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SUL MODO D’INDAGARE SULLE REALTÀ NASCOSTE

Dario Chioli

 

Il mondo fluttuante

Posso affermare senza esagerazione che, nel corso delle mie indagini sulle realtà nascoste, non ho trovato se non pochissimi libri di occultisti o aderenti a questa o quella setta o ideologia che non fossero pieni di approssimazioni, invenzioni e idiozie semplici; e quelli che non lo erano davano spesso più sull’erudito che sull’occulto. Del resto, in questo genere, di solito riescono meglio non gli studi e i trattati ma le invenzioni pure, romanzi e poesie che nel loro libero immaginare più s’avvicinano ad una realtà che sempre vuole essere piuttosto scoperta, inventata, che non descritta col microscopio.

Nel dir questo mi guida l’idea d’un mondo fluttuante che però cela un centro fisso e chiaro, d’una sorta di nebbia retta da innumeri leggi di composizione sovrapposte, che fantasia e intuizione, e quindi il poeta o il romanziere, possono suggerire dall’esterno, come proiettata ombra di idea lontana. Al contrario l’intelletto può discernere solo dall’interno, dal centro puro, dal punto di vista di Dio, si potrebbe dire, ma questo modo divino di vedere, assai difficile da attuare, è già un puro essere, non già uno sbattere, fisico o psichico, di umane palpebre stanche, e chi ne sia capace difficilmente scriverà libri.

La luce e la nebbia

Se non sai contemplare il mondo, è opportuno che non ti metta a trarre auspici dal suo seno. Sarebbe come cercare un ago in un pagliaio che ignori. Se poi non lo ignori e bruci tutta la paglia, in fretta avrai l’ago, ma ricamare la tua magia non potrai, perché i vicini ti daranno la caccia come malfattore o piromane, e finirai in galera o in manicomio. Non basta dunque neppure disporre d’un fuoco interiore, che mal impiegato genera soltanto sogni, ma bisogna essere uomini, e uomini fratelli d’altri uomini, avere il fuoco divino e l’amore degli esseri vivi del mondo, e sciogliere nella contemplazione di questo, come su d’una tavolozza, i due colori della verità, l’assoluto e il relativo, la luce e la nebbia. Così manterrai, pur nella difficile consapevolezza della tua ricerca, una certa dose di pace che ti permetterà di vivere.

Ma molta menzogna stanca le mani, e chi non divide chiaro dall’inizio il conosciuto dall’ipotetico, anche a costo di rimanere senz’alcuna verità, ebbene questi presto finirà a costruire edifici senza base, a proclamare sentenze magniloquenti ma vuote, ad esser maestro, perché è cosa facile, ma maestro di anime vuote, di esseri infantili e delusi.

La chiarezza del metodo, la limpidezza filosofica confinano e si confondono con l’erudizione scettica, con la ricerca di laboratorio, quello dell’anima sempre, quello degli strumenti talvolta. Chi scrive libri con sincerità, deve dire dove attinge, cosa sa e cosa non sa, fin dove vuole arrivare, cosa spera e cosa ha constatato, se ha constatato qualcosa, e quel che invece piglia da altri. Va a fondo delle questioni, non si precipita alle conclusioni, talora non ne trae. Accumula dati, li paragona, porta molte voci, ma non sempre interpreta e unifica tutto. E se non unifica, non dimentica semplicemente le discordanze, ma le espone ed eventualmente rimanda altrove.

Le pseudoluci

All’incontro si guardi alle precipitose conclusioni cosmologiche e antropologiche di coloro che, seguaci di questo o di quello, da scarni, mal conosciuti e mal interpretati dati e da popolari, imprecisi concetti, traevano e traggono storie incontrollabili e pseudoprofezie sempre smentite, scambiando per filosofia e scienza vaneggiamenti pseudoesoterici e procedimenti autosuggestivi che nulla cavano da dentro l’uomo se non, nel migliore dei casi, ciò che già vi è.

Taluni per contro pretendono di poter attingere alla conoscenza del futuro. A tal proposito, si noti che questa espressione, comunemente utilizzata, non vuol dir nulla, poiché non esiste un futuro, preso isolatamente, fuor degli esseri che lo costituiranno e di tutti tali esseri. Si dovrebbe quindi eventualmente parlare di visione delle cose future o di presenza nel futuro, ciò che non può essere reale che nella divinità medesima, che non soggiace alle delimitazioni temporali. Fuor di tale divina visione, quindi, ogni previsione non potrà essere che insicura, probabile, logicamente oscura e solo approssimativamente fondata, in ragione dell’insondabile che separa il momento presente dall’attimo a venire, frutto di un numero indeterminabile di concause .

Ecco però che un qualunque pseudoprofeta, imbottito di qualche droga, materiale o psichica, autoipnotizzato, vuol cavare da quell’essere vile e spurio ch’egli è addirittura questa conoscenza esatta della storia avvenire, in pratica la scienza di Dio medesimo, e non considera la mole dei suoi errori, a motivo dei quali è per principio incapace di conoscere Dio o di far da Suo tramite, a meno che non si purifichi per lunghi e silenziosi anni. Dopodiché non sarà però probabile che brami ancora parlare di quante razze e sottorazze vi sono state e saranno nel mondo o degli abitanti di Saturno o di tra quanti millenni morrà la terra, come di certo non scambierà più allucinazioni e mistificazioni ipnotiche ed ipnagogiche per reali emissari tibetani od occulti maestri che di meglio da fare non avrebbero che descrivere le sue passate incarnazioni, tutte peraltro significative, nessuna in forma di pidocchio.

È dunque necessaria molta discriminazione, e soprattutto rendersi conto di che cosa sia esattamente ciò su cui s’indaga, che estensione abbia, quali cose più importino, e dove siano reperibili le più preziose ed esatte informazioni al riguardo. Generazioni di sapienziali ignoranti si tramandano l’un l’altro colossali fandonie che qualunque archeologo o linguista od orientalista potrebbe smentire, se appena si degnassero di consultarli. Quante speculazioni non si son fatte su parole ebraiche neppur sapendone il corretto genere grammaticale o prendendone il plurale per il singolare e viceversa (quante volte le sefiròth, plurale femminile del femminile sefirà, diventano misteriosamente "il sefiròth"!), pretendendo egualmente sviscerarne tutto il significato mediante l’uso maldestro delle esotiche assurdità che divengono procedimenti meditativi cabbalistici come la gimàtriyya, il notariqòn, la temurà , allorché si ignora del tutto l’ebraico. Per quanto tempo ancora, perpetuando un plurisecolare errore, martinisti e presunti cabbalisti analfabeti d’ebraico pretenderanno trarre il nome di Gesù dal Tetragramma (YHWH) con l’aggiunta di una shin, seguitando a scambiare la lettera `ayin (`) di Yešua` (YŠW`) per una hé (H), tanto per fare un esempio?

Nascita delle pseudosoluzioni

Non sarebbe di per sé infruttuoso se, quando s’ignora la soluzione di un problema, si presentassero, con tutte le loro implicazioni, le ipotesi che paiono più verosimili, tanto nel corso di un dialogo quanto in un libro. Ma solitamente questo vien fatto, quando pure vien fatto, in modo molto equivoco, e cioè la distinzione tra reale ed ipotetico, che all’inizio del libro o del dialogo è ben sicura, a poco a poco si sfuoca, si perde, e par quasi che venga superata, smaltita, in fondo smentita o comunque smangiata a tal punto che buona parte dei lettori o dei dialoganti non la sente più e il loro cuore aderisce talmente all’idea, spesso fantastica e affascinante, da farsene influenzare nel consueto modo di pensare, sicché succede che un’ipotesi del tutto gratuita o ad ogni modo poco fondata passi a sembrare, per via di sentimenti che a poco a poco si propagano, quasi un assioma, una verità praticamente incontestabile. Succede che infine non si tratta più l’ipotesi come tale, e qualche tempo dopo chi ha smesso di farlo viene citato come autorità e testimone della realtà di ciò che, mai dimostrato, nacque come pura fantasima. Nessuna prova, dunque, di ciò che pure viene dato per certo, e nessuno che abbia per primo detto d’averne, così che capita che il ricercatore non arrendevole cerchi per anni l’origine di una convinzione di cui ignora che s’è nutrita solo di se stessa. Da ciò il dispendio di energia e l’immane fatica il pensiero dei quali ha impedito finora a chiunque di tracciare una storia puntuale e precisa delle scuole e idee occulte, soprattutto di quelle che vi furono e di quelle che non vi furono, nozione che sarebbe la prima indispensabile.

La tentazione

Tali studi tendono a coinvolgere troppo il sentimento della propria importanza personale perché i ricercatori che non si sentono del tutto sicuri, cioè la stragrande maggioranza se non tutti, non tendano a sforzare, a mistificare costruendo su pochi dati concreti troppo grossi edifici, con l’effetto che l’immaginario e il reale risultano mescolati ed a volte indistinguibili. Spesso neppure s’accorge il ricercatore di sforzare, o almeno accorgersene non vuole, sicché si suggestiona e designa per fatti le ipotesi e le immaginazioni. Uscirne non potrebbe che con grandi delusioni che lo scuoterebbero sgradevolmente; presentendo tali scosse, egli ne rifugge e così sempre più svia e confonde la ricerca propria ed altrui. Pertanto lo studioso alla ricerca di cose sicure si troverà sempre innanzi un miscuglio di verosimile ed inverosimile che, per la difficoltà di distinguere, gli farà prendere direzioni cieche, se non ha già da solo risolto alcuni problemi di metodo e comunque raggiunto un certo grado di indipendenza intellettuale e un certo intuito. Non è poi peraltro detto che chi tali indipendenza ed intuito abbia raggiunto debba aver voglia di analizzare tutte le prolisse assurdità di questo o quell’occultista, dell’una o dell’altra setta, tutti i loro più o meno aberranti tentativi di creare cosmologie ed antropologie a proprio uso e consumo.

Non voglio dire che non esistano studiosi seri, ovviamente, ma che la maggior parte dei gruppi sedicenti esoterici (e tanto più quanto più si danno di simili titoli) non lo sono, e che pertanto alla lunga tediano incredibilmente chi voglia studiarli.

Allo stesso modo, per entrare in un altro settore delle cantine occulte, se può essere interessante apprendere il nome di due o tre presunti morti che battono colpi al tavolo spiritico, non può una persona intelligente trovar molto ausilio a saper quello di tutti i morti dell’inferno, o trovar credibile che sempre si presentino Napoleone, Cesare Borgia o Dante Alighieri, e magari Mozart che suona la cornamusa. Similmente credibili sono indubbiamente le dozzine di Anticristi, Bestie dell’Apocalisse, Catastrofi Incarnate, Avatar, Saggi Superiori Incogniti e Nuove Incarnazioni di Dio per i Nuovi Eoni, quanti sono riusciti a tirarne fuori le più diverse congreghe, bianche, nere, multicolori o a luci rosse, colore questo che molto alletta e, se fallisce, perlomeno ha divertito. Tutti quei discorsi ipersapienti sulle razze, sottorazze, razze defunte, razze a venire (gli ufomani aggiungano le razze estraterrestri e i visionari quelle angeliche) saranno certo cospicui e decisivi, ma hanno il rimarchevole difetto di mancare della più piccola prova, fosse pure logica e non materiale. È infatti difficile dar credito a tali proclamazioni, soprattutto quando la fonte d’informazione dovrebbe essere qualche molto rispettabile ma poco palpabile "maestro tibetano", magari in vena di scherzare: come sottrarsi, in effetti, alla tentazione di far volare vieppiù tanto alati ingegni? magari nella direzione da noi preferita?

Motivazioni poco esoteriche e molto occulte

Quest’ultima ipotesi poi, per quanto ironica, non è gratuita. La diffusione delle varie specialità dell’occulto si reca dietro un mercato, delle ideologie, uno spazio di manovra insomma per chi voglia influenzare a fini personali o corporativi il suo prossimo. Mediante l’uso di tali spazi sociologicamente sotterranei e larvali, può esser contessuta nella psiche collettiva una pseudoidea che si imponga al pensiero comune. Mi pare ad esempio che alcuni studiosi del fenomeno UFO si occupino delle implicazioni sociopolitiche della diffusione dell’idea di razze superiori estraterrestri, constatando che essa spingerebbe alla costruzione di una società autoritaria e centralizzata.

Questa tendenza, del resto, non pare emergere solo dal settore ufologico, visto che, degli occultisti, la maggior parte ha posizioni politiche di destra anche estrema, con tendenze talora di aberrante conservatorismo, pretestuoso e idiota a tal punto da scambiare, in qualche caso particolarmente paranoide, ogni eccentricità del costume per manifestazione satanica, la libertà sessuale per la prefazione del giudizio universale. Queste idiozie, per quanto logicamente sciancate, riescono tuttavia ad ottenere un certo successo, perché trovano il pubblico perlopiù impreparato, spiazzato e perciò suggestionabile. Fanno leva sulle molteplici debolezze psicologiche, sull’aggressività repressa, il desiderio pigro di facili certezze, le reazioni coatte, la predisposizione xenofoba, il vittimismo e la megalomania, la feccia endemica, la crisi di valori e la crisi della struttura, l’impazienza che genera lo spirito di crociata. Come molti cattolici credettero facilmente a Léo Taxil quando diceva essere i massoni spregiudicati satanisti (infatti credere questo faceva loro comodo), così altri credono oggi altrettanto facilmente, se appena qualcuno fa da suggeritore, che vi siano sataniche congiure in atto nel mondo; ma non quelle che ben si vedono, ispirate dall’ambizione e dalla presunzione, dal materialismo bruto e dalla sete di guadagni effimeri e glorie illusorie, no: quasi queste generatrici di guerre disastri sterminii odii carestie malattie non bastassero, ne credono altre, imperniate su chissà quali malvagità, che essi soli distinguono, temono e perciò possono combattere, divenendo così i veri, seppur incompresi, salvatori della società umana. Tanto facilmente l’uomo si convince di essere grande ed indispensabile che, pur con i sensi disfatti e la morte a un passo, crederà esser eterno e indistruttibile, o che il mondo crolli con lui.

Tutte queste assurdità si avvicinano alquanto a quelle che da sempre si constatano nel campo del misticismo religioso, che è infatti una sfera contigua: molti sono attratti da un’allucinazione o da un pensiero ossessivo, a cui attribuiscono dissennatamente un carattere divino, mentre non è che la proiezione di un loro desiderio o timore, facilitata eventualmente col digiuno o la strenua concentrazione su alcune immagini e contesti rituali. Scambiano questo passaggio per la meta finale e spesso, ad onta di chi vuol disilluderli e non ha però forse argomenti sufficientemente chiari, si danno per anni ed anni a crescenti erotismi laterali che, creduti mistici, non creano loro problemi etici. Nel frattempo consumano le proprie energie e vengono condotti lontano, non però sulla strada che credono, processo questo che forse, per taluno che se ne liberi a tempo, sarà fruttuoso, ma a molti darà grande danno e nessun vero sollievo. Per questo la figura del mistico è stata spesso con una certa qual ragione vista con diffidenza, in quanto suscettibile di trarre in inganno tanto se stesso quanto le masse, che non hanno i mezzi per fare distinzioni corrette e facilmente scambiano ciarlatani e pazzi per illuminati.

Il segreto divulgato e il segreto non divulgabile

Gli occultisti e affini (nel senso che taluni si denominano così e talaltri invece diversamente, senza che con ciò cambi la sostanza) furono e sono caratterizzati in gran parte dalla passione di voler divulgare segrete dottrine. Prolifici scrittori, essi vorrebbero: a) stampare e vendere centomila copie a volume; b) avere ventimila discepoli; c) poterli invitare trecentosessantacinque giorni all’anno a serbare i segreti esposti nei loro libri senza mai, vivaddio, accennarne ai profani.

Essi sono con ciò vittime, e complici, di un equivoco in primo luogo linguistico, senza di cui il problema della divulgazione del segreto non sorgerebbe. Ciò che è divulgato infatti è, per ciò stesso, altro dalla dottrina segreta, che non si può divulgare per il semplice fatto che non può essere compresa dalla massa né ad essa esposta, perché non si risolve in parole qualsiasi ma è intessuta di fili le mille miglia lontani dal verbo quotidiano, sia pure in versione iperocculta. Dottrina segreta non è un insieme di cose nascoste quali possono essere celate in una cassaforte, sia pure metaforica, ma piuttosto la comprensione di un’esperienza che non si è ancora fatta. Allorché la si è fatta, è solo più dottrina, e non più segreta. Segreta rimane per chi non sa distinguerne la vera natura, e per questo solo non può possederla. Diverso è poi il caso in cui vengano celati degli scritti o degli insegnamenti orali relativi a questo o quel settore dottrinario o a qualche particolare tecnica. Tale scelta può allora essere originata dalla volontà di non generare un caos, di non far sorgere mistificazioni che mescolino il vero e il falso, giacché vi sono diversi livelli dottrinari, relativi a diverse esperienze, e chi è ad un livello primitivo può facilmente esser confuso e credere d’essere in uno superiore. In questo caso, l’accesso a pratiche e dottrine che non può esattamente valutare potrebbe essergli di danno. È peraltro vero che coloro che dicono di conoscere dottrine e tecniche segrete di questo tipo generalmente non conoscono un bel niente, perché o sono dei cialtroni o nel migliore dei casi si autoilludono.

Quel che dunque più è degno del nome di dottrina segreta non son tanto la speculazione sui mondi scomparsi o i terribili grimorii magici o le piacevoli invenzioni dei vittoriani alla ricerca di piaceri proibiti (per esempio la fustigazione nella neostregoneria anglosassone), ma piuttosto e grosso modo ciò che concerne il cosiddetto dogma religioso, che costituisce il racconto delle vicende dell’anima che va a Dio, alla verità, la descrizione delle tappe del suo viaggio, per strade diverse a secondo del popolo. E con ciò invero nessun occultista ha a che vedere; perché nessun occultista ha a che vedere con una dottrina segreta per davvero. Non date le perle ai porci, no, ma se essi le rubano e le divorano, non perciò le distingueranno per quel che sono, ma si confonderanno e parleranno delle perle come fossero ghiande; allo stesso modo tutto ciò che è segreto gli occultisti s’illudono di sapere e divulgare, ma sanno e divulgano altro, che non è che un’informe mascherata, uno scherzo del destino che han scelto, di essere confusi per primi in quanto maestri essi stessi di confusione.

Si dirà che è riduttivo identificare dottrina segreta e dogma religioso. Ma bisogna intendersi sulla parola dogma: una cosa è come l’intendono coloro che lo proclamano sui pulpiti o col megafono, altro ciò che veramente indica. Per molti è una formula vacua, una sigla per definire la propria appartenenza a questa o quella chiesa; ma questo non toglie che per altri, da sempre, su particolari cammini, il dogma assuma l’evidenza spirituale di uno scenario reale, di un mito primordiale narrato nel cuore, di una drammaturgia che struttura quel che nell’anima umana era caos informe in maestosa veste dello Spirito divino. Quando il Verbo vivifica le formule, ciò che era vuota spoglia si riempie, così come la veste si empie del corpo, e fiumi nuovi percorrono secondo precisi sentieri gli organi stessi dell’uomo: lo Spirito affluisce, ed affluisce precisamente con quelle modalità che furono in antico descritte ed ora appaiono evidenti. Vecchie formule che ci annoiavano ora mostrano una feroce, esclusiva concisione, e quel che pareva frutto di sentimento o una mera verbosità si dimostra come sangue del tuo sangue, luce della tua luce, matematica cifra del tuo essere.

Ed è in questa perfetta aderenza dell’intelletto alla nuda formula, alla breve sigla dell’aforisma, alla parola che nessun traduttore sa mai tradurre se non è egli stesso ispirato dal cielo, che riconosci il vero nascere della conoscenza, l’impronta dell’eternità. Nulla di comune tra tale divina sicurezza e la fluttuante suggestione dei moderni stregoni. È quando una parola seziona il tuo cuore che riconosci la sua fondatezza; se ti accarezza mollemente non è che un fuoco fatuo. Come taluni sciamani dicono consistere la propria iniziazione nell’essere sezionati purificati e ricomposti dagli esseri divini, così è con la Parola divina, che colpisce come un coltello, quando si è in grado di comprenderla ed incarnarla. E per essa si è allora già pagato un ben alto prezzo: crollo d’illusioni, solitudine, vuoto, paura. In ogni tempo e luogo infatti s’è detto che non si arriva al paradiso che attraverso l’inferno, ciò che costituisce la ragione del nostro vivere in questo mondo così ricco di contrasti.

 

[1985 circa]

 

 

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