DI STANZE, DI LUOGHI, DI GATTI
Rosanna Masoero
- 1 -
Di corsa, di corsa, il pullman si avventava rabbioso sull'asfalto, incastrandosi subito nel pullulare nervoso delle macchine; le pause estenuanti dei semafori punteggiavano di ostacoli la strada.
Di più, di più. I musi ghignanti delle automobili riflettevano le espressioni dei loro guidatori. Tutti frementi, tutti stanchi, pronti ad esplodere al minimo gesto, sobbalzanti di continue costrizioni.
Il pullman si arrestò cigolante, inghiottì gli ultimi passeggeri e lei si ritrovò tra di loro, assorbita nel miasma caldo di umanità affranta.
La fermata, la strada di casa, ancora qualche metro tra poveri esseri abbrutiti e tracotanti. Le chiavi s'incepparono, slittarono, trovarono ubbidienti il meccanismo. Salì le scale. Passo dopo passo, si restrinsero, e ogni gradino era più vecchio dell'altro, poi più antico. Le pareti si avvicinarono tra loro, si coprirono di muffa, cadde l'intonaco, a mostrare, aggrappato alla pietra, qualche minuscolo fiorellino.
Sempre più in alto, alla svolta successiva pendevano stendardi fiammati, di colore nero e scarlatto, su cui si attorcigliavano i draghi. Ultimo piano. Il silenzio scese e crebbe placido come un'onda e il pianerottolo si spalancò verso un arco. Tacquero i passi e, lontano, una civetta fece udire il suo antico richiamo.
"Bentornata a casa", le disse il gatto e subito si accoccolò sulla sua spalla, molle di calore e di dolcezza.
"Bentornata", le dissero silenziosi i mobili, ma la piccola casa si mosse, ondeggiò, si trasformò come fosse pitturata su di un fondale e le pareti scorsero via infrangendosi nelle pieghe della tela.
- 2 -
Si aprì una stanza, poi un'altra e un'altra: grandi e ariose, dove i passi echeggiavano distanti e grandi finestre disegnavano una sequenza geometrica.
Andò, cercò, scrutando una camera dopo l'altra; buttò su di una sedia l'impermeabile, la borsa, la sciarpa. Una grande tenda le si parò davanti, minacciosa nel suo rosso cupo. La scostò con un gesto d'impazienza. Quelle stanze non finivano mai, si dilatavano in svolte e corridoi incastrati gli uni con gli altri.
Ad un tratto si popolarono tutte insieme di personaggi paludati in antichi costumi, che arrestavano per un momento la loro conversazione al suo apparire e le lanciavano brevi occhiate di sottecchi.
"È lei, alfine è giunta," mormorò una dama imponente nell'orecchio della sua vicina. Ma quando passò accanto a loro, tanto vicino da far ondeggiare le pieghe delle vesti, la dama prese un'aria indifferente e straniata. Un giovane paggio fece qualche passo come per raggiungerla, poi deviò all'ultimo istante, ignorandola.
Lei continuava a camminare, continuava a cercare, interrogava tutti con lo sguardo deciso e ansioso. Pose la mano sul braccio di un cavaliere che stava un poco discosto dagli altri e domandò: " Tu mi vedi? senti la mia voce? puoi rispondere alle mie domande?" Il cavaliere girò il capo, osservando un punto oltre la sua spalla, poi, per un attimo, i loro sguardi s'incrociarono; egli fece per rispondere e in quel momento la stanza sparì con tutti i suoi abitanti.
Rimase di nuovo sola, al centro di un corridoio. Lo percorse tutto, aprì la porta verde che l'aspettava al fondo e si ritrovò nella sua vecchia casa.
- 3 -
Il gatto era un cuscino peloso posato sul letto e socchiudendo gli occhi la consolò dicendo: "Andrà meglio un'altra volta", poi allungandosi tutto sulle zampe davanti, inarcò la schiena e miagolò:
"Non è arrivata l'ora di cena?"
Lei accese una sigaretta, preparò la pappa al micio e qualcosa per sé, accese il televisore e alla settima sigaretta andò a dormire.Prima che si addormentasse del tutto, il gatto con passi misteriosi risalì il letto fino al suo volto e le mormorò nell'orecchio: "Ora, se vuoi seguirmi, questa notte cercheremo insieme."
Le pareti si allargarono silenziose e si persero nel buio, le finestre si curvarono negli stretti archi gotici e il soffitto s'innalzò, dividendosi in lunghi spicchi. Faceva freddo, lei si avvolse nella coperta come se fosse un manto e si alzò. Si udiva ancora in lontananza il rumore di qualche macchina lontana, ma presto i suoni di quella civiltà si sarebbero spenti del tutto.
Il gatto le si strusciò dietro le gambe leggero leggero, poi le diede un'occhiata ed i suoi occhi lampeggiarano di verdi fosforescenze, nella penombra. Vedendo che esitava, le chiese:
"Non avrai mica paura?"
"Io ho sempre paura", rispose rassegnata.
"Allora è come non averla mai, stai esagerando, come al solito", concluse il gatto.
Si erano appena incamminati, quando l'animaletto si arrestò di botto.
"Aspetta, prima la pappa."
"Ancora?"
"Ancora un poco."
La stanza riprese i suoi contorni abituali per il tempo del pasto supplementare, poi di nuovo sparì e il gatto trotterellò come una piccola macchia chiara nell'oscurità. Lei si accorse di ritrovare, a mano a mano che avanzavano, quegli ambienti familiari e stravolti dei sogni già sognati e provò la stanchezza di dover ricominciare ogni volta il cammino.
Ora le finestre erano alte, appena sotto il soffitto, e sapeva che se le avesse raggiunte, avrebbe scorto il cortile di un'estate, con un grande albero di pero in mezzo e le foglie che facevano da cortina al cielo. C'era stata in quel posto, molti sogni addietro, molte volte, come nella decrepita soffitta che apparteneva anch'essa alla sua fantastica geografia notturna.
Ebbe un breve sospiro e proseguì. Ora avrebbe sentito il profumo del mare, ne era sicura, ed esso venne, facendosi inghiottire con golosità ad ogni respiro e la casa parve tremolare un poco, indecisa se fondersi con la scogliera rosa, per accogliere il mare. Prevalse la caparbietà dell'architettura gotica e lei si ritrovò in cima ad una scala oscura, a seguire la coda dritta del gatto che le faceva da guida. Scese i primi scalini e si scoprì irrigidita dalla paura. La scostò con un cenno ed essa si rannicchiò sotto il cuore, pronta a scattare. Il gatto si volse e miagolò:
"Ti sei accorta che questo è un posto nuovo? Non puoi fare sempre gli stessi percorsi, non credi?"
"E se mi viene il panico?" domandò lei, già allarmata.
"E se non ti viene?" propose lui, serafico.
- 4 -
La scala era la solita sfruttata nei film dell'orrore, tutta crepe e sporcizia.
"Aspetta, è troppo sporco qui, bisogna pulire", disse lei, piena di zelo.
Come se avesse atteso quelle parole, una donna emerse dal buio e in silenzio le porse una brocca e un bacile d'argento. Per la prima volta, uno degli abitanti di quella dimensione aveva avuto un diretto contatto con lei.
"Hai visto? Allora esistono sul serio! Non sto sognando tutto" esclamò, piena di contentezza.
"Certo che sì", confermò il gatto.
"Allora da qualche parte, in qualche modo, esisterà anche lui!"
Il gatto le lanciò un'occhiata gialla e indefinibile, rispondendo:
"Non volevi lavare?"
Lei si lasciò distogliere e cominciò a spruzzare l'acqua all'intorno, e tutto il sudiciume prese a sciogliersi e a scivolare velocemente via. Ora rideva e la paura era dissolta e versava acqua dappertutto e l'acqua scintillava in una moltitudine di gocce luminose e ogni goccia portava via un poco di sporcizia. Il gatto l'osservava riparato dietro a un angolo, con un solo occhio rotondo che spuntava preoccupato.
"Sbrigati," intimò, "abbiamo ancora tanta strada da fare e non mi piace tutto questo bagnato."
Ma il getto della brocca creava fantasiosi arabeschi e lei, nel mezzo, si era persa nel gioco.
Il gatto decise di ripulirsi un po' anche lui, mentre aspettava, e si mise a leccarsi le dita delle zampe ed una spalla. Il getto si mutò in un rivolo stanco, poi si assottigliò in un filo e la brocca fu presto vuota.
- 5 -
Il buio calò di nuovo sulla scala, il gatto finì di lisciarsi l'altra spalla, drizzò la coda e le zampe e fu pronto ad andare.
"Qui, adesso, si stava bene!" si lamentò lei.
"Non c'è più tempo", ingiunse il gatto.
S'incamminarono giù dai gradini ora netti di pietra chiara e la scala, dopo alcune giravolte, terminò.
Allora ci furono grandi aule sigillate di mattoni, da cui filtrava la luce del giorno reale, ripiene, stracolme, grondanti di oggetti. Lei diede un'occhiata circolare, valutandoli automaticamente con l'esperienza del collezionista. Piccole statue di gesso e porcellana straripavano da vecchi comodini e da consolle polverose; alcune intere, altre spezzate, alcune molto belle, altre poco più che spazzatura.
Passò le mani sopra di esse, raccolse un lucido angelo prezioso.
"Ma questo lo riconosco! Questo è mio!" esclamò meravigliata.
"I tuoi ninnoli ti hanno preceduta", spiegò il gatto.
"Li vedo strani, eppure sono contenta che ci siano" commentò lei, mentre raccoglieva un putto un po' sbrecciato.
"Lasciali, ora non ti servono più".
"Non mi dire sempre cosa devo fare!", ribatté inalberandosi. In realtà, avrebbe desiderato tenersi i suoi oggetti, era abituata ad essere circondata da loro, come una chioccia dai suoi pulcini. Trovò un piccolo spazio accogliente dove collocare l'angelo di porcellana ed il putto e ve li depositò con cura, indugiando sulle loro forme delicate.
A quel gesto, la sala turbinò e si ritrovarono ancora perduti nelle sale gotiche del castello, circondati dalla sua corte fantasma.
- 6 -
Corse dall'uno all'altro personaggio, chiamando a gran voce
"Avete visto l'uomo dal manto grigio? È passato di qui? Dove lo posso trovare?"
Questa volta un vecchio re la guardò bene in faccia, rispondendo gentile: "Era qui, ma ora se n'è andato."
Lei chinò il capo, delusa, ma il gatto stese verso l'alto le zampe davanti, nello stesso gesto di un bambino e si fece prendere in braccio, miagolando lamentoso: "Ho fame, è tempo di tornare.
Intorno a loro riapparve la cucina, lei prese una scatola di cibo dal frigo, la scaldò e accese una sigaretta, eppure, ora, quei gesti abituali le sembrarono estranei. Da molto lontano, poi più da vicino, le arrivò una contrazione allo stomaco, che l'allarmò vagamente.
"Che stupida, è solo la fame. Ma da quanto tempo è che non mangio?"
Si apprestò con pazienza ad organizzarsi un pasto, rovistando nell'armadio delle provviste. Anche la piccola disperazione che accompagnava le sue maldestre operazioni culinarie sembrava appartenere ad un altra persona.
Accese meccanicamente la televisione, cenò ingaggiando la solita battaglia contro la ladroneria giocosa del gatto e, intanto, fuori la notte calava come il sipario di un teatro abbandonato.
Questa volta dormì dopo quattro sigarette.
La luce perenne della città filtrava attraverso le persiane, ma dentro la stanza si fece subito grotta ed il letto un giaciglio profumato di fieno. Ci si avvoltolò beata, ma troppo tardi si accorse di un movimento nel buio e dell'uomo alto che, levatosi dal suo fianco, si avviluppava nel manto e camminando s'immergeva nell'ombra.
- 7 -
"Non andartene!", gridò, "non andartene ancora! Perché non ho potuto accorgermi che tu fossi qui?"
Il grido andò ad infrangersi contro le pareti della grotta e sotto a quel grido il rumore dei passi di lui si arrestò per un poco, poi proseguì.
Lei balzò in avanti e le parve di tuffarsi in acque oscure. Annaspando, infilò un tunnel, tendendo l'orecchio al suono dei passi, ma questi ora erano anche dietro e tutt'intorno. Rallentò, confusa, si mosse appena, si arrestò. Alle sue spalle i passi si fecero più decisi e parvero volerla sospingere verso una precisa direzione e, a mano a mano che avanzava, una calda sensazione di benessere l'avvolse, sciogliendo i suoi muscoli e rendendola leggera.
"È là che devo andare, è là che sono sempre stata, è là dove torno sempre" pensò, riconoscendo quella percezione come se fosse un luogo familiare.
I passi incalzavano urgenti e lei si mosse con la sicurezza di chi comincia un ballo conosciuto. Fu sospinta fino a dove il tunnel si biforcava in due direzioni e le aperture erano piene di oscura attesa. I passi dietro si avvicinavano veloci. Fece per imboccare il tunnel di destra, rassegnata in una contentezza indulgente, tipica di chi sta per ripetere un errore talmente conosciuto da divenire quasi confortante.
I passi innanzi a lei, oramai erano così lontani da risultare impercettibili, eppure si ostinavano a seminare il vuoto con la loro cadenza soffocata.
Le pareti del tunnel di destra si avvicinavano invitanti come il grembo di una madre, quando una fitta acuta alle caviglie la costrinse a fermarsi: il gatto era sopraggiunto di volata e le stava conficcando gli artigli nella pelle con una sua dispettosa soddisfazione, ma quando lo guardò, i suoi occhi erano spaventati.
"Non entrare là dentro, ti perderai ancora! Scappa, amica mia, scappa lontano!" miagolò implorante.
"Un percorso vale l'altro, piccolo, e questo almeno lo conosco già" rispose lei con un'alzata di spalle.
Il gatto indietreggiò, si raggomitolò tutto ed appiattì le orecchie dicendo: "Da quel luogo non uscirai più. Eppure lo conosci, il suo nome è Angoscia, perché ci ritorni? Le sue pareti ti soffocheranno, il soffitto è così basso che sarai costretta a chinare la testa per sempre, il pavimento ti ferirà i piedi e dovrai rimanere immobile."
I passi ora si avvicinavano di corsa e lei si sentiva stanca, si sentiva sospingere, si sentiva incapace di mutare direzione. Disse con rabbia estenuata: "Hai solo paura che la tua pappa non sia pronta all'ora giusta."
"Sei ingiusta e piena di autocommiserazione, in realtà non riesci mai ad accettare il fatto che qualcuno ti voglia bene", ribattè severo il gatto.
"È vero", mormorò lei, e poi, più forte: "è vero! era solo questo, lo scopo del mio andare.Una parte di me allontanava l'uomo dal manto grigio e l'altra lo ricercava continuamente."
"La tua vecchia stupida paura di non essere amata" concluse serafico il piccolo animale.
Lei rise ed ad un tratto il tunnel le parve soffocante e nauseabondo. In quel momento, i passi tuonarono alle loro spalle, il gatto schizzò di lato e lei raccolse tutta la sua forza per saltare oltre il passaggio di sinistra, correndo, volando, saettando ad una spanna dal terreno. Il gatto, sulla sua scia, pareva una foglia arancione sospinta dal vento.
Il tunnel esplose in un'apertura abbacinante di sole e lei si stupì di non essere neppure morta. Ci mise un po', ad abituare gli occhi ai colori splendenti della valle, prese in braccio il gatto e si avviò tra gli alberi.
Dinanzi, l'uomo dal manto grigio si arrestò, si volse, e sorrise mentre le veniva incontro.