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EFFICACIA DELLA PREGHIERA

Dario Chioli 

   

   

In questo nostro mondo pieno di cose inutili, di propositi superflui, di parole a vanvera, ben difficile è che qualcuno capisca cosa significa pregare.

Non pretendo di averlo capito io. Però mi è parso di intravederne qualcosa.

In particolare ho capito, io come tanti altri, che la preghiera è efficace.

   

La preghiera del santo è ascoltata, sempre, perché sempre viene da Dio stesso, che gliela suggerisce.

Ma anche la preghiera del peccatore, se è preghiera, viene ascoltata. Perché anche la preghiera del peccatore gli viene suggerita da Dio stesso, affinché lo scopra, o lo riscopra.

Infatti Dio è preghiera, amore, concorrenza di due anime.

   

Qualche volta, privi di resistenza, mentre ci è chiara la nostra poca consistenza, il nostro merito nullo, ci volgiamo a Dio come il bambino alla madre, al padre, e gli chiediamo qualcosa.

Ora, chi è quel padre che, se il figlio gli chiede un pane, gli darà un sasso?

    

Per questo, bisognerebbe che si capisse che la preghiera, se è tale, è esaudita.

Quando non è esaudita, non era preghiera, Dio non l’aveva concessa.

Perché pregare è una grazia, non si prega per obbligo. Si prega quando il cuore è sciolto, stanco l’uomo di se stesso, aperto alla morte di tutte le cose e del proprio stesso corpo, dei propri stessi sentimenti, della propria stessa mente.

   

Quando il cuore piange perché non sta più in se stesso, la preghiera è esaudita.

Non c’è tanto da dire o da fare. Capirsi nella propria nudità priva di risorse, vedersi toccati da ogni male, ogni colpa, dal dolore e dalla colpa di tutti gli esseri.

Tutto si può attraversare, se si abbandona la volontà di giudicare. Non giudichiamo per non essere giudicati, perché giudicando giudichiamo sempre noi stessi, e chi può reggere di fronte al giudizio?

Se invece, astenendosi dal giudizio, non si è giudicati, si può chiedere di poter chiedere, volgere il proprio dolore o la propria allegria verso Dio perché ci venga concessa la preghiera.

   

Talvolta pare che Lui non ci senta, vuole che insistiamo.

Ma alla fine risponde.

A chi risponde? A questi microscopici atomi di carne persi in un inconcepibile universo? A questi effimeri fenomeni che dall’oblio vengono e tornano all’oblio? Pensarlo è ridicolo.

Non risponde a ciò che ci crediamo di essere, risponde solo alla cosa immortale in noi, quando si libera in noi sulle ali di un suo misterioso decreto che lo concede.

E la cosa immortale in noi è quanto è chiamato amore; ma lo si può anche chiamare preghiera, non c’è differenza.

   

Chi non ama il fratello come può pregare? Come puoi amare Dio che non vedi, se non ami il fratello che vedi? Chi ama, prega; contiene amore, contiene preghiera.

Tutto ciò è un mondo, lo troveremo morendo. Sarà lì, ad accoglierci, con quella sensazione di certezza, di eterna meraviglia, di gioia immeritata e perciò tanto più grande.

   

Saper accettare la felicità dell’infinito, questo dovremmo imparare, ma è difficile. Accettiamo almeno la dimensione del mistero indotta dalla preghiera, dall’amore. Accettiamo il dono di Dio.

Allora saremo tutt’uno con la dimensione segreta del mondo, il cui nome appartiene solo a Colui che la invera.

Allora le cose che parevano impossibili potranno divenire possibili, i problemi sciogliersi, la vita rinnovarsi, la cosa perduta trovarsi, la cosa ignorata apparire di fronte ai nostri occhi.

Nulla infatti è più efficace di ciò che porta l’atomo del nostro essere fin nel centro del cosmo spirituale, fino alla fonte onde scaturisce ogni beneficio.

   

Non servono molte cose, bisogna chiedere.

Chiedendo a Dio, s’impara a trovarlo, incontrandolo sulla strada della sua risposta.

   

[2/11/2010]

   

 

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