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Dario Chioli

IL CALICE ROSSO

Poesie dei ventitré anni

 
 
Sommario
1979

Ammalato sentendo uccelli

Anima

 

Inanna

Donna libertà

L’apertura delle porte

L’Oggetto incommensurabile

Strofe sul Gran Dio dell’intima rilucenza

Quando gli angeli vanno nei giorni

Il setaccio

Quel diamante che ti splende nel cuore

Attraverso i confini del giorno

Alchimia

Lotta contro di me

Il plettro dell’onda

La Dea delle armonie

Arido verso il mondo

Stella luminosa della notte

Ali di fanello

Nel centro del sole

Il groviglio

Il vaso chiuso

 

Sulammita

Luminosa figlia della notte

1980

Madonna del silenzio

Alla limpida anima di un dio

 

In sacra danza sorgesti dal mare

Luna piena

Abbracciare il vuoto

Il frutto e il fiore

La vecchia padrona del mondo

Serbare il Vino

Dammi te stessa

Se ti fermi un attimo

Alla Luce

Il ritratto abbandonato

La tua più limpida radice

Sulla limpida riva del giorno

Ad un’amica su una strana notte

Altra volta l'amore

Madre Luce

Il calice rosso

Ali di pensieri

 
 
   
 

L’apertura delle porte

Chi potrà contrastare la mia marcia?
Camminerò vittorioso verso il Sole,
e nessuno, lo so, mi fermerà.
Sarà vano che inducano gli amici
a rinnegarmi, a svender lo stendardo
che mi condusse in questo mio entusiasmo:
camminerò nel buio e contro vento,
senza mano né traccia che mi guidi,
e di certo giammai mi smarrirò.
Quando pure vi sembrerò perduto,
non credete infine alla mia morte;
dalle ceneri risorgerò splendente,
luminoso la morte abbatterò.
Procedendo mi troverò davanti
sette porte, e tutte le aprirò,
e la Luna, il Sole e le altre Stelle
coroneranno di luce la mia fronte.
Uomo nuovo, io confesserò
il cammino della giovinezza:
mille dee a me si volgeranno,
nella vita mi reintegreranno.
Uomo vivo, voi più non mi vedrete
nello specchio grigio del dolore.
Se il mio luogo un dì conoscerete,
mille stelle a voi si volgeranno,
ed allora avrete il ricordo
di una luce ritornata alla luce.

17.2.1979

   

   

Quando gli angeli vanno nei giorni

Vorrei un tranquillo sapiente incontrare
nel folto del bosco oscuro di mia vita,
conoscerci con un cenno appena del capo
e sedermi e ascoltare,
ascoltare la verità dalle sue labbra.
Dentro mille caverne mi guiderebbe
e le ombre e il timore in me disperderebbe,
recherebbe una luce remota e familiare
di memoria riacquistata dalle riserve del cielo.
Quando gli angeli vanno nei giorni
e tempo e spazio disfanno,
incontrare sarebbe bello un uomo
che mi guidasse nei suoi grandi cammini.
Senza ritegno potremmo perderci
l’uno nell’altro alla fine del tempo
e andarcene di là dai giorni e dalle notti
verso il seno luminoso dell’universo.
Allora certo laggiù giocheremmo
a lungo, a trarre con le nostre dita
dentro i disegni dei nostri destini
trame variopinte, orditi illimiti
dall’oscurità.

27.2.1979

   

   

Attraverso i confini del giorno

I.

E noi ti daremo un segno,
ti daremo un segno
perché tu possa raggiungere Dio.
 

II.

Nascosto è il tuo regno
nel folto d’una selva antica, e chiara
la Luna splende sulla tua fronte;
il Sole ti conosce nel cuore
e tu, folle d’amore,
accogli con gli occhi ridenti
l’arcobaleno sul mare.
 

III.

Con dolci labbra voglio pronunciare
una parola che guidi al castello oscuro dell’anima,
al sogno sconfinato dell’essere.
 

IV.

Il Limite... Oh, lascia ch’io corra più oltre,
o troppo presto mi coglierà la morte.
Ho forza, ma lasciatemi
lungo il torrente senz’argine cantare.

6.III.1979

   

   

Il plettro dell’onda

Conosci, Ulisse, le immagini dei fiori
e il desiderio e il seme della nostra fuga,
oppur non è per te la terra che
tenue velo scorrente su binari di carne
fin giù verso l’oblio, il fumo, il vento
coagulati in abisso e oscurità?
Conosci l’essere gaio e il morto
amplesso dell’esistere ove corrono
gli uccelli multiformi del destino,
aridi passi sovrastando e vaghi
laghi notturni coronando in fuga?
Urlii sommessi trascorrono nel vuoto,
passi smorzati vengono al ricordo,
tu guardi il plettro flebile dell’onda
mentre ti assorbi in melodiosa pace.
Sonare è fare e disfare è morire:
tale conoscere raggiungere è rinascere:
conosci tu la strada che divaga
per le vergate poesie del cielo?

22.III.1979

   

   

Stella luminosa della notte

Stella luminosa della notte,
tu affondi i miei passi in amore.
Stillano le mie mani potente gentilezza,
sulle mie spalle si allevia l’universo.
E io vado nel vento e nel fuoco sprofondo
fiore rosso il mio esistere.

22.III.1979

   

   

Il groviglio

Fornitore di regni,
non scettri ti chiedo,
ma corona e spada.
Un immondo groviglio mi avvolge:
fammi uscire nel fuoco.

22.III.1979

   

   

Sulammita

O Madonna del buio, o Intelligenza,
o Sulammita, dea selvaggia e fiera,
dammi un bacio nel cavo della mano,
mia per cogliere il sole.

22.III.1979

   

Madonna del silenzio

O Madre, non preghiere né inni:
lascio tenue dissolversi la morte.
E ti guardo e si scioglie
fuoco azzurro il mio cuore.
Tu, Madonna del silenzio,
flebile rispondi.
E ti scopro sorgente
vagante nella vita.

22.III.1979

   

   

In sacra danza sorgesti dal mare

Vagai per terre lungi da qui,
volli contare i giorni e dire
quante avessi ragioni
di sorridere e piangere.
Tu in sacra danza sorgesti dal mare
e mi legasti le mani e la mente.
Da allora sono irrevocabilmente
preso dal viso tuo, dalla tua pace,
o tu, radice della mia natura,
o tu, parola d’ogni mio potere.
Concedi dunque ch’io fugga gli uomini,
le loro piccole caparbie illusioni:
siimi guida silente verso l’essere.

22.III.1979

   

   

Il frutto e il fiore

Chi ti rispose, dimmi, chi ti disse
che avresti raccolto il frutto e il fiore?
 
Nessuno mi rispose, nessuno me lo disse,
però raccolsi il frutto e il fiore.
 
Come potesti trovare la strada,
come riuscisti a scoprirne il segreto?
 
Nel buio nacqui, nel buio mi rivolsi
verso la notte e il sogno, ma non so
come potei marciare, e dove andare
come sapessi non dovete chiedere;
però raccolsi il frutto ed anche il fiore,
e la mia donna mi svelò il suo viso.
Mai vi dirò come fu che raggiunsi
quest’incolmabile baratro di luce.

22.III.1979

   

   

Dammi te stessa

- Dammi parole.
- Non avrai parole.
- Dammi canzoni.
- Non avrai canzoni.
- Dammi te stessa.
- Non avrai me stessa.
- Certo morrò.
- E avrai me stessa e tutto.

22.III.1979

   

   

Il ritratto abbandonato

- Chi sei tu, danzatrice?
- Cavaliere sopraffatto dal silenzio,
in bosco ansioso sperduto,
affrontando pericoli e paure,
che vai cercando e perché chiedi il mio nome?
- Per cercarti e trovarti,
per chiedere il tuo nome
sono partito, poiché m’innamorai
d’un tuo ritratto ch’era abbandonato
in una stanza del mio ricco palazzo.
Tutto mi parve allora così brutto
che me ne andai e mi spogliai di tutto.
Ora ti vedo e altro non so fare
se non chiederti il nome e sopraffatto morire.
- O Cavaliere dei miei,
figlio della mia razza,
il mio nome è un amore,
un amore immortale.
Tu meritasti morire d’un merito immortale:
certo non v’è salvezza né scampo dalla questione.
Perciò fonderò la tua nella mia forma
e tu sarai, Cavaliere, il mio sposo immortale.
- O danzatrice, dimmi tuttavia
qual è il tuo nome.
- Impassibile è il mio nome,
impassibile fuoco è il mio nome,
ed impassibile brucerò il tuo nome
e presenza di fuoco diverrai,
danzatore immortale
sul limite degli universi.

22.III.1979

   

   

Ad un’amica su una strana notte

Ad Antonella
 

Mi hai detto: “Scrivi una poesia
su questa notte strana”, e t’accontento.
Dirò dunque di noi dalle diverse
vite e esperienze uniti per un’ora
dentro la notte come nel bel mezzo
di un Redon o di un Klimt, noi vivi fiori
simboli forse d’un più grande fiore;
uniti, pure con le nostre menti
separate e dischiuse in separati
cieli e intimi laghi, eppure amanti
più che il giorno e la notte, luce e caos.
Anime perse nello sconfinato
che sottilmente vibrano a una nota
di comune raccordo, di sommaria
sovrumana memoria, che sovrasta
l’essere e il lago regno degli amori
di là dal corpo e dall’anima, di là
dall’artificio e dalla distinzione.
Io e te, nel vuoto camminando, inermi
già ci credemmo, eppure fummo vivi,
e già fu nostra un tempo la promessa,
e non c’è giorno che ci passi invano.
E questo è il segno che noi non erriamo:
la nostra pace mentre camminiamo,
pace sottile ed ardua a sentire
da cui non più vorresti, udita, uscire.

25.III.1979

   

   

Il calice rosso

Come il ramo secco d’un albero cade schiantato dal vento,
così dalla mia anima il vento ha strappato l’illusione.
Vera e limpida la visione del reale s’è dischiusa al mio sguardo
ed io, senza presumere, senza volere, senza andarne in cerca,
ho bevuto dal calice rosso della vita il libro e la spada.
Una candida Stella sulla fronte mi si è posata,
un limpido Oceano celeste nel mio cuore si è immerso,
un profondo concorso di Pianeti giù nelle cavità vaste
ha indicato una strada vittoriosa e solitaria.
Non c’è alcuno che mi segua, nessuno che mi doni
un complice sorriso, uno sguardo d’intesa:
il disgusto degli uomini mi prende, l’amore del cielo mi sovrasta,
mille fronde come uccelli neri cadono dall’albero della mia vita.
Nudo rimango, e spoglio di colori, quasi per entro un fondo pozzo
il mio corpo si sciogliesse nelle diecimila creature.

25.IV.1979

   

   

   

Ammalato sentendo uccelli

I.

Qui a sentire il dolce canto degli uccelli,
con le viscere attanagliate dal dolore,
chi più felice di me?
 


II.

Quanto più soffro, tanto più tu appari,
scacci il dolore dal cuore e solo il corpo
soffre la presa dei cattivi dèmoni;
ma che mai è, qual fuscello
al vento perduto il mio corpo?
 


III.

Se pur mi ronzi il capo e il male afferri
l’illusorio mio vivere,
pure un canto s’innalza dalla gola.
 


IV.

O tu incarnata in mille uccelli e fronde,
quante volte nel giorno parli e spieghi.
Pur nessuno ti sente.
 


V.

Incatenato alla terra volo in alto
e si lacera in mezzo il corpo oscuro.

6.V.1979

   

   

Inanna
 

O Inanna, dea della morte,
dolce e fuoco è il tuo essere.
Il cuor fragile spezzi in mille rivi,
onde fluisce il suo liquore amaro
in nero fiele e disperato vento.
Non hai voce però da liberarmi
soglia e cammino? Le fuggite ere
sono il tuo antro, regno ai savi e tomba
ai ciechi che si sfasciano da vivi.
Perciò ti cerco e investigo nel fondo
dentro i luoghi dell’anima,
e senz'altro ti posso dire in faccia
che la mia danza già da lungo ha infranto
di te l’opera oscura: non hai velo
per coprir la tua luce.

18.VI.1979

   

   

L’Oggetto incommensurabile

Sul vento vidi un uccello
correre volando.
“Oh, il canto!” gridai,
ma mi rispose:
“Non canto né parola, solamente
l’Oggetto incommensurabile, lontano,
più vicino del soffio”.

20.VII.1979

   

   

Il setaccio

O Tu, ti fai sabbioso esistere
e, al setaccio,
al cercare acque pure,
oro riscontro.

20.VII.1979

   

   

Alchimia

Nel tuo Piombo io penetro, vo in basso,
ma nel fondo non trovo che le Stelle.
Quale cielo, e quale sacra notte?
Santi templi per te la piaga e il ventre,
la tua mano ne indica l’abisso,
e non so ritrovare paragoni
in codeste larvali forme chete.
Voglio scender nel fiume che trascorre
sotto l’umida terra e lì guardare,
se ne vedo le Stelle, il tuo Mercurio.
Quindi, se il caso mi assiste e mi dà aiuto,
sgorgherà una sorgente d’acqua dolce
che nel nostro deserto di assetati
come l’Oro varrà, più che l’Argento.
Però, in realtà, il tuo caso è certo Zolfo
o, se non vale nulla, è la follia.
Se invece Stelle tu hai visto, e Sole e Luna,
sii certo, ti ha guardato e, con un canto,
l’armonioso Destino ti ha premiato.

20.VII.1979

   

   

La Dea delle armonie

O Tu, la Dea delle armonie
ha intessuto dentro di me una rete
per poterti alla fine del tempo catturare.
Ma Tu, Tu scaltro, non cercare
chi ti tagli la rete.

20.VII.1979

   

   

Ali di fanello

Lascia, o Tu, che quest’uomo t’imprigioni
con catene di ali di fanello.
La fuggevole estate non so dire
come, inseguendo, poterla fermare.
Fermati Tu, e trattieni il sole,
finché il popolo santo vinca la battaglia.

20.VII.1979

   

   

Il vaso chiuso

Ora basta parole,
chiuso è il vaso.
Questo ultimo verso
è ancora esito
dal seno dell’oscuro mondo
a Te, solo innocente.

20.VII.1979

   

   

Luminosa figlia della notte

A  M.

 

O luminosa figlia della notte,
te sola volli poiché può brillare,
candida stella del mattino, solo quella
anima che conobbe il grande buio.
Essa soltanto, e non pallide statue
concretate dal mondo vacuo, essa soltanto
vive, e al fianco può starmi. E non v’è luce
che oltre la soglia della morte e il gioco
onde noi siamo esseri muti ed ombre
che invano slittano indefinitamente
sopra la rena e fantasiosi venti.

 

7.X.1979


   

   

Alla limpida anima di un dio

A  M.

 

Poi che i corpi s’incontrano, anche l’anima
tutta appresso si fa, nel gioco accumulando
inespresse ricchezze che darà
sia, perdute, ad un fantasma in fuga,
sia alla limpida anima di un dio.
Sola, il destino e un gioco le cui regole
non conosciamo qui presso ti portarono
dentro i miei giorni. Penetrasti in essi
ed or vivendo non ne fuggirai
poi troppo presto. O forse quando annotta
volgerai al ricordo ed entrerai
ancora dentro un fantastico limbo.
Pensa allora, o segno del mio segno,
alla freccia ed al fuoco in cui t’incontro.
Così sia la terra nostra danza.

7.X.1979

   

   

Luna piena

A  M.

 

Debolezza, stanchezza, infida cenere
quell’amor che non ha splendore e luce,
ma il tuo spirito e il mio s’incontreranno infine
e ti darò un bacio oltre la carne e il fuoco.

Guarda all’azzurra vastità del cielo,
l’umida luna piena che già ci festeggia:
fuor d'ogni inganno potremo ritrovare
in noi la via che ci conduca a riva.

7.X.1979

   

   

La vecchia padrona del mondo

A  M.

 

La vecchia padrona del mondo vede basso,
gli anni le pesano e ormai più poco regge
queste emozioni e questi desideri
che ci distruggono vita e conoscenza.
Possa morire in fretta, e rinnovarsi
il nostro cuore alla luce del tramonto.
Possa morendo lei, questa domestica
follia svanire e trarre seco in nulla
l’orrore che c’imbestia e falsa e ostacola
i nostri passi, volti alle regioni
chiare del cielo.

7.X.1979

   

   

Se ti fermi un attimo

A  M.

 

Se anche fu il nostro congiungersi
umano troppo e forse troppo cieco,
non fu in noi che l’epilogo d’un lontano periodo
che alla verità sconviene, una commedia
di falsità, sconvolta dall’ardore
d’un veniente risorgere. Fu il fuoco
che bruciò le catene. E possa, infine,
mostrarsi libero, al di sotto del velo,
questo limpido amore ch’è fratello a spiriti
di noi ora più puri e non però dissimili,
anzi figli di stessi madre e padre,
poiché invero ti dico: se ti fermi un attimo,
chiaro vedrai che uomo e donna è un dio.

7.X.1979

   

   

La tua più limpida radice

A  M.

 

In te lodo la donna, amo il processo
che a te stessa conduce te e me stesso,
seguo passione eppur non m’arrovento
che per la tua più limpida radice.

Mesci, amor mio, nelle tue carezze
la tua anima e il gioco del tuo vivere.
O altrimenti va via, siimi avversa:
non verrebbe che il male,
irrimediabilmente.

7.X.1979

   

   

Altra volta l'amore

A  M.

 

Talora accade che gli esseri non sappiano
d’avere anima e spirito e si tacciano
per lunga notte senza veder stella,
e laudando soltanto pietre e sassi,
pietre essi soltanto e doloranti
per troppo peso e troppe concrezioni,
temano morte e noia e indifferenza
finché li tragga dalla sofferenza
qualche messo del cielo od un ignaro
in cui la stella appaia illuminando.
Altra volta l’amore li conduce
lungo una fragile salita, come un sogno
di là dai limiti dei giorni, oppure un’esile
nascita di dèi nel cuore, ed io ti attesto
che questo accade e molti dèi ti attendono,
sol che apri gli occhi e il cuore
e in nudità, senza inganni, li cerchi.
Vuoi tu dunque, chiedo, guardare?

7.X.1979

   

   

Ali di pensieri

Ali di pensieri,
primavere del cielo,
vaghe fanciulle
tenui come il sole,
vittoriose Chimere.
 

Pèrseo conoscimi il cuore.
 

Giù nel profondo
invoco il Solitario.

13.X.1979

   

   

Anima

I centomila uomini del cuore
cantano anima per me.

15.X.1979

   

   

Donna libertà

A  M.

 

O mia donna, donna libertà, vero volto vivo,
guardami
coi tuoi occhi limpidi come il giorno.
Lascia correre i tuoi anni
dentro le mie mani.
Il tuo seno sussulti
per amorosa pace.
O vera luce del cuore,
ben oltre quest’ora andremo,
un paese ecciterà i nostri sguardi,
vi andremo e non ci vedrà più nessuno.
Assieme scopriremo
i remoti altari scomparsi
e dimenticheremo, obliandoci,
ogni terrena furia,
giù nel vasto oceano allargandoci muti
e congiunte le anime nostre
nel mezzo delle stelle.

25.XI.1979

   

   

Strofe sul Gran Dio dell’intima rilucenza

Onore al Gran Dio,
colui che scuote le chiome
nella danza del giorno.
 

Onore al Gran Dio,
colui che accende nel cuore
la fiaccola rossa.
 

Onore al Gran Dio,
colui che naviga leggero
sull’oceano.
 

Onore al Gran Dio,
colui che dolce si volge
all’amplesso della Dea.
 

Onore al Gran Dio,
colui che gioca,
il soddisfatto, il ridente.
 

Onore al Gran Dio,
colui che dona parole
sulla punta di una spada.
 

Onore al Gran Dio,
colui che soggiorna
nel centro della stella.
 

Così prenda misura
la canzone oscura.

29.XI.1979

   

   

Quel diamante che ti splende nel cuore

A  M.

 

Per te medito nella notte
sulla limpida purezza
dell’acqua di fonte, per te
la fresca sorgente del desiderio
discopro, il fiore umido
di brillante rugiada, quel diamante
che ti splende nel cuore,
tu mia terra, mio assolato
sconfinato luogo vivo. Specchi
nei tuoi occhi la splendente
luna vagante, l’inno suo
ti risuona nel cenno delizioso del labbro,
il tuo ciglio splende come il raggiato
vestimento del sole, e la fronte
ne è cielo e ne scende,
giù dal sopracciglio dolcissimo
il naso che accoglie al di sotto
la tenue fossetta e conduce
alla madre del mondo, la bocca
ove mi perdo, illanguidito ragazzo
tornato così come quando credevo
alla semplice terra ed al semplice cielo.
Ora gli anni condussero
ad astruse coscienze i miei sguardi,
più fine ebbi l’occhio; ma perdo
il potere di scernere tra le cose del mondo
se ti vedo ti sento ti bevo il respiro.

26.XII.1979

   

   

Lotta contro di me

A  M.

 

Ti prego, lotta contro di me,
distruggi le molli certezze
che fanno di me ancora un uomo
privo di cielo sereno, le stolte
peregrinazioni d’un errore
più presuntuoso della morte. Vai
alla porta lontana della mia anima,
con dolcezza insinuati, cogline
dei pregi la rosa. Il resto
vi si bruci in inutile sfarzo.
O mia stella,
in cammino ti guardo, non sai
quanto brilli nel cuore
del deserto segreto, non sai
quale appari là dove
neppur tu sai di vivere. Io
ti ringrazio, ti lodo soltanto,
o mia dolce, per questo: che sei,
qui o altrove, sei fisica luce
del cuore dissolto in mattino.

26.XII.1979

   

   

Arido verso il mondo

A  M.

 

Arido verso il mondo, scettico,
non ho più parole per questo gioco,
irrido, scherzo, recito frasi
altre volte sentite
dire a me stesso, m’inganno
mentre vorrei tacere, parlo
come un selvaggio trampoliere
in bilico tra errore e vacuità.
Perdona, amica, per la tua amicizia,
questo acre distruggere.
Semi di morte ho ingerito,
virtù nere ho cercato.
Ma forse,
distesomi nella tua visione,
saprò rispondere al tuo cuore
come vaso all’acqua, acqua al mare,
mare al cielo;
l’esperienza sarà risanata,
scoprirò un’altra volta
le cose sante della vita
che vorresti avere, quei doni
che un bambino può fare, e colui
che è tornato due volte
alla fonte del mondo.

26.XII.1979

   

   

Nel centro del sole

A  M.

 

Abbi fede. Insistendo oltre il fuoco,
quel già conosciuto bacio
diverrà splendore, rivelerà
a noi cantori più belle cantate,
più dolci parole, la formula
per disciogliere il nodo dell’abbraccio
in luminosa pace. Non voglio
per noi un abbandono inutile,
ma stare nel centro del sole,
tu il sole io il centro, se lo vuoi,
poi ci avvicenderemo,
generando danzanti meraviglie.

26.XII.1979

   

   

Abbracciare il vuoto

Ho guardato senza vedere,
ho toccato senza sentire,
carezzato un’entità vuota,
fruito d’un piacere inesistente.
Un corpo lontano emetteva il seme,
un abbraccio lontano accadeva;
era un gran sogno irreale e ci siamo trovati
né più vuoti né più colmi di prima.
Un’illusione era solo, una parola
detta nel mezzo d’un sogno ricorrente.
Ecco toccai un velo
e lo scambiai per parete inaccessibile.
Ecco colpii il vento
e lo presi per un dèmone armato.
Ecco spesi il mio fuoco
e perplesso intatto lo ritrovo.
Splendi Sole, e tu candida Luna
pure irradia a tua volta quest’inganno.
Io che un uomo soltanto volli essere
ora mi trovo alle radici del mondo;
volli essere un bimbo che è cullato
e mi ritrovo signore del teatro.
Ecco tendo la mano, vado indietro,
non insisto, un poco solamente,
ma non regge il confine, la barriera
si è sfaldata, di là non c’è nessuno.
Guardo, forse più in là se n’è andato,
ma neanche d’un passo si spostò:
solo inganno afferro con le mani,
e la destra preme la sinistra.
Quale vuoto, quale dissolvenza,
o Signora, è il tuo regno, come vana
ogni umana sostanza. Dovrò andare
in paese lontano, assai viaggiare
per raggiungere cosa che sussista;
forse anche cesserò il cammino
solo quando ormai non cercherò.
Ingannevole Signora della notte,
hai nascosto sotto reti innumeri
il tuo semplice corpo di fanciulla.

12.I.1980

   

   

Serbare il Vino
 

Grande è l’uomo ma più grande è Dio.
L’uomo di lungi ogni dì lo saluta,
lo contempla, lo ama
con sospirante comprensione.

E finché la luce nel ventre della notte rimarrà,
io tacerò, serbando il Vino
nella segreta Coppa.

28.I.1980

   

   

Alla Luce

O Tu suprema Luce,
non cessi per mia causa
alcuna vita al mondo,
nessun essere si spenga
in quest’era oscura.

Come infatti riconoscerei
il fratello e la madre,
il padre e la sorella,
il maestro e l’amico
in mezzo al buio?

28.I.1980

   

   

Sulla limpida riva del giorno

Sulla limpida riva del giorno
oh vedessimo ancora la luce
che scendendo dal cielo si spande
sull’immobile terra dell’anima.
E potessimo ancora guardare
la più facile cosa del mondo.

28.I.1980

   

   

Madre Luce

Sii tu, Madre Luce,
il costume leggero,
ovvero il corpo nudo
di chi più volte s’è spogliato
del male e del fango.

28.I.1980

   

 
   

 

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