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CONSIDERAZIONI SULLA CONTROINIZIAZIONE
E SULLE SETTE TORRI DEL DIAVOLO
Incànus
1. Veniamo al problema della chiave, in relazione alla controiniziazione. Si parlava delle componenti della controiniziazione stessa, dopo aver chiarito che l’abuso del termine «controiniziazione» non trova basi nell’opera guénoniana. Rimane il problema di meglio delineare le componenti della controiniziazione stessa, cosa sulla quale Guénon ha dato preziose indicazioni, amplificate ed approfondite da taluni seguaci intelligenti, ma sovente con deduzioni forzate. Questo delle deduzioni forzate operate sul testo è un altro degli errori più diffusi. Quanto ai “seguaci” di Guénon, mi riferisco in particolare a Jean Robin, che ha divulgato il tema delle Sette Torri del Diavolo (Shaitàn), del quale Guénon aveva parlato nelle sue lettere private, non giudicandolo (allora, cinquant’anni fa e più) suscettibile di espressione pubblica. Con il tempo, la necessità di maggior conoscenza nel campo, anche, se non soprattutto, per una situazione che, di fatto, preme, si è fatta sentire, portando quindi alla necessaria espressione anche pubblica del tema.
Abbiamo visto i cambiamenti ciclici attuarsi sotto i nostri occhi, inesorabili ed intrattabili come un’orda di troll, per cui tali cambiamenti hanno modificato, di fatto, una parte sola del quadro guénoniano, facendone invece rimanere un’altra: questo perché, come più volte ricordato, Guénon ha discusso più di uno scenario. Dico queste cose per fare il punto della situazione, cosa necessaria se si vuol evitare di “mettere troppa carne sul fuoco”, come si suol dire.
Ora, proseguiamo il nostro discorso, relativo alla “fonti” della controiniziazione. Come è stato più volte ripetuto in varie sedi, il nocciolo della questione è che il controiniziato non chiama se stesso “controiniziato”, bensì si autodefinisce “iniziato”. In altri termini, la discriminante fra iniziazione e controiniziazione fa parte dell’iniziazione, non della controiniziazione. Se, come Guénon non si stancava di ripetere, la controiniziazione si può in effetti opporre all’iniziazione solo nel campo dei Piccoli Misteri (campo, è bene ripeterlo senza posa, del tutto legittimo in sé, contro il quale taluno ha parlato per ignoranza), dunque il discrimen tra iniziazione e controiniziazione non può venire dal campo dei Piccoli Misteri, ma solo dal Centro stesso, raggiunto al culmine dei Piccoli Misteri stessi. Tale culmine si traduce nell’inizio dei Grandi Misteri.
Anche qui, bisogna guardarsi dalle solite incomprensioni, nate dal non afferrare che qui si sta parlando di realtà spirituali, non di dimensioni concettuali, mentali. Il compimento dei Piccoli Misteri è l’inizio dei Grandi. Detto altrimenti: fra i due non c’è un taglio netto, quando si è giunti al Centro. Perché? Perché nel Centro tale distinzione non ha più senso. Esiste solo la diretta percezione della Volontà Divina, e si stagliano intatti i mondi superni; sta quindi a chi è colà giunto “scegliere” se proseguire oltre, salendo, o volgersi verso il Basso senza tuttavia poterci ricadere, senza esserne toccati, qual Motore Immobile “dirigendo” il moto stesso.
Ho parlato di “scelta”: non c’è in effetti alcuna scelta, ma solo il diretto percepire la Volontà Divina, che cola giù come aurea ed aurorale acqua di cascata. In effetti, colà giunti, non vi è più differenza tra l’individualità e ciò che la trascende originandola, nel senso che l’individualità è stata largamente assorbita dal suo “prototipo” (l’uomo “primordiale”, la fitrah), pur mantenendo una sua specificità: è il prototipo in una sua particolar funzione. Così essendo stato assorbito nel prototipo l’individualità, “si” vede quel che sempre vi era “sin dal principio”.
In tal principio vi è lo stigma, il “segno” della Volontà Divina che stabilisce se, a quel punto, si possa continuare a salire, ovvero ci si debba volgere verso il mondo appena lasciato per un tempo determinato e non determinabile quantitativamente: di solito ai fini del mantenimento di una funzione per il raggiungimento di un determinato scopo (è il caso dell'avatâra).
Questa funzione peraltro può essere svolta anche altrimenti. Nel caso di Guénon e della sua «funzione letteraria», si deve dedurre che un'influenza diretta del Centro, calando su di lui, ha consentito che la questione della «controiniziazione», quindi, qualcosa che deriva da una divisione lontana nel tempo e che origina da ben prima del mondo moderno - nel quale doveva però trovare il suo miglior terreno di crescita - venisse fuori apertamente, in previsione della sua emersione storica.
Solo così, per mezzo di un intermediario, avrebbe potuto una questione del genere venir fuori ed emergere apertamente anche a livello relativamente pubblico. Chiaramente, una tal “emersione” rimane esoterica, nel senso che non basta la sua enunciazione per comprenderne il valore, cioè una tale questione non si dirime con la sola lettura, dovendoci essere una parallela conoscenza diretta, per lo meno parziale. In caso contrario, il rischio di prendere “lucciole per lanterne” o “fischi per fiaschi” è grandissimo nel campo spinosissimo e pesantemente paludoso del quale stiamo trattando.
In primo luogo, il riferimento alla controiniziazione che si ritrova nelle opere di Guénon si collega alla “rivolta degli Kshatriya”, della quale, oltre ad accenni sparsi qua e là, si parla in particolare nei Simboli della scienza sacra (cap. 20 e 24 in particolare) e nelle Considerazioni sulla via iniziatica, cap. XL in particolare. Tale capitolo, che ha come titolo “Iniziazione reale ed iniziazione sacerdotale” merita qualche considerazione aggiuntiva (è la controparte esoterica del libro di Guénon: Autorità spirituale e potere temporale).
Senz’altro la rivolta degli Kshatriya è la causa non della controiniziazione stessa, ma della trasformazione del luciferismo in satanismo, cioè della possibilità ancora implicita di rivolta nella rivolta effettiva. Questa sottile distinzione, che Guénon ribadisce nelle note a piè di pagina del cap. XL di Considerazioni, è ben conosciuta ed accettata da Jean Robin, per cui il puro e semplice equiparare la rivolta degli Kshatriya alla controiniziazione non è sufficiente. Ciò è confermato dai dati della tradizione islamica, che hanno le basi nello stesso Corano, quindi nella Rivelazione stessa, secondo un’interpretazione che lo stesso Robin ha divulgato: l’origine della controiniziazione sarebbe simboleggiata, nel Corano, dalla moglie di Noè, che lo “tradì” (è un termine che vela la realtà).
Se Noè è l’iniziatore dell’attuale ciclo, pari al semiperiodo di precessione degli equinozi (12.960 anni), ed oggi agli sgoccioli (*), ergo la controiniziazione c’è fin dal principio del ciclo stesso, sin dal “giardino” dell’Eden.
(*) Secondo Robin, sarebbe già terminato nel 1999, per cui saremmo già nel sandhya, evento dalle incalcolabili conseguenze.
Sennonché il ciclo dell’Adamo attuale corrisponde al semiperiodo del Grande Anno di 12.960 anni, sulla qual cosa concordano Dante e le fonti islamiche (dalle quali Dante, tra l’altro, è stato profondamente influenzato, e che occorre conoscere per ben intendere il pensiero di colui che per noi europei ed occidentali - non moderni - ha edificato una cattedrale nell’ambito della poesia e della letteratura). (*)
(*) Una precisazione ulteriore sull’influsso islamico nell’opera dantesca va fatta. Esso è indubbiamente presente, e maggiore di quel che si creda, tuttavia non è che si possa giungere al punto di fare di Dante un “criptoislamico”, secondo il pensiero di qualche aficionado dell’Islamismo o di qualche neoconvertito, per cui l’intellettualità (=spiritualità) è solo islamica, la cristianità dovendosi limitare al solo recepire, ringraziando, l’influsso islamico. Rimane tuttavia che Dante senza Islamismo non si può comprendere: il suo stile, il dolce stil novo, risente della forte influenza della scuola siciliana, che riecheggiava i temi tipici della poesia arabo-iranica (la donna, la rosa...), spesso con aspetti sufi. L’influsso di Averroè, poi, fu fortissimo in Dante. Ma tutto ciò non lo rese affatto islamico, tanto che pose Maometto ed Alì all’inferno, come “facitori di scandali”, scismatici. Per lui l’Islàm rimase sempre la versione eretica del Cristianesimo, quella di Ario, secondo cui Gesù Cristo è grandissimo ma non “consustanziale” a Dio, bensì su di un piano a Lui inferiore.
Va poi precisato che l’Adamo attuale di cui si è detto è quello delle fonti ismailite, le quali pur parlando di moltissimi “Adamo” insistono che si tratta proprio del nostro Adamo.
Ora, nel quadro dei cicli cosmici che Guénon ha dipinto, è Noè il prototipo dell’uomo (=Adamo) della parte del ciclo che inizia con la catastrofe di Atlantide, ovvero del Grande Anno (=12.960 anni), mentre per gli Ismailiti così come per Dante il “nostro” Adamo è quello degli ultimi 6.480 anni, cioè della metà del Grande Anno. Occorre dunque non confondere due cose: da una parte il semiperiodo della precessione equinoziale che è di 12.960 anni (ci sono delle inesattezze in tali calcoli, dovute alla serie complessa di piccoli moti astrali della terra ed all’attrazione lunisolare), e dall'altra parte il semiperiodo del Grande Anno, che è di 6.480 anni. (*)
(*) Si consideri che per Guénon il Kali-Yuga dura appunto 6.480 anni.
Ora, le fonti ismailite, in particolare, assicurano che Iblìs era presente sin da questo “giardino dell’Eden”, che per loro era il luogo dove le realtà spirituali si disvelavano direttamente (in linguaggio guénoniano: il Centro), senza dover rivestirsi del linguaggio dei simboli; tali fonti ne danno anche il nome: al Hârith ibn Murra (tra l’altro, il nome iniziale è una delle concause che fa sì che la tribù al-Hârith, per quanto sovente molto importante, sia sempre stata non ben vista tra le tribù arabe).
Tra gli Arabi premoderni (ma islamici) reputarsi “discendente d’Iblìs” era dunque cosa possibile; chi è discendente d’Iblìs viene dai jinn, ma non ogni discendente di jinn viene da Iblìs, ché i jinn non sono sempre malefici. Che vengano dai jinn i Curdi, per esempio, è un’idea diffusa in Medio Oriente, anche se può essere attribuita con qualche ragione solo a ristrette fasce di Curdi.
Tale idea era inoltre ben diffusa anche in Occidente, come dimostra il fatto che nel Medioevo c’erano molte famiglie che si dicevano discendenti di creature del mondo intermedio: per esempio i Lusignano da Melusina, una Dama Verde, e poi gli Jagelloni, varie famiglie in Boemia ed Ungheria (l’Ungheria d’un tempo comprendeva la Transilvania) ecc. Per via di mescolanze tali famiglie hanno colorato di sé una buona fetta dell’aristocrazia europea, il che può spiegare alcune cose.
Tra l’altro, i Lusignano si sono mescolati ai Savoia, che hanno posto termine al dominio temporale della Chiesa cattolica e contribuito ad inquinare la Massoneria. Dame Verdi sono anche collegate al Madagascar, dove si collegano sia ai Naga dell’India - anche in India vi sono infatti di tali famiglie, e così pure in Cina, Giappone ed Indonesia - sia con Alì e lo Sciismo.
Il legame dei Savoia con i Lusignano poi nasce da via strettamente “dinastica”: un matrimonio, che fruttò ai Savoia la parentela con la casata che deteneva il titolo di “re di Gerusalemme”, i Lusignano per l’appunto. Pertanto, i Savoia, prima di ricevere il titolo di re di Sardegna, avevano, per via soltanto dinastica sia chiaro, titolo a regnare in Palestina. S’intende sul regno crociato di Gerusalemme.
Per tornare alle fonti ismailite, particolarmente interessanti perché ci danno il “prototipo” della “tentazione eterna”, al-Hârith, per tentare Adamo, fa leva sulla sua generosità, non sui suoi difetti o limiti, e lo spinge a rivelare la conoscenza diretta delle realtà spirituali, non quindi la conoscenza simbolica, l’unica ottenibile nel Kali-Yuga, nutrimento liofilizzato che l’Acqua dello Spirito renderà effettivamente nutrimento mangiabile, “comprensibile”.
In tal modo, Adamo rivela quel che era noto nel ciclo precedente di disvelamento, tradendo così il privilegio dell’Ultimo Imâm: il disvelamento delle realtà spirituali.
Il pericolo dell’inversione ciclica si profila, Adamo vien cacciato dal Paradiso Terrestre, cioè, in termini guénoniani, dal Centro; in seguito, comunque, si riconcilierà con Dio. Questo collima con il quadro dato da Guénon. Difatti, ne Il Re del Mondo (cap. VIII: “Il centro supremo nascosto durante il Kali-Yuga”), Guénon sostiene che “il centro è divenuto sotterraneo ’più di seimila anni fa’, data che corrisponde con sufficiente approssimazione all’inizio del Kali-Yuga o ‘età nera’, ‘l’età del ferro’ degli antichi Occidentali, l’ultimo dei quattro periodi nei quali si divide il Manvantara; la sua ricomparsa deve coincidere con la fine di tale periodo” (*)
(*) Il Re del Mondo, Adelphi 19, p.79, sottol. mie.
Il Kali-Yuga è per Guénon il semiperiodo del Grande Anno (12.960/2 = 6.480), ed è 1/10 del Manvantara, che a sua volta è, secondo quanto Guénon ha scritto, pari a 64.800 “anni”, dove per “anno” si deve intendere il percorso della Terra intorno al Sole (o viceversa, è comunque un rapporto). Ora, l’orbita terrestre subisce alterazioni sia di percorso sia in relazione all’influenza della Luna: ciò che orbita intorno al Sole è il sistema Terra-Luna: di conseguenza, non è infondato ritenere che la durata effettiva del cosiddetto “anno” non sia stata costante. Noi misuriamo con un regolo che si modifica: il sistema di misura non cambia, ma il metro sì.
2. Prima di approfondire l'analisi della fenomenologia controiniziatica,
un’ultima serie di precisazioni. Abbiamo visto come la rivolta degli Kshatriya
sia stata fondamentale, non a generare la controiniziazione - che c’è già
dall’inizio, Noè simboleggiando la tradizione primordiale nel senso
fondamentale che Guénon le dava, e la “moglie” di Noè la controiniziazione
- ma invece a trasformare il luciferismo “lokiano” in
“lokiano” satanismo, in effettiva alleanza con le forze del caos.
Le forze avverse, dunque, si compongono di due strati: quelle che “un tempo” erano divine, per così dire, e quelle del caos, forze dissolutive, che però in certa parte fan parte della natura delle cose, come gli acidi, magari giusti nello stomaco per scomporre i cibi, ma deleteri in altre parti. Son funzioni cosmiche, che però debbono rimanere confinate in ristretti ambiti, laddove il loro dissolvente operare ha un effetto positivo. Lo scopo delle forze avverse della parte ex-divina è sempre quello di far emergere queste potenze dissolventi, allo scopo di dare loro consistenza, consistenza che non hanno nel loro mondo. Nel perseguire un tale scopo, la forza ex-divina si perverte gravemente, fino a scomparire nel cataclisma ciclico che pone termine al ciclo stesso.
Ciò accade perché, allo scopo di guadagnare potere sulle forze divine, la forza ex-divina si lega, come abbiamo visto, con quelle del caos o forze dissolventi che dir si voglia. Così facendo, a queste ultime la forza ex-divina dà una direzione che non potrebbero giammai avere. In conseguenza di ciò, la forza ex-divina, già gravemente oscuratasi, pure si lega col divenire ciclico delle forze dissolventi che ormai, grazie alla galvanizzazione infusa in loro dalla forza ex-divina, tendono alla manifestazione fisica, cioè alla concretizzazione. Ma, quando queste forze dissolventi saranno poste sotto scacco, ipso facto saranno sconfitte anche le forze ex-divine indissolubilmente fuse ormai con quelle dissolventi. Tale indissolubilità è peraltro temporanea, e attinente soltanto all’ultima fase di questo ciclo.
Non c’è stata, però, solo la rivolta degli Kshatriya nel nostro ciclo, per quanto questo sia stato senz’altro un evento d’importanza capitale; c’è stata anche il tradimento dei Brâhmana, il loro decadere e degenerare, che ha favorito, di fatto, la rivolta degli Kshatriya.
Di ciò, il riferimento tradizionale più interessante e quasi “paradigmatico” è quello che trovasi nello Shrîmad Bhâgavatam. Nel Canto Primo, i capp. 16 e 17, son dedicati al comportamento di Mahârâja Parikshit - il cakravartî lasciato colà da Shrî Krishna stesso - nei confronti del Kali-Yuga, simboleggiato da Kali, uno che non è un re, ma che si atteggia a tale, e che si comporta ben diversamente dalle regole delle civiltà brahmanica. È interessante la profezia ivi contenuta: “Ora, la casta Terra, lasciata dal Signore Supremo, piange sul proprio futuro, perché uomini degradati [shudra] che si spacciano per re [ma privi della cultura brahmanica] la governeranno e sfrutteranno”.(*)
(*) Cap. 17, verso 28; ed. Bhaktivedanta 1981.
Il Kali-Yuga viene graziato, pur avendo Parikshit voglia di combattere, e gli vengono assegnati dei luoghi (consumo carni, prostituzione, gioco d’azzardo e tutti i luoghi dove c’è oro, perché in tali luoghi vi è potenzialmente già il male degli altri luoghi appena citati); è il compromesso che ha retto questo pianeta per buona parte del Kali-Yuga stesso: le forze della Tradizione assegnavano alle forze dissolventi luoghi precisi e spazi limitati (*)
(*) Cfr. il cap. 21 di Simboli della scienza sacra, Adelphi 1975, dedicato al significato delle feste carnevalesche.
La modernità ha definitivamente rotto, ed irreversibilmente, proprio questo limite. Così, “il disordine ha fatto irruzione nell’intero corso dell’esistenza e si è a tal punto generalizzato da far sì che noi viviamo in realtà, si potrebbe dire, in un sinistro ‘carnevale perpetuo’” (*)
(*) Guénon: Simboli della scienza sacra, p.135.
Se in effetti osserviamo con attenzione il nostro mondo, vi vediamo tutte le caratteristiche di tale carnevale, consistenti per l’appunto nella diffusione senza limiti di quelle cose nelle quali il Kali-Yuga fu rinchiuso da Parikshit.
Quel che accade di grave lo si vede altresì nel cap. successivo dello Shrîmad Bhâgavatam (il 18°). Qui sono i Brâhmana ad aver la colpa per la quale Kali, “l’eponimo” del Kali-Yuga, sarebbe fuoriuscito dai rigidi limiti impostigli da Parikshit.
Questo destino si concretizza per mezzo del figlio di un brâhmana, che ha i poteri brahmanici ma senza la necessaria saggezza, e che maledice il Mahârâja per un’apparenza di colpa. Per questa maledizione, Parikshit morirà senz’altro; sennonché, non avendo il Mahârâja colpa, la maledizione, pur avendo il suo corso, si riverbera su chi l’ha promanata, indebolendo così non soltanto la società, che non ha più alcuna difesa contro la forza dissolvitrice del Kali-Yuga, ma pure i Brâhmana tutti: a causa dell’uso sconsiderato dei poteri, questi ultimi son tolti a loro come gruppo.
In tal modo la forza del Kali-Yuga ha sempre più potenza, perché non trova ostacoli; mentre vien punita l’intera casta brahmanica perché essa deve guidare, non maledire. Ha pure tale capacità, che però dev’essere usata verso chi si macchi di grave manifesta colpa, non abusata per scopi d’ordine individuale. Così, la decadenza del sacerdozio, il suo tradimento verso la sua missione, tradimento verso se stessi, apre sempre più la porta alle forze avverse. Questo tradimento si è poi oggi esteso, colorandosi di nuove fenomenologie.
Chiarito quest’altro punto, veniamo ora alla discussione della fenomenologia della controiniziazione. Il punto chiave è rispondere alla domanda: cosa tiene assieme gruppi così differenti tra loro?
Ci dev’essere un cemento e, non è un segreto, per Guénon questo è dato dal culto di Seth, del quale dice che “abbiamo qualche ragione di pensare che, sotto una forma o un’altra, [...] sia durato sino ai nostri giorni, e alcuni affermano addirittura che deve durare fino al termine del ciclo attuale”. (*)
(*) Simboli, cit. p. 130).
Questo cemento si lega con le correnti di vecchie forme tradizionali che, per un motivo od un altro, sono degenerate, in specie per abuso d’interesse e di pratiche relative al mondo intermedio, e/o per troppo stretti legami con talune entità del mondo intermedio... In tale ambito si situerebbero Ahl-i Haqq, Yezidi, Alevi: nessuno di questi gruppi sarebbe la controiniziazione, sia ben chiaro, ma ne sarebbero per così dire attraversati, la corrente più profonda essendo quella sethiana-satanica. Vanno poi aggiunte forme deviate di magismo dell’Asia Orientale, come certe forme di Bon, con le quali Hitler era in certa misura ricollegato. (*)
(*) Il legame di Hitler con tali gruppi non deve affatto intendersi come un “far parte di”, bensì come una forte "influenza indiretta”, esercitatasi attraverso altri ambienti.
Si può rilevare in proposito come anche secondo taluni autori accademici - come il Tucci - vi sia un incontestabile legame tra un certo iranismo (e sarebbe più giusto dire la tradizione dei “Magi” e non quella nettamente zoroastriana) e le origini del Bon. In quest’ultimo vi è senz’altro anche dello Sciamanesimo, che sarebbe la componente più antica, su cui si sarebbero aggiunte sia la componente iranica che in seguito quella buddhista.
Secondo Namkhai Norbu, poi, la specifica tradizione Bon sarebbe nata, partendo da un fondo indubbiamente sciamanistico, a Shang Shung, che è una zona del Tibet occidentale dove l’influsso iranico è stato molto forte. E peraltro anche la tradizione dei “berretti rossi”, quella di Padmasambhava, avrebbe avuto la sua origine verso l’Afghanistan, laddove l’influsso iranico si sarebbe saldato con quello buddhistico.
Tracce di cosmologia dualistica risultano poi assai evidenti nell’introduzione scritta da Tucci alla sua edizione del Libro tibetano dei morti. (*)
(*) Una fenomenologia più particolareggiata richiederebbe uno studio ed una pubblicazione precisi, che, se Dio vuole, scriverò: ho il materiale a disposizione. Qui mi premeva mettere in chiaro le basi del discorso e porre in luce la chiave di volta che permette di discernere tra la controiniziazione vera e propria ed il milieu che la nutre ma non è la controiniziazione stessa. In concreto, quel che tu vedi come osservatore è la mescolanza dei due strati che qui, concettualmente, stiamo con attenzione cercando di separare.
3. Riguardo alla fenomenologia della controiniziazione, va notato il
legame delle forme dell’Asia Orientale con quelle americane (precolombiane),
le quali ultime sarebbero collegate
strettamente con quelle d’origine atlantide. Queste ultime, a loro volta,
sarebbero legate, a causa di una progenitura comune, con le forme egizie (e
quelle citate nel capitolo 24 di Simboli, dal titolo “Il cinghiale e l’orsa”);
il legame fra tradizione egizia e tradizione ebraica è sottolineato da Guénon.
Su questo punto, Guénon si espresse con chiarezza.
Le tradizioni collegate con Atlantide si son diffuse nelle Americhe precolombiane, in Egitto e negli attuali Sudàn e Niger, nella Celtide e nel Nordeuropa, nell’Asia Orientale meridionale (Indonesia, Sud-Est asiatico). Si noterà poi che, in Medio Oriente, tranne per quanto concerne gli Ebrei, l’influenza atlantide sarebbe stata complessivamente minore. Questo perché tale zona del mondo, il Medio Oriente, ed in particolare il Kurdistàn, sarebbe il paese dell’Anticristo, in quanto proprio in Medio Oriente vi sarebbe stata la degenerazione della parte della controiniziazione più direttamente collegata con la Tradizione Primordiale (“la moglie di Noè”).
A questo punto, si può notare che la controiniziazione deriverebbe dalla fusione di due correnti, una più “primordiale”, e l’altra più nettamente “atlantidea”, per quanto sia oggi praticamente impossibile separare i due strati, che, in concreto, formano un’unica lega con differenza di quantità di mescolanza e fusione dei componenti, ma non di qualità, essendo sempre due gli strati implicati.
Interessanti sono, guardando alle forme americane, il Messico, e gli scritti di Carlos Castaneda, sui quali ci sarebbe molto da dire. Mi limito qui a notare due cose: lo stesso Castaneda parla (ne Il dono dell’Aquila) di due tradizioni concretamente unificate in Messico, la prima settentrionale, affine a quella degli Indiani del Nordamerica centromeridionale, la seconda meridional-occidentale, di chiara matrice atlantidea. I seguaci di quest’ultima corrente sarebbero stati vinti dai primi, che però avrebbero assunto molte delle loro pratiche; questa corrente atlantidea sarebbe all’origine delle più poderose manipolazioni del mondo intermedio. La tradizione del Nord è di chiara impronta sciamanica, e rimando al capitolo de Il Regno dedicato allo sciamanesimo, in cui, beninteso, si parla del pericolo dello sciamanesimo degenerato, non dello sciamanesimo in sé. Che oggi sia molto più frequente l’incontro con quello degenerato non implica deduzioni abusive, che pure sono state fatte, e che non trovano basi nell’opera di Guénon.
Tornando alla tradizione ebraica, Guénon notava “che il ciclo atlantideo pare essere stato preso come base della tradizione ebraica, che la trasmissione sia avvenuta attraverso gli Egiziani, cosa che non ha proprio nulla d’inverosimile, o in qualunque altro modo. Facciamo quest’ultima riserva semplicemente perché sembra particolarmente difficile determinare come avvenne la congiunzione tra la corrente proveniente da Occidente, dopo la scomparsa dell’Atlantide, ed un’altra corrente discesa dal Nord e derivata direttamente dalla Tradizione primordiale, congiunzione da cui doveva risultare la costituzione delle differenti forme tradizionali proprie dell’ultima parte del Manvantara”. (*)
(*) Guénon: Forme tradizionali e cicli cosmici, Mediterranee 1974, p. 40, sottol. mie.
4. I Mandei son collegati col tema dell’Anticristo da un fatto molto interessante. I Mandei stessi attuali sono in realtà un gruppo sincretico, per quella tendenza che hanno i gruppi esoterici, quando degenerano, a divenire sette (ne parla Guénon in Considerazioni). (*)
(*) La Massoneria, con la sua degenerazione politica, è in sostanza un'esemplificazione di questo fatto, che non è affatto unico e specifico della Massoneria stessa, ma quasi una tendenza perenne dell’esoterismo quando degenera. Si noti poi che la deviazione politica segue sempre quella spirituale, che sempre la precede.
Nel sincretismo dei Mandei attuali si riscontra una grande influenza dello gnosticismo e del Manicheismo, ma mescolata con una mentalità che considera questo mondo un bene (cosa che mai e poi mai un vero manicheo potrebbe accettare), mentalità che ricorda lo Zoroastrismo, l’unica religione che considerava l’uomo l’alleato del Dio del Bene (autore della creazione) contro il dio del Male. Com’è ben noto, per Mani, il profeta di Babilonia, l’autore della creazione è il dio del Male, il demiurgo, che non è buono né un trickster, ma decisamente malvagio.
Per questi motivi, la dottrina mandea è un dedalo di stratificazioni diverse, mazdee (Zoroastrismo “riformato”), gnostiche e manichee. Gnosticismo e Manicheismo son simili, ma non coincidono: è importante precisarlo (specificare per bene perché ci porterebbe lontano; se ce ne sarà l’occasione ci si ritornerà su). Inoltre, i Mandei condannano fortemente i Manichei, con toni “mazdei”, perché Mani reputa il mondo un male, ma invece per loro il creato è stato fatto dal Dio del Bene. Si nota, poi, negli scritti mandei, l’insistenza sul peccato di origine sessuale, nel senso di coartare l’espressione della sessualità, cosa che nutre demoni, secondo loro (la posizione si ritrova in certe correnti cabalistiche ebree, che potrebbero non essere lontane dall’aver esercitato la loro influenza sui Mandei).
Ora, i Mandei venerano Giovanni Battista, e disprezzano Gesù, per questo son detti “cristiani di San Giovanni”; abbiam visto, però, come Guénon interpretava il termine Giovanni (ne Il Re del Mondo), che non riferiva a San Giovanni, bensì al Prete Gianni, vale a dire al Re del Mondo.
Per i Mandei, è Cristo Gesù il profeta del Male. Questo si spiega per l’interferenza gnosticista, che, mescolata con il valore buono del mondo, fa sì che Cristo sia spregiato anche perché allontana dallo svolgere il proprio dovere nel mondo; la castità è molto mal vista, perché è l’evitare che ci siano altre anime, potenzialmente nemiche del Signore del Male. (*)
(*) Cfr. E. Lupieri: I Mandei, Paideia 1993.
Gesù, per i Mandei, è il “Messia Falso”. Il ritratto che ne danno i testi mandei “trova paralleli abbastanza precisi nelle cosiddette Toledòth Ieshù (‘Storie di Gesù’), che son leggende medioevali anticristiane giudaiche” (ne I Mandei, cit., p. 267, sottol. mie). A mio avviso, tra l’altro, tra le fonti dei I Tre Impostori (quello originale, medioevale, non l’omonimo racconto di Arthur Machen) vi sono appunto sia le Toledòth che l’influenza mandea.
Per tornare a quest’ultima, l’interesse della figura del Gesù mandeo è che ha i tratti dell’Anticristo cristiano, in maniera stupefacentemente precisa. Si legge nel libro sacro mandeo (la Ghinza) a proposito di Gesù: “Si comporta con umiltà e va a Gerusalemme. Cattura alcuni fra i giudei con magia ed inganno e mostra loro miracoli ed apparizioni. Fa entrare daiuia [demoni] del suo corteggio in un morto e questi parlano nel morto. Quindi egli chiama i giudei e dice loro: ’Venite, vedete, io son colui che risveglia i morti, che opera resurrezioni, che compie liberazioni. Io sono Anush [Enos], il nasureo [nasureo=gnostico]” (*)
(*) Ibid., p. 270.
Son questi i miracoli dell’Anticristo di talune agiografie “all’inverso” del Medioevo, così come dello scritto di Adso di Montier-en-Der De ortu et tempore Antichristi.
I Mandei sono un tipico gruppo esoterico il cui esoterismo si è perso in sincretismo, perché, pur condannando lo gnosticismo, però considerano le sfere celesti dei sette pianeti le dimore delle case di punizione (matarta), come lo gnosticismo, che considerava le sfere celesti altrettante sfere di caduta verso la Terra. Gesù è a capo della matarta di Mercurio, ed è molto significativo che il collegare Gesù con Mercurio corrisponde precisamente all’esoterismo islamico; la differenza è che, per i Mandei, trattasi di cieli nefasti.
Naturalmente, il profeta Muhammad non poteva esser trattato meglio: a lui è consegnata la matarta di Marte. Gesù è “il falso Messia”, Maometto è “il figlio del boia arabo” (altrove vien detto “Abdallàh l’arabo, il figlio del Leviatano”); mancherebbe solo Mosè, ed avremmo I Tre Impostori.
Da notare come Marte vien detto dalla Ghinza: Nirig, un nome che riecheggia vecchi etimi assiro-babilonesi (i Mandei si trovano alle foci del Tigri e dell’Eufrate, nel Sud dell’attuale `Iràq).
5. Guénon parlò, nella sua corrispondenza privata, delle “Sette Torri del diavolo”, i luoghi di proiezione delle influenza sataniche (si ponga bene attenzione a tale termine, dopo che ho più volte insistito sulla non totale coincidenza del luciferismo con il satanismo). Esse si troverebbero in Asia ed Africa: non ce ne sarebbero in Europa (punto da sottolinearsi), né in America, dove però vi sarebbero centri minori.
Vediamone l’ubicazione, per quanto se ne dice.
La più nota, ed una delle più potenti, sarebbe quella collegata con gli Yezidi, che peraltro non sarebbero certo tutti controiniziati (basta tornare alle importanti precisazioni sia riguardo alla differenza tra controiniziazione e forme deviate o degenerate, sia riguardo alla differenza tra nucleo e quanto vi si connette direttamente rispetto a quanto vi ruota semplicemente intorno senza una diretta connessione e quanto ancora, a sua volta, se ne fa semplicemente influenzare, consapevolmente o no). Questo luogo è il Gebel Sinjàr, nel Nord-Ovest dell’attuale `Iràq, non lontano da Mosul, nel Kurdistàn iracheno, ma verso la Siria, ad Ovest del Tigri. È una catena isolata, i cui ultimi contrafforti occidentali sforano il confine siriano, circondata da una pianura tra i 200 e i 500 m; la cima più alta della catena, il Gebel Sinjàr per l’appunto, è alta 1463 m.
Al Gebel Sinjàr allude Guénon nella recensione al libro di Seabrook Adventures in Arabia, che si può leggere nella raccolta d’articoli postuma L’esoterismo islamico ed il Taoismo (pubblicata da Adelphi non molto tempo fa, ma prima da un editore minore, Arktos di Carmagnola). È l’unica Torre della quale parlò in sede pubblica.
In sede privata, nella corrispondenza, parlò dell’insieme delle Sette Torri, che rinserrerebbero l’Europa.
Una sarebbe in Niger, dove già nell’antico Egitto si parlava dell’esistenza della più pericolosa magia. Come riferimento attuale, andrebbero presi lo stato del Niger e il meridione dell’Algeria. Fra i Tuaregh le donne nere, “nigeriane” (niger in latino vuol dire nero), sono ritenute padrone di un pericolosissimo magismo capace di condurre a morte certa colui che ne è stato colpito (detto borbor).
Inoltre, il fondatore dell’Impero Songhai, Sonni Alì detto Shi, fu colui che si sarebbe guadagnato l’impero con l’aiuto della magia, come sostenuto da tutti i commentatori musulmani dell’Africa Occidentale (zona di gran cultura islamica e d’importanti università islamiche, prima che il troppo grande aumento della temperatura e la fine delle miniere d’oro ponessero quella regione in crisi finale).
Sonni Alì “collezionò” il magismo di varie regioni: l’Africa nera, la componente ebraico-musulmana, e soprattutto la componente berbera. Ora, come Guénon insegnava, il magismo cosiddetto “berbero” è, in realtà, d’origine egizia. E questa è una chiave importante. A Sonni Alì sarebbe stata data la Parola capace di soggiogare tutte le entità del mondo intermedio, che non potevano dir di no all’imperatore songhai. Questo affermano le fonti musulmane, naturalmente non prese sul serio dai “seri” storici moderni, che in effetti non comprendono nemmeno di che cosa si sta parlando; avere quella Parola è un fatto rarissimo.
Collegando questo dato con quello dell’origine egizia del magismo “berbero” si può individuare una traccia del culto di Seth.
Un’altra Torre starebbe in Sudàn, e sarebbe quella legata direttamente a Seth; infatti sarebbe collegata con la Nubia. Probabilmente, l’influenza sethiana si è diffusa verso l’ovest proprio di qui. Notiamo tra l’altro il falso Mahdi del Sudàn (questo dato va collegato con il segno della controiniziazione: il voler invertire l’ordine cosmico, parodiando il ruolo disvelatore dell’Inviato celeste).
Una terza sarebbe in Siria: occorre vedere quella serie di catene isolate che dal Gebel al-Drus va verso il Gebel Sinjàr. Qui antichi raggruppamenti esoterici son degenerati sovente; consideriamo poi il monte Hermon, citato nel Corano come il luogo dove gli “angeli caduti” (in realtà jinn superiori) avrebbero rivelato agli uomini la “magia”.
Poi ci sarebbe il già citato Gebel Sinjàr.
La quinta sarebbe nel Turkestàn, dice Guénon senza situarla precisamente. Dati storici e permanenze di forme tradizionali passate, ci spingerebbero a situarla nel cosiddetto Turkestàn cinese, nella zona attualmente detta in cinese Xinjiang (“Nuovi Territori”), etnicamente zona degli Uigur, geograficamente il bacino del Tarim, la Kashgaria, la zona del deserto del Taklamakàn.
Vi sono indizi in merito: in primo luogo occorre osservare con attenzione come son trattati gli Uigur nelle storie tibetane e mongole di Gesar di Ling; in secondo luogo l’Impero Uigur è stato l’unico stato a rendere il Manicheismo religione di stato per settant’anni circa, evidenziando così l’apertura della zona verso nuove forme tradizionali, nonché la lotta che le ha opposte ed insieme mescolate. L’islamismo kashgaro è in effetti particolare, risentendo di molte influenze tibetane, sia lamaistiche che bon.
Si veda poi nelle Lettere a J. Evola (1930-1950) di Guénon (SeaR ediz. 1996), il passo riportato nella lettera 8, datata 13 giugno 1949 (pp. 93-94), dove si parla di Meyrink e di Bô Yin Râ (Joseph Schneider). Vi si dice che Schneider “era stato collegato con un’organizzazione molto strana, che aveva la propria sede dalle parti del Turkestàn e rappresentante una specie di Tantrismo più o meno deviato”. Ora, vi è in effetti un Tantrismo bon - perché il bon “riformato” è un lamaismo particolarmente sciamanistico - e Meyrink parla di tale tradizione tantrica più o meno deviata ne La notte di Valpurga.
Le altre torri Guénon non le situa precisamente, ma sarebbero lungo l’Ob, in Siberia occidentale e sugli Urali. La prima sarebbe alle sorgenti del fiume Ob, sui Monti Saiàn Occidentali; l’ultima, secondo Robin (in René Guénon. La Dernière chance de l’Occident) dove l’Ob sfocia, dove gli Urali incrociano il Circolo Polare Artico, nel “polo d’evoluzione dell’Eurasia” secondo G. Georgel (Le Quattro Età dell’umanità).
Vediamo ora la corrispondenza tra i sette cieli e i sette pianeti e le “Sette Torri del diavolo”. Mantenendo l’ordine di Guénon, quella del Niger corrisponde alla Luna, quella del Sudàn a Mercurio, quella della Siria a Venere. A riprova della validità di tale sistema di corrispondenze, è noto che in astrologia la Siria ed il Libano son collegate a Venere, mentre l’Egitto (e quindi la Nubia, che fa parte dell’attuale Sudàn) a Thot-Mercurio. Il legame tra il Niger (*) e la Luna è meno evidente, va però notato che tutta quella zona è stata fondamentale per la religione islamica, il cui simbolo è la Luna.
(*) Per “Niger” va intesa, come già detto, la vasta zona interna semidesertica tra il Niger e l’Algeria del sud. In antico, peraltro, tutta l’Africa occidentale, con eccezione delle coste, era “niger”, cioè la zona abitata da genti di pelle nera.
Proseguiamo: il Gebel Sinjàr corrisponde al Sole: ed è una corrispondenza calzante con la Mesopotamia (gli Assiri, Babilonia, gli Imperi di quella zona son tipicamente “solari”, “leonini”, nimr; senza contare il legame con il mito solare di Gilgamesh). Procediamo verso est: il Turkestàn cinese (oggi cinese, naturalmente, non cinese in se stesso) corrisponde a Marte, collegato ai popoli turco-mongoli ed a quella zona tutta dell’Asia Centrale. Che tali popoli abbiano una qualificazione “marziale”, “guerriera”, è la storia che lo dimostra “per sovrammercato”.
Infine, la Torre dei Saiàn corrisponderebbe a Giove, e quella degli Urali settentrionali alla foce dell’Ob a Saturno: son cose molto più difficili da giustificare, anche in considerazione del fatto che trattiamo di sovversione di forme molto antiche, le cui tracce son oggi indiscernibili o almeno poco nette. Ma son gli unici posti rimasti liberi. Queste corrispondenze si debbono mettere a confronto con le corrispondenze date da Guénon nel suo scritto sull’esoterismo islamico, laddove parla della corrispondenza tra cieli e profeti, vale a dire tra cieli e forme tradizionali collegate a quei profeti stessi. Inoltre, va notato che il Gebel Sinjàr si trova al centro della serie, perché corrisponde al Sole.
Ora, è interessante notare una cosa: che il Gebel Sinjàr non è stato solo e sempre malefico, il che avvalora quanto giustamente sostenuto da Robin, vale a dire che le Sette Torri sarebbero i resti di centri spirituali del passato, entrati prima in decadenza, poi in degenerazione, infine terminati del tutto (il “taglio”), al punto che l’Avversario ha potuto impadronirsene. La prova, per quanto riguarda il Gebel Sinjàr, si troverebbe nell’opera dello Pseudo-Metodio, il libro profetico apocalittico più importante del Cristianesimo dopo l’Apocalisse.
Fu attribuito al vescovo Metodio del quarto secolo dopo Cristo, in realtà trattasi di un’opera siriana (in effetti, quella siriana fu la cultura più importante delle origini del Cristianesimo), probabilmente scritta al termine del VII sec. d. C. (intorno al 690). Si legge dunque nella Prefazione siriaca, non contenuta nelle edizioni latina e greca, che Metodio ricevette la rivelazione da un angelo sulla “Montagna di Sinagar”, o Monte Sinagra: il Gebel Sinjàr, appunto. Per dirla con Guénon: “anche qui, le cose sono molto meno semplici di quanto non credano coloro che le considerano unilateralmente”. (*)
(*) Guénon: Simboli..., cit., p. 130, cap. “Sheth”.
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