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IL RISORGIMENTO DELLA POESIA

Dario Chioli

   

Quanti, avendo aperto un libro di poesia, se ne sono presto ritratti infastiditi, ripetutamente, sino ad assumere persino l'abitudine di scartare a priori quanto di poesia portasse il nome?

Non è possibile dar loro torto. Per le più varie ragioni, ciò che viene chiamato poesia è spesso insopportabile ad un gusto autonomo, soprattutto a quello di coloro in cui perduri una qualche vita spirituale, consistendo in un modo di scrivere meccanico, automatico, nel quale qualche spezie erotica è l'unica cosa che di tanto in tanto risolleva un po' il tono, titillando le pulsioni basilari del lettore.

Il poeta s'è allora prostituito fino in fondo al demone meschino del proprio io. O meglio: non vi è qui poeta affatto, bensì qualcuno che il nome di poeta ha usurpato.

Vi fosse una particolare magia, che dei falsi poeti intorpidisse le capacità scrittorie, per non intasare il mondo di insulsaggini!

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Il problema nasce in là nei secoli, risalendo la sua origine a quando la poesia perdette, o sembrò che perdesse, la propria funzione profetica. Non dimentichiamo che poesia furono e sono i Veda, poesia i libri sacri cinesi, poesia in gran parte la Bibbia, poesia il Corano. D'altra parte, staccata dalla visione divina, la poesia non è nulla, è pura chiacchiera, e perlopiù neanche scorrevole.

Ciò non significa che il buon poeta debba parlare sempre di Dio o dell'illuminazione, e neppure che debba parlarne una volta. Non è questo che conta. Bisogna però che il verbo poetico sia necessario. Ogni parola di cui si potrebbe fare a meno è di troppo, e risulta d'ostacolo. Mentre chi si conforma alla Necessità è inevitabilmente ligio alla volontà divina, quand'anche non usi mai la parola Dio.

E si può considerare necessario tutto quanto rivela un aspetto del mistero anche ad una sola anima. Infatti la dimensione della rivelazione non è storica, bensì eterna, e tutto ciò che è eterno o porta all'eterno è altresì necessario.

Ora, non si può pretendere che d'improvviso appaia una gran quantità di poeti di valore, immacolati, puri dalla contaminazione profana, ma si può auspicare e cercare di operare in modo che si avvii un processo di ritorno all'origine.

* * *

Il problema del poeta è sempre stato che di versi non può campare, per cui nella maggior parte dei casi, ammesso che riesca a farsi conoscere, finisce per ridursi a cortigiano di qualcuno e a impoverire o esaurire di conseguenza la propria vena.

Oggi, in particolare, in cui della poesia non importa niente a nessuno di quelli che credono di contare qualcosa, il miserevole spettacolo è sotto gli occhi di tutti: gran parte dei poeti sono semplicemente inconsistenti. Spesso sono incapaci di leggere o ascoltare qualunque poesia che non sia la propria, mentre pubblicano solo per ragioni politiche o perché sono abili a gestire le proprie frequentazioni salottiere, ovvero hanno qualche migliaio di euro da spendere per finanziare la propria pubblicazione. (1) Che depressione, poi, quando capita di assistere a qualche premiazione o presentazione, e arriva il politico locale che, sapendo a mala pena parlare italiano, assume la letteratura come occasione per qualche suo comizio indigeribile, oppure si vedono girare madame e messeri nullafacenti, il cui unico dubbio merito è il titolo o la ricchezza, che con pompa di tacchini si fingono importanti perché sono in grado di garantire una targa o un diploma a qualche poeta in carenza di fama.

(1) Con questo ovviamente non intendo che chiunque pubblichi a spese proprie sia un cattivo poeta; ci sono molte ragioni che possono spingere a questa decisione, anche nell'epoca di Internet. La principale è forse il desiderio di comunicare la propria opera ad una vasta cerchia di amici, organizzata però in una precisa forma estetica, la passione insomma per il libro in sé. Io ho finora preferito utilizzare come mezzo Internet, ma è chiaro che in tal modo una fetta di lettori è esclusa, e certo leggere a video è più disagevole che sfogliare un libro in poltrona o sdraiati a letto. Del resto, anche parlando di editori, bisogna distinguere. Vi è una categoria di editori che campano esclusivamente sulle illusioni degli autori, la maggior parte producendo prodotti la cui mediocrità si vede lontano un miglio, e che non saranno mai venduti da nessun libraio. Altri chiedono un contributo solo perché sicuri altrimenti di non coprire le spese. Insomma, chi vuole pubblicare a pagamento,  deve saper distinguere tra i parassiti e gli editori di nicchia. È ovvio che chi non sa scrivere troverà disponibili solo i primi.

Ma il poeta da salotto del resto non è un poeta; è solo un imbecille.

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Non è persa tuttavia l'Arte Sacra della poesia; gira per il mondo, or qua or là, incontrando per vie tutte sue coloro che hanno il corredo spirituale per riceverla. Ermete ne è il vero nume, o in linguaggio cristiano Sophía. L'Arte Sacra impregna e illumina l'intelletto, la memoria, la sensibilità.

Il poeta vero parrebbe inadatto al mondo, ma ciò è vero soprattutto in un primo momento, quando troppa è la sua sorpresa nel riscontrare quale divario intercorra tra la propria percezione del mondo spirituale e l'aridità imbelle di coloro che si presentano come rappresentanti del mondo della cultura. Sembra impossibile da credere, il fatto che novantanove su cento di costoro non capiscano nulla, eppure è così.

E di quest'un per cento che qualcosa capisce, peraltro, il novantanove per cento non ha le caratteristiche etiche adatte per manifestare l'Arte Sacra, o ha qualche altra pecca insanabile. Sicché ben pochi poeti fatti risultano alla fine, mentre la maggior parte si lascia andare a celebrare senza pudore le proprie banalità emotive. 

Tuttavia, anche di coloro che non hanno portato fino in fondo l'Arte, capita che qualche poesia valga la pena di essere letta. Per questo sarebbe bene ripristinare la consuetudine delle antologie, notissima, su tutti, ai cinesi. Purché qualcuno sappia comporle.

* * *

Si può dunque giungere a capire che esistono due tipi di poeti: uno compiuto, e gli appartenenti ad esso sono allora veri Mistagoghi e Psicopompi, nei limiti della propria Arte, ed hanno altresì appreso come vivere; e uno imperfetto, gli appartenenti al quale sono comunque in grado di percepire talune verità meglio degli altri e, qualora si esercitino sino in fondo nella pratica dell'umiltà, possono sperare di perseguire col tempo gli stessi esiti degli altri.

Tutti costoro si distinguono dal comune del genere umano per il proprio innato o acquisito gusto. Ma non bisogna confondersi, non si tratta qui di un gusto artefatto da collezionisti, o da ricchi nullafacenti che acquistano in modo più o meno ideologico o coatto tutto ciò che si colleghi a qualche schema mentale automatico loro proprio, in genere connesso all'esaltazione del proprio io.

Si tratta qui di quello che gli indiani chiamano rasa, ovvero di un gusto spirituale acquisito sia attraverso un'innata propensione che non sia stata distrutta, sia soprattutto attraverso l'armonizzazione della propria vita. Ciò implica come conseguenza che il poeta non può, bensì deve sentirsi responsabile verso il proprio mondo, in quanto è inevitabile che abbia compreso, perlomeno in modo emotivo ed implicito, la profonda interazione che intercorre tra tutte le vicende umane. Egli deve pertanto da un lato essere autonomo per pesare sugli altri il meno possibile, d'altro lato agire responsabilmente verso il suo prossimo.

L'egoista, colui che vantando dubbie conoscenze disistima gli altri e li sfrutta, non potrà mai essere un poeta. Qualora per nascita avesse avuto la propensione a diventarlo, la perderà di certo di pari passo con l'incremento del proprio narcisismo.

E il destino di costoro non pare gradevole. Chi ha rifiutato la guida di Ermete, o di Sophía, è destinato a a condurre una vita senza scopo, in un mondo di gusti artefatti e di inflazione psichica, avendo rifiutato un Dono che ad altri non è mai neppure stato proposto, e avendo pertanto interrotto il proprio sentiero verso la libertà.

* * *

Per coloro che il sentiero seguitano a percorrere, non contano la solitudine o il successo, ma la rivelazione, la scoperta e il raffinarsi sempre maggiore del gusto spirituale. Ed è naturale che vi sia una naturale opposizione del mondo profano verso di loro.

Ora, sarebbe auspicabile che gli artefici dell'Arte Sacra potessero incontrarsi e riconoscersi in un comune risorgimento della poesia, eliminando la catena sensoriale di solitudine imposta loro attraverso i secoli da un potere tenebroso, per poter  in comune operare per un risveglio del cuore e della mente, rendendosi finalmente conto di quale sia la portata del problema, ben resa dai sacerdoti di tutte le fedi con le immagini della contrapposizione tra bene e male, luce e tenebra. 

Sono infatti i poeti, quelli veri, maestri del ritmo, che hanno sempre saputo entrare nella tenebra per riscattare la luce, mentre coloro che fingono di combattere la tenebra a spada tratta sono della tenebra, spesso, soltanto le goffe propaggini. 

La tenebra si sconfigge riconoscendone il ritmo irreale, la mancanza d'essere proprio, la natura labirintica ma sostanzialmente illusoria. Si dirada sciogliendone in armonica luce le concrezioni, concrezioni in cui luce e armonia da sé occultano se stesse, al fine di svelarsi solo a chi ha preparato nel proprio spirito gli occhi adatti a vedere e le orecchie adatte a sentire.

   

 [26.12.2005]

   

 

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