SI TRATTA DI TROVARE UNA REALTÀ ALLA NOSTRA RICERCA
Dario Chioli
Si tratta di trovare un oggetto alle nostre tendenze, una realtà alla nostra ricerca, un perché alla nostra azione, un essere al nostro amore, un amore al nostro essere.
Si tratta di scegliere, con la volontà della nostra libertà - o libertà della nostra volontà, giacché libertà e volontà sono identiche e non vi è libertà senza volontà né volontà senza libertà - tra il bene e il male, tra la nostra autenticità e la nostra inautenticità, tra la razionalità e l'impossibilità del coordinamento razionale, tra la sensibilità e l'impossibilità del coordinamento sensibile, tra l'unificazione trascendente in Dio del nostro essere e la sua infinitesimalizzazione eternamente inconcludibile, tra l'infinito trascendente libero e l'eterna scissione asservita in un'eterna fuga dall'eterno.
Perché il razionale e il sensibile, per quanto frustrati nell'attuale limitazione dell'uomo, sono tuttavia dimensioni d'infinito, che solo in Dio trovano risoluzione, così che solo in Lui è possibile essere veramente razionali e veramente sensibili. Perché tutte le tendenze dell'uomo sono strade che portano a Dio: prima di giungere a Lui non comunicano tra di esse, e solo in Lui si rende noto il loro quadro complessivo; ma lungo la strada non si può avere che relatività e fraintendimento.
Quale il senso dunque di queste parole, se al di fuori di Dio non c'è che relatività e fraintendimento?
Esse sono giustificate in quanto si senta Dio, cioè da un dato empirico, e pertanto io manifesto in esposizioni relative ciò che non può essere esposto nella sua assolutezza - giacché l'assoluto non è scisso e la parola scinde - non per dare il pensiero di Dio, che è impossibile dare se non lo dà Lui, ma per condurre all'estremo limite del relativo, alla coscienza del relativo, dove alla purezza di codesta cosciente ignoranza possa meglio comunicarsi la grazia di Dio, il Suo Spirito Paraclito.
Ma tutto questo è parola, scissione e relatività!
E rendiamocene dunque conto, e cessiamo di parlare, ascoltando la voce del silenzio, la luce della notte, e attendendo nel niente al nostro essere!
E taci tu prima.
Ma io mostro il regno dell'assurdo che non può essere mostrato che con parole assurde. Voglio che le mie parole infastidiscano la mente, ma voglio anche che tutte le parole infastidiscano. Voglio che si veda nelle mie parole l'apice, la sommità dell'assurdo delle parole, e che si rifiuti con ciò sia l'assurdo che le parole, essendosi resi conto della loro identità.
Dimodoché si parlerà solo per guidare altri o noi stessi, ma comprendendo di poter essere solo nel silenzio, o nella Parola di là da noi stessi che Dio ci donerà.
Invero dunque parliamo assurdamente, così come le cose, a staccar gli occhi da Dio, assurdamente si avviluppano e farneticano.
Andiamo perciò oltre e cerchiamo umiltà, e preghiamo o cantiamo componendo mosaici di parole che alzino laudi di desiderio e d'inconcluso amore al cielo indescrivibile del Dio che salva.
[13.VI.1975]
Se vuoi, invia un commento a: |