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IL RĀMĀYANA DI GIANPAOLO FIORENTINI

Dario Chioli

   

   

Č uscito quest'anno un libro degno di nota sotto molti aspetti: Rāma e Sītā. La storia d'amore dell'India di Gianpaolo Fiorentini (Magnanelli, Torino, 2006, 176 pagine, 13,50 euro).

Come si puņ intuire dal titolo, si tratta di una riscrittura del Rāmāyana di Vālmīki, il capolavoro epico indiano il cui primo traduttore occidentale fu un torinese, Gaspare Gorresio. L'opera del Gorresio era fluida e leggibile, e la lessi a suo tempo con piacere. Tuttavia, oltre ad essere difficilmente reperibile (particolarmente il settimo libro, l'Uttarakānda), č molto lunga e scritta in un linguaggio decisamente ottocentesco; risulta pertanto un po' pesante a chi gią non abbia consuetudine con tale linguaggio e con l'epica indiana.

La storia di Rāma e Sītā č in India il prototipo della storia d'amore. I due eroi sono sģ incarnazioni di Vishnu e Lakshmī, ma anche esseri ben vivi, soggetti alle passioni e vicissitudini del vivere. Il loro amore, contrastato da tutti gli esseri demoniaci che incontrano, resiste a mille prove, che li trasformano e li portano infine al completo – pubblico e privato – riconoscimento sia della indissolubilitą del proprio reciproco legame sia della propria natura divina originaria.

L'opera di Gianpaolo Fiorentini risulta essere un'eccellente mediazione tra la storia tradizionale e il lettore moderno. La formula con cui č stata composta, racconto alternato a commento, č particolarmente riuscita. Il commento non spiega certo tutto e il racconto non narra tutte le vicende, ma quanto vi č di fondamentale viene detto, e le varie note, geografiche, etimologiche, mitiche che siano, costituiscono un ottimo mezzo di iniziazione all'universo da cui il Rāmāyana proviene.

Fiorentini č del resto assai abile nell'arte di raccontare, come gią si č visto nelle Storie di Nasreddin, pubblicate da Psiche nel 2004 (mio era in tale opera lo studio introduttivo e sua la riscrittura delle storie).

In quest'opera riesce a estrarre ed esporre innanzi al lettore sentimenti e avventure che piacciono e coinvolgono assai pił di quanto ci si aspetterebbe, in virtł del continuo reciproco riferimento tra racconto e nota informativa. Si puņ dire che le divagazioni non sono mai fini a se stesse ma convergono nel costruire una sorta di ambiente intermedio tra l'antico e il contemporaneo, dove la mente e la curiositą vengono soddisfatte dall'informazione mentre il cuore viene avvinto dal mito.

In tal modo sfugge di gran passo al difetto di molta parte dei testi letterari indologici, che sono spesso troppo servili rispetto agli originali e pertanto letterariamente fiacchi. Questo libro si legge invece piacevolmente. Parte raccontando chi era Gorresio, e poi chi era Vālmīki, e cosģ il lettore viene familiarmente preso per mano e introdotto di mediatore (quello torinese) in mediatore (l'autore originario) fin nel cuore stesso del mito, che č l'unione di Rāma e Sītā, dell'anima con la propria energia.

A quel punto si segue la vicenda come si leggesse un libro d'avventure. La voce rinarrante, quella di Gianpaolo, continuamente interviene e spiega quel che Vālmīki intendeva, quel che sottintendeva, quel che voleva far capire. Si dipana cosģ davanti all'occhio della mente e del cuore una vicenda di guerre ed ostacoli da superare che sono metafore di quelli che s'incontrano nella intima ricerca del divino. «L'epico duello ha inizio. In campo demoniaco: foga, impeto, tracotanza ed aggressivitą; in campo divino: calma, riflessione e pacatezza» (p. 146).

Il tempo passa tra dčmoni, prodigi, eroismi, stupiditą e scelleratezze. Conforme alla propensione indiana, spesso la follia viene giustificata col destino, l'insensibilitą con gli effetti di azioni passate. Ma insomma, quale che sia la spiegazione della sofferenza patita e dell'ignoranza manifestata – mai compiutamente riuscita ad alcuno – infine la gioia e la saggezza hanno il sopravvento. «Con l'incoronazione di Rāma ha inizio un'epoca di prosperitą che dura undicimila anni» (p. 160). Anche tale felicitą tuttavia č provvisoria, quel che importa č la dimensione segreta in cui deve anch'essa confluire, quella che sta di lą dal mondo del mutamento.

«In questa storia... Rāma scende dal cielo, e Sītā sale dalla terra... Per riaccedere alla loro vera condizione, i due eroi ripassano attraverso i reciproci portali di entrata. Vuol dire che lo spirito risale al cielo e il corpo rientra nella terra? O lo strano finale non lascerą intendere che cielo e terra, immanifesto e manifestato, causa e prodotto, realtą e māyā, sono la stessa cosa?» (p. 167).

Vale quest'opera pił di molti trattati per chi desideri entrare, da spettatore coinvolto, nella tradizione indł pił arcaica, ancora libera dagli eccessivi formalismi sociali e dottrinali che sembreranno a volte irrigidirla e quasi soffocarla in epoche pił vicine alla nostra. Essa consente di dare uno sguardo a ciņ che fu e di effettuare qualche paragone  con ciņ che presentemente si riscontra.

 

   

[22.VII.2006]

   

 

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