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L'INTENZIONE DELLA CENA

Dario Chioli

   

Chi con me non raccoglie, disperde (Mt 12,30). In questa Cena al tavolo del mondo ciascuno di noi porta due invitati: il suo io, che sta alla sua sinistra, e il suo dio, che sta alla sua destra. Secondo l'intenzione, così la nutrizione. Nutri la sefirà, la qualità unificatrice, oppure la qelippà, il guscio isolante. Non puoi scegliere di stare in mezzo: yin e yang sono in perenne permutazione: l'uno dà nell'altro, e l'uomo , per un po' d'attenzione che faccia, lo sa e pertanto non deve attendersi di essere esentato né dalla scelta né dalle conseguenze della scelta.

Al tuo fianco ogni giorno, ogni sera, anche adesso siede il Compagno; puoi illuderti di amarlo, se a lui non porgi nella Cena il tuo pane, il tuo vino? E se a lui porgi il pane, il vino, egli ti darà in contraccambio se stesso, pane essenziale, vino della Presenza. Se l'ebbrezza di tale vino rifiuti, che si dirà di te? Le nozze erano pronte, ma gli invitati non ne erano degni (Mt 22,8).

Ora, se vieni a questa Cena con intenzione di nutrirti della verità, sappi seguire i suoi segni, il suo richiamo in ciascuno dei commensali: Se uno dicesse "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello, che vede, come può amare Dio, che non vede? (1 Gv 4,20).

Ma in questa Mensa il mastro di tavola è il tuo Compagno della destra; di lui e non di altri devi realmente preoccuparti: chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò (Mt 10,33). Re David danzò seminudo in preda all'estasi profetica davanti all'arca santa, e fu rimproverato da Mikal figlia di Saul per essersi disonorato (2 Sam, 14-23). Ma non tale è il disonore; disonore in una cena di ubriachi è essere astemio: la critica perbenista di Mikal ebbe per effetto la sua sterilità. A chi non alza la coppa il coppiere non verserà vino, l'acqua delle sue emozioni non verrà trasformata dal Signore dell'ebbrezza erotica nel vino dell'ispirazione gnostica e della potestà generativa.

Se nascondi il talento, come un servo inutile (Mt 25,30; Lc 17,10), sarai cacciato. Se ti adegui da ipocrita, nascondendoti per la paura propria dell'ipocrita, per il grosso egoismo incredulo che a questi è proprio, facendo solo ciò che in un modo o nell'altro ti viene imposto, a cui sei obbligato, non vali nulla, rimani servo e non sei degno di divenire libero, non dai vino, non hai orecchie così ebbre da intendere la Parola divina, non hai occhi così ardenti da guardare il Roveto infuocato (Es 3,1-6) dentro il tuo essere. Nel centro del tuo essere infatti un roveto, una strada di spine può prendere fuoco: dalla tua sofferenza, dal tuo dolore, dalla lacerazione del tuo io può sorgere il Nome divino: chi potrà allora tacerne, nascondendo ciò che lo illumina nel volto?

Se hai fatto fruttare i tuoi talenti, non lo potrai nascondere. Chi si nasconde, è già un ladro. Perché ladro non è chi ruba, ma chi non fa nulla, chi si fa ricco di cose che ha nascosto per non condividerle con altri. E le ha nascoste perché le ha perse. Le ha chiuse nel guscio, nella qelippà, anziché estenderle fuor dell'io, ai commensali, nelle manifestazioni delle divine sefiròth.

Tu quindi che sei lì e vuoi cenare nella luce della verità, non temere di pronunciare dentro di te e insieme ai tuoi commensali questa intenzione di condividere i tuoi talenti e quelli altrui. Alziamo pertanto il bicchiere e mangiamo il nostro pane, e siano guidati la nostra mano e la nostra mente dal Compagno della destra.

Il nostro pane che qui condividiamo proviene dalla triturazione del grano in farina: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12,24). Così il nostro io è indispensabile per la manifestazione della nostra essenza immortale, e pertanto deve nascere anche la gabbia protettiva, la crisalide in cui esso si sviluppa, il cui fine è però nella distruzione. Fine del guscio, della qelippà che ci proteggeva è morire nell'estasi del rapporto, il che ben si vede in ogni amore, dove le previsioni, le attese indotte dalle abitudini vengono stravolte e l'io soffre in continuazione, ottenendosi di tanto in tanto una profonda luce solo nel suo sacrificio.

Il grano triturato viene poi impastato, e questo corrisponde alla solidarietà, alla ricerca del nostro vero volto oltre il limite del nostro io nell'altro: la nostra divinità non è individuale, trabocca nell'altro e colà si riconosce come la stessa Potenza, dalle infinite forme e dall'unico amore. L'acqua con cui gli io triturati vengono impastati indica l'arricchimento emotivo, la grande dolcezza e la grande sofferenza che caratterizzano questo processo.

L'impasto ha bisogno di lievito per dare un buon pane, e il lievito è il fermento della Luce, Potenza della stessa natura dell'acqua con cui fu impastata la farina, ma proveniente dal Sé, dal Trono di Dio, dall'unico Centro di tutta la manifestazione. Solo questo poderoso impulso all'unificazione permette la levitazione del senso della nostra vita, svelandoci a poco a poco i segreti mistagogici delle divine determinazioni. Senza questa profonda intangibile fiducia l'uomo è povero: qual vantaggio avrà se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima? (Mt 16,26). E l'anima la cui casa è fondata sulla sabbia dove va? Ma quella la cui casa è fondata sulla roccia, è certo essa stessa il Pardés, la retta manifestazione, il Giardino senza impurità.

E infine il pane vien cotto, e questa fiamma che trasforma un ammasso poco gustoso in una forma croccante o soffice piacevole al gusto e dal buon profumo, è il congiungimento del nostro fuoco interno derivante dal lievito della Potenza divina con il fuoco interno degli altri commensali e con la potenza del fuoco stessa che è l'amore, onnipresente ed onnicreante: e questo fondersi in uno di tutte le fiamme è la manifestazione di Dio nella nostra Cena del mondo. A questo fuoco egli risponde; per questo fuoco discende: l'Unico scende nell'unificazione. Dove noi separiamo, si manifesta un separatore, diábolos, re del mondo illusorio dell'io. Dove noi unifichiamo, si svela il senso, il logos di ogni cosa: e il logos è il modo e luogo della corporificazione di Dio: appare dove la tua mente è pura, pervasa dalla potenza erotica, e l'io pertanto non è più un tiranno ma una semplice funzione.

E infine il pane, il pane stesso, siamo ciascuno di noi, Dio stesso, ogni visione d'unione: l'eterna infinita disponibilità del possibile verso ogni manifestazione. Questo cibo non ha limite, infatti. Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà (Mt 17,20). In quanto pane, noi siamo cibo per altri, ed essi per noi, e ciascuno verso ciascuna cosa è eterno dono.

 

[17.X.1995; pubblicato con il titolo Sulla Cena su L'Età dell'Acquario, n. 117-118, settembre/dicembre 1999]

 

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