LE DUE AMICHE
Dario Chioli
Camminavano facendosi strada con qualche fatica nell'erba alta del prato, con i piedi un po' doloranti e un po' stanche dopo la lunga passeggiata, ma leggermente ebbre per la brezza che di tanto in tanto le accarezzava, scherzando con i loro capelli e le loro gonne, e facendole fantasticare. Amiche sin dall'infanzia, avevano la stessa età, avvertivano i medesimi problemi, si confidavano ogni cosa. Amavano le stesse cose, i medesimi luoghi, e potevano comprendersi agevolmente, quasi senza parlare.
A un tratto una delle due incespicò e cadde, e nella caduta trascinò con sé l'amica. Iniziarono allora a ridere senz'alcun freno, e prese dal piacere di ridere incominciarono a farsi il solletico, con scherzosa battaglia, a lungo continuando a spingersi, a toccarsi con le dita lievi, finché infine si ritrovarono a carezzarsi con modi dolci e allegri, abbracciate, con l'anima lucente, e a tirarsi via di dosso, delicatamente, i vestiti, proseguendo verso carezze più intime ed effusioni più complete.
La giornata era calda e bella, propizia all'amore, ed esse continuarono allegramente finché non si furono del tutto soddisfatte, finché il loro affetto non ritornò dai corpi alle anime, con quel nuovo nodo fatto di conoscenza reciproca.
Da quel giorno non sentirono più l'irrimediabile malinconia che per lungo tempo le aveva angustiate, poiché l'intimità dei loro spiriti e dei loro corpi aveva pervaso la mente e il desiderio di entrambe, completamente, liberamente, e senza recriminazioni. Per loro non c'era del resto nessuna particolare difficoltà, essendo nell'uso che le amiche si frequentino e si separino assieme dal mondo per discutere di cose personali e segrete.
I rapporti con l'altro sesso non erano così semplici come avrebbero voluto, perciò volentieri ne facevano a meno. Fuori del loro rapporto, tutto era fatto di finzione e parole, di millanterie e adolescenza mal vissuta. Esse avrebbero desiderato un dolce adolescente, giovanissimo eppure maestro, in mondi di luminose comparse, luoghi di serena libertà, dove fosse rispettata ed incoraggiata la sensibilità più profonda. Tutt'e due avrebbero inventato giochi con il bell'adolescente e lo avrebbero amato, loro sole, e corrisposte alla perfezione dal suo desiderio di amare.
Non apprezzavano quel genere d'uomini che non sapeva inventare cose fantastiche e piacevoli, quel genere d'uomini che si faceva del proprio sesso uno stendardo di forza e di vittoria a buon mercato, senza verità, senza intimità, incapace di comprendere l'essenziale nella carezza e nell'abbraccio, la loro intima purezza, il piacevole contatto dei corpi, fine a se stesso anche se concluso in piacere, l'amore totale del gesto, la levità del gioco. Attorno ad esse si aggiravano o uomini piangenti o uomini inetti, e nessuno poteva sostituire la tenerezza dell'amica con la sua tenerezza di amico, poiché nessuno aveva quel dono della tenerezza. Incapaci di amare se stessi, quegli uomini non potevano dare amore, perciò le due amiche, senza troppi problemi, li evitavano.
Attorno a loro, poi, gli uomini mascheravano le proprie incapacità con apparenze di serietà, decoro, moralità, ovvero di libertinaggio, autonomia, insofferenza. Conoscendolo, avrebbero disprezzato il rapporto delle due amiche, ed esse non volevano questo, sarebbe loro parso di divenire tutt'a un tratto impure, incapaci di conservare quella dolcezza e quella quasi onirica certezza.
Quando le loro mani si accarezzavano reciprocamente il grembo, o i seni si toccavano, o nascevano i loro baci, tutto era colmo di sentimenti così esili che uno sguardo inesatto, un gesto mal diretto avrebbero causato una totale rovina.
Nessun estraneo poteva dunque intromettersi, che non fosse simile a quello sperato adolescente, a quel Cupido mezzo bambino mezzo fanciulla che avrebbe compreso la verità di ogni cosa, quel conoscitore di tutti i loro pensieri che sarebbe stato in grado di indovinare il bacio, la carezza, l'abbraccio perfetti, e tutto ciò che avrebbe dato risposta alle loro più nascoste speranze, fino alla fine, fino alla caduta del sentimento, al sogno e al piacere dell'identità.
[21.I.1976]
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