| www.superzeko.net   |
UNICITÀ PERSONALE E MOLTEPLICITÀ STORICA DELLA RIVELAZIONE DI DIO
Dario Chioli
In risposta alla domanda se Dio Si riveli attraverso le Scritture Sacre di un popolo soltanto, oppure attraverso le Scritture e tradizioni di tutti i popoli.
A sostegno della tesi che esclude la pluralità delle Rivelazioni sta il fatto che tutte le maggiori tradizioni affermano di essere depositarie dell’unica verità. Con ciò implicitamente affermano:
che chi ne nega il deposito di verità è in errore;
che se taluno, al di fuori della suddetta tradizione, afferma essere egli solo depositario della verità, è in errore.
Se poi la tradizione in questione afferma, come lo affermano la cristiana o l’ebraica, che fuor d’essa non vi è valida Rivelazione, ne risulta una sostanziale incompatibilità con chiunque affermi la validità di una molteplicità di tradizioni.
Per esempio il cristiano o il musulmano non possono facilmente accordarsi con l’indù, che accetta il valore del cristianesimo e dell’Islàm, ma non una loro maggiore importanza rispetto alle altre tradizioni. Ed inoltre ciascuno considererà di fatto la tradizione propria più ricca di quella altrui.
Per questa via non vi è dunque composizione possibile. Ognuno sembra affermare qualcosa che esclude o tutti o parte degli altri.
Ci chiediamo dunque: dov’è la verità, che tutti affermano di possedere?
La verità non può essere possesso di alcuno.
La verità è l’essere eterno, incomparabile, immutabile. Tutto ciò che è mutevole non può pertanto esprimerla che al modo con cui l’ombra esprime il corpo.
Ora è certo che le tradizioni mutano, che le lingue, i concetti, le raffigurazioni dei popoli mutano. E così pure è certo che qualunque testo scritto, sacro o no, non può fare a meno di utilizzare le analogie, le immagini, i modi di dire, le convenzioni dell’epoca in cui viene alla luce, pena il non essere inteso. Può riferirvisi per accettare o per rifiutare, ma i problemi vengono comunque posti e risolti in relazione all’ambiente ed al momento.
Questo vale anche per un testo sacro. Per essere tale deve condurre o aiutare a giungere alla verità dei concreti esseri umani. Ha per scopo il raggiungimento di Dio e non una più o meno enciclopedica, dotta, accademica ricerca di formule dogmatiche. Deve dunque partire ponendo il problema reale di come vivere la vita, di come interpretare questo strumento di amore e conoscenza.
Ora è chiaro che per un calzolaio è perlopiù superfluo interrogarsi sull’etica del parrucchiere o del tabaccaio, a un poeta poco vale impadronirsi della deontologia del medico. Allo stesso modo, all’ebreo le storie cinesi erano estranee, e nel Giappone le vicende dei Maccabei avrebbero avuto poco rilievo.
Così si possono evidenziare tre elementi principali nel cammino della conoscenza di Dio:
la situazione concreta di chi inizia la strada,
il suo processo di trasformazione da uomo carnale in uomo spirituale,
il fine, cioè la sua natura trasfigurata nella luce della santità divina.
Ora, come nessuno che sia sano di mente riterrebbe necessario o anche solo utile dilungarsi a spiegare ad un uomo che sta dissanguandosi in qual modo cercherà di arrestare la sua perdita di sangue, per quale strada lo accompagnerà in un ospedale e quale tipo di sutura gli verrà praticata, per timore che nel frattempo egli muoia, così neppure Dio di certo vorrà mostrarti, a te che t’avvii per un sentiero che porta alla morte, tutte le Sue verità, ma piuttosto preferirà in qualche modo ingannarti, come chi soccorre un uomo che annega e si dibatte può trovare utile usargli violenza per salvargli la vita. Ed è del resto una erronea descrizione della verità quella che considera il solo aspetto razionale, vedendo la verità come una corrispondenza tra il concetto e la cosa. Questa non è l’idea sacra della verità, l’idea sacra della verità non è la schizofrenia tra la mente e le cose, tra l’interprete e la vita, ma l’uomo che cresce. Sovraccaricare la mente di piccole pseudoverità concettuali, che ostacolino la visione dell’unica verità efficace, è la coerenza di satana: rispetta le tue scelte di ignorante per condurti in rovina.
Chiunque abbia talvolta dovuto insegnare qualcosa ad un altro, o da un altro abbia dovuto apprendere, dovrebbe sapere quanto spesso la mente, nel processo di apprendimento, si sperde per vie secondarissime, per vicoli ciechi, in problemi che non danno frutto, in questioni inessenziali.
Così pure, l’uomo in cui per la prima volta si accende coscientemente la luce divina è però ancora soggetto ad una quantità di suggestioni, di istanze e speranze insignificanti. Il vecchio uomo che muore morendo s’aggrappa disperatamente a tutto il vecchio bagaglio di nozioni. Non è tanto facile cambiare tutto di colpo. Chi fino a ieri s’interessava soltanto di qualche inezia, difficilmente accetterà subito che il suo interesse era del tutto inutile; più probabilmente cercherà per esso delle giustificazioni, vorrà per un po’ mantenergli qualche dignità; solo in un secondo tempo vi rinunzierà, quando il suo uomo interiore sarà cresciuto a sufficienza per modificare l’esteriore.
E questo vale naturalmente per tutti gli interessi predominanti nel mondo profano. Per ognuno di essi possono essere inventati sistemi filosofici, interpretazioni sociologiche e psicologiche di giustificazione. Ma l’unica cosa che può importare in generale è di limitarne il danno. E da ciò sorgono le leggi, che regolano il superfluo limitandone il campo a vantaggio dello spirito: parlo naturalmente delle leggi sacre, perché quelle puramente laiche non significano se non in quanto estreme derivazioni di quelle sacre. Tale derivazione può però nel loro caso diventare una vera e propria deviazione, e allora l’infrazione diviene migliore dell’ossequio. La legge infatti, perdendo le sue radici sacre, si muta in pura e semplice ipocrisia. In tal caso è necessario che sorgano profeti, santi, saggi, riformatori, rivivificatori, medici che amputino gli arti incancreniti a favore di quelli sani.
Ed è in questo processo degenerativo che sta l’origine della molteplicità delle Rivelazioni. Specifici danni vennero limitati con specifiche medicine; in reazione ad un singolo errore sorse una singola legge. Gli errori dei nomadi vennero combattuti con leggi di nomade; gli errori dei contadini generarono leggi di contadino. Nel passare dei millenni le forme si aggrovigliarono, le lingue si differenziarono, la malattia dell’umanità aumentò, e lo stato semplice, arcaico, naturale divenne raro a trovarsi. Dalla mancanza di semplicità la confusione, dalla confusione il fanatismo di chi volle a tutti i costi, anche senza vederla, definire una propria strada, dal fanatismo la guerra, dalla guerra la distruzione, dalla distruzione la cecità del vincitore, dei suoi discendenti, di coloro che lo invidiarono, di coloro che lo amarono, dei nostri antenati, e infine la nostra.
Tutto ciò considerato, si può dedurre che esiste, nella struttura stessa della Rivelazione, una duplicità: una faccia viene dal mondo, l’altra da Dio. La faccia che viene da Dio non ha oscurità; la faccia che viene dal mondo è un tessuto d’ombre. Chi indaga nella Sacra Scrittura dev’essere puro nelle sue intenzioni; altrimenti il lato oscuro prevarrà su di lui. Se è puro, la luce di Dio filtrerà verso di lui e si disporrà da guida tra le ombre. Se è impuro chiamerà luce una qualche ingannevole penombra e vagherà per sentieri inutili.
La Rivelazione assume la condizione umana di coloro a cui si rivolge, la descrive e delimita: per sé ciò non serve a nulla, serve soltanto se è base per la ricerca della verità. La Rivelazione ti dice: eccoti la verità, e la verità è unica, cercala in te prima di tutto, utilizza la tua natura umana per questo fine, non divagare, non cercare vie più semplici perché risulteranno alla fine impraticabili, non dare risposte ai pazzi perché non possono intendere, se vuoi che gli altri splendano splendi tu stesso.
La verità della Rivelazione, di ogni forma di Rivelazione, sta nella sua funzione santificante, non nei concetti e nelle opinioni che utilizza. Siamo troppo abituati a pensare la verità come un’esatta formulazione, ma ciò è del tutto falso: verità è ciò che salva, che fa vivere, che coniuga la retta intenzione dell’uomo con la Provvidenza di Dio. La verità intesa come formulazione concettuale è una menzogna. La Rivelazione intesa come somma di cose dette è una menzogna anticristica. L’unica affermazione cristiana è quella che aiuta ad assimilarsi a Cristo, non la descrizione della morte e della risurrezione, ma la morte e la risurrezione stesse. Il primo dogmatico fu certo un satana, che avversò l’unità del cosmo e di Dio inframmettendovi un egoismo concettuale (un orientale direbbe semplicemente: l’io), un’idea discordante (il dubbio del serpente che tentò Eva). Da ciò concetti su concetti, che coprirono la mente, la quale, da specchio riflettente la luce divina che era, si mutò in luogo d’ombra.
Concludendo, non vi sono motivazioni attendibili per negare il rapporto tra una qualunque tradizione e la verità. L’occuparsi di stilare classifiche in questa materia, rientra tra le attività di cui la mente non riesce a fare a meno, non certo tra quelle che conducono a gustare il frutto dell’albero della vita. Per classificare gli esseri umani, le loro credenze, bisognerebbe conoscere tutto, d’una conoscenza peraltro impossibile: infatti gli esseri non sono classificabili, ognuno d’essi è unico ed irripetibile. Le manie classificatrici sono un’abitudine mentale provvisoria, utile all’inizio del cammino ma superflua più innanzi.
Ogni essere contiene il germe divino, e come tale è un Sole senza pari. Come poi gli uomini s’arrabattino, nella loro semicoscienza di imperfezione, per invocare efficacemente la luce della salvezza, è cosa sempre nuova anche allorché pare simile, perché sempre nuovo è colui che si dibatte per uscire dall’illusione. La tradizione è comune a molti solo per quel che riguarda la sua apparenza esteriore; per l’interiore è invece dissimile per ciascuno, come dissimile è lo sguardo che ciascuno di noi, nella sua libertà, può rivolgere a Dio. L’unione dei due amanti non è simile a nessun’altra: le opinioni su di essa non significano niente e niente è più vero di essa.
[12.XII.1993; pubblicato su L'Età dell'Acquario, n. 134, settembre/dicembre 2002]
Se vuoi invia un commento, specificando da che pagina scrivi: |