fossa morti e sepolti esser dovremo.
E allora forse continueremo a andar nell’aria, senza parole, come parola già detta che più niente può dire, niente può fare.
Gli uni con gli altri c’incontreremo senza segreti più da celare; saremo frasi messe a confronto e le parole nostre saranno senza finzioni. Tutti vedranno quel che pensavi, quel che credevi.
Chi canterà, chi tacerà, chi danzerà, chi morirà. Un po’ per volta ci rivedremo tutti negli occhi, volti che amai, e voi vedrete dentro i miei occhi quel lume che quaggiù ci univa, lume qual sorso bevuto alla coppa di vite vissute prive d’inganno, coppa splendente di doni graditi a chi li ottenne, a chi li diede.
19.VII.1975
Quasi da un’onda infranti
Tacerebbe il mio canto e tacerebbe ogni canto che non canti d’amore se ci desse il presente astri perenni e se fossero gli occhi nostri pieni di chiarezza e splendore. Anche tu, Amica, taceresti sommersa dalla vita. In questi luoghi dove viviamo a lungo senza trarne alcun piacere mai perché ci siamo dimenticati ormai di dover vivere, pure ancora sentiamo qualche volta sopraffarci speranze, come barche disancorate al largo, sotto i venti. E vorremmo cantare alla paura per coronarci un giorno di coraggio. O in quelle ore quando di lontano, come poeti di passati tempi, nelle stelle che affondano infinite dentro l’oceano enorme, ondoso, cupo, contempliamo noi stessi, allora siamo, per un’eternità di anni, vivi, e tu non sai, Amica, Amica mia, se cesserà la tua ferocia dolcissima. E abbrancati come la lupa ai lupi noi restiamo, taciti, folli, goffi, nel presente abisso dove schiantati dormono i tempi, e siamo vivi, quasi da un’onda infranti e riportati dentro la viva notte eternamente.
19.VII.1975
Contrasti
I.
Cento immagini che voi non vedrete: le ho nascoste in un sole.
II.
Voi non siete per me né io per voi: ad ognuno il suo fango e la sua luce.
III.
Chi cercate qua in fondo a questo mondo? Non cercate nessuno, né sperate.
IV.
Chi di voi teme il nuovo si sgomenti: io gli addosso un pastrano in piena estate.
V.
Un che domina il mondo si conturba perché il magico flauto non gli suona.
30.VII.1975
Le porte dei mari
Centinaia di mari spalancano le porte degli abissi perché vi entriamo: essi si chiuderanno velandoci sopra il capo le stelle di spessa coltre, e saremo radicati nudi dentro la nudità, e sopravverrà l’oscurità con i fantasmi della mente. Ed io dissolverò in mille vortici le immagini. Sul fondo del mare lente danze condurremo; arie senza nascita, senza esito, ci pervaderanno, aliteranno i piaceri intorno a noi e le chimere seducendoci cadranno nei nostri amplessi. Sentiremo il loro caldo cuore e le pervaderemo completamente ed assolutamente nostre esse ci abbracceranno. Piangendo di gioia, di voluttuoso dolore, ammalianti, vive, compiranno il bacio, il bacio di noi nati alla vita consci di sapere vivere. E solo cadendo in esso eternamente baciati dall’adolescenza nasceremo. E nasceremo come nell’abbandono, animali abbandonati dalle madri e subito colti come fiori vivi dal bacio intenso dell’onda. E io ti condurrò verso la solitudine più lontana, e scoprirò in te dolcezze di umido amore, e vivacità, e rigoglio di splendore, e saliremo in braccio l’uno all’altra avviluppati dal sonno della dimenticanza, stretti in baci e amplessi che reggono al mare. E trasalendo la superficie del mare si spalancherà per noi, dagli scogli emergendo, rinati dall’oblio, fiori pietrificati nella forza di vivere, anime senz’autunni. E gli occhi, gli occhi vivi immutabili fissi volgeremo al cielo, e nati da onda abbracciati, abbracciati ci ergeremo nel nulla. Trasaliti per lontane aurore splenderemo rinati.
30.VII.1975
L’effigie
L’effigie tua su un ramo è posta di là dalla sera. Fanno le folle del tramonto danzare la rotante sfera del cosmo, e rosse terre ci attorniano.
Cogli, anima amata, i frutti di quest’albero e questa luce che ti penetra il cuore.
6.IX.1995
La follia splendida
In cuore e in mente la follia splendida affonda acute spade, e distrutta tace la ragione, per troppa vita straniera a se stessa, e parola non nasce, pensiero non è che non ne cada, in fondo al precipizio, silente, la morte. E taccio, come acqua in largo mare tace.
6.IX.1975
La sponda
Sponda di mare persa sotto la negazione notturna senza luna si effonde nell’infinito fine sino al cuore e senza te, luce perduta, non si può posare e dispare, presso le bianche figlie del mare.
6.IX.1975
L’età più sincera
I mai vissuti giorni io cercavo, circonfusi dei sogni della mente, dove un’aura di dolce conoscenza coronasse il sorriso, in un’età più sincera di questa. E non esiste però una voce che ne dia il segreto.
6.IX.1975 Il segreto cristallo
Della luce io cerco il raggio puro e la trama del velo onde si scorga il segreto cristallo della vita. E non voglio sapere come in volo ci si possa innalzare ma, volando come alato il pensiero in mezzo al cielo senza fine s’addentra, irraggiungibile e invisibile stare e, nel silenzio, d’ogni sponda del mare universale trarre cantando una semplice lode per la beltà del giorno adolescente, seminandone i sogni e le speranze dentro le onde folli delle nuvole.
6.IX.1975
L’arcano mondo
L’arcano mondo mi si è svelato ed ha il destino dimostrato il sogno e la ragione ha rivelato il Nome cui corrisponde tra noi fatti stelle la verità.
14.IX.1975
Come su riva il fiume
La verità è una spada e vi s’infrange come su riva il fiume ogni parola.
14.IX.1975
Il centro
Il centro infinitesimo del tutto vado cantando. In quel punto invisibile senza indugio né attesa mi dissolvo.
14.IX.1975
Come attore la scena
Quante volte vorrei rappresentare, come attore la scena, il mio morire. Figurare il respiro della fuga come ponte amoroso verso il cielo.
14.IX.1975
Spira da lungi
Spira da lungi e avvolge il mio pensiero vento che mai potrà fare ritorno.
14.IX.1975
Spina amorosa
Spina amorosa, spina di dolore, fatta parola è la stilla che rubasti sotto la luce chiara della luna a me che, attratto, più non ricordavo d’avere sangue e, tutto fatto luce, desideroso d’amore ti baciavo. Ma tu spiccavi dalle labbra ansiose il nero filtro d’un’attesa vana, e penetrava goccia a goccia in cuore solo amarezza, invece della rosa. E mi volgevo tra le strane stelle, unico regno dell’oblio del cuore, queste mie stelle che nessuna spina mai potrà svellere dal cielo del mio canto.
14.IX.1975
Cosa racconti?
Cosa racconti, straniero viandante? Vi narrerò delle armonie di stelle.
Cosa pretendi, straniero viandante? Un’arpa muta per cantare al cielo.
E cosa cerchi, straniero viandante? Cerco l’estate nell’oblio sereno.
14.IX.1975
Ballata del santo folle
Giù dal monte cala il pazzo, cala il santo, lo straniero, cala il vecchio vagabondo senza mondo ove sostare, cala l’uomo smemorato che ha scordato le parole, cala l’uomo che ha lasciato l’intelletto, ogni sua scienza. Egli è stanco d’ascoltare, e lo stanca ogni tragedia; nel suo cuore solitario trova in sé solo commedia. E non cerca più attenzione, non ha fiato per parlare, come un vecchio pazzo strano che si secca a ragionare, ed allora cala a valle, chiama a sé chi ci vuol stare, e chi vuole può seguirlo fuor di templi, di promesse, fuor di luci e di ragioni, fuor del tempo, della vita, lungo strada senza fine, lungo via senza percorso, lungo un orizzonte vano senza veri né certezze. Chi lo vuole può seguirlo per sentirne le parole, come muto ascoltatore che s’illumina al tacere, non per valli buie e tristi, non per aspri rischi grevi, non per mari ed uragani, non per some troppo dure; per il canto della vita, l’armonia della speranza, per la forza della gioia che pervade il nostro cuore, senza veli di sapienza, senza inviti a chi non vuole, con il passo antico e grave d’un cammino aperto al cielo.
Cala il santo, cala il pazzo, e non tendono le mani, se ne vanno camminando mentre un centro van fissando, se ne vanno nel silenzio con parole di silenzio, stanchi d’essere padroni, stanchi di dover contare. E proseguono il cammino finché restano vicini solamente alla speranza, per danzare e per cantare, trascinare ed assetare con un sogno di follia la ragione intorpidita, l’assonnata libertà. E non stentano a parlare, e non hanno più stanchezza, ma guardando il centro buio sono fiumi di speranza da cui gettano correnti a fluire tra le stelle, tramutando in canto lieve l’orizzonte tutto quanto.
Altri guarda e pensa Come? poi si volta e va lontano, ed il pazzo va impazzendo, moribondo va morendo, cantatore va cantando, libertà va liberando, e il suo cuore è solitario, solitario e accompagnato, ed il pazzo innamorato va la vita sua laudando. E lo guardano chiedendo a se stessi il suo segreto, se sia amore o sia dolore, se sia Dio o sia pazzia, se sia vento o sia ristagno, se timore o se coraggio. Egli canta e in volto ride, ride pazzo di speranza. Vi è chi guarda e se ne scorda, scorda pure l’esistenza, ma lui va senza guardare, solo attento al suo cantare. Come mai corre e non cade? chiede chi sa ragionare, ma va il pazzo giù dal monte senza luce, senza guida, va ridendo da burlone al vedere lo stupore. Ora in verità vi prego che vogliate andar lontano, o la santa sua follia brucerà la verità. Con le mani inette e folli ne farà manto di ballo, e si sperderà ai lampioni d’una sagra paesana.
Cala il pazzo, lo straniero a città chiuse in oblio, cala e vede negli abissi, dentro il fondo delle valli. Parla ai bimbi che han creato mille immagini di vita, parla a chi poi s’è distrutto coi suoi sogni di bambino. Va porgendo la sua mano come appoggio per la danza, va guidandovi al gran ballo dove invita tutti quanti. Denudando la sua mente, il suo cuore solitario, alza il calice ricolmo dell’inebriata vita. Poi al ballo dà il segnale e vi lascia per danzare, e abbandona ogni paese, esce fuor d’ogni cammino, e s’immerge dentro il blu, dentro un vortice di stella.
Fuor di canto va cantando, fuor di luce va guidando, e il ricordo s’incatena, il presente si rischiara: al di là di oggi e ieri, di domani e eternità, resta un canto di straniero sconosciuto e puro, e invano corre per il mondo intero amoroso folle e strano.
21.IX.1975
La giovinezza
O Pantareo, elfo tuttofare, e tu, Tempo sua ombra, sua maschera, per un istante fermatevi. Incontra un bell’adolescente la taciturna Ebe, lo bacia, lo cosparge di fiori, lo ammanta di languore, e si dona innocente, oltre il velo del tempo trascinando l’estate.
Aquila del giorno cadi! La notte dissolve i criteri della mente e nel ricordo la giovinezza assalta l’eternità.
O silenziosa chiarità delle stelle! L’azzurro cielo è negli occhi di Ebe, le sue linee di vita procedono verso il mistero d’unione. Tutto il giorno produce il cosmo zampilli di luce mentre Ebe notturna sorride sopra il corpo del giovane reclina.
O speranza danzatrice dei tempi ricolmi, candida mano che dolce si posa sopra i miei occhi! Di là dal mondo e dalla nostra estate si mostra infine il segreto della vita: dentro i fuochi è frescura, l’immobile è nei venti.
Quando scioglie la Cosa i suoi folli veli e la Rosa cade in terra svelata di là dal mondo, di là dall’estate, Ebe regina di solitudine obliosa rinnova, distrugge, guarisce, e nel freddo tuo cuore porta un bacio dell’immenso fuoco.
E la Cosa svelata sei tu, satiro, ridente innamorato della morte, abitatore folle della mente.
E ridi, giovane antico, questo è per te solo, ridi. Quando il Tempo fa sfiorire la serra e i fiori più non volgono corolle promettitrici, il bulbo del ricordo fiorisce fiori dorati e vola l’Aquila del giorno sopra le scure nubi della terra.
29.IX.1975
Né dolore né gioia
Sento il dolore del cosmo avvicendarsi alla gioia, e non son nulla né dolore né gioia, solo vento dagli imprecisi affetti trasportato, come chimera in un sogno che, inseguita, sempre invano ti fa cenno d’amore. Così il preciso senso della morte altro non è che vita troppo amata da noi che mal viviamo nell’abisso di magiche illusioni costruito, volgendo gli occhi ormai senza vedere.
3.X.1975
Toglier se stessi dalle usate sfere
Se io guardo una cosa attentamente, non so dire se sia vento o materia, o non sia la materia un vento fisso, o il vento stesso mobile materia, perché ogni cosa innanzi mi si scioglie nella luce del cuore, ben diversa che non questa rifratta dai miei occhi. Ma i miei occhi non sanno, per paura, toglier se stessi dalle usate sfere.
3.X.1975
Le sfere
Nelle sfere del tempo ho rigirato dal basso in alto la sfera del mio spirito, finché l’ho posta tra le sfere d’oro dove tacito il tempo si discioglie. Nelle sfere del vento ho poi lasciato il mio corpo mortale a riposare; ve l’ho lasciato ch’era molto stanco, perché in silenzio riapprenda a vedere.
3.X.1975
Visione
V’erano Esseri forse che guardavano quand’io ricaddi dal vertice del Nulla. Senza ricordi ricadevo in grembo al Tempo che fluiva come un mare. La Luna rivolgeva strani aloni che coprivano il Simbolo del Cielo. Il dolore, la gioia e la suprema corteccia indifferente erano lì, come il Viso del Cosmo privo d’Occhi ed il suo canto tutto chiuso in Stelle.
8.XI.1975
La Madre del Cuore
Quando mi siedo sul confine oscuro, bello è il vortice d’acqua nella mente, e le mani del Tempo carezzevoli danno vita al pensiero, perché anche sta la Madre del Cuore ignobilmente incatenata al fondo del ricordo, e io sto come il fuoco nella brace, che non si leva e mai non si dà pace.
21.XI.1975
Se dagli antri segreti
Se dagli antri segreti una parola traggo alla luce dell’umana voce, in fondo in fondo l’un l’altro si divorano, come serpenti squallidi, i pensieri.
21.XI.1975
Il ritorno di Ulisse
Disviluppa la tela per Ulisse, o Penelope, e donagli il tuo pianto. Poi avvolgilo come fosse un bimbo dentro l’ali del sonno. Non gli chiedere com’è stato il suo viaggio. Ora riposa. Questo giorno va e passa senza tempo, tutto corre al domani come in sogno.
21.XI.1975
L’aurora, inseguendo il crepuscolo, suo irraggiungibile sposo, dà luogo al mondo
Rosa del cielo, aurora che distendi le tue ali di vento e di ricordi, confondimento magico del buio e della luce che ricopri i sensi delle visioni di confine acerbe, cerchi sui monti quel tuo sposo antico, cerchi il crepuscolo, sorvoli la marina dove si perde il gorgo della mente.
Vieni da me sulle tue lente ali, vieni da me, afflitta innamorata che mai non sai congiungere il tuo volto al volto e al raggio dello sposo tuo.
Rosso era il cielo e già si è fatto scuro, come la notte avanza il giorno scende, scende dal carro della vita e muore, muore da sempre e sempre ha da tornare, ed il crepuscolo dispiega le sue ali simili a quelle dell’aurora, e il sogno, fatto silenzio, illumina la terra.
24.XII.1975
Come in un magico archetipo di tempo
Tutte le cose vanno risonando: come in un magico archetipo di tempo mille presenti invera la speranza.
Corre all’oceano eterno ogni pensiero: si è fatto volto ogni formato auspicio, e in mille bocche ride la mia vita.
24.XII.1975
In aspra fuga
Io ti dico che il mare sono i tuoi occhi, amore, amore mio sconosciuto, amore delle passate esistenze le cui esperienze oggi in me si ripercuotono, amore del tempo felice che non fu mai, donna del cielo quale crea la mente da fantasia possente e da dolore. Hai occhi ove si bagnano le sirene arcaiche, bocca odorosa di tutte le umane illusioni, mente che domina la vita medesima. Tale è la grandezza del mio ricordo che mi fa parlare di ciò che s’involava crudelmente, contro di me nella mia lunga attesa, in aspra fuga.
24.XII.1975
Le due porte
Malinconica porta di dolore, creatura di sogno eppure quanto, ah quanto difficile a scordare! Prestano in molti ascolto alle sirene: con parole di vento, sabbia ed acqua nel cuore erigono palazzi di fanciullo. Non han trovato la porta del reale, e come per essi non piangere o, se no, non dirci noi medesimi insensati?
24.XII.1975
Come il frutto più vero
Se talvolta mi portano il dolore come il frutto più vero, per offrirmi come un simbolo proprio del pensiero, o se anche una gente disperata ciecamente mi mostra il suo soffrire, come potrei se non essendo pietra non trovare io stesso il mio dolore, la perduta illusione che ritorni?
24.XII.1975
L’ultima canzone
Canta, anima mia, l’ultima canzone e non sostare, oh no, non sostare. Se tu ti fermi, il vento correrà tra le cime del ricordo, scompiglierà le fronde del passato; il futuro si coprirà d’incertezza, alberi caduti riempiranno le vallate, i bambini piangeranno nella casa del mondo, tutti gli uomini inutilmente alzeranno lamenti.
Non sostare, o canto dorato dell’anima mia, oh canto! Il cuore scoppia se non ha canzoni, come l’arida zolla si disquarcia così io pure mi diromperò, piangeranno i miei rami disseccati e nell’arnia del tempo, desolata, non potrò più trovare alcuna vita.
30.XII.1975
La lepre
E come apparve la lepre fuggente dietro le volò il pensiero. La circondò di pensosa tenerezza, coprì la sua corsa con baci di dissolvenza. La realtà fu presa nei vortici di un sogno e un cerchio celeste si mostrò la fuga.
15.I.1976
Dalle sponde lontane
I.
Dalle sponde dei popoli dei misteri su nave veloce l’anfora della conoscenza a noi perverrà e a piene mani ne verserà su noi la sorte fiumi veloci.
II.
Allora il tempo cesserà d’esistere, l’eternità cesserà d’esistere, le cose grandi e le cose piccole cesseranno d’esistere e in noi, noi soli, sarà l’arcaico seme del vento.
III.
E poi poseremo le mani sugli occhi e le lacrime nostre sgorgheranno nel buio e lucenti balsami di dolcezza involgeranno il nostro corpo dentro la morbida infinità dell’amore.
IV.
Taceranno infine i versi degli uccelli, nel cielo si farà muto il sospiro delle lontananze e a noi dinanzi per sempre nel crepuscolo palle di fuoco e canti senza forma instaureranno in noi ricolmi amori.
15.I.1976
Esser vivi
- Esser vivi non è cosa da nulla: anni ed anni si sta senza riposo. Dai meandri terrestri sale un grido: preferiamo evitare di capire.
Ogni cosa nel mondo è come il giorno: fa il suo corso e va via senza ritorno. Solo l’uomo alla fine per noi resta: è un dolore che sale e non ci basta. Cosa che l’uomo un giorno ha creduta presto in un vuoto profondo è caduta. Cosa rimane di questa illusione? Un’infinita fame, la disperazione.
Tutte le terre nel mare son fluite, tutte le acque nel cielo son salite. Ruota in eterno il cosmo ruota nera: scende all’Averno il giorno, poi la sera. Come non ruoteremmo noi, uomini oscuri? In questa fredda notte come non scenderemmo? Attendi, fratello, l’amore è pur bello: come non credere? come non sperare? Tutte le cose hanno un riscatto: anche per questa vita avrà valore il patto. Vivere per nulla come può esser vero? Il bimbo nella culla chi mai lo ingannerà? Che demonio brutale tale potere avrebbe che il dolore col male a niente porterebbe? Quale sirena abnorme griderebbe nei venti ché la speranza enorme deludano gli eventi? Anche tristi cerchiamo di trovare la gioia: di quest’arte non può esser fine la noia.
Cosa dunque, poeta, vai cercando nel tempo? Se la certezza dura, perché tanta paura? In questa stessa vita mi pare a momenti potere anticipare la fine dei tormenti. Non è dunque paura ma, nell’oscurità, voglia di ritrovare all’uomo la verità.
21.I.1976
Oggi
Oggi è scesa dai monti la coscienza. S’aggira qua intorno, si volge verso gli angoli bui e tace. E poi trae dal cielo incantesimi e si sfanno, lievi nel nulla, rimorsi e parole.
Ecco, un unico grande ignorante diede vita alle opposte fazioni; e non dura sopra la terra un uomo che parli, se è uomo. Solo il fantasma, la memoria di un sonnambulo apre la bocca, e se ne cavano parole a iosa.
E s’addice, bene s’addice ai morti esser sepolti; e così stanno i lumi umani avvolti in spessi veli di nebbie e di timori.
23.I.1976
Quasi un’arcuata chimera
Dissolti in nulla se ne stanno i tuoi libri, e non hai voce che questa sola che ti sta nel petto pronta per nascere, non ancora nata. Quasi un’arcuata chimera su te incombe, e tu sprofondi dentro il vorticoso fiume nascente.
Mani femminee afferrano il tuo corpo e lo depongono su rive ove si chinano sirene dallo sguardo gentile e tu le guardi coi tuoi occhi distesi, come un bimbo, mentre trascorre di là dalla memoria verso lontane terre il fiume che ti attrasse.
23.I.1976
A ogni richiamo
A ogni idea do volentieri asilo; a me chi darà asilo?
A ogni richiamo do volentieri ascolto; a me chi darà ascolto?
Da che nacqui, il ricordo non mi porta compagni; solo stelle di sogno che la corsa del mondo ha infranto.
25.I.1976 |