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Elise Ciarenz
(1897-1937?)
da OTTAVE AL SOLE
Ha scagliato una mano di ferro
un sistro d’oro, verso l’alto.
Il sistro d’oro si è incendiato,
diventando sanguinante ferita.
Si è acceso nel cielo di giacinto
e sparge il suo sangue che brucia,
sacrificato nel limpido cielo -
quanto fa bene il suo ardente morire...
Quel sole, rosso e maturo,
è appeso, come frutto di luce
vuole labbra nostalgiche
eccitamento e passione.
Vuole labbra calde e fianchi,
carezze ardenti e di sangue,
quel sole rosso e maturo:
quanto fa bene il suo puro morire...
Come fianchi di fanciulla
che sogna, maturo e ardente
brucia il sistro del sole
nel sogno infinito del mondo.
Puledri corron sui prati,
nitrendo accesi e frementi.
Dicono le ragazze cose impure
e ride il sole impazzito...
Vedo, nitriscono al sole
cavalli d’oro:denudate, le folli giovani
gli succhiano le labbra.
Incendiate, le calde labbra,
baciano, odorano di fuoco,
temono di restare senza raggi.
Ah, è così che ti voglio!
Mi par d’essermi messo in cammino,nei prati azzurri del cielo,
e vado lieto e spensierato,
e ho una compagna di luce.
È donna, sorella, ed anima,
brucia, e folle mi brucio.
Con la vita di tutti ci fondiamo,
e la vita è febbre e miracolo.
[da: Elise Ciarenz [Egishe Charents], Odi armene a coloro che verranno, nella interpretazione di Mario Verdone, Ceschina, Milano 1968]
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