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SI PUÒ ESSERE BUDDHISTI SEGUENDO IL BUDDHA?

Dario Chioli

- Cos'è il Buddha?
Alzò il sacco.
- Chi è il Buddha?
Posò il sacco.

Si può essere buddhisti seguendo il Buddha?

Questa domanda può apparire paradossale, ma non lo è. Ben si comprende infatti che non era buddhista il Buddha, come non fu cristiano il Cristo, o zoroastriano Zarathushtra. Non potevano infatti costoro essere discepoli di se stessi. Furono bensì discepoli della verità, che riconobbero come propria natura. Vi è dunque una differenza di qualche importanza tra essi e coloro che ne hanno preso il nome come denominazione della propria setta. Essi conducevano su un'antica strada, ma i più pigri tra i loro discepoli la vollero presto definire nuova, per non porsi il problema di una troppo attenta ricerca. Tale ricerca non può infatti essere condotta sulle strade del mondo e nelle pagine dei libri, ma soltanto nel sentiero interiore, sulla via del vuoto immortale: ci si illuse invece che tagliando le radici del passato il presente desse soluzioni, ma le radici del passato naturalmente comprendono anche le cesoie con cui ci si immaginò di tagliarle.

Metti tutto quanto in un sacco, posalo e vattene

Tutto quanto il patrimonio ideologico dell'umanità, in ogni parte del mondo, tutte le sue opinioni e tradizioni, credenze ed emozioni, pratiche e codici, sono fatti di forme o dipendenti da forme. Ora, la forma è in sé separativa. L'unità si ha nell'informale, l'amore si ha trascendendo le forme, la conoscenza si ha per un'identità tra conoscitore e conosciuto che non può essere se non di là da ogni meccanismo formale. Quanti hanno detto ciò, ma poi sono passati a enunciare catechismi, bollettini, schede anagrafiche dello spirito. Lo spirito ride, il sommo vuoto stritola nelle sue spire tutte queste illusioni. Non c'è soluzione per chi sta a mezzo: o trovi un trucco per liberarti, o starai lì a compilare infinite timorose richieste per un permesso di libertà che non ti verrà mai accordato, principalmente perché non c'è nessuno che possa accordarlo.

Chi fabbrica il sacco ha bisogno di chi lo compri

Tutte le strutture, le forme, le chiese, le sette, i guru, i maestri, i sapienti e i mezzosapienti hanno interesse, in quanto manifestazioni formali, a che la tua forma serva alla loro, hanno interesse a nutrirsi di te. Perciò hanno bisogno del tuo sacco. Dovessero mai nutrirsi del vuoto di chi ha posato il sacco, scoppierebbero o si manifesterebbero come magia del vuoto. Per lo più non desiderano affatto che tu te ne vada libero, se non per illudersi, vedendo qualcosa che in te assomiglia alla loro idea di libertà, di essere liberi essi stessi. La loro libertà è infatti la tela di cui è fatto il sacco: dentro ci sta di tutto, il sacco è un buon contenitore. Disgraziatamente, per bene che gli vada, durerà quanto dura una vita, prima o poi verrà distrutto. Vi è naturalmente qua e là anche qualcuno che conosce il problema ed ha lasciato perdere il sacco. Qualcun altro poi lo tiene in mano solo perché di continuo i suoi discepoli cercano di ridarglielo. Ma indubbiamente costui di tanto in tanto sfugge alla loro attenta sorveglianza e danza in incognito.

Il sacco contiene tutto ciò che non ha cuore

In questo senso è una cosa proprio utile: facci entrare tutto quel che puoi e poi buttalo, tanto quel che ti serve non ci entrerà mai. Il cuore infatti non ci sta nel sacco, non ci stanno l'amore, la compassione, ci stanno invece tutti i sogni, quelli della notte e quelli del giorno. Vista così la cosa non è male: si può parlare di una sapienza al negativo, di una "sapienza del sacco", dove più è sapiente chi meno si diletta del contenuto del sacco o, meglio, chi sa farne a meno, anche se magari ne usa quando gli serve.

La magia del sacco

La magia del sacco è senza dubbio demoniaca: ti fa vedere tutto ciò che ti può danneggiare. Ma, ben lo sanno i maestri tantrici, il danno riconosciuto si trasforma in beneficio: vedere l'illusione libera un pezzo d'anima, per un attimo s'intravede il vuoto dietro le forme. Guardati parlare d'amore, di compassione, e poi sparlare del tuo vicino, del tuo parente, del tuo collega. E non t'illudere: anche se non sparli dei tuoi compagni di fede, è probabile che tu non lo faccia solo per poter mantenere in piedi la tua autostima, in quanto li vedi non come amici ma come funzioni del tuo ego. Te ne puoi accorgere se noti che non t'interessano come persone, che non vuoi contribuire alla soluzione dei loro problemi, che li tolleri solo quando parlano di ciò che ti fa comodo o ti permettono di rappresentare la tua parte preferita. L'immediato effetto dell'amore, della compassione, è che esci dal tuo guscio, e senti la sofferenza di chi incontri. Anche la magia del sacco sembra fartelo fare, ma solo per confermare il tuo schema mentale: sentirai la sofferenza del mondo, dell'universo, dei kalpa presenti e futuri, ma mai quella del tuo vicino di casa o di tuo figlio, tua moglie. Soffrirai per la sorte dei panda cinesi, ma non sopporterai il piccione che sporca il balcone di casa tua. In realtà questa sofferenza che avverti non è se non il cibo per un sottile piacere interiore, il piacere di sentirsi buoni. Hai cosparso il tuo sacco di caramello.

Il sacco non è mai vuoto

Nel sacco ci sta anche tutto ciò che ti serve a mantenere questa vita: questa è l'origine dei miti cosiddetti "dualisti" secondo cui è il principio del male a creare il mondo. Il dio della morte infatti è il meccanismo della vita: Yama, dio vedico della morte, è "legame", ed è sposo di Yami, "potenza legante": senza di loro i fenomeni non vengono tessuti, le generazioni non prendono inizio e non si svolgono. E la strada di Yama è la "via dei padri", un sentiero di forme senza limite. È tuttavia mediante questa che può sorgere anche la "via degli dèi" per cui ci si inoltra nell'informale. Il sentiero del vuoto è infatti un potenziamento che sorge dalla distruzione del sentiero delle forme. Le forme sono il combustibile onde sorge il vuoto, le madri dello spazio infinito. In tal senso il sacco non può essere lasciato se non da chi s'è inoltrato definitivamente in tale spazio.

Vuotato il sacco non c'è neppure il sacco

Non è chiaro se il sacco vada posato o tenuto, riempito o vuotato: abbiamo visto che si dovrebbe posarlo per seguire il vuoto, tenerlo per poter vivere, riempirlo per liberarsi del superfluo, e che comunque non è mai vuoto. Però la strada del vuoto è una strada ironica assai: fatto tutto ciò, in realtà il sacco è vuoto, anzi, peggio che vuoto, neppure c'è, neppure c'è mai stato. Dov'è finito il sacco?

Cercando nell'ignoto

Lo si posa, lo si tiene, lo si riempie: dov'è andato allora? Lo annusi e non ne senti l'odore, mentre conteneva tutti gli odori; lo ascolti e non odi alcun rumore, mentre li conteneva tutti, non avverti né sapore né colore né sentimento né pensiero, e nel sacco c'era tutto. Il fatto è che nel sacco c'è tutto, sì, ed anche il contrario di tutto: tutti gli opposti si sono neutralizzati. Contenendo tutto, il tutto ha fatto conflitto col contenere, il manifesto col manifestare. Così è sorto il vuoto, poiché il sorgere del vuoto è il conflitto tra il manifesto ed il manifestare. Di là da tale conflitto, ad ogni modo, non sorge né tramonta il vuoto né mai sorgere o tramontare potrà, perché mai non declina né ha declinato o declinerà la sua natura immortale. Che razza di strada è dunque questa, che non si sa dove comincia e non finisce da nessuna parte? Che sentiero, che non ne vedi né inizio né fine? E così è, in realtà: attraversiamo questa vita di ignoto in ignoto, mossi dal filo tenue dell'imponderabile, per strade in cui tessiamo vesti per l'Invisibile, fatti noi stessi parziali sequenze della sua danza infinita. Per quanto si investighi, non si troverà una soluzione se non diventando l'oggetto stesso dell'indagine. Allora la soluzione è una non soluzione. Non soluzione di un non esistente problema.

Piglia il sacco e scappa

Chi scappa fa crescere negli altri la passione dell'inseguimento e dell'indagine: chi non danzava s'è messo, pur goffamente, a danzare. Al limite si spera che finisca per danzare persino il pavimento della sala da ballo: è questo il voto dei Bodhisattva circa l'universale illuminazione. Allora piglia il tuo sacco vuoto e scappa, ogni tanto fa' cadere qualcosa dal suo nulla. Divorato dai tuoi inseguitori, dimostrerà il suo veleno: anziché piacere darà fame di vuoto. Ed è la fame di vuoto che fa danzare il mondo. Ed è questa danza che conduce sui sentieri segreti dove si perdono la forma, la mente, la sofferenza.

 

[6.VII.1997]

 

 

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