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DI ALCUNE CORRISPONDENZE ERMETICHE E TANTRICHE DEL MITO DI ATENA

Dario Chioli

   

   

Il mito

Vuole il mito che Zeus, consigliato dalla Madre Terra e dal Cielo (Gaia e Urano), (1) inghiottisse Metis (la Saggezza), da lui già fatta amante, per impedire che mai ne nascesse un secondo figlio che l’avrebbe detronizzato, come lui Crono e Crono Urano. Dovette tuttavia egualmente nascere la primogenita da Metis già concepita, e fu Zeus stesso (poiché d’allora in poi Metis-Saggezza giacque nel suo ventre) a partorirla in strano modo dalla cima del capo. Infatti prese a soffrire d’un gran mal di testa ed Ermete, conoscendone la ragione, indusse Efesto (2) a martellargli il cranio, sicché infine la potente Atena ne emerse, armata d’oro, e con un grido lacerante.

   

Interpretazione

Si dà ora il caso che tale mito, che pare assai strano, presenti analogie con altri tali da renderne un po’ più chiaro il significato.

In primo luogo non si scordi che Efesto-Vulcano è il nume tutelare di ermetisti ed alchimisti. È il dio del fuoco, e il fuoco è il mezzo per cui la materia prima vien trattata. Ora, proprio in quanto mezzo, è tutt’uno con Upâya (masch.) del Tantra buddhista, che vuole appunto dir "mezzo" e che fa coppia con Prajñâ (femm.), che vuol dire "saggezza" ed è pertanto lo stesso che Metis.

Ecco dunque un indizio secondo il quale mezzo della palingenesi non essendo altro che il fuoco, materia prima o mercurio dei filosofi è la saggezza. Per il mezzo del fuoco (per gli indù Agni - cfr. lat. ignis - o tapas; per gli ermetisti Vulcano-Efesto; in altre varianti la speranza o l’ispirazione celesti, incomuni tra il volgo) il mercurio della saggezza vien sublimato e ne vien fuori il mercurio doppio, Ermatene, ovvero Minerva-Atena stessa, armata, dalla cima del capo, come la tantrica Kundalinî attraverso il brahmarandhra. (3)

V’è a questo proposito da segnalare una notevole convergenza dell’ermeneutica stoica, secondo cui il nome Athena verrebbe da Aitheronaia, "abitatrice dell’etere", (4) assimilando in tal modo Zeus stesso, e in particolare il suo capo, o cervello (o mente, sanscr. manas, identico al lat. mens e connesso a Minerva) all’etere, quintessenza degli elementi, vuoto in cui opera il pensiero e al tempo stesso fuoco celeste. (5) La tantrica Kundalinî, a sua volta, allorché sale per la sushumnâ-nâdî, è detta Khecarî, la "moventesi nell’etere/nel vuoto", (6) e questa denominazione è quasi identica alla stoica Aitheronaia.

Inoltre, come nel mito di Atena al processo di nascita presiede Ermete, così è noto che uno schema fondamentale della teoria tantrica è quello delle tre dî (canali sottili che percorrono il corpo sottile), solare lunare e centrale, le prime due rappresentate come attorte sulla terza, e che fan tutt’uno come simbolo col caduceo, la verga di Ermete che consta di un bastone e due serpenti sovra ad esso attorcigliati.

E questa identificazione si dimostra tanto più verosimile in quanto Kundalinî stessa, ovvero l’energia (sanscr. shakti) che vien posta in gioco nei metodi tantrici, è intesa come potenza serpentina, sia in quanto è raffigurata serpentiforme, sia in quanto serpentino è, quando accada, il suo svolgersi dallo stato di raggomitolata alla base delle dî, sia in quanto il suo nome stesso vuol dire attorcigliata. Il bastone del caduceo è dunque, rispetto ai due serpenti, come la dî centrale, sushumnâ, rispetto a quelle solare e lunare, il simbolo del dominio su ogni polarità, del dominio dell’etere-quintessenza sugli elementi contrapposti, del dominio ermetico sul fuoco celeste.

Tale fuoco, mantenuto con costante ed equilibrato regime, determina la verace e corretta insurrezione della Presenza Divina, Shakti, sacertas, liquida eretta fiamma entro l’atanòr dell’essere, bianca folgore divina, tanto quella di Zeus che quella di Indra o del Tantra buddhista, il Vajra, a Indra come a Zeus fabbricato dal fabbro celeste (Tvashtr ed Efesto), e dal buddhismo Vajrayâna assimilato a Shûnya, il "vuoto", il che fa ancora una volta pensare tanto alla "moventesi nel vuoto/etere" (Khecarî) quanto a "colei che nell’etere abita" (Aitheronaia).

Per quanto il rapporto tra tradizioni così diverse nello spazio e nel tempo vada analizzato con molta cautela, sembra in effetti dimostrarsi qui qualcosa di più che casuale, che ci dice, a noi come a chiunque non voglia limitarsi ad essere un semplice erudito, che in fondo la palingenesi è qualcosa di estremamente semplice, allorché viene sperimentata, e che gli errori d’interpretazione e la moltiplicazione parassitaria delle categorie pseudologiche all’interno delle varie tradizioni dipendono esclusivamente o dall’assenza di esperienza diretta, la quale sola determina la comprensione, o dalla necessità del sacerdozio o di chi comunque tramanda la tradizione di adattare la presentazione dei suoi misteri alla particolare situazione del momento.

   

[8.2.1986]

   


(1) Zeus, in quanto accetta il consiglio di Gaia ed Urano, è tutt'uno con l'iniziato orfico, che si proclamava figlio della Terra e di Urano stellato e si assimilava così a Crono, il reggitore dell'età dell'oro (mantenendo però migliori rapporti con Urano).

(2) Efesto è, secondo il mito, nato da Era per partenogenesi, senza cioè alcun padre. Abita nell'Etna, ed è singolare l'accostamento che si può fare tra il nome di questo monte eruttante fiamme, Aitna, e quello della dea che egli mette al mondo, Athena. Solo un'aspirazione della dentale differenzia significativamente il nome di colei che esce dal capo di Zeus da quello del monte che fa uscire fuoco dalla sua cima. E si tenga presente che delle tre dî tantriche di cui si parlerà in seguito, è proprio la mediana, per cui deve passare Kundalinî, che dimostreremo essere almeno in certa misura equivalente ad Atena, ad avere corrispondenza col fuoco, come le altre due col sole e la luna, fuoco etereo beninteso e non fuoco volgare.

(3) Efesto, cacciato giù dal cielo una prima volta da Era, fu, lui dio del fuoco, accolto dalle ninfe acquatiche e da Tetide, il che sembra aver attinenza con l'acqua ardente o liquido fuoco che è il primo agente dell'alchimia, ed ha affinità col fuoco ascetico (sanscr. tapas) parente del prâna, fuoco-spirito vitale, stando questi al normale respiro col quale talora lo si confonde come il fuoco etereo al fuoco terreno, come il mercurio dei filosofi al mercurio volgare.

Non si dimentichi neppure il rapporto che lega Efesto con Afrodite sua sposa, questa nata dal seme di Urano e dalla spuma del mare, quello da Era soltanto. L'uno è il fuoco della terra, l'altra l'acqua del cielo; incontrandosi vengono a costituire il liquido fuoco balsamico che reintegra gli esseri.

(4) Per tale (pseudo)etimologia, tratta da Cornuto, cfr. Francesco Rebechesu, L'interpretazione stoica del mito. Saggio critico ed esegetico sui frammenti dei Maestri della Stoa, Atanòr, Todi 1924, pp. 51-52. Che tale derivazione sia filologicamente fondata o meno è dal nostro punto di vista cosa di mediocre interesse, perché il fatto che sia stata presa in considerazione indica che per gli stoici era comunque densa di significato.

(5) Cfr. Augusto Rostagni, Il verbo di Pitagora, ried. Il Basilisco, Genova 1982, pp. 51 e 53:

"il principio formativo di tutto, l'essenza delle cose; la quale sta attorno al cosmo, come cintura di fuoco purissimo: o fuoco o etere o anima o Dio ché sono sinonimi)";

"è fuoco diverso dal fuoco terreno, è etere o aria fiammeggiante (aithér dalla radice di aítho "ardere") o anima, vale a dire la medesima essenza che secondo il comune concetto dei teologi antichi costituisce sia Dio, sia lo spirito nostro immortale; sia il Dio ch'è fuori, sia il Dio ch'è dentro di noi".

(6) Cfr. anche in Orfici, Frammenti, a c. Graziano Arrighetti, Boringhieri, Torino 1968, il frammento 199, tratto da Vettio Valente: "Dice il divino Orfeo: L'anima degli uomini ha le sue radici nell'etere; e altrove: Aspirando l'aere cogliemmo l'anima divina; e ancora: L'anima immortale e incorruttibile viene da Zeus; e infine: L'anima tra tutte le cose è immortale, e i corpi mortali".

   

   

 

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