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DIALOGO CON LICIO ZULIANI
SU GUÉNON, GURDJIEFF E VARIE ALTRE QUESTIONI
1/11/2004
Licio - Non ho organizzazioni né guru alle spalle; mi ritrovo quasi totalmente in linea con le considerazioni espresse da Incànus nell'articolo Considerazioni metodologiche. Provvidenzialità e utilizzo dell'opera di Guénon. Anch'io ho studiato e meditato a lungo tutte le opere di René Guénon: lavorare su di esse e guardarsi dai suoi epigoni (ne ho conosciuti, anche personalmente).
1/11/2004
Dario - Mi fa piacere che anche tu assuma un atteggiamento ricco di buonsenso nei confronti di Guénon e dei suoi epigoni, nonché riguardo a guru e organizzazioni varie.
Ho pubblicato le considerazioni di Incànus perché sostanzialmente le trovo utili, anche se lui dipende forse un po' troppo da Robin, che è spesso affascinante ma meno attendibile di Guénon. Questi, che anch'io ho letto più volte per intero, spicca come una luce singolare nel panorama confuso dell'esoterismo, anche se le sue fonti non sono spesso pari a come le fa diventare lui, nel senso che di molti autori trasceglie passi particolari, trascurando di informarci su quante stupidaggini abbiano altrove detto (p. es. le follie sull'ebraico di Fabre d'Olivet, o la insopportabile presunzione di Saint-Yves d'Alveydre, che credeva di sapere ben più di quanto avrebbe dovuto pretendere), e anche se certe sue affermazioni apodittiche andrebbero prese con cautela (p. es. la sua pretesa che gli indù in realtà - conforme ai di lui punti di vista - non sostengano la reincarnazione, è perlomeno una affermazione discutibile; idem le sue affermazioni sulla reale portata temporale dei cicli cosmici indù).
2/11/2004
Licio - Vorrei toccare un punto che nella tua poni tra quelli di Guénon da prendersi con cautela, la questione della reincarnazione. Per la verità, le sue argomentazioni in proposito mi sembrano tra le più diffusamente esposte, largamente motivate, in definitiva ineccepibili. Non certo come dice Giuseppe Gorlani nel suo articolo Prospettive sulla reincarnazione (http://www.estovest.net/tradizione/reincarnazione.html), secondo il quale sembrerebbe che la questione sia stata trattata frettolosamente e solo ne Gli stati molteplici dell'essere. Queste sono forzature, così non è. Vero è che qui si accenna solo di passaggio, rinviando (con la nota 1 di pag. 73 dell'edizione Adelphi) alla trattazione completa, consistente dell'intero cap.VI – "La reincarnazione" – della II parte di Errore dello spiritismo e di parte dei successivi. Di più, per comprendere meglio (non che io abbia capito tutto, sia ben chiaro!) è necessario sbattere la testa, più e prima che su Gli stati molteplici dell'essere, su Il simbolismo della Croce, dal cap. XI al cap. XVI, cosa che ben pochi si prendono la briga di fare, essendo più comodo e facile disquisire di modernità ecc. Aggiungerò che per facilitare la comprensione di quegli ostici passaggi risulta assai utile trasporre, man mano che si procede nella lettura, il ragionamento in coordinate cartesiane e in coordinate polari. Io l'ho fatto in casa a mio uso e consumo. Ancora, chiare sono anche le parole che Coomaraswamy dedica all'argomento in quell'aureo libretto che è Induismo e Buddismo, parte II, cap. 2. E, volendo, ci sarebbe anche da consultare La via metafisica di Matgioi.
Ribadisco che non sono massone (sono però in corrispondenza con uno di loro, piuttosto importante), non sono un guénoniano settario, sul tipo dei tuoi concittadini della Rivista di Studi Tradizionali, tanto per intenderci (sono stato in corrispondenza anche con loro, ora si son posti in sonno, o che so io), non sono neanche socio del Rotary o di altre organizzazioni di mutuo soccorso (ufficialmente "filantropiche" – quando me l'hanno offerto li ho fatti correre); diciamo che sono cattolico e vado qualche volta a messa, dalla quale per lo più devo scappare a causa delle stupidaggini che vi si dicono, che vi si vedono e che vi si cantano.
2/11/2004
Dario - Quanto a Guénon e alla reincarnazione, mi sono probabilmente espresso in maniera non del tutto chiara: non è che io reputi valida la tesi reincarnazionista, e sostanzialmente sono propenso a condividere il suo punto di vista in merito. Quello che non mi convince è solo che pretenda in diversi luoghi che il punto di vista reincarnazionista non sia genuinamente indù, il che invece di fatto è.
Indù, beninteso, ma non per questo giusto. Popolare, ma non solo: lo si trova nei sermoni di tantissimi guru.
Io ho in definitiva l'impressione che la questione andrebbe sviscerata ancora più a fondo di quanto lui non abbia fatto; è ciò nonostante vero che la sua analisi è più limpida delle altre. Ma non è così chiara in essa – forse non potrebbe esserlo? – l'analisi della metempsicosi, che è concezione antica e che deve a parer mio corrispondere alla consapevolezza di talune circostanze o esperienze forse non comuni o non comunemente comprese ma ciò nonostante reali. Tale metempsicosi si trova infatti presso i pitagorici e nelle tradizioni ebraiche, e l'idea reincarnazionista ne è la grottesca imitazione. Bisognerebbe capire di che esattamente si tratti, deve entrarci con l'analisi degli stati post mortem, e con la trasmissione delle influenze spirituali (e psichiche).
Sulla Rivista di Studi Tradizionali ho steso un pietoso velo da quando avevano cominciato a ripubblicare vecchi articoli e polemiche, polemiche, polemiche...
Capisco benissimo il tuo rapporto col cattolicesimo e le sue attuali liturgie da asilo infantile, nonché coi massoni ecc. Anch'io di fatto mi trovo assolutamente isolato nel contesto quotidiano; è un destino inevitabile per chi riflette.
3/11/2004
Licio - Concordo pienamente con quanto hai scritto nella tua ultima, compreso il discorso sulla metempsicosi. Mi chiedo però: come possiamo pretendere di attingere a quanto travalica lo strumento sensoriale di cui disponiamo? Sarebbe necessario un atto di intuizione intellettuale; io riesco a comprendere cosa con ciò si intenda, ma qui mi fermo...
3/11/2004
Dario - Certo non è semplice andare di là dai sensi. L'intuizione intellettuale, mi pare, è una lampada che illumina, e anche qualcosa di più, però il cammino da percorrere e quindi da illuminare è fatto dalle proprie scelte, quelle compiute negli anni con piena responsabilità quando s'è presentata l'occasione. È il cammino di un uomo integrale, in cui ogni potenza tende al suo limite eterno, per la direzione che gli compete.
Non si può dunque essere sicuri di raggiungere una specifica conoscenza (p. es. quella della metempsicosi), salvo che tale conoscenza divenga indispensabile, ovvero sia un tassello del tuo particolare cammino. Le conoscenze superflue non solo sono inutili, ma non mi pare neppure possibile che esistano realmente.
E sai quanto me che la conoscenza astratta è conoscenza solo per modo di dire; vi sono molte più possibilità nel costruire una sedia (visto che tu sai fare anche il falegname) che nel leggere un tomo concettoso di certa filosofia.
5/11/2004
Ti ho spedito oggi i due volumetti de Le stanze interne della cristianità, che mi avevi ordinato, ed ho aggiunto un omaggio che spero gradirai, i miei Percorsi nella qabbalà.
9/11/2004
Licio - Ho letto i tuoi lavori. Di quelli che fanno parte de Le stanze interne della cristianità dico semplicemente che sono riflessioni da non chiosare, da meditare, trattando essi di una tradizione dai valori condivisi (però, da quanti?). Preferisco ora soffermarmi su quello che mi hai tanto cortesemente regalato, con dedica autografa. Dico subito che hai fatto benissimo (non a regalarmelo, a mandarmelo!). Non mi sono mai specificamente interessato alla qabbalà; è quindi questo, per me e per chi come me, come prima cosa un lavoro tanto utile quanto sintetico.
Nel merito. Il lavoro mi pare composto da una trama ed un ordito. La trama è lo schematismo costituito dall'albero sefirotico – i princìpi trascendenti – lungo il quale va ad intrecciarsi, in concordanza o in disaccordo, l'ordito delle attività generate dalle scelte dell'io individuale.
Più semplicemente mi chiedo tuttavia, come in molte altre occasioni, perché sia tutto così complicato. Non è forse scritto, e mi sembra quantomeno condivisibile, «sia il vostro parlare sì sì, no no»? Non che la semplicità manchi nel tuo lavoro, anzi, ci sono parti illuminanti in poche righe ("Le nostre ordinarie Qelippòth","Le vittime della Qelippà mistica","La posizione di Mosè" e "La posizione di Elia"); la complessità è insita nel "sistema", non diversamente da quello insito nel Vedânta esposto da Guénon ne L'uomo e il suo divenire. Per non parlare della complessità espositiva dell'alchimista ermetico J. Boehme. Personalmente mi sento assai più, come posso dire, leggero quando ho a che fare, ad esempio, con un Meister Eckhart, che non può certo essere accusato di scarsa profondità metafisica, ma che ti consente di attingere alle massime altezze dello spirito senza l'imposizione di (artificiosi?) vincoli schematici (cito, uno per tutti, il sermone "Beati i poveri in spirito", da Sermoni Tedeschi, ed. Adelphi).
Ma ciò forse dipende dal fatto che meglio sarebbe incanalarsi lungo una ed una sola via, che ti consente di arrivare in cima al monte, sulla quale la vista è di 360°, anziché girarvi intorno alla base (Coomaraswamy - "Molti sentieri per un'unica vetta"). Tuttavia per questo ci vorrebbe forse maggiore umiltà.
Quanti forse... ma, sia chiaro, parlo solo per me, a costo di passare per egocentrico.
Da qui si potrebbe facilmente passare al discorso sulla funzione utilitaristica o, meglio, provvidenziale delle religioni e quindi, per quanto riguarda il cristianesimo, al valore dei sacramenti, a prescindere dallo stato di estremo degrado in cui versa l'istituzione Chiesa.
Tempo fa sono andato al battesimo della nipotina di un mio amico. Ad un certo punto il celebrante ha detto: «E adesso che abbiamo battezzato Elisabetta Dio sarà più contento». Il bello è che quando ho detto al mio amico, che non è né stupido né ignorante, che il prete ha bestemmiato in chiesa, mi ha risposto che lui non la pensava così, perché Dio è come noi, solo... più grande. Che abbia ragione lui? Alla fine della cerimonia, poi, lo stesso prete ha detto: «E adesso facciamo un bell'applauso!» Così fu. Che abbiano ragione loro nella loro semplicità e noi torto nel nostro sofisticato disquisire?
Un'altra. Lo scorso mese ero a Trieste e sono entrato, era una domenica mattina, nella stupenda Basilica di San Giusto. La messa è alla fine e, arrivato agli annunci, il giovane officiante dice testuale: «Oggi è la giornata delle missioni e devo dirvi di mettere dei soldi nella cassetta all'entrata. Qui però la pianto, primo, per non rompervi troppo le scatole e, secondo, perché non ho più voce da quanto ho gridato ieri sera alla partita che la Triestina ha perso per 3 a 1». Dopodiché ha impartito la benedizione. Certo, su ciò non ho i dubbi di cui sopra.
Rimane peraltro l'interrogativo di fondo: pur tuttavia permane nei riti sacri e, in particolare, nei sacramenti la trasmissione di un'influenza spirituale?
10/11/2004
Dario - Che la qabbalà sia un sistema assai complesso è verissimo, si rischia di non capirci nulla, e chissà quanto poi ci ho capito io...
È anche vero che certe complicazioni talora paiono superflue, io stesso non potrei occuparmene se non quando mi sento ben disposto. Altre volte mi sembrerebbe di risolvere dei cruciverba e proprio non mi va, preferisco far tacere la mente. Tuttavia il legame del buon cabalista col testo ebraico è nettissimo, assai più che per noi, e così la simbologia del culto gli svela luci che a noi paiono lontane.
Invero poi la semplicità è talvolta più apparenza che altro, e capita che le vie semplici diventino di fatto assai difficili da percorrere, magari ben più di quelle che sembrano più incomprensibili. Sarebbe un discorso lungo assai che adesso non ho il tempo di fare.
Sull'influenza spirituale dei riti alla fine non so che dire. Penso che ci sia per colui a cui serve, ma che lo Spirito soffi anche dove gli pare, e non si faccia legare da menti e affettività prive di slancio e propense al compromesso, anche se vanno a messa tutti i giorni. La certezza però ce l'ha Dio, io e te possiamo solo supporre.
27/1/2005
Licio - Ti trascrivo di seguito, per quanto ti possa interessare, uno studio sull'Islam che mi ha mandato un corrispondente mio amico. Se ne avrai voglia e tempo , mi interesserebbe un tuo parere in merito.
[segue: Les origines du Coran. Extrait de: Les origines du Coran, Etudes classiques sur le Livre Saint de l'Islam, Ed. Ibn Warraq, Prometheus Books]
27/1/2005
Dario - Quanto a Les origines du Coran, che dire? Si potrebbe fare lo stesso col cristianesimo e con qualunque altra religione. Ognuna di esse infatti è poco documentata per le fasi iniziali, e fin troppo per talune successive. Il testo è interessante, per esempio m'incuriosisce quanto dice sui Samaritani. Quel che manca - ma è fondamentale - è semplicemente la fede in Dio. Tutti questi critici suppongono evidentemente che un miliardo di musulmani attuali più tutti i loro antenati credano in una bufala... o meglio questo è ciò che vogliono far pensare, come del resto sempre lo vollero i polemisti antislamici.
È certo più che probabile che molti isnâd siano fasulli, magari la maggior parte, come son fasulli tanti ricollegamenti iniziatici. Il tradizionalismo nominalista nasce in contemporanea con la religione, e finisce sempre per portare ad una menzognera finzione che vuol far quadrare tutto senza ammettere mai l'ignoranza.
È anche sicuro che il testo coranico è stato stabilito nel tempo con parecchie esitazioni, esattamente come il canone biblico. Ma Dio non c'entrò per nulla?
È altresì ovvio che la Madre del Libro sarà più completa del Libro scritto, ma potrebbe la Madre del Libro essere compresa dagli uomini in carne e ossa?
Io poi mi rifiuto di pensare che coloro che scrissero cose come il Libro delle Soste o il Mathnawi possano essere degli illusi.
Questi critici insomma avranno ben ragione di evidenziare in sede storica molti collegamenti (che del resto possono essere percorsi in molti modi e secondo molte ispirazioni, alcune, ben diverse dalle loro, anche assai fruttuose), ma non possono essere attendibili nel momento che la loro valutazione è compiuta come se Dio non fosse.
Per coloro infatti che agiscono come se Dio non fosse, Dio si fa assente, e non può sorgere in essi alcuna sapienza, essendo la luce della sapienza la luce stessa di Dio.
21/2/2005
Licio - Leggo nella tua Bibliografia italiana ragionata delle opere di e su Gurdjieff, utilissima, la recensione del testo di Perry, che peraltro non conosco, e che riporto di seguito per comodità dei riferimenti che farò:
Whitall N. Perry, Gurdjieff à la lumière de la Tradition (1980), Les Deux Océans-Guy Trédaniel, Paris, 1981. Libro non tradotto in italiano che si dice ispirato a Guénon, il quale nelle sue lettere si esprimeva assai male su Gurdjieff («il faut le fuir comme la peste»), di cui peraltro sembrava ignorare tutto, e a riguardo del quale non spiegò mai le ragioni del suo giudizio. Non dice molto di nuovo e non è particolarmente convincente. È però interessante per vedere come ragionano i "guénoniani" (nonché tutti coloro che giurano in verba magistri). Il problema nasce probabilmente dal fatto che Guénon, studioso di notevole rilievo che mi sono letto e riletto da cima a fondo più volte, era però completamente privo di sense of humor, mentre Gurdjieff, come rileva del resto lo stesso Perry, s'ispirava manifestamente alla figura di Molla Nasreddin, una specie di Bertoldo orientale. Ora, gli epigoni di Guénon hanno ancor meno humor del loro maestro, e gli epigoni di Gurdjieff non sono da meno. Inoltre molti dei guénoniani e dei gurdjieviani sono confluiti in varie forme di sufismo, fortemente in competizione tra di loro. Si immagini dunque cosa può succedere...
Premessa. Ho letto per intero le opere di Guénon e di Gurdjieff; tuttavia, mentre per il primo mi sono impegnato e tutt'ora sono imbarcato in uno studio di comprensione ed approfondimento della sua impalcatura metafisica, per quanto riguarda il secondo non sono andato oltre ad una lettura, diciamo, informativa, se non proprio "tirata via". Mi sento comunque di avanzare alcune necessarie osservazioni. Fine della premessa.
Da quanto scrivi sembrerebbe di capire che differenze di fondo, o di principio, o concettuali, mettiamola come ci pare, tra i due autori di fatto non ce ne fossero. Non mi pare sia così e cercherò di dimostrarlo. Tanto per ridurre un po' il campo dico subito che sono perfettamente d'accordo con te sulla questione dello humor, che ritengo il sale della vita. Di sicuro Guénon non ne possedeva; quanto ai suoi epigoni, ai quali come tu dici possiamo associare quelli di Gurdjieff, è meglio stenderci un pietoso velo di silenzio. Guénon però non sparava nemmeno giudizi alla leggera o "a sentimento"; è quindi certo che in qualche modo di Gurdjieff sapeva abbastanza per parlarne, anche se il come non ci è noto. E che il suo giudizio non potesse essere che assai negativo, dal suo punto di vista, mi pare altrettanto evidente. Per la verità, ci sono anche sicuramente punti di contatto non marginali, innanzi a tutto la feroce critica della modernità e della "nostra" civiltà occidentale. Ma è assai differente lo scenario cosmologico nel quale le due concezioni si muovono. Guénon parte da un fondamento metafisico trascendente (l'Infinita Possibilità) dal quale, per gradi, si dispiega la manifestazione cosmica senza che il fondamento stesso ne sia modificato; manifestazione che nel suo allontanamento progressivo dal Principio dà senso alla teoria dei cicli cosmici ed al concetto stesso di "caduta". Viceversa, per quanto mi pare di aver capito, la visione cosmologica di Gurdjieff (credo che di metafisica non si tratti, essendo sempre vincolata al tempo) prevede un qualche errore di partenza nell'operato del Principio, che non avrebbe successivamente potuto consentire, nella Sua Impotenza, un totale raddrizzamento. Se così fosse, si tratterebbe di una vera e propria inversione "satanica" di prospettiva, tale da giustificare appieno il giudizio, e l'esortazione, di Guénon. Comunque sia, "a scendere", ci sono molti altri punti di incompatibilità tra i due. L'importanza che Guénon attribuisce alle forme tradizionali exoteriche (religioni), l'adesione ad una delle quali è conditio sine qua non per ottenere la Salvezza, mi pare assai meno sentita in Gurdjieff se non, talvolta, financo irrisa. Ignora completamente, tra l'altro, l'induismo. In Gurdjieff, Medio Evo, Scolastica, Padri della Chiesa sono un tragico esempio di oscurantismo e una massa di ottenebrati mentali anti-cristiani. Fin superfluo ricordare che viceversa in Guénon il Medio Evo è, nel Kali Yuga, l'unico periodo di reale riavvicinamento dell'umanità ad una forma tradizionale – il cristianesimo – di reale spiritualità, e che la Scolastica ha rappresentato una vera dottrina metafisica, ancorché incompleta verso l'alto. Il concetto guénoniano di casta nell'ambito di una società di tipo tradizionale non sfiora nemmeno il pensiero di Gurdjieff, che confonde regolarmente casta con classe e relativo classismo. Così tratta anche il concetto di Santità, attribuendone la qualifica con criteri suoi personalissimi (Giuda?), tanto da farci dire con il nostro venerato Mullah Nassr Eddin: «scherza con i fanti e lascia stare i Santi!» (inoltre «chi di spada ferisce di spada perisce»). In tutto, insomma, il Gurdjieff mi sembra alquanto chiuso verso l'Alto; lo confermerebbe anche la sprezzante valutazione (una favola per mentecatti, o giù di lì) che lui dà della morte e resurrezione di Gesù. Ho detto così, come mi veniva, ma il tema potrebbe anche essere sviluppato più organicamente e per esteso; il che però comporterebbe da parte mia uno studio di Gurdjieff assai più approfondito di quanto io non abbia fatto; il che al momento non mi interessa.
22/2/2005
Dario - Di quanto mi dici su Gurdjieff capisco bene la ragione, però, come dire, non tutto è quel che sembra...
È chiaro che ai fini di uno studio metafisico Guénon è molto più ricco di Gurdjieff, nel quale è in realtà assai difficile discernere un "sistema".
Tale "sistema" è invece chiarissimo nella testa dei guénoniani, anche se - come ben sai - contro lo spirito sistematico Guénon si scaglia molte volte.
Circa il fatto comunque che Guénon non sparasse giudizi alla leggera, non sarei poi così sicuro; forse non lo faceva nei libri, ma c'è un passo della sua corrispondenza dove ipotizza che Gurdjieff sia bulgaro, col che mi sembra magari confonderlo con Deunov, il che non è proprio lo stesso... Se non sapeva neanche di dove veniva, come faceva a darne un giudizio?
Se di contro poi vai a vedere come Guénon cita Saint-Yves d'Alveydre o Fabre d'Olivet, ne dedurresti che fossero due sapienti o poco meno; ma se vai a leggere un po' più diffusamente quanto hanno scritto, troverai nelle loro opere cumuli di follie e presuntuose idiozie mescolate a pochi dati interessanti. Saint-Yves pretende di dare patenti di attendibilità alle tradizioni in virtù di quella fisima parateosofica che è l'Archeometra (a cui peraltro si dedicò anche, ahilui, Guénon, e che col suo wattan pretende ricostruire una lingua universale), e che tra l'altro un po' mi ricorda come una bruttissima copia i modelli di "lingua danzata" di cui narra Gurdjieff. Quanto a Fabre d'Olivet le sue elucubrazioni sono per lo più di quarta mano, e le sue speculazioni sull'alfabeto ebraico sono pure idiozie. Anche lui poi cercò di fondare un culto. Insomma, se c'è qualcosa che sembra antitradizionale, sono molto spesso le fonti stesse di Guénon. E poi come criticare Gurdjieff per le affermazioni su Gesù che tra l'altro non ricordo (dove stanno?) e che, se vere, potrebbero forse essere interpretate come un tentativo di costringere a non basarsi su pseudocertezze di comodo, mentre d'altro canto Guénon da nessuna parte fa accenno alla morte e resurrezione di Cristo? Come poteva, ci si potrebbe del resto chiedere, essendo islamico?
Non voglio poi infierire parlando delle oscillazioni di giudizio sul buddhismo, che evidentemente Guénon conosceva malissimo, almeno all'inizio e prima di conoscere Coomaraswamy.
Mi pare che Guénon sia negli anni rimasto fedele ad una propria ispirazione fondamentalmente gnostica, che trovò un suo esito armonico nel sufismo (quello ispirato a Ibn `Arabî), mentre se fosse rimasto nell'ambito cristiano, le sue ricerche non avrebbero portato da nessuna parte. Le fonti cristiane da lui citate sono in effetti assai povere. Non cita – mi pare – neppure un autore ortodosso, cita pochissimi Padri della Chiesa, quasi nessun mistico... della mistica parla ma non sa di che parla, scambiandola per i sentimentalismi di qualche isterica e ignorando del tutto la complicatissima dottrina in merito, del tutto paragonabile alle analoghe sufi o indù.
Quanto a Gurdjieff, a me pare che sia negli anni rimasto sostanzialmente cristiano ortodosso e se non ricordo male col rito ortodosso è stato sepolto. Per tutta la vita ha mantenuto decine di profughi russi e con grande abilità strategica pare sia riuscito a salvare e aiutare durante la guerra molta gente. Cercò di elaborare un corpus di tecniche per disconnettere la mente dalla consuetudine, e i suoi libri – e forse anche il suo stile di vita – furono elaborati con questo intento. Egli del resto spiegò che si trattava di una "quarta via", ovvero di una via provvisoria, elaborata con finalità a tempo.
C'erano comunque, nel suo modo di fare, cose che potrebbero tranquillamente interpretarsi sia come personali difetti e debolezze sia come segni che seguisse qualcosa come una "via del biasimo" (quella dei malâmatî). Bisognerebbe capire, al di là delle appartenenze, donde emergesse questa sua propensione, che potrebbe essere – nel secondo caso ipotizzato – assai tradizionale, anche se detestata dai tradizionalisti.
È vero che nella sua opera scritta manca un corpus d'insegnamenti metafisici, però molti accenni al Padre Comune e molte delle sue azioni sembrano indicare che lo desse per scontato, ritenendo indegna dell'uomo la mancanza del sentimento di connessione al divino. Quanto poi al fatto che desse la parola a Belzebù, non darei tanta rilevanza alla cosa; si può infatti speculare a lungo, può darsi abbia tratto ispirazione in ciò da fonti degli Ahl-e Haqq o degli Yezidi, ma questo non significa poi molto.
Insomma io propendo a credere che fosse sostanzialmente cristiano d'ispirazione, per quanto non più nel senso ordinario, e che cercasse di elaborare strategie per consentire a coloro che ne erano in grado di espandere la propria consapevolezza e di combattere la schiavitù mentale e interiore. Può anche darsi che in parte s'illudesse, ma come si fa ad accettare tranquillamente come tradizione cristiana la presente melassa delle parrocchie, che già all'epoca di Gurdjieff era tale, così priva di forza da non potere in alcun modo opporsi ai nazionalismi ed ai disastri delle guerre mondiali? Non è forse comunque un nobile tentativo il cercare di dare qualcosa di più diretto?
Quanto all'idea di casta, sai benissimo che non è cristiana, che nel cristianesimo è entrata a tradimento per via feudale, deturpandone il sembiante e l'ispirazione originaria. Non c'è un solo passo del Nuovo Testamento che possa dar fondamento all'idea di casta.
L'insegnamento di Cristo riguarda il qui e ora, l'apocatastasi, il rivolgimento dei modelli mentali e comportamentali necessario per ricevere lo Spirito Santo. Non riguarda la strutturazione della società. Del resto la struttura castale sembra simmetrica e spiritualmente valida da un punto di vista astratto, ma nel concreto diventa perlopiù una cosa abominevole (in India il fuoricasta non può indossare una camicia nuova, e se muore per strada, neppure lo vedono). Diciamo che sarebbe giusta se gli uomini fossero giusti, ma allora non servirebbe a nulla, perché ognuno saprebbe dove deve stare.
L'espressione evangelica del "dare a Cesare quel che è di Cesare" significa dunque solo che si deve avere il senso del limite di questo mondo contingente e che non lo si deve confondere con quello divino, non c'entra invece nulla col desiderio di fondare un organismo sociale fatto in un certo modo.
Bisogna stare attenti a non venerare le forme al posto del Formatore, le immagini al posto del Creatore (pericolo gnostico per eccellenza).
Quanto al Medioevo, sai bene che in esso, pur essendovi manifestazioni religiose importantissime, vi furono diverse fasi, in alcune delle quali il cristianesimo, non fosse stato per benedettini e irlandesi, sarebbe praticamente sparito dall'Europa. Quindi anch'esso non può essere visto troppo precipitosamente come modello. Né modello di cristianesimo può intendersi la conversione dei sassoni mediante lo sterminio, per esempio... questo cristianesimo del principe con cui morivano o si convertivano a forza i sudditi assomiglia all'insegnamento di Cristo come io e te a una tartaruga...
Tornando a Gurdjieff, è chiaro comunque che io non so dare una valutazione oggettiva e conclusiva di qualcosa che molto spesso sembra un romanzo di fantascienza (del resto non sembra qualcosa di simile anche il Re del Mondo? Certe pagine dei Racconti di Belzebù sono parenti stretti sia del Re del Mondo che di certe narrazioni teosofiche...). Il mio parere su Gurdjieff è dunque perennemente "in sospeso", il che non significa tuttavia che sia negativo.
Quanto ai suoi racconti che suppongono a tuo avviso l'impotenza del Principio, li vedrei alla maniera dei racconti chassidici: il racconto persegue un fine di trasformazione, e la sua verità non è nelle parole ma nella trasformazione. Il chasìd discute con Dio; è chiaro che sembra per un verso un'assurdità, però il "gioco divino" lo permette. La conoscenza di quello stato lo permette, perché questo atteggiamento giova alla trasformazione. La verità non è una statua immobile, bensì ciò che salva e illumina. S'incarna persino nel corpo mortale: la sua verità è inscindibile dalla vita, al punto di attraversare la morte per attuarla. Il problema di certe adesioni occidentali alle forme orientali, è che scordano che la verità è accessibile solo in rapporto con la propria interiore trasformazione, cercano una verità astratta, una sorta di visibile cattedrale, senza comprendere che l'unica vera cattedrale deve essere l'uomo stesso. Direi, dunque, che tutte le volte che si afferma vero qualcosa che non si è assimilato direttamente, si pronuncia il nome di Dio invano (forse per questo Gurdjieff usava al posto dei "termini tecnici" delle parole coniate ex-novo assolutamente non memorizzabili, nel tentativo di ottenere la comprensione aggirando la passione della mente per le etichette). E un proverbio irlandese dice che la menzogna che salva una vita è migliore della verità. Io aggiungerei che, salvando, "sembra" una menzogna, ma "è" invece un'espressione di verità adeguata al contesto.
Quanto al fatto che Gurdjieff non fosse ricollegato "iniziaticamente", direi che: 1) non si può esserne sicuri affatto; 2) il fatto che la trasmissione iniziatica vada espressa con un rito particolare (rito, non cerimonia) non è poi così certo. Molti isnâd sono falsi (ne dà eccellente documentazione il Massignon), molti ricollegamenti sono effettuati in sogno, molti sapienti lo divennero senza ricollegamenti evidenti (a cominciare dallo stesso Ibn `Arabî, che disse di aver avuto come primo maestro Gesù), e non tutte le tradizioni parlano di cose del genere o vi danno la stessa importanza. L'affezione per il "ricollegamento" sai benissimo del resto a quante follie abbia portato gli epigoni di Guénon. Dio infatti è ovunque, e ovunque Dio è presente, lì è possibile incontrarlo. È chiaro che chi lo incontra è "ricollegato". Se no, a che ricollega il ricollegamento?
Ma su questo il dibattito, come ben sai, può essere protratto all'infinito.
Postilla: non so quanto Gurdjieff conoscesse l'induismo (le sue danze sacre, peraltro, e quelle che racconta di aver veduto utilizzare un certo alfabeto gestuale, mi ricordano quelle del sud dell'India), ma certo ben lo conosceva Daumal, che ne fu discepolo, nel mentre che studiava assiduamente anche Guénon...
28/2/2005
Licio - Torno tuttavia sulla tua risposta, per la quale ti ringrazio per l'impegno profuso oltre che per i contenuti, limitatamente ai punti sui quali parzialmente dissento.
Che i guénoniani intendano quello del "maestro" come un "sistema" è vero, ma ciò non corrisponde minimamente al suo pensiero. Egli è certamente assai rigido nelle sue proposizioni; le quali però non sono un'impalcatura da lui personalmente elaborata, bensì costituiscono, per quanto possibile, una sorta di "divulgazione" delle verità universali ed eterne in linguaggio accessibile agli occidentali di buona volontà. Così per lo meno lui la intendeva.
Per ciò che pensava di Saint-Yves, che accomunava nel giudizio ad Ossendowski, non mi pare ne avesse grande considerazione (vedi fine del cap. 1 de Il Re del Mondo). Su Fabre d'Olivet non mi esprimo perché lo conosco poco, ti credo sulla parola. Circa però L'Archeometra, è questa un'opera attribuita a Guénon dalla casa che pubblica quel libro, per ovvi motivi, ma è sicuro che d'altro non si tratta che di una raccolta di articoli apparsi su La Gnose, difficilmente attribuibili direttamente a René Guénon, allora comunque poco più che ventenne ed "intrigato" con associazioni ed organizzazioni anche assai discutibili.
Circa i giudizi pronunciati da Guénon sul buddhismo hai invece ragione.
Per quanto riguarda tuttavia, più in generale, le vere fonti "sapienziali" di Guénon, in effetti se ne sa poco o nulla; lui ha sempre mantenuto su ciò il massimo riserbo, e secondo me ha fatto bene: i moderni critici storiografici, con "scientifica" rigorosità, ne avrebbero fatto "carne di porco", buttando l'acqua sporca con il bambino, senza sapere di che si parla.
Sulla mistica cristiana sfondi una porta aperta: il mio autore preferito è Meister Eckhart; anche qui, però, non è che sia solo una questione semantica? Non si potrebbero chiamare i mistici altrettanto appropriatamente "esoteristi cristiani"? Di ciò, se ti va, magari potremo riparlare.
Morte e Resurrezione di Gesù secondo Gurdjieff. – Sono andato in cerca, si trova ne I racconti di Belzebù, libro 2, cap.38 "La Religione", da pag. 613 della mia edizione Neri Pozza alla fine del capitolo. Qui Gurdjieff offre il peggio di sé, a mio modo di vedere, peggio di quanto ricordassi, assieme alle amenità intorno a "San Giuda". Che per lui fossero inconcepibili "trasformazione" e "reintegrazione" nel Principio della modalità corporea è un palese segno di incomprensione metafisica. Che poi lui sia apprezzabile per altri versi, sia spiritoso e simpatico, sia stato dotato di inusuali "poteri" e di personalità fuori dal comune, questo è incontestabile. Ma quanto può aiutare nella ricerca dell'elevazione spirituale, o quanto la può addirittura ostacolare? Sono interrogativi, sia chiaro, ma personalmente preferisco tenermi a rispettosa distanza, come si conviene con... Belzebù!
L'idea di casta. – È chiarissimo che trattasi di un concetto del tutto astratto e teorico, nelle condizioni in cui versa il mondo sin dall'inizio dei tempi cosiddetti storici. Ma se la inquadriamo nella teoria dei cicli cosmici e la poniamo, per dire, a fondamento organizzativo della società dell'età dell'oro il tutto ci appare perfettamente logico e credibile. Sì, ma oggi, che ce ne facciamo? Nulla, ma sapere è meglio che non sapere, come diceva un vecchio furbone di mio comandante. Su tanti altri punti della tua ultima sono assai d'accordo: tutti quelli che non ho toccato. Non è poco!
28/2/2005
Dario - Sull'Archeometra non ho mai capito bene come stia la cosa. Non sarebbe poi un gran problema se Guénon avesse scritto delle cose di dubbio valore quand'era giovane, firmandole col proprio nome o con uno pseudonimo, non fosse che ripetutamente pretese di non aver sostanzialmente cambiato idea giammai. Non so però se è possibile che nel caso dell'Archéomètre gli abbiano attribuito un ruolo d'autore se lui non c'entrava nulla. Si direbbe che debba perlomeno essere stato un po' coinvolto nella cosa (come del resto nell'affare dei Polaires) il che mostrerebbe che la sua opinione su Saint Yves d'Alveydre non era forse, almeno all'inizio, così bassa come dici tu.
Sui mistici io sono abbastanza d'accordo con te, è Guénon che non lo sarebbe stato affatto, perché i mistici cristiani non hanno un "ricollegamento iniziatico".
Sulla casta dell'età dell'oro, siamo d'accordo. Il problema è che nell'età dell'oro non c'è forzatura di sorta, pertanto nessuna necessità di descrivere la società in termini di casta. Si tratta infatti quasi di una sinonimia, come chiamare blu l'azzurro: chiamare "struttura castale" quello che altrimenti magari chiamerei semplicemente un'armonia di ruoli a che serve?
Quanto al san Giuda di Gurdjieff, ammetto che suona un po' sconcertante. Sembra rifarsi a vecchie tradizioni gnostiche, più volte condannate dalla Chiesa Universale sia cattolica che ortodossa. Esiste tuttavia dal punto di vista esegetico un problema reale: se leggi bene i Vangeli, trovi che a un certo punto gli apostoli vanno in giro e predicano la parola di Cristo con efficacia e operano guarigioni. E in nessun modo si può affermare che Giuda non avesse parte in ciò. Quindi la storia del suo tradimento è effettivamente una storia oscura, da un lato il suo ruolo è necessario alla resurrezione, d'altro canto ha probabilmente operato miracoli e predicato in nome di Cristo, ma per altro verso ancora lo vende per lucro o per delusione, suicidandosi.
Ad ogni modo avrei preferito non ci fosse, questa storia del san Giuda, per accettare la quale bisognerebbe rigettare i Vangeli stessi, pur potendo supporre che anch'essa sia stata scritta per scardinare le basi consuetudinarie di gente troppo sicura delle proprie pseudocertezze.
Il dubbio sulla resurrezione, tuttavia, non può essere un discrimine rispetto a Guénon, perché sai benissimo che anche l'Islam non ammette la resurrezione di Cristo, perché non ne ammette la crocifissione, e le sue tradizioni sul "sostituto" che avrebbe sostituito Cristo sulla croce non sono poi così chiare a un cristiano.
Insomma, alcuni tuoi dubbi paiono più che fondati, e li posso anche condividere. Però l'uomo in genere non è monolitico, e neppure è così monolitico Gurdjieff.
A me lo studio di Gurdjieff è servito per scardinare qualche eccesso di sicurezza. Ma devo dire che a me è servito tutto, persino Crowley, che non consiglierei però a nessuno... come a nessuno consiglierei le sopravvivenze della "Quarta via". Di questa infatti, che svolgeva una funzione provvisoria, non hanno probabilmente potuto restare in giro che cose poco dissimili da un cadavere. Tra l'altro vi è una sostanziale chiarissima analogia tra la rissosità interna dei gurdjieviani e quella dei guénoniani, ambedue di fatto discepoli - per pigrizia d'indagine - di qualcuno che non ne voleva affatto.
3/3/2005
Licio - Lo scambio epistolare è stato utile, perlomeno a me di sicuro. E, infine, le nostre posizioni sono alquanto vicine. Certo, dubbi ne restano tanti; primo forse tra tutti sta nella domanda se non sarebbe meglio intraprendere un unico sentiero per l'ascesa anziché continuare a girare intorno al monte alla ricerca della via migliore (conosci lo studio di Coomaraswamy "Molti sentieri per un'unica vetta"?). E non aveva anche la sua parte di ragione Guénon quando consigliava ai più (parlo per me) di dedicarsi esclusivamente alla pratica exoterica, che per lo meno ti mette al riparo dal peggio? Ma come si fa ad affidarsi alle parole dei preti, di questi preti? Allora uno sta per conto suo e... spera, magari cercando di divertirsi; in debito stato di allerta, perché l'avversario non dorme mai. Ed a guardarsi attorno c'è di che aver paura: sono proprio convinto che al fondo manca ben poco. Dirai: l'hanno detto in tanti, oramai da gran tempo, e non è successo niente. Intanto, che non sia successo niente non è vero, è successo e succede, eccome! Eppoi, è vero che i vecchi da che mondo è mondo hanno sempre rimpianto i bei tempi andati; e se avessero avuto sempre ragione i vecchi, nel senso che la discesa ciclica porta per gravità a Malebolge? E chi è il Signore di Questo Mondo? A dire il vero, qualcosa in proposito c'è anche sul tuo sito, a firma del "Canuto", che riprende da Robin e Guénon, il quale molto ha scritto all'argomento. Un tuo intervento non sarebbe tuttavia fuori luogo, pensaci.
3/3/2005
Dario - Lo scambio è servito anche a me, anzi, quasi quasi vorrei chiederti il permesso di estrapolare le parti non private del nostro carteggio Guénon/Gurdjieff per rendere il dibattito che esprimono di pubblico dominio. Mi pare che potrebbe servire a qualcosa.
Circa la "gravità" di Malebolge ho un libro dell'abate aostano Pession dove l'Inferno proprio per gravità viene posto, quale "astro tenebroso", al centro dell'universo, il che m'ha sempre colpito stranamente.
19/5/2005
Licio - Ti trascrivo di seguito un ampio stralcio da un documento (peraltro reperibile in rete) di un mio amico corrispondente, con il quale i motivi di dissenso si sono strada facendo ampliati. Dissenso che, in sintesi, si riduce al diverso peso che noi attribuiamo all'incidenza che il trascendente e lo spirituale debbono avere nelle nostre valutazioni epistemologiche. Per me è tutto. Per lui, non so. Dico questo tuttavia con rispetto e senza presunzione, perché volentieri riconosco il suo elevatissimo livello culturale e la sua grande erudizione
19/5/2005
Dario - Circa il tuo corrispondente, che dire? Non sento nelle sue parole l'eco dello Spirito, e in fondo è questo il punto fondamentale. Certo è colto e intelligente, probabilmente di dialogo brillante, ma l'acumen animae dov'è?
Il problema della "ricostruzione della Via Originaria", se posso esprimermi un po' baroccamente, è che non è possibile senza acumen animae, e anche avendocelo non consisterà in esiti di conoscenza storica. La conoscenza storica è fatta più che altro di informazioni probabili e improbabili, senza quasi mai criteri di certezza.
Quanto poi al futuro del cristianesimo, non è manco quello il problema; il futuro è "nelle mani di Dio" e volerne sondare a fondo i sentieri è pura follia.
Infine, circa la storicità di Gesù, Madonna ecc., non è che sia poi molto meno provata di quella di altri personaggi comunemente accettati. Certo fa problema la questione dei miracoli. Ma le vie di Varuna (tanto per stare in India, fuori dall'ambito cattolico) sono tortuose. Non sarei troppo sicuro che non gli piaccia giocare con hapax legomenon e altri fenomeni irripetibili...
Quanto poi al mundus imaginalis, pur degno di grande attenzione, non dimentichiamo che le vie della sapienza devono essere accessibili anche a chi non ha la laurea... anzi, può darsi che avercela sia una controindicazione (mi suona facile dirlo perché non ce l'ho neppure io).
Di Sodalitium – citato nella lettera – non vale la pena parlare, sono completamente fuori di testa. Il loro Dio mi sembra spesso assomigliare più all'Avversario che al Padre. Dei nemici infatti cerchi i difetti, dei figli e degli amici godi i pregi e trascuri le manchevolezze. Probabilmente riversano una fondamentale insicurezza e chissà quali compromessi etici in una declamazione pseudospirituale senza senso (non ho però letto certo tutto di Sodalitium, può essermi sfuggito qualcosa di valido, anche se, vista la compagnia, ne dubito).
Guardo con curiosità Ratzinger, io non praticante da quasi trent'anni: mi interessa, anche se forse non potrei davvero comunicarci. Il problema di vescovi e papi è che devono decidere per milioni d'uomini, il che implica scelte necessariamente imperfette relativamente a tutta una serie di casi individuali. Il loro principale pregio mi pare possa essere il saperlo e accettare ciononostante per amor di Dio.
20/5/2005
Licio - Sono del tutto concorde con le tue valutazioni; da tempo pensavo così ma talvolta è bene consultarsi anche con persona in cui riponi fiducia, oltre che stima e simpatia. Senza voler tranciare giudizi fuori luogo, è esattamente l'afflato spirituale che sembra difettare in queste persone, per cui ogni studio, anche il più erudito, suona come individualistico.
Ti segnalo un sito di cattolici tradizionalisti lefebvriani - Inter Multiplices Una Vox - che contiene anche qualche lavoro apprezzabile.
Concordo anche su Ratzinger: ho accolto la sua nomina con un gran sospiro di sollievo, temevo davvero che potesse succedere l'irreparabile che avrebbe portato alla fine della Chiesa. Almeno questo è per ora scongiurato, che Dio gli conceda lunghi giorni...
In che senso il 28/2 dicevi che Crowley ti è servito? Io non l'ho letto perché la sua magia sessuale non mi interessa e credo riservi solamente pericoli; a meno che tu non intendessi dire che ti è servito appunto per esorcizzarli... ma non si dice anche che chi va al mulino si infarina?
20/5/2005
Dario - Caro Licio, su Crowley sostanzialmente confermo. Non lo consiglio a nessuno, gran parte delle sue affermazioni è pura invenzione, però chi ha un po' di discriminazione può leggerlo benissimo; non è credibile ma è interessante per i curiosi, e potrebbe risultare persino utile come contravveleno verso certi bigotti esagerati, tipo i genitori stessi di Crowley.
Peraltro ho verificato che un sacco di gente che si considera esoterica in fondo non fa altro che magia sessuale, il che mi lascia sempre, te lo confesso, piuttosto interdetto.
Pur tuttavia non posso negare del tutto che possa esservi qualcosa di interessante in tale magia sessuale, per certi aspetti essendo affine al Tantra. Sarebbe un discorso assai lungo da fare, e che non farei certo con un ragazzino. Il fatto è che le strade della conoscenza non sono prevedibili, e se per esempio tu leggi la Bibbia troverai un sacco di atti profetici poco consoni alla morale comune. Con ciò non voglio in alcun modo paragonare Crowley ai profeti, Dio ne scampi, ma solo dirti che posso anche immaginare come un ambiente bigotto possa generare qualcuno che per sopravvivere diventi un tossico ipernarcisista e anticonformista come lui, che del resto aveva anche qualcosa di fuori dell'ordinario che emergeva a tratti.
Comunque la Fraternità di Luxor a cui appartenne, pare, Guénon, non faceva ricerche poi molto dissimili da quelle di Crowley, che da parte sua fu apprezzato da Evola ma anche da Reghini. Io tendo a pensare che a tutti quanti costoro, e ai tradizionalisti in genere, mancasse e manchi la carità, e pertanto abbiano preso e prendano infine enormi cantonate, perché senz'amore non c'è la luce di Dio. Però togliti ogni illusione, se ce ne hai, che ci siano stati molti esoteristi che non abbiano attraversato queste dubbie strade, perché penso proprio che se così pensi ti sbagli (Guénon incluso). Ed è forse questa una delle ragioni principali che mette così in contrapposizione i sedicenti esoteristi e la Chiesa. Non tanto perché questa condanni l'uso rituale del sesso, quanto perché cotesti sapienti, assai meno miticamente, non reggono i propri sensi di colpa, essendo nel profondo rimasti assai infantili, e pertanto forzano la propria posizione fino a contrapporsi più del necessario. Per praticare il Vâmâcâra ci vuole infatti un equilibrio in loro totalmente assente.
Darò un'occhiata a quanto mi proponi. Mentre scrivo, sto anche scaricando i testi di Ratzinger da Una Vox, però il contesto del sito mi pare un po' tanto solito... loro i giusti gli altri i traditori...
21/5/2005
Licio - Non ho mai avuto una grande propensione per Evola, che ritengo un furbacchione italiota autotedeschizzato; nemmeno Reghini mi convince granché; De Giorgio mi pare una persona più limpida e profonda, ma di lui conosco poco, anche perché poco si trova. Guénon è altra cosa, anche se certamente era anche lui un uomo con tutti i suoi limiti e difetti; in altra occasione vorrei trattare con te della "sua" metafisica.
1/7/2005
In questi giorni sto leggendo le Meditazioni sui Tarocchi, formalmente di Anonimo, effettivamente di Valentin Tomberg, in due volumi editi da Estrella de Oriente. Non che io sia in tutto e per tutto sulla stessa linea, è però una buona ed utile lettura che, nel caso tu non conoscessi, mi sentirei di consigliarti a cuor leggero.
28/7/2005
Ti trascrivo alcuni stralci delle riflessioni che Valentin Tomberg, l'autore di Meditazioni sui Tarocchi di cui ti ho già detto, fa in merito a Gurdjieff. Per conto mio sono assai centrate.
Parlando dell'esperienza spirituale esistono quindi anche frutti dell'esperienza che devono essere rigettati. Sono quelli dovuti a rapina, cioè ottenuti senza pena né sacrificio. Così Gurdjieff, il maestro di Ouspensky (l'autore del Tertium Organum), insegnava che esistono tre vie per uscire dal recinto dell'inesperienza e della coscienza ordinaria - la via dello yogi, la via del monaco e la via dell' 'uomo astuto' (put khitrogo chelovieka in russo). Quello che lo yogi e il monaco acquistano dopo lunghi sforzi di disciplina e di sacrificio, l' 'uomo astuto' (khitryi cheloviek) può acquistarlo senza sforzo, senza sacrificio e quasi immediatamente prendendo una pillola contenente alcune sostanze appropriate. [...]
Gurdjieff è solo un rappresentante della causa della scienza materialista che davvero sa ciò che vuole, essendo lui stesso un uomo il quale sa benissimo ciò che vuole. Era del resto un uomo di buona natura, dotato di uno squisito senso di humour, buon figlio, buon amico, uomo di buon senso e molto intelligente – per indicare solo alcune delle sue qualità più evidenti. Sarebbe dunque sbagliato vedere in lui un 'profeta delle tenebre' o lo strumento di una specifica 'missione satanica'. No, era semplicemente un ottimo rappresentante della 'saggezza di questo mondo', cioè del buon senso e dell'esperienza empirica 'senza alcun misticismo'. Gurdjieff di certo non è più 'satanico' di quanto lo sia il celebre fisiologo russo Pavlov o qualunque altro rappresentante della scienza materialista.
30/7/2005
Dario - Per quanto riguarda le parole di Tomberg, sono abbastanza equilibrate, ma forse sminuiscono un po' il livello di Gurdjieff. Inoltre, definirlo "materialista" mi sembra un fraintendimento.
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