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COME NON AVERE SUCCESSO

ovvero sia

FRAMMENTI SULL'ARTE DI FALLIRE IL BERSAGLIO

OPERA BREVE MA ILLUSTRE PER DOTTRINA,

ADATTA IN PARTICOLARE A COLORO CHE ASPIRANO

A DIVENTARE MAESTRI PRECLARI

NEL CAMPO DELLA CULTURA E DELLO SPIRITO

di Dario Chioli

 

Sommario

Prefazione invece d'una postfazione

Come non correre il rischio di pubblicare un libro

Considerazioni generali su come non ottenere carisma

Come non raggiungere neppure l'illuminazione spirituale

 

Prefazione invece d'una postfazione (per scrivere una postfazione bisogna aver finito di scrivere quel che si voleva scrivere, cosa che non so se si avvererà mai)

Pongo mano a questo saggio su come non avere successo incoraggiato da mia moglie la quale, uditane l'idea, mi ha immediatamente riconosciuto competente a scriverlo.

Tale idea m'era del resto sorta, per vie subliminali, dalla soddisfazione di avere strappato in minuti pezzettini quattro insipidi racconti che da anni mantenevo in istato di revenants senza decidermi mai a farne quel che ne ho fatto oggi.

Considerando la mia particolare propensione al successo, a partire dalla quale si elaborerà la presente opera, è probabile che fossero gli unici che avrebbero mai potuto trovare un pubblico disposto alla lettura.

Il coraggio distruttivo mi ha comunque dato piacere ed ho cominciato a sviluppare una specie di sguardo autocannibale, nel desiderio di divorare parecchie delle vecchie scorte di magazzino della mia erudita mente.

Ho riconosciuto perciò con un grande appetito che sono senza ombra di dubbio totalmente inadatto ad ottenere qualsiasi forma di successo comunemente ritenuta tale. Pregusto perciò luculliani simposi di fantasticherie impossibili.

Nello scrivere andrò un po' a caso, e in questo spero di non contravvenire allo spirito del saggio. Infatti uno dei metodi migliori per non avere successo è di essere lucidi e sistematici, esattamente il contrario dunque di quel che ho intenzione di essere. Temo però che per questo taluno si astenga dal decretarmi l'insuccesso. Ma tant'è: l'insuccesso dell'insuccesso potrebbe essere il successo, il rischio c'è, e non riesco ad aver successo neppure nel liberarmi di questa contraddizione.

 

Considerazioni generali su come non ottenere carisma

Ci sono tante strade.

Una, più semplice, è far vedere con troppa evidenza che lo si vuole. Per esempio vai da un tale e gli dici che rispetto a te è una bestia e che solo imitandoti diverrà un uomo. Beh, generalmente così facendo il tale ti risponderà a male parole. Può però capitare anche il masochista a cui piace essere preso per scemo, e in tal caso il segreto è accorgersene e trattarlo da uomo intelligente, in modo da poter raggiungere l'insuccesso egualmente.

Un'altra strada è ignorare deliberatamente il desiderio fondamentale di colui dal quale potrebbe venirti il riconoscimento del tuo carisma. Per esempio, se gli interessano i soldi, puoi vantargli la cultura; se vuole sesso, i valori religiosi; se vuole potere, l'umiltà; se vuole apparire umile, l'illusorietà delle virtù. Insomma, vedi caso per caso qual è la via più adatta, e vedrai che il tuo carisma, se per caso ce n'era, scenderà a zero e, se non c'era, non nascerà.

Altra via è non considerare l'apparenza. Il carismatico vuole senz'altro circondarsi e viene perciò circondato di manifestazioni carismatiche, di riconoscimenti arcani, d'inafferrabili miracoli. Intorno a lui si verificano interiori illuminazioni, circolano persone beneficate e chiarificate, talora visitate nella notte da impalpabili e palpabili spiriti. I pazzi risanano e i sani impazziscono per invidia di non esser risanati. I morti vengono aiutati e i sani martellati per aiutarli a morire bene. Per quelli che muoiono di fame, in sante meditazioni si diffondono pensieri positivi affinché possano trovare chi gli dà da mangiare o, morendo, conseguire l'illuminazione, mentre ai grassi e magri naturali s'impone il digiuno spirituale e la mistica preparazione del banchetto del carismatico. Rifuggi dunque da tutto ciò e starai sicuro.

Altra via è esporre complesse opinioni o svelare verità nei momenti inadatti. Per esempio un tale ti chiede notizie sul tempo e tu gli sviluppi la teoria indù dei cicli cosmici, o ti chiede come stai e tu, anziché rispondere convenzionalmente, glielo spieghi, o ti chiede cosa pensi della sua ultima poesia e tu glielo dici, mentre per aver carisma di dotto critico dovresti lasciare che lui stesso esponga il suo punto di vista, anche se non riesci a sopportarne la banalità.

Se però il carisma per sfortuna già dovessi avercelo, le cose sia banali che non banali non dirle banali, ma sagge, di modo da apparire ridicolo, perché dai personaggi importanti ci si attende al contrario che neghino qualsiasi cosa che gli altri ammettano, sia essa vera oppure no, facile o difficile, ad essi nota oppure ignota. Tu dunque ammettendo tutto come una gran saggezza, farai la figura del fesso e perderai quel po' di carisma di cui per avventura ti fossi trovato in possesso.

 

Come non correre il rischio di pubblicare un libro

Sii logico e non pubblicherai mai nulla. Se non ci credi, prova ad andare per case editrici cercando di parlare con l'editore. Il meglio poi è spedire per posta: ogni volta starai tranquillo sei mesi, un anno, in attesa della risposta, e poi potrai sempre spedire da un'altra parte. Sul letto di morte infine griderai Mondadori! e ti parrà nel trapasso che un coro di critici ti acclami. Avrai comunque vinto la tua partita contro il successo, perché questa si conduce solo da vivi.

Sii irrazionale e non pubblicherai mai nulla. C'era uno che una volta la settimana se ne stava fuori da Einaudi in via Biancamano a Torino con una treccia d'aglio e faceva esorcismi contro l'insuccesso. Portava l'icona di Giulio col lumino sotto, e uno stendardo con frange con su scritto Einaudi ti voglio bene. È arrivata la Buoncostume e l'ha portato via. Poi l'han trasferito in una clinica psichiatrica, ma lui pensa che sia l'Hilton di Stoccolma e che gli abbiano dato il Nobel. Chiama la pastasciutta Cheveux des dieux flambés e l'acqua minerale Vin céleste de rosée. Le casacche degli infermieri pensa siano le divise, firmate Valentino, dei suoi servitori. Scambia lo spoglio cortile della clinica per un giardino Zen e interpreta le domande degli psichiatri come koan. Confida di coniugare, prima di morire, la sua celebrità letteraria all'illuminazione spirituale. Ha ottenuto il massimo del successo nell'ottenimento dell'insuccesso, in quanto, illuso di aver raggiunto la celebrità, non la raggiungerà perciò mai.

Confida nel tuo destino e non pubblicherai mai nulla. Quel marpione di Robert Graves da qualche parte consigliava ai giovani autori di attendere con pazienza che qualcuno li scopra, senza scocciare i critici, perché tanto è il sommo Fato a condurre l'uno al successo e l'altro all'insuccesso. Suppongo abbia scritto ciò dopo che qualche dozzina di suoi imitatori gli avrà rifilato manoscritti di cinquecento pagine sulla Dea madre. Egli è comunque un prezioso ausilio per mantenere i vantaggi dell'inedizione.

Confida nei tuoi meriti e non pubblicherai mai nulla. Sei infatti sempre solo tu a crederci.

Confida nei trucchi e non pubblicherai mai nulla. Infatti i curatori editoriali ne sanno una più del diavolo, e quando qualcosa non sanno se ne infischiano.

Confida nel buon gusto di critici ed editori e sei condannato. Se sei così folle da far questo, santa follia la tua, che ti manterrà sempre nel felice stato di ignoto.

Confida nello stile e sei condannato. Un poeta cinese ruppe la sua lira quando morì il compagno che solitamente ascoltava il suo canto. Saggiamente non s'attendeva di poter trovare qualcun altro che sapesse apprezzarne lo stile.

Confida nel tuo umorismo e idem. La più trita battuta pronunciata da un Agnelli farà rompere le ganasce dal ridere persino a Dracula; pronunciata da te, ti guarderanno senza compassione come se tu fossi un vaso da fiori.

Nelle tue qualità umane e idem. Le apprezzeranno infatti coloro che ne hanno bisogno, che in genere non sono nella condizione di farti pubblicare alcunché. Qualora lo fossero, il desiderio da te manifestato li farà tornare in sé, ed eserciteranno il loro potere ai tuoi danni.

Confida che non confidi in niente e idem. Infatti per dimostrarlo dovrai non far nulla, e nulla facendo nulla otterrai. Un tale, per superare l'impasse, s'era messo all'angolo di una strada con un cartello con su scritto: Non confido in nulla. Passarono quattro testimoni di Geova, una suora, tre spacciatori, un ubriaco comunicativo, un'aspirante strega che lo prendeva per Belzebù, un mullà milanese che voleva convertirlo all'Islàm, un gruppo di scientologi che volevano duecentomila lire per misurargli la pressione mistica, un aspirante scrittore che voleva convincerlo che per trovare un senso alla sua vita bastava che lo mantenesse e gli facesse pubblicare i libri che avrebbe scritto. Passò anche un venditore della Folletto che lo convinse e gli fece sganciare ottocentomila lire. Due venditori ambulanti di Khouribga gli vendettero tre confezioni da cinquecento fazzoletti di carta. Un cane teologo lo annusò e lo morse perché non gli piaceva che non credesse a nulla. Infine non ne poté più e se ne tornò a casa avvilito.

Confida che hai capito come gira e idem. Gli altri infatti non sanno che tu lo sai. Se lo sapessero ti emarginerebbero per timore che gli prendi il posto. Non sapendolo, ti emarginano perché si sentono furbi.

Confida che hai vinto dei premi letterari con tanto di coppa targa diploma statuetta bacio di celebrità locale e sfilata di politichini di second'ordine e saprai che non gliene frega niente a nessuno.

Pubblicare un libro è un imponderabile mistero. Se desideri non aver successo in questo campo ti verrà facile. Qualche rischio lo correresti qualora tu avessi già pubblicato altri libri. Però in questo caso si può sperare che tu abbia pubblicato presso un editore a pagamento, in una di quelle collanine di versi che non vedrai mai in libreria, o che son sempre sotto il bancone dalla parte del libraio. Un curriculum col nome di questi editori sortirà un effetto immediato: senza neanche aprire, l'editore consultato getterà il tuo manoscritto nel grande archivio ultimo dell'Azienda Municipale per la Raccolta dei Rifiuti.

Ricetta quasi infallibile per fallire è poi in genere tentare di pubblicare dei versi. Si dà infatti il caso che si affronta in modo completamente diverso il libro d'un poeta noto ed un autore inedito: col primo si teme, qualora non piaccia, di sentirsi ignorante; col secondo si teme di esserlo se piace. Pertanto, se un critico si trova innanzi un libro di Baudelaire, non potrà che parlarne in termini positivi, anche qualora non sopporti Baudelaire; in compenso si vendicherà largamente sul tuo manoscritto, e così nasconderà a se stesso la propria assenza di libertà di giudizio, e rallenterà il progresso inarrestabile della sua ulcera da frustrazione.

Povero lui, del resto! Quanto vorrebbe sparlare di Kundera, dir male di Joyce, ridacchiare su Céline, avvolgere il formaggio coi fogli della Gerusalemme Liberata! Quanto vorrebbe stroncare i mattoni indigeribili dei coniatori di best seller o dei poeti d'avanguardia, infischiandosene dei divieti dei loro editori, trasformare i supplementi letterari da dépliant pubblicitari in palestre di maldicenza! Ma non può, poverino, e si rode il fegato. Tu hai dunque speranze buonissime di un completo ed insormontabile fallimento.

 

Come non raggiungere neppure l'illuminazione spirituale

Qui il menù è infinito. Anche il palato più sopraffino può restare soddisfatto. Si può non raggiungere l'illuminazione da vegetariani e da carnivori, da digiunatori e da cannibali, da salutisti e da tossicomani, da astemi e da alcolizzati.

C'è a Torino un sufi che si chiama Amalia Jackson. La gente va da lui per essere insultata. Lui ha un gran retino da farfalle, per farfalle giganti. Tutti quelli che arrivano li islamizza di violenza o li sbatte fuori di casa.

Un giorno sono andato da lui per un equivoco, in quanto, non conoscendolo prima, credevo di fare visita a un possibile amico. Mi sono invece ritrovato a esser creduto un aspirante discepolo. L'ho sentito al telefono e sembrava un uomo qualsiasi, appena un po' esitante. Sulla porta di casa sembrava già un professore. Entrando in casa si trasformò in una sorta di Mosè autoinvestito e mi mise sotto il naso le tavole della sua legge. O le accettavo o me ne andavo.

Temporeggiai per curiosità e mi presi una carrettata di insulti, perché sotto sotto s'accorgeva che non ero così disposto a fargli da discepolo. Che ero andato a fare lì da lui se non volevo imparare? E che non m'azzardassi ad insultarlo in casa sua perché mi avrebbe sbattuto fuori a calci, perché purtroppo il suo carattere era così e non poteva farci niente! E perché ero lì se non ero disposto a lasciare da parte i miei punti di vista che non valevano nulla? E lui leggeva dentro l'anima della gente, ci vedeva com'erano fatti, e io non gli piacevo poi tanto in quanto ero assai presuntuoso e avrei voluto insegnare a lui.

Uscimmo di casa insieme e avrebbe preteso che gli tenessi aperta, a mo' di valletto, la portiera della macchina, e questo lo chiamava adab, ovverosia il rispetto che il discepolo deve al maestro nelle confraternite sufiche. Lo ringraziai ironicamente delle informazioni che m'aveva dato e non capì l'antifona.

Se ne andò convinto d'avermi impressionato, ed aveva ragione. Mi ci vollero infatti diverse settimane per digerire la sua arte sopraffina dell'insulto.

Egli è senza dubbio estremamente esperto, un vero maestro, nell'identificare le tradizioni sufiche con le costellazioni psichiche sue proprie. Compiaciuto di sé, probabilmente convinto della propria scienza, tutto dedito alle sue attività non so quanto redditizie di pittore e maestro di esoterismo, non ammette discussioni circa le premesse à la Guénon del suo pensiero. Di Guénon ha infatti memorizzato quasi perfettamente le opere. Con qualche significativa variante: per esempio non accetta la validità del cristianesimo e della massoneria attuali, considerandoli ormai privi d'ogni valore, e certamente fa del proselitismo.

Io penso che chi vuol farsi insultare senza rischi di guadagnarci in illuminazione, può andare da lui senza problemi.

Quanto su esposto mi porta naturalmente a parlare degli esoterici tra gli esoterici, quelli che portando alto il vessillo dell'autenticità vogliono riformare tutti gli altri. Qui la situazione è molto, come dire, intrigante.

Perlopiù comincia così.

Tizio dice a Caio che lui è, sì, un iniziato, ma non conosce alcuni segreti fondamentali ovvero la sua interpretazione non è accurata a sufficienza.

Caio s'incavola come una bestia e accusa Tizio di fingere segreti che non possiede.

Tizio cita estratti di estratti di note della spesa della cameriera dell'iniziato intimo amico del fratello del tramandatore di parte del segreto, e con ciò tenta di dimostrare che Caio ha torto nell'accusarlo di finzione.

Caio a questo punto, mentre assume un atteggiamento interlocutorio e distaccato in pubblico, nel privato, roso da cocentissima invidia, assolda gli amici degli amici perché seducano il cugino omosessuale della nipote lesbica della sorella monaca del fratellastro del tramandatore di un'altra parte del segreto, acciò da carpire la fotocopia della fotocopia della fotocopia mal venuta perché fatta di fretta della pagina quindici del testo originale reso parzialmente illeggibile da un caffè versatovi su il tre febbraio del settantanove. Ciò ottenuto cita e integra la frase sei del testo in suo possesso a parziale smentita delle affermazioni di Tizio, promettendo per un vago futuro ulteriori fondamentali documenti che confermino la sua tesi.

Tizio a questo punto va dall'avvocato e lo paga caro e salato perché convinca qualcuno dei parenti del tramandatore del segreto, morto nel frattempo, che sono stati violati i diritti d'autore del defunto e dei suoi discendenti. Poiché un litigioso in qualsiasi parentela si trova sicuramente, s'inizia una pluridecennale contesa giuridica dove alla fine, essendo morti tutti, gli unici ad averci guadagnato sono gli avvocati che si sono arricchiti.

Tutto ciò viene da altri attribuito all'occulta azione della controiniziazione, essendo costei, sembra, al pari di una zitella bisbetica, pronta a scocciare chiunque. Nasce perciò l'interpretazione complottarda: Satana ha sfruttato le energie sottili degli iniziati Tizio e Caio, e parenti a carico, per creare caos nell'ordinata gerarchia della tradizione. Tutto ciò perché la Massoneria, di cui Tizio e Caio erano membri, è ormai infiltrata dai simpatizzanti di Crowley e di ofidiche sette. Questo ha confuso il rito, che non è più efficace come prima, e allora Tizio e Caio si son messi a scannarsi come Caino e Abele senza loro colpa.

Viene allora proposta come rimedio un'agape fraterna di riconciliazione, e dopo due bottiglioni di barbera il figlio spirituale di Tizio e il figlio spirituale di Caio cantano insieme Noi soma alpin, beivoma 'l vin. Le mogli si scambieranno ricette di cucina e mistiche letture e con ciò si consoliderà un sodalizio esoterico di lunga durata.

Nel frattempo gli inconsapevoli che fossero fermi alla puntata precedente proseguiranno a pensare che la rissa è in atto, e si formeranno così partiti contrapposti assai rissosi, i tizisti ed i caisti. Pur non giungendo perlopiù a darsi botte in testa, se le daranno morali, e sui foglietti più ignoti, stampati nel segreto di segretissime conventicole ognuna di quattordici adepti, litigheranno a furore di critiche discettazioni e basse insinuazioni fino all'era ventura. Chi tali discepoli incontrasse, potrebbe fare indigestione d'oscurità, e pertanto evitare per sempre ogni attacco d'illuminazione.

Altra via magistrale per non raggiungere l'illuminazione è quella dei maestri che non ammettono di essere maestri. Astutamente prevengono in tal modo ogni contestazione, senza però ricusare, poiché pregati, di fornire aiuto alle anime smarrite. Tali anime smarrite provvedono poi esse stesse a creare la leggenda del maestro in incognito o del maestro umile, il quale in tal modo viene a godere di un'eccellente reputazione mercé un trucco di bassa lega. Ottimamente poi gli riesce se si trova ad essere l'unico rappresentante in loco di qualche struttura iniziatica nota. In tal modo, l'incarico che può aver ricevuto di rappresentare tale istituto si trasforma in autoglorificazione senza sforzo e senza apparente responsabilità personale. Per questa via si diventa dunque facilmente dei maestroni confusi ed abnormi e ci si preclude in modo veramente ottimo la via verso l'illuminazione.

Nell'ambito del caso precedente mi pare si possa distinguere un sottocaso particolare: quello degli emigrati ad oriente che poi non si trovano bene né qua né là. Questo succede con quelli che lasciano formalmente il cristianesimo perché lo trovano decaduto e poi si trovano a fare i conti coi bigotti di qualch'altra razza e religione. Allora o mandano tutto all'aria, e in tal modo si fregano in maniera magnifica a mezzo di qualche dozzina di sensi di colpa, oppure insistono nonostante tutto e allora si fregano altrettanto magnificamente tramutandosi in equilibristi che qua non interessano a nessuno e là non servono a nulla. Hanno l'aria triste di chi non sa dove si trova. L'illuminazione stava ad oriente ma poi lì non l'hanno trovata, e guardano talvolta indietro con qualche nostalgia verso occidente, donde si sono autoesclusi. In questo modo eviteranno con un trucco ben fatto di volgersi verso l'oriente del cuore dove potrebbero, infine, trovare pace ed illuminazione, che è però, ricordiamoci, quanto qui si apprende ad evitare.

La via maestra di tutti coloro che, cercando l'illuminazione, vogliono riuscire a non trovarla, è comunque l'adesione ad una qualsiasi della miriade di sette gruppi conventicole associazioni clubs privés d'affaires ésotériques che prosperano senza controllo ormai ovunque. Ce n'è per tutti i gusti: dai salotti spiritici per ingenui analfabeti alle riunioni con tè e pasticcini delle teosofe, dagli stage a prezzo più o meno modico dei seguaci del defunto Osho Rajneesh a quelli gratuiti ed autogestiti da sparuti gruppetti di cassintegrati, dai corsi di yoga tenuti da mistici ex impiegati di banca italiani o indiani alle partouze dei crowleyani messe su col 144, dai corsi per aspiranti Immortali taoisti alle Ventiquattro lezioni per diventare un deva, dal sufismo senza sufismo di Idries Shah alle diverse propaggini degli orfani di Gurdjieff, dagli egittognostici che venerano Schwaller de Lubicz agli alchimisti che venerano Fulcanelli, dagli istituti astrosofici alle ex-autocommercianti ora maestre taroccosofiche.

Se poi uno vuole aggregarsi a Dianetics o Scientology, avrà anche il vantaggio, ai fini di un sicuro non raggiungimento dell'illuminazione, di spendervi parecchi soldi sicché sarà poi sempre restio ad ammettere un errore, il che gli garantirà un lungo e possibilmente definitivo perdurare del medesimo.

In una sede di Dianetics sono in effetti entrato un paio di volte parecchi anni fa, portatovi da un amico idraulico che, per la verità, se n'era giovato in quanto, mediante le pratiche dianetiche, aveva cessato di soffrire di agorafobia. La prima volta sorridevano tutti, e sì che io giravo con capelli lunghi e ceffo non socievole.

Io mi dissi: Ohibò, qui sì che van bene, tutti contenti e disponibili, se prosegue così ci vengo anch'io.

Ci tornai infatti, sganciando una modica cifra, perché lì paghi anche per respirare. Quel giorno però avevano tutti la faccia più o meno depressa o stressata.

Mi siedo davanti ad una scrivania, e un tizio dall'aria non antipatica, una specie di esperto in public relations, comincia a spiegare cos'è Dianetics, cioè, detto con parole mie, un insieme non poi cretino di cose che sono state espresse anche altrove con altro nome. Ron Hubbard confezionò il tutto cambiando la terminologia, creò Dianetics e la Chiesa di Scientology e se ne andò a vivere su un mitico yacht. Ora come allora il tutto è gestito con criteri manageriali, gli illuminandi o chiarificandi essendo assimilati ai clienti.

Il tizio spiegava in realtà che non si può capire se non si fa, il che dicono tutti in tutti i gruppi, e così chi ci crede ci mette quarant'anni a capire che non c'è niente sotto, dopo aver speso milioni. Comunque, dato che prospettava segreti e visioni, e gerarchie di centinaia di gradi con cui ascendere a stati sovrumani o qualcosa del genere, tornai un'altra volta.

In quest'occasione sedevo con altre due o tre persone davanti a un'altra scrivania, e qualcuno ci dava suggerimenti di forme da visualizzare per addestrare la mente alla visione.

Finita la seduta, volevano che dichiarassi che mi sentivo diverso, nel qual caso mi avrebbero misurato la tensione elettrica con uno strano apparecchio probabilmente molto semplice. E andammo avanti pressappoco così:

- Ti senti cambiato nel profondo?

- No.

- Ma almeno un po'?

- No.

- Però se fai attenzione, qualcosa è mutato. Se è mutato ti misuriamo con quell'apparecchio, se no no.

- Se volete misurare bene, e se volete che dica che son cambiato lo dico. Ma non mi sento affatto cambiato.

- Ma sei proprio sicuro? Guarda alle pareti, tutti quelli che l'han fatto han messo per scritto che sono stati trasformati, guarda, abbiamo appeso le loro testimonianze alle pareti perché si vedano. E tu niente?

- Direi di no.

- Peccato.

Non sono più tornato, ma consiglio di andarci a chiunque voglia passare il tempo senza rischio di illuminarsi.

 

QUEST'OPERA FU INIZIATA IL 12 OTTOBRE

E PROSEGUITA NEL NOVEMBRE E DICEMBRE DEL 1994.

IL MIO INTENTO ERA CHE SI ESTENDESSE PER SEIMILA PAGINE,

MA NON HO AVUTO SUCCESSO NEL PORTARLA A TERMINE.

 

[X-XII/1994]

 

 

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