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Una versione francese del Trecento della lettera del Prete Gianni

trascrizione, traduzione e note di Dario Chioli

 

 

Ho trascritto e tradotto questo testo principalmente perché me lo sono trovato davanti agli occhi e non riuscivo a decifrarlo, cosa che è tra quelle che non sopporto agevolmente. Una volta decifrato, m'è parso che, visto che per capirlo avevo dovuto trascriverlo, sarebbe stato interessante mettere a disposizione degli studiosi tale trascrizione, il che ha determinato sia che lo traducessi sia tutt'una serie di revisioni, note ed interpretazioni con cui in fondo mi sono divertito.

Non è possibile dire che il testo costituisca una fonte diretta d'insegnamento spirituale; è interpolato da considerazioni alquanto faziose e vili tese a sostenere la politica di Filippo il Bello, ma anche questo in fondo risulta storicamente interessante, come interessante è analizzare la stratificazione dei contributi, se pure io non ho qui inteso diffondermi in tale studio - per me in fondo marginale - più di tanto. Nel nostro testo sono comunque presenti - e simbolicamente coinvolgenti - parecchie tradizioni sul Prete Gianni, anche se la versione più ricca e lucida della Lettera è senz'altro quella latina, riprodotta e tradotta da Gioia Zaganelli (vedi sotto), a cui rimando chi voglia approfondire. È tuttavia vero che sia nelle altre due versioni da lei riprodotte sia in questa vi sono parecchi elementi che nella latina non compaiono.

Di storico c'è che la Lettera del Presbyter Iohannes apparve intorno al 1165, suscitando anche, nel 1177, una risposta di papa Alessandro III, da questi affidata al suo medico personale in qualità di ambasciatore, il quale scomparve però nei deserti iracheni (cfr. Bussagli). Per secoli si cercò inutilmente questo straordinario re defensor fidei, identificandolo con i più diversi personaggi, dapprima soprattutto in India ed in Asia centrale, ed in ultimo, ad opera soprattutto dei portoghesi, con il sovrano abissino.

Per le considerazioni relative al possibile significato interiore delle storie sul Prete Gianni, rimando per il momento a quanto ho molto sinteticamente detto introducendo Un testo medievale sul Re del Mondo .

Trascrivo e traduco qui la versione francese proposta - in formato .pdf, visibile on line e scaricabile - sul sito della Bibliothèque Nationale Française - http://gallica.bnf.fr - dove se ne dice quanto segue:
«Autore: David II (imperatore d'Etiopia) - Titolo: [Les] diversités des hommes des bestes et des oyseaux qui sont en la terre de Prestre Jehan - Pubblicazione: Numero BNF dell'edizione di Cambridge (Massachussetts): Omnisys, [circa 1990]. Riproduzione dell'edizione di [s.l.]: [s.n.], 1483 - Descrizione: circa 11 p. - Collezione: Libri francesi prima del 1601; 172.5 - Note: Data d'edizione del microfilm proveniente da un catalogo di editore - Soggetto: Africa - Descrizione e viaggi - Opere prima del 1800 - Settore: Geografia e viaggi - Identificatore: N053127».
Nel sito è riportata anche quella che sembra una una versione parziale e modernizzata della precedente e che viene così descritta:
«Autore: Jean, Prêtre - Titolo: Lettre de prêtre Jehan au pape et au roy de France: contenant les diversités des hommes, des bestes et des oyseaulx qui sont en sa terre - Pubblicazione: [s.l.]: [s.n.], 1758 - Descrizione materiale: paginato 48-69; in-8 - Note: Estratto dal ?Conservateur? di aprile 1758 e accompagnato da un commentario e da una nota manoscritta - La data del testo presentato è sconosciuta [13??] - Soggetto: Cristianesimo 600-1500 (Medioevo) - Notizia n°:  FRBNF30649022».
De La lettera del Prete Gianni, apparsa in Europa intorno al 1165, Gioia Zaganelli ha pubblicato presso Pratiche Editrice, Parma, 1990, testo originale e traduzione italiana di tre diverse versioni, una latina, una anglo-normanna ed una in francese antico, quest'ultima abbastanza simile alla nostra anche se nient'affatto identica, delle quali come della sopra citata versione settecentesca mi sono qua e là giovato nella decifrazione del testo. Il testo della BNF è infatti abbastanza difficile da interpretare, ed alcuni punti sono quasi illeggibili.
La mia trascrizione è perfettamente conforme all'originale, salvo che ho sciolte le abbreviature ed ho introdotto per comodità la numerazione dei paragrafi.

Dario Chioli, aprile- maggio 2003


Sensuiuent plusieurs nouuelletes et diuersitez estans entre les bestes en la terre de Prestre Jehan.

Sensuiuent plusieurs nouuelletes et diuersitez estans entre les bestes en la terre de Prestre Jehan.

Vengono qui di seguito esposte molte novità e singolarità esistenti  tra le bestie nella terra di Prete Gianni.

VNG   DIEU

UN   DIO    

VNGNE   FOY     

VNG   ROY

UNA   FEDE

UN   RE

VNGNE   LOY  (*)

UNA   LEGGE (*)

(*) Nel testo riprodotto dalla BNF questa pagina è riportata per ultima (tredicesima, essendo vuote la 1 e la 14), ma sembra proprio costituire il cappello introduttivo.

* * *

1 Prestre Jehan par la grace de Dieu roy tout puissant sur tous les roys chrestiens.  Mandons salut a lempereur de romme. Et au roy de france noz amis. (*) Nous vous faisons scauoir de nous de nostre estat et du gouuernement de nostre terre. Cestassauoir de noz gens et de nos manieres de bestes. Et pour ce que vous dictes que noz grecs ou gens gregoises ne saccordent a adorer dieu comme vous faictes en vostre terre.(**) Nous vous faisons scauoir que nous adorons et croyons le pere le filz & le sainct esperit. qui sont troys personnes en vne deite et vng vray dieu seulement. Et vous certifions et mandons par noz lettres selleees de nostre seel de lestat et maniere de nostre terre et de noz gens. Et se riens voules que faire  puissons  mandes le nous car nous le ferons de tres bon cueur. Et si vous voules venir par deca en nostre terre pour le bien que nous auons ouy dire de vous nous vous ferons seigneur apres nous, et vous donnerons grandes terres seignouries et habitations.

1

1 Prete Gianni per grazia di Dio re potentissimo su tutti i re cristiani. Salutiamo l'imperatore di Roma ed il re di Francia nostri amici. (*) Vi facciamo sapere di noi, del nostro stato e del governo della nostra terra. Vale a dire delle nostre genti e delle nostre specie di bestie. E per ciò che voi dite, che i nostri greci o genti greche non concordano nell'adorare Dio come fate voi nella vostra terra, (**) noi vi facciamo sapere che adoriamo e crediamo il Padre, il Figlio e il Santo Spirito, che sono tre persone in una deità e un vero Dio soltanto. E vi accertiamo e informiamo per mezzo delle nostre lettere sigillate col nostro sigillo circa lo stato e la condotta della nostra terra e delle nostre genti. E se volete qualcosa che possiamo fare informatecene perché lo faremo assai volentieri. E se voi volete venire per di qua nella nostra terra, per il bene che di voi abbiamo udito dire noi vi faremo signore dopo di noi, e vi doneremo grandi terre, signorie ed abitazioni.

(*) Si noti che, delle versioni tradotte da Gioia Zaganelli, la  latina e l'anglo-normanna sono indirizzate all'imperatore di Costantinopoli, ovvero rispettivamente «Emanueli, Romeon gubernatori» e «Al treis gentil empereur | De Costentinoble rei e seignur» (Manuele I Comneno, 1143-1180), mentre quella in antico francese è indirizzata «a Fredri, l'emperour de Rome», che per la data della lettera dovrebbe essere Federico I Barbarossa, 1152-1190, morto nella III crociata, anche se può darsi che il traduttore francese avesse piuttosto in mente, anacronisticamente, Federico II  Stupor Mundi, 1212-1250, che a differenza del primo, fu effettivamente incoronato re dei romani nel 1212, e imperatore a Roma nel 1220.
Si tenga tuttavia presente che i Romani (Rûm) in tutto il medio oriente erano i bizantini, tanto che la XXX  sura del Corano, che parla delle guerre tra bizantini e persiani, s'intitola appunto Al Rûm.
Nell'intitolazione della versione del 1758, indirizzata - come quella da me tradotta, alla quale verosimilmente è legata - all'imperatore di Roma ed al re di Francia, s'interpreta il primo come il Papa, che avrebbe allora dovuto essere Alessandro III, 1159-1181, ma sembra più credibile che i due destinatari, nell'intenzione dell'estensore francese, fossero Federico Barbarossa e Luigi VII il Giovane, 1137-1180, ovvero, anacronisticamente, gli alleati Federico II e Filippo II Augusto, 1180-1223, se non addirittura Filippo IV il Bello, 1285-1314 - di cui cerca mediante alcune interpolazioni faziose di sostenere le spoliazioni operate a danno di Templari ed ebrei - ed Enrico VII di Lussemburgo, 1308-1313.

(**) Le parole «noz grecs ou gens gregoises ne saccordent a adorer dieu comme vous faictes en vostre terre» sembrano qui riflettere una contestazione fatta al Prete Gianni circa il fatto che le genti del suo regno avrebbero praticato la religione greco-ortodossa, il che costituirebbe un riferimento temporale al 1054, anno dello scisma tra cattolici e ortodossi, di soli 11 anni precedente alla data presunta della Lettera. In realtà, in base alle supposte localizzazioni del regno del Prete Gianni, più facile sarebbe che il suo cristianesimo fosse stato di tipo nestoriano o monofisita, piuttosto che greco-ortodosso. E in effetti c'è qui una precisa discordanza rispetto alla versione latina, nella quale parole affini a queste sono rivolte non già al Prete Gianni, bensì da questi all'imperatore di Costantinopoli.

Itemque (*) saiches que nous auons la plus haulte couronne qui soit en tout le monde. Ainsi comme dor dargent et pierres precieuses. Et de bonnes fermetes de villes de cites de chasteaulx et de bours [=bourgs].

2

Itemque (*) sappiate che noi abbiamo la più alta corona che sia in tutto il mondo. Così come oro, argento e pietre preziose. E buone fattorie, villaggi, città, castelli e borghi.

(*) Item e itemque  sono intercalari latini che tornano per tutto il testo e che vogliono dire «parimenti» ed «e parimenti».

Item saichez aussi que nous auons en nostre puissance quarante et deux roys tout puissans et bons XPestiens. (*)

3

Item sappiate anche che noi abbiamo sotto il nostro comando quarantadue re, potentissimi e buoni cristiani.

(*) Si noti l'uso dell'abbreviazione greca (XP) per il  Cristo, che tornerà anche in seguito.

Item  saiches que nous soustenons de noz ausmosnes tous les poures qui sont en nostre terre soient priues ou estrangiers pour lamour et honneur de iesuchrist.

4

Item sappiate che noi sostentiamo con le nostre elemosine tutti i poveri che sono nella nostra terra, siano essi nostri concittadini o stranieri, per l'amore e l'onore di Gesù Cristo.

Item saiches que nous auons promis & iure en nostre bonne foy a conquerre le sepulcre de nostre seigneur et toute la terre de promission. Et se vous voules nous laurons se dieu plaist mais que vous ayes grande et bonne hardiesse en vous ainsi comme il nous a este rapporte de bon couraige vray et loyal. Mais entre vous aultres francoys aues de vostre lignaige et de voz gens qui sont auec les sarrasins esquelz vous auez fiance et cuides quilz vous aident et doibuent ayder et ilz sont faulx et traitres hospitaliers. (*) Et saiches que nous 2 les auons destruitz ceulx qui estaient en nostre terre car ainsy le doibt on faire de ceulx qui vont contre la foy.

5

Item sappiate che noi abbiamo promesso e giurato nella nostra buona fede di conquistare il sepolcro di Nostro Signore e tutta la terra promessa. E se voi volete noi l'avremo, se Dio vuole, purché abbiate  in voi grande e buon ardimento, così come ci è stato riferito che avete buon coraggio, vero e leale. Ma tra voi altri francesi avete alcuni del vostro lignaggio e delle vostre genti che stanno coi saraceni, nei quali voi avete fiducia e pensate che vi aiutino e debbano aiutare, ed essi sono falsi e traditori Ospitalieri. (*) E sappiate che noi 2 li abbiamo distrutti, quelli che erano nella nostra terra, perché così si deve fare di coloro che vanno contro la fede.

(*) Ospitalieri erano detti gli appartenenti agli ordini che si occupavano di assistere i malati, ed in particolar modo quelli che, chiamati dapprima cavalieri di San Giovanni, divennero poi cavalieri di Rodi ed infine cavalieri di Malta.  È verosimile che il traduttore trecentesco francese abbia introdotto questo passo sui  faulx et traitres hospitaliers, come pure quello sui  faulx templiers del § 55, compiacendo a Filippo il Bello (1285-1314) - a cui sarebbe pertanto contemporaneo - relativamente alla distruzione da costui ordita e compiuta a danno dei Templari, mediante il sequestro dei loro beni nel 1307, la soppressione dell'ordine nel 1312 - complici papa Clemente V e il Concilio di Vienne - e lo sterminio dei suoi appartenenti, tra cui il Gran Maestro Jacques Bernard de Molay, arso sul rogo l'11 marzo 1313. Si noti inoltre che le proprietà dei Templari passarono alla Corona in Francia e Spagna ed agli Ospitalieri negli altri paesi. Tra le voci che si diffusero all'epoca ci fu anche quella che i Templari, convinti eretici, si fossero ripetutamente accordati con i musulmani a danno dei cristiani.

Item saichez que nostre terre est diuisee en quattre parties car les yndes y sont. (*) Et en la maieur ynde gist le corps sainct thomas lapostre (**) pour lequel nostre seigneur ihesucrist faict plus de miracles que pour sainctz qui soient en paradis. (***) Et icelle ynde est en la partie dorient car elle est pres de babylonne la deserte et aussi elle est pres dune tour quon appelle babel. En lautre partie denans septentrion y est grant abondance de pain de vin de chairs et de toutes choses qui sont bonnes a soustenir corps humain.

6

Item sappiate che la nostra terra è divisa in quattro parti perché vi sono le Indie. (*) E nell'India Maggiore giace il corpo di San Tommaso l'Apostolo (**) per il quale Nostro Signore Gesù Cristo fa più miracoli che per santi che stiano in Paradiso. (***) E quell'India è nella regione d'oriente giacché è vicina a Babilonia la deserta, e così è prossima ad una torre che si chiama Babele. Nell'altra regione innanzi a settentrione v'è grande abbondanza di pane, di vino, di carni e di ogni cosa che sia buona a sostentare il corpo umano.

(*) Tutt'altro che chiara questa divisione in quattro parti. Nel testo della Zaganelli tale quadripartizione non c'è, si parla solo delle tre Indie. Al qual proposito bisogna tenere presente che, mentre in epoca antica l'India veniva distinta in India intra Gangem (India tra Indo e Gange) e India extra Gangem (India di là dal Gange e Indocina), nel Medioevo la si considerava piuttosto triplice: la Maggiore (Prima, Superior) era l'attuale India; la Minore (Secunda, Inferior) l'Indocina; la Mezzana (Tertia, Meridiana)  l'Abissinia e territori vicini. Come poi possa  l'India Maggiore essere vicina a Babilonia non è evidente, a meno che non si guardino le carte dell'epoca. Per esempio T'Serstevens tra le pp. 48 e 49 riporta un mappamondo dell'XI secolo dove l'India è proprio a fianco dell'Assiria, da cui è divisa dall'Indo, mentre la Partia è posta tra Assiria e Siria. Anche quelle di Cosma Indicopleuste (VI secolo, riprodotta da Landström, p. 65) e di Beatus (VIII secolo, riportata da Landström, p. 89) consentono analoghe interpretazioni.

(**) Circa san Tommaso Apostolo, così si esprime Eusebio da Cesarea (258/265-337/340), Storia Ecclesiastica, III, 1, 1 (trad. it. Francesco Maspero e Maristella Ceva, Rusconi, Milano, 1979): «Quanto agli apostoli e ai discepoli del Salvatore nostro dispersi per tutta la terra, la tradizione riferisce che Tomaso ebbe in sorte la Partia, Andrea la Scizia e Giovanni, vissuto e morto ad Efeso, l'Asia».

Circa poi la permanenza dell'apostolo in India, ecco quanto ne dice Otto Hophan ne Gli apostoli, trad. it. di Mons. Gioachino Scattolon, Marietti, Torino, 1951, pp. 180-181: 
"Le antiche informazioni, capeggiate dallo stesso Origene (+ 253), parlano d'una attività apostolica di Tommaso fra i Parti; vengono ricordati pure i popoli dei Medi, Persiani, Ircani e Bactriani, che abitavano i territori degli odierni Iran, Irak, Afganistan e Belucistan; una leggenda deliziosamente ingenua dice che Tommaso incontrò fra i Persiani gli stessi Maghi, che un dì avevano reso omaggio al Bimbo di Betlem, e amministrò loro il battesimo. 
La leggenda, secondo la quale Tommaso si sarebbe spinto ancor più innanzi, sino cioè alla vera India odierna, ebbe a suo favore anche scrittori cattolici solo dalla metà del secolo quarto; questa notizia non è in sé inconciliabile con le più antiche; nell'India stessa è sopravvissuta sino ad oggi l'opinione che Tommaso giungesse nella regione per la «via di seta», attraverso cioè la Persia e il Tibet. Quasi negli stessi anni, molti fuggitivi giudeocristiani sarebbero arrivati per via di mare in Cochin, dove il nostro Apostolo avrebbe faticato, finché più tardi si sarebbe inoltrato nel Travancore. Una antica tradizione siriaca chiama Tommaso «guida e maestro della Chiesa dell'India, ch'egli fondò e resse». I così detti «cristiani di Tommaso», che sono sopravvissuti sino al nostro tempo nella costa del Malabar - quelli uniti a Roma ascendevano nel 1937 a 700.000 credenti -, vedono in questo Apostolo il loro padre spirituale. Nonostante però tutti questi indizi, che pur meritano considerazione, la scienza cristiana trova difficoltà ad ammettere come efficaci le prove, che si adducono a favore d'un'attività di Tommaso nell'India. V'è anche un'altra opinione, secondo la quale egli avrebbe predicato il Vangelo addirittura in Cina; ma neppure questa si può dimostrare storicamente vera.
Ancor più incerte e in gran parte fantastiche sono le informazioni sull'attività apostolica di Tommaso, che rigurgitano di miracoli; forse nessun altro Apostolo è stato quanto lui, l'«incredulo», soffocato dalla esuberanza della leggenda. Tutte queste notizie leggendarie dipendono dagli «Atti di Tommaso» apocrifi, che furono scritti nella prima metà del secolo terzo in ambienti gnostici, probabilmente a Edessa, e ben presto furono rielaborati da un cattolico siriaco o greco. Il loro contenuto in breve è il seguente: nella spartizione del mondo fra gli Apostoli, Tommaso tirò la sorte per l'India, ma per un sentimento di paura si rifiutò d'andarvi; per questo è venduto dal Signore stesso come schiavo al commerciante indiano Abbanes, che per incarico del suo re Gundaphar - alcune monete ritrovate attestano che un re indiano di nome Gundaphar fra gli anni 20-50 dopo Cristo è storicamente esistito - cerca un architetto. Tommaso, insieme con Abbanes, s'incammina silenzioso per il viaggio in India; il re accorda piena fiducia allo sconosciuto «architetto» e mette a sua disposizione enormi ricchezze per la costruzione del palazzo reale; l'Apostolo dispensa queste somme, fissate per la costruzione, ai poveri, con la motivazione che facendo così egli costruiva al re un palazzo in Cielo. Il principe inviperisce; ma gli appare il fratello defunto che lo rassicura della verità e della magnificenza di quel palazzo all'al di là, costruitogli da Tommaso; il re e suo fratello, risorto a nuova vita, si fanno battezzare.
Tommaso s'inoltra nel regno vicino, dove induce parecchie donne di stirpe principesca a eleggere la verginità anziché il matrimonio - idee gnostiche, ostili al corpo e al matrimonio, fanno spesso capolino proprio negli Atti di Tommaso -; e per questo il re Mazdai ordina a quattro soldati di infilzarlo nello spiedo. La morte di spiedo sarebbe sino ad oggi una punizione per i delitti politici secondo la costituzione del Siam. Come luogo della morte, la tradizione ricorda «Kalamina», località che sino ad oggi non si è potuta identificare con certezza; forse è in relazione col grande «monte di Tommaso» presso Mailapur
[vicino a Madras], sul quale nel 1547 fu costruita una chiesa in onore dell'apostolo Tommaso, supponendolo il luogo della sua morte; sull'altare si trova la croce di pietra di Tommaso, con iscrizioni del sesto, settimo e ottavo secolo.
È difficile sceverare nella leggenda di Tommaso la verità dalla finzione. Verso la metà del secondo secolo lo gnostico Eracleone afferma che l'Apostolo morì di morte naturale. La chiesa di Edessa si gloria del suo sepolcro, che in una predica il Grisostomo enumera fra i quattro sepolcri conosciuti degli Apostoli; la leggenda indiana cerca di andare incontro a questo dato, mentre riferisce che la maggior parte delle reliquie di Tommaso fu trasportata a Edessa nel secolo terzo; nel 1258 sarebbero passate da Edessa nell'isola greca di Chios e di qui, più tardi, a Ortona, dove attualmente sono onorate".
Una storia abbastanza simile è raccontata anche nella Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Per gli Atti di Tommaso, che contengono tra l'altro il celebre Inno della Perla, si cfr. per es. Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a c. Luigi Moraldi, UTET, Torino, 1971, vol. 2, pp. 1225-1350.

Alcune tradizioni fanno giungere Tommaso fino a Taprobane (Ceylon, oggi Sri Lanka); M. Gainet ne La Bible sans la Bible ou Histoire de l'Ancien et du Nouveau Testament par les seuls témoignages profanes, Bar-le-Duc, 1871, vol. 2, p. 583, dice che «Niceforo assicura che egli [Tommaso] ha evangelizzato l'isola di Taprobane». Altre tradizioni fanno di un re di Ceylon un suo seguace, il quale sarebbe stato per taluni addirittura uno dei Re Magi.

E a proposito di tale collegamento di Tommaso coi Magi, si legga quanto scrive Friedrich Wilhelm (Anslie T. Embree e Richard Wilhelm, India, 17° vol. della Storia Universale Feltrinelli, trad.del 17° volume della Fischer Weltgeschichte a c. di Maria Attardo Magrini, Milano, 1968, cap. 9, p. 108):
«Sotto Gundofarr (c. 19-65 d.C.), un principe dei Parti, sorge un grande regno indo-partico, che si estende dal Sistan fino a Mathurâ e Saurâshtra. Questo potente sovrano, che in greco è chiamato Gondophares (cui corrisponde il persiano Vindapharna, "conquistatore dello splendore"), è stato collegato per due versi con la storia del cristianesimo. È nominato come uno dei tre Re Magi che vennero dall'Oriente a visitare il Bambino Gesù a Betlemme: il suo nome, attraverso l'armeno "Gathaspar", sarebbe divenuto Gaspare. E secondo gli Atti apocrifi di San Tommaso, l'apostolo dell'India Tommaso avrebbe predicato la buona novella nel regno di Gudnaphar (così è qui indicato il nome del re).
La sua attività missionaria si sarebbe estesa fino all'India del sud, dove, a quanto dicono gli Atti, avrebbe subito il martirio nei pressi di Madras. A lui si ricollegano i cosiddetti cristiani tomiti. Solo il monaco Cosma Indicopleuste, che nel VI secolo percorre anche l'India del sud e Ceylon, ci dà notizie più precise e riferisce di aver trovato in quelle regioni comunità cristiane. Si trattava probabilmente di Nestoriani, giuntivi dalla Persia».

(***) Di tali miracoli (guarigioni di febbri e di lebbra, conversioni) parla a lungo Marco Polo nel Milione, dove si dice anche che "Lo corpo di santo Tomaso apostolo è nella provincia di Mabar in una picciola terra che non v'à molti uomini, né mercatanti non vi vengono, perché non v'à mercatantia e perché 'l luogo è molto divisato. Ma vèngovi molti cristiani e molti saracini in pellegrinaggio, ché li saracini di quelle contrade ànno grande fede in lui, e dicono ch'elli fue saracino, e dicono ch'è grande profeta, e chiàmallo varria, cio(è)  «santo uomo»" (cap. 172 nella versione scaricabile da http://www.liberliber.it/biblioteca/p/polo/, corrispondente al cap. CLIII nell'ed. Edipem; varria potrebbe essere il termine arabo walî, "amico" nel senso di amico di Dio).

Item en nostre terre sont les oliflans et vne aultre maniere de beste que lon appelle dromaderes, & cheuaulx blans et beufs sauuages qui ont sept cornes, & ours blans, & lyons moult estranges de quattre manieres. Cestassauoir rouges vers noirs et blans. Et asnes sauuaiges qui ont deux petites cornes. Et lieures sauuaiges qui sont grans comme vng mouton & cheuaulx vers qui courent plus tost que nulles aultres bestes et ont deux petites cornes.

7

Item nella nostra terra ci sono gli Elefanti e un'altra specie di bestie che si chiamano Dromedari, e cavalli bianchi, e bovi selvatici che hanno sette corna, e orsi bianchi, e leoni molto strani di quattro specie. Vale a dire rossi, verdi, neri e bianchi. Ed asini selvatici che hanno due piccole corna. E lepri selvatiche che sono grosse come un montone, e cavalli verdi che corrono più velocemente d'ogni altra bestia ed hanno due piccole corna.

Item saichez que nous auons les oyseaux qui sappellent grifons et portent bien vng beuf ou vng cheual en leur nid pour donner a manger a leur petis oyseaulx.

8

Item sappiate che noi abbiamo gli uccelli chiamati Grifoni, e portano facilmente un bue o un cavallo nel loro nido per dare da mangiare ai loro uccelletti.

Itemque saichez que nous auons vne aultre maniere de oyseaulx lesquelz ont seignourie sur tous les aultres oyseaulx du monde et ont couleur de feu et leurs elles sont tranchantes comme vng rasoir. Et sont appelles yllerions (*) et en tout le monde nen a fors que deux & viuent lespace de soixante ans puis sen vont noier en la mer. Toutesfois ilz couuent premier et couuent deux ou troys oeufz (**) lesquelz ilz couuent lespace de quarante iours et puis esclouent et deuiennent petis oyseaulx. Et adoncques les grans cestassauoir pere et mere sen partent et sen vont noier en la mer comme dit est. Et tous oyseaux qui adoncques les rencontrent leur font compaignie iusques a tant que ilz soyent noyez.

9

Itemque sappiate che abbiamo un'altra specie di uccelli i quali hanno signoria su tutti gli altri uccelli del mondo e hanno colore di fuoco e le loro ali sono taglienti come un rasoio. E vengono chiamati Alerioni (*) ed in tutto il mondo non ve ne sono che due e vivono per lo spazio di sessant'anni poi vanno ad annegarsi nel mare. Tuttavia dapprima covano, e covano due o tre uova (**) che covano per un periodo di quaranta giorni, e poi escono dal guscio e divengono uccelletti. Ed allora i grandi, vale a dire padre e madre, se ne partono e vanno ad annegarsi nel mare come s'è detto. E tutti gli uccelli che allora li incontrano fanno loro compagnia fino a tanto che essi sono annegati.

(*) Nel testo in francese antico tradotto dalla Zaganelli  (riga 61) si trova la forma "alerions". Gli alerioni sono presenti in araldica. Ne dice il Tommaseo, citando Rosso Antonio Martini, Esequie della Serenissima Elisabetta Carlotta d'Orleans, 1754: «L'Alerione è nell'arme un aquilotto disarmato, cioè senza becco e senza piedi, con l'ali distese. Se ne contano negli scudi fino a sedici, ed alcuni dicono che e' dimostrano avere, chi pigliò quest'armi, ucciso tanti nemici in guerra quanti alerioni egli pose nello scudo». E la Grammatica araldica di Felice Tribolati (Hoepli, Milano, 1904, p. 122) definisce alerioni «le aquile mutilate, ossia senza becco e senza piedi». Difficile capire il legame tra tale simbologia ed il racconto qui riferito.

(**) Ben poco chiaro come, essendo sempre gli Alerioni in tutto il mondo due, possano deporre tre uova. Il testo antico-francese della Zaganelli in effetti dice (66) che «fanno due uova» (font deus oés), e non accenna che possano essere di più.

Et quant ilz sont noyez ilz sen retournent et viennent aulx petis oyseaux et les nourrissent iusques a tant quil soient grans & quilz puissent voler & leur 3 vie pourchasser.

10

E quando quelli sono annegati, essi se ne tornano e vanno dagli uccelletti e li nutrono fintanto che siano grandi e possano volare e procurarsi 3 di che vivere.

Item saichez que par deca sont aultres oyseaulx qui sont appellez tygres (*) et sont de sy grande force et vertu quilz emportent bien vng homme tout arme et son cheual et le tuent.

11

Item sappiate che da queste parti ci sono altri uccelli chiamati Tigri (*) e sono di così gran forza e virtù che s'impadroniscono facilmente d'un uomo completamente armato e del suo cavallo e l'uccidono.

(*) Che queste "tigri" diventino uccelli sembra una corruzione specifica di questa versione perché nella versione di Gioia Zaganelli (77-78) si parla più esattamente di «une autre maniere de biestes ki ont a non tygres, et si sont menours d'olifans, et si deveurent moult d'autres biestes» - sono le normali tigri, insomma.

Item saichez que en vne partie de nostre terre dedens le desert a vne maniere dhommes qui sont cornuz lesquelz nont que vng oeil deuant et troys ou quattre derriere. Et ya des femmes qui sont pareilles aux hommes.

12

Item sappiate  che in una regione della nostra terra, nel deserto, c'è una razza d'uomini che sono cornuti, i quali non hanno che un occhio davanti, e tre o quattro dietro. E vi sono donne che sono eguali agli uomini.

Item en nostre terre ya vng aultre maniere de gens qui ne viuent fors que de chair crue dhommes et de femmes & ne doubtent point a mourir. Et quant lung deulx est mort soit pere ou mere ilz les mangeussent tous cruz. Et dient [=disent] que bonne chose naturelle est de manger chair humaine et font ce en remissions de leurs pechez. Et celles gens sont maulditz de dieu et sont appellez got et magot (*) et est plus de nations de celles gens que de toutes aultres gens. lesquelz sespandront par tout le monde en la venue de lantecrist. Car ilz sont de son alliance et de sa compaignie. Et celles gens sont ceulx qui encloirent le roy alixandre en macedonne et le mirent en prison et leur eschappa. (**) Toutesfoys dieu leur enuoyra du ciel fouldre et feu ardant qui tous les ardera et confondra (***) et lantecrist aussy et par telle maniere seront destruitz e gastez. Toutesfois nous en menons bien de ces gens auecques nous en la guerre quant nous y voulons aller et leur donnons congie et licence de mangier noz ennemis si que de mille nen demeure vng qui ne soit deuoure & gaste. Et puis les faysons retourner en leur terre. Car silz demouroient longuement auecques nous ilz nous mengeroient tous.

13

Item nella nostra terra vi è un'altra razza di gente che non vivono che di carne cruda d'uomini e di donne, e punto non esitano a morire. E quando uno di loro è morto, sia anche il padre o la madre, essi lo mangiano bell'e crudo. E dicono che mangiare carne umana è buona e naturale cosa, e che fanno ciò in remissione dei loro peccati. E quelle genti sono maledette da Dio e sono chiamate Got e Magot (*) e vi sono più nazioni di quelle genti che di tutte le altre genti. Le quali si spanderanno per tutto il mondo alla venuta dell'anticristo. Giacché sono della sua alleanza e della sua compagnia. E tali genti sono quelle che chiusero il re Alessandro in Macedonia e lo misero in prigione e sfuggì loro. (**) Tuttavia Dio invierà loro dal cielo folgore e fuoco ardente che tutti li arderà e confonderà (***) e pure l'anticristo e per tal modo saranno distrutti e rovinati. Tuttavia di queste genti invero noi ne portiamo molti con noi alla guerra quando vi vogliamo andare, e diamo loro permesso e licenza di mangiare i nostri nemici, sicché di mille non ne rimane uno che non sia divorato e rovinato. E poi li facciamo ritornare nella loro terra. Giacché se dimorassero lungamente con noi essi ci mangerebbero tutti.

(*) Cioè Gog e Magòg. Cfr. Ezechiele, 38 e 39; Apocalisse, 20,8. Il nome Magòg compare per la prima volta in Genesi 10,2. In Ezechiele Gog compare come re di Magòg.

(**) La leggenda vuole che fosse Alessandro a chiudere le genti di Gog e Magòg dietro un'alta muraglia donde non usciranno fino alla fine del mondo. Qui si allude ad un episodio di segno inverso, ovvero a un temporaneo imprigionamento di Alessandro. Cfr. il Roman d'Alexandre di Alexandre de Bernay, 1,19-21.

Tale testo  (circa 1185) si può trovare integralmente riprodotto nel sito della Bibliotheca Augustana -
http://www.fh-augsburg.de/~harsch/gallica/Chronologie/12siecle/Alexandre/ale_intr.html -
insieme al  frammento di Albéric de Pisançon (circa 1120) -  http://www.fh-augsburg.de/~harsch/gallica/Chronologie/12siecle/Alberic/alb_alex.html
ed  all'Alexanderlied di Pfaffe Lamprecht (1140) - http://www.fh-augsburg.de/~harsch/germanica/Chronologie/12Jh/Lamprecht/lam_intr.html.

(***) Cfr. Ezechiele, 38,22 e Apocalisse 20,9.

Item nous auons vne aultre maniere de gens en nostre terre qui ont les piedz tous comme vng cheual et aux tallons derriere ont quattre coustes fortes & tranchans de quoy ilz combatent tellement que nulles armeures ne leur peuent durer et si sont bons cristiens & labourent voulentiers leur terre & la nostre et nous donnent grans leuaiges chascun an.

14

Item abbiamo un'altra razza di gente nella nostra terra che hanno i piedi proprio come un cavallo e dietro ai talloni hanno quattro coste forti e taglienti con cui combattono in modo tale che nessuna armatura può resistervi e questi sono buoni cristiani e lavorano volentieri la propria terra e la nostra e ci danno grandi rendite ogni anno.

4 Itemque nous auons en vne aultre partie du desert vne terre qui dure quarante et deux iournees de long. Et est appellee feminie la grant et ne cuidez pas que ce soit en terre sarrasine car celle que nous disons est en nostre terre. Et en ycelle terre sont troys roynes sans les aultres dames qui tiennent leurs terres delles. Et quant ycelles trois roynes veullent aller en bataille chascune delles meyne auecques soy cent mille femmes en armes. Sans les aultres qui meynent les chairs (*) les cheuaulx les oliflans qui portent les armes et les viandes. Et saichez quelles se combatent fort comme si elles feussent hommes. Et sachez que nul homme masle ne demeure auecques elles fors que neuf iours lesquelz durant il se peult deporter et solacier auecques elles et engendrer et non plus car aultrement il seroit mort.

15

4 Itemque abbiamo in un'altra parte del deserto una terra che si estende in lunghezza per quarantadue giornate. E si chiama Femminia la Grande, e non preoccupatevi che sia in terra saracena, giacché quella di cui diciamo è nella nostra terra. Ed in quella terra sono tre regine, oltre alle altre dame che ricevono da esse le proprie terre. E quando quelle tre regine vogliono andare in battaglia, ognuna di esse conduce con sé centomila donne in armi. Senza le altre che conducono i carri, (*) i cavalli, gli elefanti che portano le armi e le vivande. E sappiate che esse si battono come fossero uomini. E sappiate che nessun uomo maschio dimora con loro se non per nove giorni, durante i quali si può divertire e sollazzare con loro e generare, ma non di più, ché altrimenti sarebbe morto.

(*) In questo contesto mi sembra più logico interpretare "chairs" come "carri" anziché come "carni".

Item celle terre est enuironnee dung fleuue qui vient de paradis terrestre et est appelle cyson (*) et est si grant que nul ne le peult passer sinon en grandes nefz ou en grandes barques.

16

Item quella terra è circondata d'un fiume che viene dal Paradiso Terrestre ed è chiamato Cyson (*) ed è tanto grande che nessuno può passarlo se non in grandi navi o in grandi barche.

(*) Cyson sta per Pishòn di Genesi 2,11. Nella versione antico-francese della Zaganelli (131) c'è Fyson, che rispecchia bene il Phison della Vulgata.

Item saiches que entre celle terre a vne aultre riuiere quon appelle piconye (*) qui est petite qui ne dure que dix iournees de long et sept de large. et les gens sont aussi petis comme vng enfant de sept ans et leurs cheuaulx petis comme vng mouton et sont bons XPristiens et labourent voulentiers et nulle personne ne leur faict guerre fors que les oyseaulx qui vienent chascun an quant ilz doibuent cueillir leurs bledz et leurs vendenges. Et adoncques le roy dicelle terre sarme de tout son pouoir contre lesdictz oyseaulx et font grande turie [=tuerie]  les vngz contre les aultres. Et puis les oyseaulx sen retornent.

17

Item sappiate che in quella terra vi è un'altra contrada che si chiama Pisonia, (*) che è piccola e non si estende che dieci giornate di lunghezza e sette di larghezza. E le persone sono piccole come un bambino di sette anni, ed i loro cavalli piccoli come un montone, e sono buoni cristiani e lavorano volentieri, e nessuno fa loro guerra fuorché gli uccelli, che vengono ogni anno allorché essi debbono raccogliere il loro grano e vendemmiare. E dunque il re di quella terra si arma di tutta la sua potenza contro i detti uccelli e fanno grande carneficina gli uni contro gli altri. E poi gli uccelli fanno ritorno.

(*) Nella versione antico-francese della Zaganelli (133) si parla di "une tiere Pinçonie". Io sospetto tuttavia che Piconye, letto probabilmente Piçonie, possa essere semplicemente una derivazione da Phison o Pison (Pishòn del testo ebraico) di Genesi 2,11, come a dire Pisonia, ovvero terra del fiume Pison. Del resto rivière indica proprio una terra che costeggia un fiume, e il testo dice che Piconye è "entre celle terre" che è circondata dal fiume Cyson.

Item saichez que en nostre terre sont les saigitaires qui sont de puis la saincture en amont en forme de homme et contre bas en forme de cheual. Et portent en leurs mains arcs et flyches et trayent plus fort que nulle aultre maniere de gens et mangeussent chair crue. Et les prengnent aulcuns de nostre court et les tiennent  anchainez & les gens y viennent les veoir par grant merueille.

18

Item sappiate che nella nostra terra vi sono i Sagittari, che dalla cintura in su hanno forma d'uomo e per contro in basso hanno forma di cavallo. E portano nelle loro mani archi e frecce e tirano più fortemente d'ogni altra razza di genti, e mangiano carne cruda. E taluni della nostra corte li catturano e li tengono incatenati e la gente viene a vederli per gran meraviglia.

Item sachez que en nostre terre sont les licornes qui ont en leur front vne corne tant seulement & en ya de trois manieres 5 de vers de noirs et aussi de blans et occisent le lyon aulcunesfois. Mais le lyon les occit moult subtillement car quant la licorne est lassee elle se met decoste vng arbre & le lyon va entour & la licorne le cuide frapper de sa corne & elle frappe larbre de si grant vertu quelle ne la peult oster adonc le lyon la tue.

19

Item sappiate che nella nostra terra ci sono i Liocorni, che hanno sulla fronte un corno soltanto, e ve n'è di tre razze, 5 di verdi, di neri ed anche di bianchi, e talvolta uccidono il leone. Ma il leone li uccide con molto ingegno, giacché quando il liocorno è stanco si mette a fianco di un albero, e il leone gira intorno, ed il liocorno crede di colpirlo col suo corno e colpisce l'albero con tal vigore che non lo può più togliere, sicché il leone lo uccide.

Item saiches que en laultre partie du desert sont les gens qui souloient auoir .lx. coudees de hault et maintenant nen ont que vingtz et ne peuent yssir du desert car a dieu ne plaist mye. Car se ilz estoient dehors ilz pourroient bien combatre a tout le monde.

20

Item sappiate che nell'altra parte del deserto ci sono genti che solevano avere un'altezza di LX cubiti mentre ora non ce l'hanno che di venti, e non possono uscire dal deserto, giacché a Dio punto non piace. Perché se stessero fuori potrebbero invero combattere tutto il mondo.

Item saiches que en nostre terre ya vng oyseau qui est apelle fenix et est le plus bel oyseau du monde. Mais en tout le monde nen a que vng lequel vit cens ans et puis sen monte vers le ciel sy pres du souleil tant que le feu se prent a ses helles et puis descend en son nid et se art. Et de ces cendres se congrue vng ver et puis retourne vng oyseau en la fin de cent iours aussi beau comme deuant estoit.

21

Item sappiate che nella nostra terra vi è un uccello che si chiama Fenice ed è l'uccello più bello del mondo. Ma in tutto il mondo non ve n'è che uno, che vive cent'anni e poi se ne sale verso il cielo così vicino al sole che il fuoco s'apprende alle sue ali, e allora discende nel suo nido e si arde. E di queste ceneri si forma un verme e poi si muta di nuovo in un uccello, alla fine di cento giorni, tanto bello com'era prima.

Item en nostre terre ya habondance de pain de vin de chars et de toutes choses qui sont bonnes a soustenir corps humain.

22

Item nella nostra terra vi è abbondanza di pane, di vino, di carni e di ogni cosa che sia buona a sostentare il corpo umano.

Item saiches que en vne partie de nostre terre ne peult entrer nulle beste qui de sa nature porte venin.

23

Item sappiate che in una regione della nostra terra non può entrare nessuna bestia che per sua natura porti veleno.

Item saiches que entre nous et les sarrasins court vne riuiere que lon appelle ydonis (*) et vient de paradis terrestre et est toute pleine de pierres precieuses et court par nostre terre en maintes parties de petites riuieres et grandes et la treuue on moult de pierres precieuses. Cestassauoir esmeraudes. Safirs. Jaspis. Cassidoynes. (**) Rubis. Charboucles. Scobasses. (***) Et plusieurs aultres pierres precieuses que nay pas nommees et de chascune scauons le nom et la vertu.

24

Item sappiate che tra noi e i saraceni corre un fiume che si chiama Indo (*) e viene dal Paradiso Terrestre ed è tutto pieno di pietre preziose e percorre la nostra terra in molte parti con piccoli fiumi e grandi, e là si trovano molte pietre preziose, vale a dire smeraldi, zaffiri, diaspri, calcedoni, (**) rubini, carbonchi, scobassi (***) e molte altre pietre preziose che non ho nominato. E di ciascuna conosciamo nome e virtù.

(*) Anche Gioia Zaganelli (173) traduce Ydoines con "Indo", la cui identificazione  nel contesto del testo da lei tradotto è più chiara ancora.

(**) Il Thresor de la langue françoyse, tant ancienne que moderne (1606) di Jean Nicot (1606) - http://www.lib.uchicago.edu/efts/ARTFL/projects/dicos/ - così spiega la voce Cassidoine: Espece de pierre precieuse, Cachedonius vel Calcedonius, vel Calcedon.

(***) Scobasses: strana parola, forse corruzione di topasses, topazi, che compaiono nelle versioni riportate dalla Zaganelli.

Item saichez que en nostre terre a vne herbe apellee permanable. Et qui en porte sur soy il peult enchanter le dyable & luy demander quil est et ou il va quil fait par terre & le peult faire parler. Et pour ce le dyable nose estre en nostre terre.

25

Item sappiate che nella nostra terra vi è un'erba chiamata Permanente. E chi ne porta su di sé può incantare il diavolo e domandargli chi è, dove va, che fa in terra, e può farlo parlare. E per questo il diavolo non osa dimorare nella nostra terra.

Itemque saiches que en nostre terre croist le poyure [=poivre] (*) lequel nest iamais seme et croist entre les arbres et les serpens. Et quant 6 il est meur nous mandons noz hommes pour le cueillir et y mettent le feu dedens le bois et tout se art et quant le feu est passe ilz font grans monceaulx de poyure et de serpens et le boute lon auec et puys le porte lon a lostel et le laue on en .ii. ou en troys caues (**) et puis on le faict seicher au soleil. Et en ycelle maniere deuient noir bon et fort.

26

Itemque sappiate che nella nostra terra cresce il pepe, (*) il quale non è mai seminato e cresce tra gli alberi e i serpenti. E quando 6 è maturo inviamo i nostri uomini per raccoglierlo ed essi fanno fuoco nel bosco e tutto arde, e quando il fuoco è passato fanno grandi mucchi di pepe e di serpenti, e lo si riunisce e poi lo si porta a casa e lo si lava in II o tre vasche (**), e poi lo si fa seccare al sole. E in quella maniera diventa nero, buono e forte.

(*) Il Malabar era ben noto come paese del pepe. Così si esprime Cosma Indicopleuste (VI secolo): «Nel Mare Indiano sull'isola di Ceylon, nell'India propriamente detta, v'è una chiesa cristiana con sacerdote e fedeli - come pure sulla Costa di Male [la costa del Malabar], dove cresce anche il pepe, e nella località chiamata Calliana» (cit. da Landström, p. 65).
Il Manuale del Droghiere di Luigi Manetti (Hoepli, Milano, 1926), a p. 45, dice: «Commercialmente il pepe dividesi in pepe pesante o duro ed è il più stimato (provenienza: Malabar, Alepy, Tellitchery); pepe semi-pesante o semi-duro (Saigon, Singapore); pepe leggero o tenero (Penang, Giava, Sumatra)».

(**) Interpreto qui caves come cuves. L'idea sembra essere che si porti a casa il pepe con molte scorie e poi lo si separi da esse con dei lavaggi, anche «pour oster le venin des serpens» cioè «per trarne fuori il veleno dei serpenti» (vers. Zaganelli, 194-195).
Si paragoni tuttavia, relativamente al processo di raccolta descritto, quanto dice Luigi Manetti nel sopra citato Manuale del Droghiere, pp. 44-45: «Il pepe è il grano o frutto del Piper nigrum. Si raccolgono i granelli verdi che vengono poscia asciugati al sole e quindi esposti al calore di un fuoco coperto. In queste condizioni il frutto si copre di rughe o pieghe irregolari incrociantisi e formanti quasi dei poligoni, ed assume il color nero. Per ottenere il pepe bianco si lasciano maturare i frutti finché abbiano assunto colorazione rossa, quindi secchi, sono posti in sacchi ed immersi per un paio di giorni nell'acqua di mare o nell'acqua leggermente carica di calce. Poscia si asciugano e si sfregano tra le mani e con tale operazione il tegumento esterno si stacca ed il frutto presentasi di color bianco grigiastro». Sembra che nella Lettera siano state rimescolate fasi dell'uno e dell'altro processo, scambiando un fuoco controllato per l'incendio del bosco ed escogitando la pseudospiegazione del veleno dei serpenti per giustificare i lavaggi.

Itemque saiches que aupres de celle partie a vne fontaine que qui en peult boire de leaue trois fois a ieun il naura maladie de .xxx. ans et quant il en aura beu il luy sera aduis quil ait menge toutes les meilleures viandes et espices du monde et est toute pleine de la grace du sainct esperit. Et qui se peult baigner en la fontaine sil est en laage de cent ans ou de mille il retourne en laage de .xxx. et .ii. ans. Et saichez que nous fusmes ne et sainctifie au ventre de nostre mere et si auons passe cincq cens soixante et deux ans (*) & nous sommes baignez dedes [=dedens]  la fontaine six foys.

27

Itemque sappiate che vicino a quella regione vi è una fontana tale che chi può berne dell'acqua tre volte a digiuno non avrà malattie per XXX anni, e che quando ne avrà bevuto gli sembrerà d'aver mangiato tutte le migliori vivande e spezie del mondo; ed è tutta piena della grazia del Santo Spirito. E chi può bagnarsi nella fontana, se ha l'età di cent'anni o di mille, torna all'età di trentadue anni. E sappiate che noi nascemmo e fummo santificati nel ventre di nostra madre, e così abbiamo trascorso cinquecentosessantadue anni (*) e ci siamo bagnati nella fontana sei volte.

(*) Qui si parla di cinquecentosessantadue anni; ma in coda alla lettera (§ 56) si parla di anno della mia natività cinquecentosette.

Item saiches que en nostre terre naist la mer darayne & court moult fort et faict ondes terribles. Et nul homme ne la peult passer fors que nous. pour riens quon face. et nous faisons porter a noz grifons ainsi comme fist alixandre quant il alla conquerre le chasteau enchante. (*)

28

Item sappiate che nella nostra terra nasce il Mare di Sabbia, e corre assai forte e genera onde terribili. E nessun uomo, salvo noi, può attraversarlo, per nulla che si faccia. E noi ci facciamo portare dai nostri grifoni così come fece Alessandro quando andò a conquistare il castello incantato. (*)

(*) In una pagina del bel sito del Liceo Sabin di Bologna - http://www.liceosabin.it/ipertesti/marcopolo/il_milione/realfantasy/link18_2.htm [10/6/2011: link non più attivo] - è riprodotta una lastra scolpita della Basilica di San Marco rappresentante Alessandro trainato in cielo dai grifoni, accompagnata da una citazione tratta da un volgarizzamento italiano (purtroppo non meglio specificato) di un originale francese del Romanzo di Alessandro (fine del XIII o inizio del XIV secolo):

 «Et quindi si partì Alessandro colla sua oste e venne al mare Rosso, e quivi misse il campo allato a una grande montagna, sì che Alessandro parea che toccasse il cielo. E incontanente pensò in suo cuore di fare uno ingigno, collo quale elli potesse andare infino al cielo. E incontanente comandò alli suoi maestri di legname, che facessono una gabbia, là dove elli stesse in mezzo. Poi fece legare a ciascuno canto della gabbia quattro uccelli grifoni, e sopra loro vi fece legare quattro quarti di carne di bue legati in grande pertiche; e anche prese due lance, e mìssevi ispugna d'acqua. E quando Alessandro fu dentro della gabbia con tutte queste cose, li grifoni ch'erano affamati, viddono la carne, si levarono in volo per prenderla, e così portorono la gabbia con tutto Alessandro su nell'arie sì alto che Alessandro che guardava inverso a terra, li parea come una aia, o come una piccola piazza; e l'acqua li parea ch'avvolgesse la terra come uno dragone. E quando Alessandro fu andato tanto in alto, come li piacque, prese le pertiche della carne, e abbassolle inverso la terra; e li grifoni volarono in verso la carne, tanto che puosono Alessandro lontano dalla sua oste bene una giornata sanza nullo male. Poi si misse alla via a piedi, con gran travaglio venne alli suoi cavallieri; e quando lo viddono, fècionne grande allegrezza, e adoràvanlo come si fosse Iddio».

Un bassorilievo della cattedrale di Friburgo con lo stesso soggetto (circa 1200) si trova riprodotto all'indirizzo http://www.fh-augsburg.de/~harsch/gallica/Chronologie/12siecle/Alexandre/ale_bran.html come illustrazione del Roman d'Alexandre di Alexandre de Bernay,  nel quale così viene descritto l'episodio (1,3, 73-76):

«Et la voie du ciel refu par lui tentee,
Quant la chaiere d'or en fu lassus portee
Par les quatre grifons, a qui fu acouplee».

Item decouste celle mer passe vng fleuue et en celluy treuue lon moult de pierres precieuses et maintes bonnes herbes qui sont bonnes en toutes medecines.

29

Item a lato di quel mare passa un fiume e in esso si trovano molte pietre preziose e tante buone erbe che sono utili per ogni medicina.

Item saiches que entre nous et les iuifz (*) passe vne riuiere qui est pleine de pierres precieuses & court tant fort que nulle personne ne la peult passer excepte le sabmedi quelle repose et tout ce quelle treuue elle emporte en la mer darayne. Et icelluy pas nous fault garder car nous auons en icelle frontiere quarante et deux chasteaulx plus beaulx et plus fors qui soient au monde et auons gens qui les gardent. Cestassauoir dix mille cheualiers & six mille arbalestiers & quinze mille archiers et quarante mile sergens a cheual et en armes qui gardent les passaiges deuantdictz. pourtant que se le grant roy disrael venoit auec sa compagnie ne puisse passer auecques ces iuifz lesquelz sont plus deux fois que de XPistiens ne de sarrasis [=sarrasins].

30

Item sappiate che tra noi e i Giudei (*) passa un fiume che è pieno di pietre preziose e corre talmente forte che nessuna persona può varcarlo tranne il sabato, quando riposa; e tutto ciò ch'esso trova lo porta con sé nel Mare di Sabbia. E ci è necessario vigilare su quel passo, perché abbiamo su quella frontiera quarantadue castelli, i più belli e forti che ci siano al mondo, e abbiamo gente che li guarda. Vale a dire diecimila cavalieri e seimila balestrieri e quindicimila arcieri e quarantamila sergenti a cavallo e in armi che vigilano sui passaggi suddetti affinché, qualora il gran re d'Israele dovesse venire con la sua compagnia, non possa attraversare con questi giudei, i quali sono due volte di più che i cristiani ed i saraceni.

(*) Da qui in avanti si parla spesso d'Israele e di Giudei, con un certo sentimento di minaccia, nel che si mescolano - mi pare - due cose diverse. L'una è una lontana reminiscenza del Regno ebraizzato dei Khazari  a nord del Caucaso e di altre popolazioni vicine egualmente passate al giudaismo per un tempo più o meno lungo; l'altra è la tendenza dell'estensore trecentesco a giustificare Filippo il Bello, come già nelle sue persecuzioni contro i Templari, anche in quelle verso gli Ebrei, che egli espulse dalla Francia nel 1306, naturalmente incamerandone i beni, conformemente alla sua attitudine di ladro e falsario di moneta.

Per i Khazari cfr. la Nota del Traduttore premessa a Yehûdâh ha-Lêwî, Il re dei Khàzari, trad. it. di Elio Piattelli, Bollati Boringhieri, Torino, 1960 e 1991, pp. 8-9, nota 4: «La conversione dei Khàzari all'ebraismo è storica. Essi formavano un regno indipendente, situato nella regione che sta tra il Caucaso, il Volga e il Don. Il loro re Bulan si convertì all'ebraismo nell'ottavo secolo. Uno dei suoi discendenti, Obadiah, riuscì a diffondere la fede ebraica nel suo popolo, soprattutto fra le classi aristocratiche. Il regno dei Khàzari era conosciuto e rispettato dagli imperatori bizantini. L'undicesimo re di questa dinastia, Giuseppe (960 circa) fu in corrispondenza con Chasday ibn Shaprût, consigliere del Califfo di Cordova `Abd ar- Rachmân III. Pochi anni dopo, il regno dei Khàzari cominciò a declinare, e presto la sua potenza venne meno di fronte alle forze coalizzate del principe di Kiew e dell'impero bizantino». La capitale del regno dei Khazari era Atil (o Itil), presso la foce del Volga. Alcune testimonianze medievali - occidentali, ebraiche, arabe - circa l'ebraicità dei Khazari sono riproposte in:  http://www.khazaria.com/khazar-quotes.html.

Giovanni da Pian del Carpine, che dal canto suo considerava cristiani i Khazari (e può essere che all'epoca sua lo fossero, tutti o in gran parte, divenuti), parlava però, alla fine del tredicesimo secolo, di «Brutachi, che si dice siano ebrei, e che hanno la testa rasa» (T'Serstevens, p. 148). Di tali Brutachi  m'è parso di capire che nessuno sappia nulla.

7 Car ilz tiennent les deux parties du monde. Et sachez que le grant roy disrael a en soy troys cens roys et quattre mille princes. que ducz que contes tous iuifz et qui a luy obeissent.

31

7 Giacché essi hanno le due parti del mondo. E sappiate che il gran re d'Israele ha con sé trecento re e quattromila principi, e duchi e conti tutti giudei che gli obbediscono.

Item saichez que se les iuifz pouoient passer ycelluy pas tout seroient mors XPristiens et sarrasins.

32

Item sappiate che se i giudei potessero attraversare quel passo cristiani e saraceni sarebbero tutti morti.

Itemque saichez que nous laissons passer chascun samedi huit cens ou mille iuifs pour marchander. Mais ilz nentrent point dedens nos fermettez. mais marchandent dehors de la doubte que nous auons deulx et ne marchandent fors que en placques dor et dargent. car ilz nont point daultre monnoye. Et quant ilz ont faict leur marchandise ilz sen retournent en leurs pays.

33

Itemque sappiate che noi lasciamo passare ogni sabato ottocento o mille giudei per far mercato. Ma essi non entrano punto nei nostri villaggi, bensì fan mercato fuori, per il sospetto che noi nutriamo verso di loro, e non vendono che placche d'oro e d'argento, ché essi punto non hanno altra moneta. E quando hanno tenuto il loro mercato se ne ritornano al proprio paese.

Item saichez que nous auons quarante et deux chasteaulx qui sont pres lung de laultre dung trait darbalestre & non plus. (*)

34

Item sappiate che abbiamo quarantadue castelli vicini l'uno all'altro un tratto di balestra e non più. (*)

(*) Gli stessi di cui si parla al § 30.

Item saichez que nous auons a vne lieue pres de la vne cite qui sappelle orionde (*) la grant la plus belle et la plus forte qui soit au monde. Et vng de nos roys la garde lequel recoyt du grant roy disrael le tribut car il nous doibt chascun an deux cens cheuaulx chargez dor et dargent et de pierres precieuses et oultre la despense qui se faict en celle cite et es dessusditz chasteaulx.

35

Item sappiate che abbiamo ad una lega lì vicino una città che si chiama Orionda (*) la Grande, la più bella e più forte che ci sia al mondo. E vigila su di essa uno dei nostri re, il quale riceve dal gran re d'Israele il tributo, giacché egli ci deve ogni anno duecento cavalli carichi d'oro e d'argento e di pietre preziose ed inoltre le spese che si fanno in quella città e nei suddetti castelli.

(*) Nel testo della Zaganelli (247) si parla di «une chité ki est apielee Oriande pour çou qu'ele est viers Oriant». Il nome deriverebbe dunque dalla disposizione geografica verso oriente.

Item sachez que quant nous leurs faysons guerre nous occisons trestous ceulx qui sont en nostre terre et pource ne sosent mouuoir ne faire guerre. Et saichez que les iuifues sont les plus belles femmes du monde et les plus chaudes. Et saches que pres dicelluy fleuue qui est darayne vient la mer areneuse et nul homme ne la peult passer. Et non pourtant quant le vent fiert dessoubz adoncques sespant par la terre ed adoncques le peult on bien passer. mais que on se haste de retourner. Car se on ne le faisoit on demoureroit dedens la mer. Et toute la ruine (*) que sen peult retourner se conuertist en pierres precieuses et ilz ne le peuent vendre iusques a tant que nous les ayons veues. Et se nous les voulons auoir nous les pouons prendre a lestime de nos marchans.(**)

36

Item sappiate che quando noi facciamo loro guerra, uccidiamo pressoché tutti coloro che sono nella nostra terra, e per questa ragione non osano muoversi né fare guerra. E sappiate che le giudee sono le più belle donne del mondo, e le più calde. E sappiate che a quel fiume di sabbia è vicino il Mare Arenoso, e nessun uomo può varcarlo. E ciò nonostante, quando il vento soffia forte di sotto, si spande per la terra e dunque lo si può ben attraversare, purché ci si affretti a tornare. Perché se non lo si facesse, si rimarrebbe nel mare. E tutti i detriti (*) che se ne possono trarre si convertono in pietre preziose, ed essi non possono venderle fintanto che noi non le abbiamo vedute. E se le vogliamo tenere le possiamo prendere secondo la stima dei nostri mercanti. (**)

(*) Ho tradotto il termine "ruine" con "detriti" per analogia con la versione riportata da Gioia Zaganelli, dove si parla semplicemente di "polvere" (pourre, la Zaganelli traduce "sabbia").

(**) Si può notare che il rapporto del Prete Gianni con gli ebrei, nel concetto dell'estensore di questa lettera, è praticamente quello di un ladrone rispetto alle sue vittime. Gli ebrei sono soggetti, sono in ostaggio, fanno solo quanto si lascia loro fare, li si uccide quando si ribellano, si prendono le loro donne e si paga il frutto del loro lavoro secondo il prezzo dei mercanti cristiani loro concorrenti.

Item en vne partie de nostre terre a vne montaigne en la quelle nul ne peult habiter pour la grant chaleur qui y est et illec 8 se nourrissent aulcuns vers qui ne peuent viure sans feu. Et au pres de celle montaigne nous tenons tousiours quarante mille personnes qui font illec grant feu. Et quant iceulx vers sentent la chaleur du feu ilz yssent de la terre et sen entrent au feu. et illec font vng poil tel comme font les vers qui font la soye. Et de celluy poil faisons nos robes et celles a nos femmes que nous vestons les festes annuelles. Et quant nous les voulons lauer nous les mettons au feu. et lors se retournent belles et fresches. (*)  

37

Item in una regione della nostra terra vi è una montagna nella quale nessuno può abitare per il gran calore che vi fa, e in quel luogo 8 si nutrono alcuni vermi che non possono vivere senza fuoco. E nei pressi di quella montagna noi sempre teniamo quarantamila persone che vi fanno un gran fuoco. E quando quei vermi sentono il calore del fuoco, escono dalla terra e se n'entrano nel fuoco. E in quel luogo producono una pelle simile a quella che fanno i bachi da seta. E di quella pelle facciamo le nostre vesti e quelle delle nostre donne, le quali indossiamo nelle feste annuali. E quando vogliamo lavarle le immergiamo nel fuoco ed allora ritornano ad essere belle e fresche. (*)

(*) Il verme del fuoco dovrebbe essere la mitica Salamandra, e la seta incombustibile l'amianto. Della Salamandra scriveva Brunetto Latini ne Il Libro delle Bestie, cap. XIV (volgarizzato da Bono Giamboni, Perino, Roma, 1891): «la salamandra vive entro nel mezzo del fuoco, senza alcuno dolore, e senza alcuno dannaggio di suo corpo, anzi ispegne il fuoco col suo vento».

Itemque saichez que nul roy christien na tant de richesses comme nous auons pour ce que nul homme ne peult estre poure en nostre terre qui veulle gaigner.

38

Itemque sappiate che nessun re cristiano ha tante ricchezze quante ne abbiamo noi, in quanto nessun uomo che voglia guadagnare può nella nostra terra essere povero.

Item saichez que sainct thomas y fait plus de miracles que sainct qui soit en paradis. Car il presche vne foys lan corporellement en son eglise a toutes gens. Et presche en vng palais que vous orrez. (*)

39

Item sappiate che San Tommaso vi fa più miracoli che santo che sia in Paradiso. Giacché egli predica una volta l'anno corporalmente nella sua chiesa a tutta la gente. E predica in un palazzo, talché voi udirete. (*)

(*) Cfr. note al § 6. Sembra una ben strana morte quella di San Tommaso, che «predica una volta l'anno corporalmente». Il punto corrispondente nel testo tradotto dalla Zaganelli (474-476) è per quest'aspetto simile: «Et sachiés que au chief de .vij. ans a .i. concille a saint Tumas en la chité, et i fait corporelment predication au peuple» (per la verità non condivido la scelta della traduttrice di tradurre "corporelment" - forzando - con "come se fosse vivo").

Item saichez que en vne aultre partie de nostre terre ya des gens destrange fasson cestassauoir qui ont corps dhomme & la teste de chien et ne peult lon entendre leur langaige et sont bons pescheurs car ilz entrent au plus parfons de la mer et sont vng iour sans yssir dehors & prennent de telz poyssons quilz veullent et viennent tous chargez en leurs maisons qui sont soubz terre. Et nous espyons ou ilz les mettent et en prenons tout ce que nous voulons et saichez que ycelles gens font assez de maulx a nos bestes sauluaiges car ilz les mangeusent et se combatent contre les archiers. Et font souuent de belles batailles.

40

Item sappiate che in un'altra parte della nostra terra vi sono genti di strana fattezza, vale a dire che hanno corpo d'uomo e la testa di cane, e non si può intendere il loro linguaggio, e sono buoni pescatori giacché entrano nelle ime profondità del mare e vi stanno un giorno senza uscir fuori, e prendono pesci tali quali vogliono e giungono tutti carichi nelle loro case che sono sotto terra. E noi spiamo dove li mettono e ne prendiamo tutto ciò che vogliamo, e sappiate che quelle genti fanno gran male alle nostre bestie selvagge, giacché le mangiano e si battono contro gli arcieri. E fanno spesso delle belle battaglie.

Item en nostre terre a vne maniere doyseaulx qui sont de plus chaude nature que les aultres. Car quant ilz veullent pondre ilz pondent au fons de la mer et font .xxi. œuf et deuiennent oyseaulx. et puis sen vollent et nous en prenons plusieurs. Car ilz sont bons a manger tant comme ilz sont ieunes. et se nature estoit faillie a lhomme ou a la femme et ilz mengeoient de ces oyseaulx tantost leur nature leur retourneroit et seroient aussi fors ou plus que deuant.

41

Item nella nostra terra vi è una sorta d'uccelli che sono di natura più calda degli altri. Giacché quando vogliono deporre le uova le depongono nel fondo del mare, e fanno XXI uova, e divengono uccelli e poi se ne volano via, e noi ne prendiamo parecchi. Giacché sono buoni da mangiare fintanto che sono giovani. E se la natura fosse guasta nell'uomo o nella donna ed essi mangiassero di codesti uccelli, subito la loro natura loro  ritornerebbe, e sarebbero forti come e più di prima.

Item en nostre terre est larbre de vie duquel vient le cresme et ycelluy arbre est tout sec (*) et vng serpent le garde et 9 veille tout lan le iour et la nuyt fors que le iour de la sainct iehan quil se dort iour et nuyt. Et adoncques nous allons a larbre et en tout lan nen vient que trois liures lesquelles viennent goutte apres goutte et quant nous sommes aupres dicelluy cresme nous le prenons et puis nous en retournons tout bellement de paour que le serpent ne vienne. Et icelluy arbre est pres de paradis terrestre dune iournee. Et quant le dict serpent est esueille il se courrouse & crye tant fort que lon lentent dune iournee et si est deux foys plus grant que vng cheual et a neuf testes et deux elles et quant nous auons passe la mer il sen retourne et nous portons le cresme au patriarche de sainct thomas et icelluy le sacre de quoy nous sommes chrestiens. Et le demourant nous lenuoions au patriarche de iherusalez et celluy lenuoye au pape de romme lequel le sacre et multiplie par huyle doliue. et puis lenuoie par les chrestiens de la mer.

42

Item nella nostra terra c'è l'albero della vita dal quale viene il crisma e quell'albero è tutto secco (*) e gli fa la guardia un serpente e 9 veglia tutto l'anno, giorno e notte, fuorché il giorno di San Giovanni, quando se ne dorme giorno e notte. E dunque noi andiamo all'albero, e in tutto l'anno non ne vengono che tre libbre, e quando siamo vicini a quel crisma lo prendiamo e poi ce ne torniamo assai attentamente, per paura che non venga il serpente. E tale albero è vicino al Paradiso Terrestre di una giornata. E quando il detto serpente si è svegliato, si corruccia e grida tanto forte che lo si sente a distanza di una giornata, e quest'è due volte maggiore d'un cavallo ed ha nove teste e due ali, e quando abbiamo passato il mare se ne ritorna, e noi portiamo il crisma al patriarca di San Tommaso ed egli lo consacra, per la qual cosa noi siamo cristiani. E il rimanente l'inviamo al patriarca di Gerusalemme e quegli l'invia al papa di Roma, che lo consacra e moltiplica con olio d'oliva. E poi lo invia per mezzo dei cristiani del mare.

(*) Cfr. Il Milione -  http://www.liberliber.it/biblioteca/p/polo/ - cap. 39: «D'uno diserto. Quando l'uomo si parte de Gobia[m], l'uomo va bene per uno diserto 8 giornate, nel quale à grande sechitadi, e non v'à frutti né acqua, se non amara, come in quello di sopra. E quelli che vi passano portano da bere e da mangiare, se non che gli cavagli beono di quella acqua malvolontieri. E di capo delle 8 giornate è una provincia chiamata Tonocan; e àvi castella e cittadi asai, e confina con Persia verso tramontana. E quivi è una grandissima provincia piana, ov'è l'Albero Solo, che li cristiani lo chiamano l'Albero Secco; e diròvi com'egli è fatto. Egli è grande e grosso; sue foglie sono da l'una parte verdi e da l'altr[a] bianche, e fa cardi come di castagne, ma non v'à entro nulla; egli è forte legno e giallo come busso. E non v'à albero presso a 100 miglia, salvo che da l'una parte a 10 miglia. E quivi dicono quelli di quella parte che fu la bataglia tra Allexandro e Dario. Le ville e le castelle ànno grande abondanza d'ogne buona cosa; lo paese è temperato, e adorano Malcometto. Quivi àe bella gente e le femine sono belle oltra misura».
Arturo Graf (Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, pp. 743-744) tuttavia riporta tradizioni secondo cui Albero Solo - Arbre Sol - è in realtà da leggersi Albero del Sole, e Albero Secco - Arbre Sec - come Albero di Set, in quanto da lui piantato «con tre semi dell'albero paradisiaco della scienza del bene e del male, datigli da un angelo».

Item en nostre terre na nulz larrons priues ne estrangiers car dieu et sainct thomas les confondroient et nous les ferions mourir de mort. Et saichez que nous auons cheuaux vers qui portent vng cheualier tout arme trois ou quatre iours sans menger.

43

Item nella nostra terra non vi sono ladroni, né concittadini né stranieri, perché Dio e San Tommaso li confonderebbero e noi li faremmo morire di morte. E sappiate che noi abbiamo cavalli verdi che portano un cavaliere tutt'armato tre o quattro giorni senza mangiare.

Item quant nous alons en bataille nous faisons porter deuant nous par quatorze roys aournes dor et dargent quatorze confarons aournes de diuerses pierres precieuses. Et aultres roys qui viennent apres qui portent banieres de cendal moult richement aournees.

44

Item quando noi andiamo in battaglia ci facciamo portare avanti a noi, da quattordici re adorni d'oro e d'argento, quattordici gonfaloni adorni di diverse pietre preziose. E altri re che vengono dopo, che portano bandiere di zendado assai riccamente adorne.

Item saiches que deuant nous vont armes quarante mil clercs et autant de cheualiers & deux cens mille hommes de pied sans les charettes qui portent les viandes & sans les oliflans et les chameaux qui portent les armeures.

45

Item sappiate che avanti a noi vanno armati quarantamila chierici ed altrettanti cavalieri, e duecentomila uomini a piedi, senza le carrette che portano le vivande e senza gli elefanti ed i cammelli che portano le armature.

Item quant nous alons en bataille nous recommandons nostre terre au patriarche de sainct thomas.

46

Item quando andiamo in battaglia raccomandiamo la nostra terra al patriarca di San Tommaso.

Item saiches que quant nous cheuauchons simplement nous faisons porter vne croix de bois tant seulement deuant nous pour ce que nous aions en remembrance nostre seigneur ihesucrist.

47

Item sappiate che, quando cavalchiamo semplicemente, facciamo portare davanti a noi una croce di legno soltanto, affinché noi manteniamo il ricordo di Nostro Signore Gesù Cristo.

Item a lentree de chascune de noz cites sont troys croix 10 de bois afin que les gens adorent la saincte croix.

48

Item all'entrata di ciascuna delle nostre città ci sono tre croci 10 di legno, affinché le genti adorino la Santa Croce.

Item quant nous cheuauchons simplement nous faisons porter vng bassin dor plain de terre en signe que nous sommes tous venus de terre et quil nous fault en terre retourner & faisons porter vng aultre bassin tout plain dor en demonstrant que nous sommes le plus puissant roy et le plus digne de tout le monde.

49

Item quando cavalchiamo semplicemente facciamo portare un bacile d'oro pieno di terra, in segno che noi siamo tutti venuti dalla terra e che bisogna che alla terra ritorniamo, e facciamo portare un altro bacile tutto pieno d'oro per mostrare che siamo il più potente e il più degno re di tutto il mondo.

Item saiches que nulle personne nose faire le peche de luxure en nostre terre. Car incontinent ilz seroient ars. et pour ce establit dieu le sacrement de mariage.

50

Item sappiate che nessuna persona osa commettere il peccato di lussuria nella nostra terra. Giacché immediatamente sarebbero arsi. E per questo stabilì Dio il sacramento del matrimonio.

Item saiches que nulle personne nose mentir en nostre terre. Car il seroit mort et pendu.

51

Item sappiate che nessuna persona osa mentire nella nostra terra. Giacché sarebbe morta ed impiccata.

Item saiches que nous visitons chascun an le corps de sainct Daniel le prophete qui est au desert et menons auec nous dix mille clercs et autant de cheualiers et deux cens chasteaulx bastiz sur les oliflans (*) qui portent vng chasteau pour nous garder des dragons qui ont sept testes sur chascun deulx. Et saiches que en ce desert ya des meilleures dates qui pendent es arbres et sont bonnes vertes et meures yuer et este. Et dure le desert quatre vingz et soixante iournees et illec sont les deux patriarches de sainct thomas (**) qui  seent [<seir=seoir] a table deuant nous pour ce quilz ont le pouoir du pape de romme. & auons autant dabbez comme il ya de iours en lan pour deux fois et quinze plus. et chascun vient chanter vne fois lan en lautel de sainct thomas et nous y chantons les festes annueles. Et pour ce sommes nous appelles Prestre iehan car nous sommes prestre selon le sacrifice de lautel, et roy selon iustice et droicture. Et saiches que ie fus sainctifie auant que ie fusse ne. car dieu enuoya a mon pere vng ange lequel luy dist quil fist vng palays qui seroit de la grace de dieu & chambre de paradis pour ton enfant qui est a venir. Car il sera le plus grant Roy terrien de tout le monde & viura long temps. Et qui sera an palays naura fain [=faim]  ne soif et ne pourra mourir (***) et quant mon pere se esueilla de son dormir il eut grant ioye et commenca le palays tel comme vous oires.  

52

Item sappiate che noi visitiamo ogni anno il corpo di San Daniele il profeta, che è nel deserto, e conduciamo con noi diecimila chierici ed altrettanti cavalieri, e duecento torri montate sugli elefanti, (*) i quali portano una torre per guardarci dai dragoni, che hanno sette teste su ognuno di essi. E sappiate che in questo deserto vi sono dei datteri tra i migliori, che pendono dagli alberi e sono buoni sia verdi che maturi, inverno ed estate. E il deserto si estende ottanta e sessanta giornate, e colà sono i due patriarchi di San Tommaso, (**) che siedono a tavola davanti a noi, perciò che hanno il potere del papa di Roma. Ed abbiamo tanti abati quanti giorni vi sono nell'anno, per due volte e quindici in più. Ed ognuno viene a cantare una volta l'anno all'altare di San Tommaso, e noi vi celebriamo messa nelle feste annuali. E perciò siamo chiamati Prete Gianni, giacché siamo prete secondo il sacrificio dell'altare, e re secondo giustizia e diritto. E sappiate che io fui santificato prima di essere nato. Perché Dio inviò a mio padre un angelo che gli disse che facesse un palazzo, che sarebbe della grazia di Dio, e camera del Paradiso «per tuo figlio che deve venire. Giacché sarà il più grande re terreno di tutto il mondo e vivrà a lungo. E chi sarà nel palazzo non avrà fame né sete, e non potrà morire». (***) E quando mio padre si svegliò dal suo sonno ebbe gran gioia, e cominciò il palazzo così come udiste.

(*) In http://www.liceosabin.it/ipertesti/bestiari_definitivo/codici/testi/boldelef.html [10/6/2011: link non più attivo] è riportata una miniatura tratta dal manoscritto Bodley 764, metà del XIII sec., che viene così descritta: «L'elefante e la torre: illustra una notizia, presente anche in Isidoro, secondo cui Indiani e Persiani collocavano sul dorso dell'elefante una torre di legno, dalla quale combattevano come da un bastione».

(**) Nella Catholic Encyclopaedia - http://www.newadvent.org/cathen/ - alla voce St. Thomas Christians, si riferisce che Cosma Indicopleuste (circa 535) affermava che i cristiani di Ceylon - che erano Persiani - e "quelli del Malabar" avevano un vescovo residente a  Kalyân, ordinato in Persia, ed un altro sull'isola di Socotra.

(***) Nel corso del paragrafo, riferendo le parole dell'angelo, si passa al discorso diretto, per cui nella traduzione ho introdotto delle virgolette.

Premierement les paroys sont de cristal et la couuerture de dessus est de pierres preci- 11 euses et par dedens est aourne de estoilles en semblance de celles des cieulx et le pauement est cristal & audict palays ne trouveres fenestre ne porte. et dedens le palays a .xxiiii. pilliers dor et de pierres moult precieuses de toute manieres. Et illec tenons nostre corps es festes annuelles & sainct thomas presche aux gens ou [=en+le] milieu du palays. et dedens nostre palayz ya les caues et le meilleur vin du monde & qui en boit na desir des biens temporelz nen efret  [da efreer/esfreer=s'agiter]  ou elle va ne dont elle vient. (*)

53

In primo luogo le pareti sono di cristallo e il rivestimento sovrastante è di pietre11 preziose, e di dentro è adorno di stelle a somiglianza di quelle del cielo, e il pavimento è cristallo, e nel detto palazzo non troverete finestra né porta. E dentro il palazzo vi sono XXIIII pilastri d'oro e di pietre assai preziose di ogni sorta. E colà teniamo il nostro corpo nelle feste annuali, e San Tommaso predica alle genti nel mezzo del palazzo. E dentro il nostro palazzo vi sono le cantine ed il miglior vino del mondo, e chi ne beve non ha desideri dei beni temporali, non si preoccupa di dove vadano né donde vengano. (*)

(*) Vi è qui un errore di concordanza grammaticale: né qui biens temporelz concordano con elle, femminile singolare. Si è interpretato nel modo che è parso più logico, supponendo elle erroneo per ils.

Itemque vne aultre grant merueille ya en nostre palays cest assauoir que nul menger ny est appareille fors que vne escuelle vng gril et vng tailloir qui sont pendus a vng pilier. Et quant nous sommes a table et nous desirons auoir viandes elle nous sont appareillees par la grace du sainct esperit. Et saiches que tous clercs qui sont au monde ne scauuoient dire ne retraire les biens qui sont en nostre palays & en nostre chappelle. Et saichez que tout ce que nous vous auons escript est vray comme dieu est. et ne mentirons pour riens. Car dieu et sainct thomas nous confondroient et perdrions noz dignites.

54

Itemque un'altra gran meraviglia v'è nel nostro palazzo, vale a dire che nessun cibo vi è preparato, salvo una scodella, una griglia ed un tagliere che sono appesi ad un pilastro. E quando noi siamo a tavola e desideriamo avere vivande, esse ci sono preparate per la grazia del Santo Spirito. E sappiate che tutti i chierici del mondo non saprebbero dire né descrivere i beni che sono nel nostro palazzo e nella nostra cappella. E sappiate che tutto quanto vi abbiamo scritto è vero come Dio è. E non mentiremmo per nessuna cosa. Giacché Dio e San Tommaso ci confonderebbero e perderemmo le nostre dignità.

Se vous voulez de nous quelque chose que nous puissions mandes le nous car nous le ferons de tresbon cueur. Et vous prions quil vous soit en remembrance du sainct passaige et que ce soit prochainement et ayez bon cueur grande hardiesse en vous et soies remembrans de mettre a mort ces faulx templiers (*) et payens et vous prions que vous nous enuoiez responce par le porteur de ces presentes. Et prions au roy de france quil nous salue tous les feaulx XPestiens de dela la mer & quil nous enuoye aulcun vaillant cheualier qui soit de la bonne generation de france. En priant nostre seigneur qui vous doint  [=donne]  perseuerer en la grace du sainct esperit. Amen.

55

Se voi volete da noi qualcosa che sia in nostro potere, fatecelo sapere, ché noi lo faremo molto volentieri. E vi preghiamo che teniate a mente il ricordo della santa crociata, e che ciò sia presto, ed abbiate buon cuore, grande ardimento in voi, e siate memori di mettere a morte questi falsi Templari (*) e pagani, e vi preghiamo che ci inviate risposta tramite il latore di queste lettere di presentazione. E preghiamo il re di Francia che ci saluti tutti i fedeli cristiani di là dal mare e che c'invii qualche valente cavaliere che sia della buona razza di Francia. Pregando Nostro Signore che vi conceda di perseverare nella grazia del Santo Spirito. Amen. 

(*) Cfr. nota al § 5.

Donne en nostre sainct palays. Lan de nostre natiuite. cinq cens et sept. (*)

56

Steso nel nostro santo palazzo, l'anno cinquecentosette della nostra natività. (*)

(*) Cfr. nota al § 27.

Cy finissent les diuersites des hommes des bestes et des oyseaux qui sont en la terre de Prestre Jehan.

57

Qui finiscono le singolarità degli uomini, delle bestie e degli uccelli che sono nella terra del Prete Gianni.

 


 

BIBLIOGRAFIA SOMMARIA SUL PRETE GIANNI

(basata fondamentalmente sulle opere che ho io stesso e su quelle altre che mi è parso vengano ritenute particolarmente importanti)

 

La lettera del prete Gianni, a c. Gioia Zaganelli, Pratiche, Parma, 1990.

[Davide II imperatore d’Etiopia], Les diversités des hommes des bestes et des oyseaux qui sont en la terre de Prestre Jehan, BNF N053127, 1483, su http://gallica.bnf.fr

Lettre de prêtre Jehan au pape et au roy de France: contenant les diversités des hommes, des bestes et des oyseaulx qui sont en sa terre, accompagnato da un commentario e da una nota manoscritta, 1758, su http://gallica.bnf.fr

Una versione del testo latino, tratta dallo Zarncke (vedi sotto) e più breve di quella riportata dalla Zaganelli, si trova sul sito dell'Accademia Jaufré Rudel di studi medievali http://www.accademiajr.it/bibvirt/bibvirt.html, note a c. di Fabio Cavalli, 1998.

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, XXXIII, 106 segg.

Mario Bussagli, La leggenda del Prete Gianni, in: Abstracta, n. 6, giugno-luglio 1986, pp. 6-11.

Enrico Cerulli, voce "Prete Gianni" nell’Enciclopedia Italiana, 1949, vol. XXVIII, pp. 216-218.

Henri Corbin, En Islam iranien, Gallimard, Paris, 1971, vol. II, pp. 185-186.

Encyclopædia Britannica, 1964, vol. 18, sub voce "Prester John", pp. 458-460.

Julius Evola, Il Mistero del Graal, Mediterranee, Roma, 1972, pp. 47-54.

Giovanni da Hildesheim, Historia Trium Regum, scelta e trad. it. di Alfonso M. di Nola: Storia dei Re Magi, Newton Compton, Roma, 1980, pp. 41-45, 80-86, 145-146, 153-155.

Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio a’ Tartari, cfr. T’serstevens e Marco Polo.

Arturo Graf, Il mito del paradiso terrestre, Basaia, Roma, 1982, p. 58.

Arturo Graf, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo, Chiantore, Torino, 1923, pp. 724, 754-800.

Guglielmo di Rubruk, Itinerario, cfr. T’serstevens.

Björn Landström, Vägen till Indien, Stoccolma, 1964, vers. it. di Aldo Devizzi: Le vie delle Indie. Dalla spedizione alla Terra di Punt nel 1493 A.C. alla scoperta del Capo di Buona Speranza nel 1488 D.C., Martello, Milano, 1964, pp. 90-93, 138, 169, 171, 176, 177, 211, 215, 216, 221.

Odorico da Pordenone, Viaggio del Beato Odorico da Pordenone, a c. Giorgio Pullè, Alpes, Milano, 1931, pp. 70, 237.

Marco Polo, Milione - Giovanni da Pian del Carpine, Viaggio a’ Tartari, Edipem, Novara, 1974, capp. LII-LVI, LXI, LXII, XCII, XCIII, CXIX - p. 171.

Pierre Ponsoye, L’Islam e il Graal, trad. Maurizio Murelli, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1980, pp. 70-71.

A. T’Serstevens, Les précurseurs de Marco Polo, Paris, 1959, trad. it. di Roberto Ortolani: I precursori di Marco Polo, Garzanti, Milano, 1960, pp. 134-135, 179, 253-255, 272, 278.

Wolfram von Eschenbach, Parzival, a c. Giuseppe Bianchessi, UTET, Torino, 1957, p. 608.

 

Jean Doresse, L’Empire du Prêtre-Jean, Paris, 1957 (non visto).

R. Lefevre, La leggenda del prete Gianni, in: Annali Lateranensi, 8 (1944), pp. 9-89 (non visto, citato nell’Enciclopedia Cattolica alla voce "Prete Gianni", vol. IX, p. 1982).

Gustav Oppert, Der Presbyter Johannes in Sage und Geschichte, ed. 2, Berlin, 1870 (non visto, citato nell’ Encyclopædia Britannica, 1964, vol. 18, sub voce "Prester John").

F. Wion, Le Royaume historique. Du Royaume du Prêtre Jean à l’Empire de l’Agarttha, Paris, 1966 (non visto).

Friedrich Zarncke, Der Priester Johannes, Abhandlungen der phil. hist. Klasse d. Kgl. Sächs. Gesell. d. Wiss., VII, Leipzig, 1879 (non visto).

  

Addenda (2005)

Dal sito della Bibliothèque Nationale Française http://gallica.bnf.fr – si possono ora scaricare in facsimile le seguenti due opere:

Ioannis Presbiteri maximi Indorum et ethiopum christianorum Imperatoris et patriarche Epistola ad Emanuelem Rhome gubernatorem de ritu et moribus Indorum deque eius potentia diuitiis et excellentia, 1495-1500, 24 pp. (Notice n° FRBNF37243317).

P. Meyer, Le Salut Notre Dame – La lettre de Prêtre Jean, in Romania: recueil trimestriel consacré à l'étude des langues et des littératures romanes, Paris, Tome XXXIX, 1910,  pp. 268-276 (per l'intera pubblicazione Notice n°  FRBNF34349239;  per il tomo XXXIX identificativo N. 016047).

  

Addenda (2012)

Robert  Silverberg, The Realm of Prester John, Ohio University Press, Athens, 1972, trad. it. di Franca Genta Bonelli: La leggenda del Prete Gianni, Edizioni Piemme, Casale Monferrato, 1988, pp. 411.

  

 

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