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IL GRAN CIRCO
UNA NOTA SULLA QABBALÀ
Dario Chioli
Come molti altri, ho inizialmente sentito parlare di Qabbalà, nella mia prima giovinezza, attraverso gli scritti di alcuni occultisti: traluceva, in mezzo a molte inezie, la luce dei simboli. Gli occultisti erano innamorati delle sefiròth e della mistica delle lettere, dell’evocazione angelica e delle pratiche magiche, che mescolavano con molta approssimazione ai Tarocchi, alla simbologia ermetica ed alla passione per profezie e parapsicologia (che dapprima si chiamava metapsichica). Taluni, come Eliphas Lévi, erano anche letterariamente dotati. Ma la Qabbalà è un’altra cosa.
Me ne sono accorto a poco a poco, rendendomi conto delle incredibili assurdità che venivano scritte, magari nell’intenzione di "cristianizzare" la Qabbalà. E tanto per fare un esempio, ancora oggi, benché siano state stampate svariate opere attendibili e siano disponibili innumerevoli dizionari biblici, un buon numero di sedicenti esoteristi insiste nell’interpretare "cabalisticamente" il nome ebraico di Gesù come un Tetragramma (YHWH) in cui sia inserita una shin (YHShWH), trascurando che la seconda hé (H) in ebraico non esiste, essendoci invece al suo posto una `ayin (`), e che per la verità il nome Gesù (greco Iesoûs) corrisponde all’ebraico Yeshua` (YShW`) più che non a Yehoshua` (YHShW`), di modo che non vi è riscontrabile neppure la prima hé. Ma tant’è, sono almeno cinque secoli che si tramanda come esoterica questa cantonata linguistica.
Ho poi trovato maggior profitto - anche per la comprensione della Qabbalà - nello studio delle varie tradizioni spirituali, non tanto nello studio astratto quanto, in una certa misura, nella condivisione. E m'è parso così di capire che non vi possa essere competizione oltre un certo stadio: il sufi, il tzaddîq chassidico, lo yogî, il santo cristiano non verranno mai a guerra l’uno contro l’altro. La loro guerra è contro l’altra parte, contro le proprie meschinità di uomini. Pertanto io, piaccia o non piaccia ai vari puristi, in ragione delle particolarità del mio percorso, ho pregato e pregherò in arabo e in ebraico, in greco e in latino, in sanscrito e in qualunque altra lingua e tradizione mi verrà di farlo (sia sempre lodata la memoria di Sri Ramakrishna, che raggiunse la meta nel Vedânta e nel Tantra, nell’Islàm e nel cristianesimo). Né mi scandalizzerò se le forme dell’uno disgustano l’altro, o perché l’Avesta considerava dèmoni quelli che il Veda considerava dèi e viceversa, o se qualche ebreo tacciava di stregone il Gesù del cristiano, che a sua volta considerava l’ebreo un deicida e il musulmano un eretico, ma continuerò a pensare che in tutto conta solo l’intenzione, la kawwanà. Fuoco nero contro fuoco bianco è la Torà: quanti misteri insondabili negli spazi tra le lettere, quante rivelazioni a venire, o scomparse dalla nostra memoria, o destinate all’anima d’un solo essere umano, o non umano. Solo un pazzo può voler porre limiti all’infinita Parola di Dio.
[31.1.1998]
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