Alfred Richard Orage

Studi sull'anima e sulla coscienza.

Titoli originali: Consciousness: Animal, Human, and Superman (1907) - Unedited Opinions: The Government of the Mind (1911) - Unedited Opinions: What is the Soul? (1912) - Unedited Opinions: The Nature of the Soul (1912) - Unedited Opinions: On the Soul (1912) - Unedited Opinions: The Soul Proved (1912) - Unedited Opinions: Life and Death (1913) - Unedited Opinions: Beyond Good and Evil (1914) - Unedited Opinions: New Dogmas for Old? (1914) - Unedited Opinions: On Happiness (1914) - Unedited Opinions: To be or Not to be (1914) - Unedited Opinions: The Burden of Self-Consciousness (1914).

Traduzione, introduzione e note di Dario Chioli.

>> Libreria Editrice Psiche, Torino, 2007 <<

Pp. 192.

ISBN-10 88-85142-88-5
ISBN-13 9-788885-142886


 

Indice

  

ALFRED RICHARD ORAGE: UN COMPAGNO DI VIAGGIO
di Dario Chioli

  
LA COSCIENZA (1907)
Coscienza
Coscienza animale
Coscienza umana
Il superuomo

  
L’ANIMA
Il governo della mente (1911)
Che cos’è l’anima (1912)
La natura dell’anima (1912)
Sull’anima (1912)
L’anima dimostrata (1912)
Vita e morte (1913)
Al di là del bene e del male (1914)
Nuovi dogmi al posto dei vecchi? (1914)
Sulla felicità (1914)
Essere o non essere (1914)
Il peso dell’autocoscienza (1914)

  

ALFRED RICHARD ORAGE: UN TENTATIVO DI BIBLIOGRAFIA
a cura di Dario Chioli

  


 

ESTRATTI

  

Da: ALFRED RICHARD ORAGE: UN COMPAGNO DI VIAGGIO

  

[...]

GLI STUDI SULL’ANIMA E SULLA COSCIENZA

Come indica il titolo, questo libro raccoglie i principali saggi di Orage sull’anima e sulla coscienza, scritti in un lasso temporale che va dal 1907 al 1914. È interessante seguire in essi quel filo evolutivo che porterà il loro autore ad aderire a un certo punto all’esperienza gurdjieviana. Da questo punto di vista, li si può paragonare alle opere che scrisse Ouspensky, in un analogo percorso, prima di incontrare anche lui Gurdjieff.
Ho corredato il volume di qualche decina di note esplicative e di una non indifferente bibliografia, che per quanto incompleta, è pur tuttavia la più vasta di cui il lettore italiano (ma forse non solo) possa finora avvalersi.
Il primo testo, La coscienza (titolo originale: Consciousness: Animal, Human and Superman), uscì nel 1907 per la Theosophical Publishing Society, e assai vi si avverte l’influsso di Nietzsche – su cui aveva appena pubblicato un libro – senza peraltro che ciò sia di detrimento al pensiero. Esso passa in rassegna con grande lucidità le varie modalità di coscienza, quella animale, l’umana e quella che chiama superumana. L’idea fondamentale è che la coscienza umana sia intermedia tra l’animale e la superumana e che si costituisca come frutto di riflessione: la coscienza da animale si fa umana allorché, ripiegandosi su se stessa, riflette se stessa e prende a vedere il proprio e altrui corpo come oggetto. La coscienza umana è come una sfera rispetto alla superficie della coscienza animale. Un ulteriore ripiegarsi della coscienza dà poi origine alla coscienza superumana, che rende oggetto del proprio sguardo la stessa mente, in quello che può essere definito un “risveglio dalla veglia”, ovvero una dimensione (non raffigurabile in modo euclideo) che viene dai mistici vissuta e descritta come “nascita interiore”. Lo “star fuori” (estasi) dalla mente dà luogo a un “nascere dentro” del superuomo, per cui cessa di esistere il dualismo che connotava la vita dell’uomo, ripristinandosi a un più alto livello l’unitarietà che connotava l’esperienza della coscienza animale. A questo punto le facoltà umane vengono sostituite da analoghe facoltà superumane, che Orage definisce “alate”. Il superuomo si mostra così come compimento dell’uomo, non già come sua negazione. Guai a chi pretende di giungervi divenendo meno umano: suo destino saranno il miraggio e la morte. Il testo termina con questo ammonimento, quanto profetico se si pensa a come l’ideale del superuomo verrà interpretato e storicamente “attuato” di lì a poco da razzisti e nazisti.
Più fluidi, anche perché più brevi e di forma dialogica, gli undici scritti successivi, che abbiamo qui raccolto sotto il titolo L’anima, usciti tra il 1911 e il 1914 nelle Unedited Opinions su The New Age. Affrontano i temi principali con cui prima o poi si confronta il pensiero e il sentimento di ciascuno: l’anima, la vita, la morte, la mente, il bene e il male. Ne emerge un tentativo assai interessante di identificare nell’esperienza mentale e psichica elementi di riscontro sufficientemente oggettivi da guidare sulla strada verso la conoscenza. Si parte dalla considerazione dei limiti della mente, nel tentativo di limitare i danni di molte false interpretazioni (Il governo della mente), e si passa poi a parlare dei rapporti tra coscienza, mente e anima, di come l’anima si rifletta nella mente e di come i suoi effetti si manifestino come speranza d’immortalità (Che cos’è l’anima). Si cerca quali qualità della coscienza debbano derivare dall’anima in quanto non derivabili dalla percezione dei sensi (La natura dell’anima), e si indaga sull’antagonismo tra le qualità proprie dell’anima e quelle proprie della materia (Sull’anima). Si cerca di dimostrare l’esistenza dell’anima a partire dalla constatazione della duplicità degli impulsi, uno che porta al piacere momentaneo e un altro che porta al piacere immutabile (L’anima dimostrata), e si mostra che senza l’anima la vita non ha valore mentre una reale fede in essa le dà significato (Vita e morte). Si identifica la nozione del Giusto come fondamento di una reale moralità, di contro alla pseudomoralità a cui anche Nietzsche si opponeva, fondata su criteri di opportunità che vengono chiamati Bene e Male (Al di là del bene e del male), e si discute sulle differenze tra dogma e verità, collegando quest’ultima alla sensazione sperimentale della certezza (Nuovi dogmi al posto dei vecchi?). Si passa poi a identificare la felicità nella perfezione dell’arte della condotta (Sulla felicità), e a considerare la necessità di selezionare un fine unico, un’unica personalità, sopprimendo i molteplici fini ed identità potenziali che si agitano al fondo della coscienza (Essere o non essere). Si termina infine parlando della responsabilità che rappresenta l’autocoscienza, di come ci obblighi a esercitare la ragione senza cedere a miraggi e mistiche intossicazioni. La Filosofia ha dure esigenze, ma ai suoi amanti promette, come diceva Milton, «un perenne banchetto dai dolci di nettare | dove non regna alcun volgare eccesso» (Il peso dell’autocoscienza).

[...]

  

  

Da: LA COSCIENZA

 

IV. IL SUPERUOMO

 

[...]

Tra le varie scuole di mistici erano naturalmente in uso diverse denominazioni per queste più elevate modalità. La nostra denominazione di superuomo, per esempio, sembra non avere equivalenti tra i primi mistici cristiani; ma lo stadio superiore al superuomo era chiamato il Cristo. Secondo G. R. S. Mead, i seguaci di Ermete, il Tre volte Grandissimo, conoscevano il loro superuomo e il loro Cristo sotto i nomi di Daimon e Dio. In India i nomi furono Bodhisattva e Buddha.
Ma sia come Superuomo che come Daimon o come Bodhisattva, le caratteristiche di questa modalità di coscienza quali vengono descritte dalle varie scuole sono sostanzialmente le stesse. Ed è da tali scritti e tali tradizioni che possiamo trarre, forse, qualche verifica delle nostre congetture sulla natura della coscienza del superuomo.
Ma portiamo fino in fondo, in primo luogo, una o due delle analogie suggerite dalle nostre precedenti discussioni. Circa la coscienza animale come coscienza a un livello, vedemmo che la coscienza umana con la sua speciale qualità di riflessione potrebbe essere considerata come coscienza animale ripiegata su se stessa, o come coscienza in due dimensioni. Proseguendo nell’analogia, allora, la coscienza del superuomo o, com’è talvolta chiamata, la coscienza cosmica, è coscienza in tre dimensioni, ovvero coscienza umana ripiegata su se stessa. Ciò che in teoria si potrebbe supporre che accada quando la coscienza umana è così ripiegata, può forse essere desunto dalla stessa analogia.
Proprio come il tipico risultato del primo ripiegarsi è la produzione di una qualità immaginaria, così che ciò che in precedenza era coscienza animale diviene allora il suo proprio osservatore, allo stesso modo dobbiamo supporre che il prodotto tipico del secondo ripiegarsi sia la creazione di un altro osservatore che sembri stare fuori della mente umana, proprio come l’osservatore umano sembra stare fuori della mente animale. Se l’analogia può in qualche modo guidarci, possiamo allora asserire fiduciosamente che la caratteristica dominante dello stato del superuomo in relazione allo stato umano è uno “stare fuori”, o ékstasis.
Ma, considerando l’umana coscienza, ho fatto uso di un’altra più antica e universale immagine, l’immagine dell’embrione. Se giudichiamo la coscienza umana in sé come non altro che la condizione prenatale del superuomo, allora è chiaro che ciò che i mistici chiamano la seconda nascita, la nascita interiore, è il venire alla luce entro la mente di un essere fino ad ora embrionale. L’idea di estasi è chiaramente contenuta in quest’immagine non meno che nella precedente. Il figlio mistico nasce dentro il campo della natura animale, e se ne sta, dopo la nascita, fuori di quel campo.
Ancora, è di gran valore un’analogia che si è imposta a molti osservatori, l’analogia del sonno e del risveglio. Per fare un esempio moderno, e un esempio forse inatteso per la maggior parte della gente, c’è un dramma di Ibsen, Quando noi morti ci destiamo, in cui è drammaticamente rappresentata l’immagine della coscienza umana come sonno. Il risveglio è un secondo risveglio; esattamente analogo, come vedrete, all’idea d’una seconda nascita.
Orbene, sforzatevi di formarvi, mediante l’analogia del sonno ordinario e dell’ordinario risveglio, qualche concezione di un risveglio dalla veglia. Un tale secondo risveglio potrebbe legittimamente essere descritto come ékstasis, dato che implicherebbe il potere di mantenersi fuori dall’ordinario stato di veglia, proprio come tale stato di veglia si mantiene fuori dal sonno.
Sforzandomi di elaborare qualche concezione delle caratteristiche positive dello stato estatico ovvero del superuomo, utilizzerò indiscriminatamente ciascuna e tutte le precedenti immagini. Come ho detto, nessuna immagine e nessuna collezione d’immagini può essere davvero esatta, e nostra cura dev’essere considerare solo quanto esse rappresentano.
La prima conclusione generale che possiamo trarre è che la modalità di coscienza del superuomo sarà, dopo tutto, solo una modalità. Molti scrittori moderni hanno commesso l’errore di supporre che, trascendendo le limitazioni della coscienza umana, siano trascese tutte le limitazioni. Tale errore palesemente traspare, per esempio, nell’espressione coscienza cosmica. In realtà la coscienza del superuomo è solo una modalità superiore di coscienza cosmica, non è la coscienza del cosmo stesso.
Secondariamente, come singola modalità, deve certamente avere le sue limitazioni specifiche, le quali limitazioni formeranno il suo corpo. Ma dobbiamo imparare a intendere il corpo in un senso di gran lunga meno grossolano di quello che gli attribuiamo di solito. Comunemente associamo l’idea di corpo con la definizione della nostra sembianza fisica. Ma gli stessi limiti fondamentali esistono anche per ciò che chiamiamo mente. In altri termini, la mente individuale dell’uomo è una cosa altrettanto definita e formale quanto il suo corpo fisico. Solo che, naturalmente, è corpo di un’altra modalità. In modo simile, sembra giustificato parlare di un corpo estatico, corpo definito e limitato dalle limitazioni della modalità estatica di coscienza. E al modo che la mente è “dentro” il corpo, così il corpo estatico è “dentro” la mente.
In terzo luogo, dalle modalità caratteristiche della supercoscienza possiamo arguire anche organi e facoltà specifici. Già, come abbiamo visto, possiamo parlare in base all’esperienza comune delle facoltà e degli organi della mente umana. Ma il complesso è ben lungi dall’essere completo. Solo pochissime persone sono finora riuscite a ottenere conoscenza dei propri poteri e limitazioni mentali in un modo pressoché esatto. Per essere chiari, la maggior parte delle menti sono rudimentali, quasi nebulose. Con l’ “interiorizzazione” dell’uomo, comunque, procede la formazione su linee definite di definite facoltà mentali, che nel loro pieno sviluppo costituiscono l’intelletto attivo e perfezionato dell’uomo. Ma un secondo processo di “interiorizzazione” sta nel frattempo cominciando, e questo a sua volta è accompagnato dalla formazione di definite facoltà estatiche, che a loro volta costituiscono l’attività del superuomo.
[...]

 

  

Da: L'ANIMA DIMOSTRATA

 

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– Abbiamo già distinto tra l’anima che sceglie i piaceri durevoli e il desiderio che sceglie i piaceri immediati. Facciamo di questo il nostro esempio e la nostra prova. Se scopriamo in noi stessi due ordini di desideri – uno per le cose durevoli e uno per le cose transitorie – possiamo non concludere che, come il simile sceglie il simile, così i due ordini di desiderio siano simili ai due oggetti di desiderio? Il transitorio, cioè, sceglie naturalmente il transitorio, e il durevole il durevole, ognuno vedendo nel proprio rispettivo oggetto il riflesso delle sue proprie qualità, ed ognuno, perciò, naturalmente desiderando se stesso nella forma riflessa.
– Ammettendo ciò, dove ci porta?
– A questo, suppongo: che tutti gli oggetti sono veduti da noi, per così dire, con due occhi – con l’occhio che cerca e preferisce il permanente, e con l’occhio che cerca e preferisce il transitorio; il primo occhio è l’occhio dell’Anima, e l’altro è l’occhio del Desiderio, come l’ho chiamato. E possiamo ora distinguere tra i loro rispettivi oggetti. Cos’è che l’Anima desidera negli oggetti, in tutti gli oggetti? Che essi siano perfettamente piacevoli. Ma perché perfettamente piacevoli? Perché essere perfettamente piacevoli è essere sempre piacevoli. Ma perché, se l’Anima crede se stessa immortale, desidera che un oggetto sia sempre piacevole? Il nostro desiderio di tutti i giorni è soddisfatto quando un oggetto è temporaneamente piacevole; per il Desiderio è abbastanza che un oggetto possa durare tanto a lungo quanto esso stesso. Ma l’Anima vuole che anche molto tempo dopo che è venuto meno il Desiderio un oggetto continui a piacere – piaccia per sempre. Non si deve concluderne che l’Anima, cercando il proprio simile, cerca il durevole in quanto lei stessa è durevole? E questa distinzione di tempo ed eterno attraversa tutti i nostri desideri, li differenzia e li distingue. Tutto quanto è duraturo, quello, in ogni cosa, è la passione dell’Anima. Ma solo ciò che è puro, perfetto e divino può forse durare per sempre. Tutte le altre cose, essendo composte, devono dissolversi nel tempo. Quindi l’Anima è l’amante del puro e del perfetto. Ma l’Anima, convenimmo, è attratta a desiderare il suo proprio riflesso negli oggetti, ama quelle qualità che rivelano la sua propria natura. L’Anima, perciò, è pura, perfetta, ed eternamente durevole.
– E dunque esiste? Scusa la domanda.
– Esamina i tuoi desideri fissi, immutevoli: essi sono la prova della tua anima.