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VOLGERSI AL SEGRETO

Dario Chioli

 

L'essere nostro non può sottrarsi all'origine sua e pertanto la ricerca dell'origine è davvero intrinseca del nostro sussistere. Ma l'io, cioè tutto quanto crediamo di essere e pensare, è contrario a tale ricerca. Perché l'io è la nostra morte.

La religione per la maggior parte di coloro che si credono religiosi si è fusa con l'io. Questa religione è blasfema, è morte, io, sofferenza. Il segreto invece è a nostra disposizione, possiamo attingerne a piene mani, e dissolve tutti questi fantasmi.

Una luce troppo grande ferisce gli occhi: perciò si fanno occhiali o lenti affumicate. Ma non ti scordare che ne stai facendo uso; non scambiare una fittizia oscurità con la natura della luce.

Non sai ancora attingere la luce, ma sai come ferisce il cuore. Il cuore infatti è lacerato: tratto in sensi opposti dall'io e dalla luce, soffre.

L'io è un gran prestigiatore. Ogni sasso del cammino che percorri gli appartiene. Solo non gli appartiene il tuo andare, la tua decisione.

Credimi, se vuoi e puoi: vi è un momento in cui più non conta il luogo dove passi, che tempo faccia, chi incontri, ma solo più conta il tuo andare.

Segreto amore del viaggio.

In mezzo alla tenebra, i tuoi movimenti ti illuminano.

Senza scopo, cammini nel vero scopo.

Tu sei nato in un certo paese, in una certa famiglia. Non è possibile che tu divenga autonomo se non confrontandoti con tutto ciò. Perciò esiste la varietà: il prestigiatore, l'io, soppesa i suoi strumenti per scegliere i più utili.

Càpita però che una raffica di vento rubi la palla del giocoliere o faccia sbagliare il prestigiatore. Allora diciamo: ecco il trucco! Il prestigiatore ha fallito e noi abbiamo ottenuto un attimo di consapevolezza.

Quella raffica di vento è la vera mano del segreto. Non darle nome, solo avverti come la forma viene dissolta dall'informale.

Immàginati per un momento senza fedi, senza scopi. Guardati più nudo che puoi. Resiste in te qualcosa di là dalla forma? Se guardi bene e sei sincero, lo troverai. Chi non è sincero, non trova nulla, è preda e vittima del prestigiatore.

Uno scoglio nel mare, piantato nel fondo dell'abisso. Nulla lo scuote. Nulla ti dice, ma tu sei lì e il mare non ti prende, la tempesta vi s'infrange.

Ma nulla ti dice, ed è questo il problema: la verità non ha parole per te.

Devi essere tu stesso la sua parola, e la sua è una parola viva.

Come diventare vivi?

Cominciamo col disfarci delle nostre malattie mentali. Questo può talvolta sembrare un'ulteriore e peggiore malattia, sia perché gli psichiatri non ci comprenderanno, sia perché l'io non cesserà di intrufolarsi magistralmente ovunque.

Quasi tutte le nostre affermazioni sono insignificanti. Questo viene ammesso con facilità, ma non cambia nulla.

Infatti, perché cambi qualcosa, bisogna chiedere al segreto di distruggere le nostre affermazioni.

È questo il segreto della guerra santa. Non cesseremo di parlare, ma avremo fatta nostra la maestria dell'io, che diverrà il servo del segreto.

Se cessa la nostra affermazione, la grandezza del silenzio si imporrà più di qualunque eloquenza.

Non è facile, ma neanche così difficile come ce lo fa sembrare l'ancella dell'io, l'abitudine.

Non devi forzarti a smettere di parlare. Solo renditi conto una, due, tre, cento volte di quanto poca vita contengono le tue affermazioni.

Non devi fare nulla, solo constatare. Col tempo diverrà abituale.

E attraverso il silenzio, attraverso la disistima del linguaggio ordinario sorgerà col tempo un altro linguaggio, un linguaggio più di cose che di parole.

Sono i fatti che parlano, mentre è una farneticazione la parola dell'ipocrita.

Il linguaggio delle cose esprime il tuo io come una cosa. Ce l'hai lì a tua disposizione, una delle creature del mare senza sponde.

Molto semplice, molto difficile. Molti vogliono pregare, meditare: non serve quasi mai a nulla, serve solo alla finzione dell'io.

Ma sei capace tu di non essere più quello che sei senza diventare qualcos'altro?

Se sei capace, è tutto risolto. Datti nelle mani dell'invisibile: non c'è altro.

Se no fatica. Incrementa la sincerità. Diffida quando non hai simpatia per gli altri, quando indulgi a fantasie irreali che sostituiscono un reale fare operoso.

Se vuoi essere il mistico di cinque minuti al giorno, non c'è problema. Cinque minuti di santità e il resto d'idiozia. Contento tu, contenti tutti. Cinque minuti in cui per te tutto è estasi, e il resto in cui il tuo io la fa da padrone. L'estasi del servo dell'io, l'oscuramento del segreto.

Il mistico dei cinque minuti cerca il piacere, poi, come un drogato, solo più la fuga dalla sofferenza, e infine solo stupidità.

Guardati intorno. Quanti istupiditi che si dicono tuoi compagni di strada.

Via, via, il vostro dio non è il mio dio, la vostra religione non è la mia.

Nel deserto, affascinante, la tua strada.

Se hai amore la percorrerai. Se sei sincero, l'amore verrà a te. Se, graziato dal mondo segreto, hai visto, anche per un solo istante, ebbene non sei più lo stesso di prima, e non potrai non essere sincero.

Ma, amico mio, affretta un po' il passo, per toccare la porta di casa prima della tua morte.

Ma come la mettiamo se ti senti inetto, incapace, incostante?

Per molti è così, e pregano o meditano solo per nascondere questa sensazione.

Ebbene, questa sensazione non è ingannevole. Ma l'errore non è nell'inettitudine, bensì nel cercare di nasconderla.

L'inettitudine è una possente forza, contraria all'io. È il servo del segreto, che sgombra la strada dai fantasmi.

Se sei inetto, buon per te. Sappilo con tutto il tuo essere e attendi. Sì, in verità non devi fare altro che attendere.

Ma è difficile attendere; il tuo io si oppone, vuole essere, lui che non può che apparire.

Eppure anche l'io può essere salvato, in quanto funzione che raccorda il segreto e la manifestazione del mondo. Nulla infatti del tuo mondo deve essere abolito. Tutto va rimesso al suo posto. Ma non puoi sapere adesso qual sia il posto di ciascuna cosa; ora puoi solo attendere. Le cose andranno a posto da sé.

Non puoi negare le tue origini. Se sei cristiano, va bene; se sei buddhista, va bene, e così via. Resta quel che sei e al tempo stesso diventa nulla.

Che importerà mai al Cristo della cristologia? o al Buddha della filosofia del vuoto? o a Mosè della filologia biblica?

Mosè vide il volto di Dio. Nessuna contemplazione può ad una tale vista sussistere.

I tuoi occhi ti hanno quasi ucciso, perché vogliono vedere, essi che sono puri, il vero oggetto della visione, mentre tu, servo della morte, li volgi a vedere il mondo fenomenico.

Sii discepolo dei tuoi occhi, da' loro forza perché vedano tutto. Lasciali indagare nel segreto delle tue meschinità.

I tuoi occhi sono la mano di Dio. Ciò che vedono rendono puro. Fuoco di ogni scoria.

Tu non sai nulla, questo solo conosci.

Non aver timore, perché non saper nulla è un ascendere verso la notte. Perché questa notte è la sacra notte, sacra più di mille notti.

E questa notte è un fuoco etereo che trasforma la menzogna in oblio e la verità in ricordo.

Si ascende attraverso la notte. Cresce dentro di noi l'intensità. E l'intensità è il nostro cielo.

Rinunciando ai fini terrestri compaiono i fini celesti. Che non sono fini nostri.

Non c'è un fine per noi, se non nel rifrangere, specchi puri, la luce del segreto.

Qualunque fine tu abbia è di troppo. Ogni tuo fine è un gioco di prestigio dell'io.

Abbandona dunque ogni scopo o, se non riesci, perlomeno considerane più che puoi l'inanità. In tal modo inizierai a lucidare il tuo specchio, presentendo l'irruzione della luce.

 

[26.XI.1997; pubblicato su L'Età dell'Acquario, n. 117-118, settembre/dicembre 1999]

 

 

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