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LA PORTA SUL MARE

 di

 Dario Chioli

 

ATTO PRIMO

ATTO SECONDO

 

 

Personaggi

 Sergio.
Prima voce
, un uomo ben piantato.
Seconda voce
, uomo o donna magri.
Terza voce
, donna magra.
Quarta voce
, uomo snello.
Lo sconosciuto
.
La Bambina con la scopa
, una bimba robusta.
Eva
.
Il prete
.
Gianni
.
Coro di fantasmi
, sei o sette fantasmi di differente corporatura.
Coro delle sorti
, sei o sette sorti di differente corporatura, donne.
Sorte di Eva
, una sorte longilinea.
Sorte di Sergio
, una sorte di discreta struttura.
Fantasma nudo
, magro assai.
Uno
, indifferente.
Prudenza
, bel tipo di massaia campagnola.
Uomo della barca
, piccolo e ben piantato.
Primo pescatore
, alto e imponente.
Secondo pescatore
, abbastanza alto, robusto.
Matto
, con aspetto pazzo.

 

 

ATTO PRIMO

 

Scena I

 

Entra Sergio.

UNA VOCE. E allora?

UN’ALTRA VOCE. E allora?

UN’ALTRA VOCE ANCORA. E allora?

SERGIO. Niente.

PRIMA VOCE. Ma come è possibile?

SECONDA VOCE. Dove si sarà cacciata?

TERZA VOCE. Cosa le è saltato in testa?

QUARTA VOCE. Sparire così...

Entra uno sconosciuto.

PRIMA VOCE. E chi è quello?

SECONDA VOCE. Chissà che non sappia qualcosa.

Curiosi, tutti si portano verso lo sconosciuto.

SCONOSCIUTO. Forse voi cercavate una donna?

SERGIO. Sì.

SCONOSCIUTO. È...

PRIMA VOCE. Cos’è?

SECONDA VOCE. Cos’è?

TERZA VOCE. Cos’è?

SCONOSCIUTO. È morta. S’è gettata nel fiume, ma il corpo s’è impigliato in un ramo e così l’han ripescato. Chissà perché poi, così giovane.

PRIMA VOCE. Non c’è perché.

SECONDA VOCE. Un perché dev’esserci.

TERZA VOCE. Non si può mai dire.

QUARTA VOCE. Tutti hanno pensieri, tutti.

PRIMA VOCE. Questo sì.

SECONDA VOCE. Appunto.

TERZA VOCE. Già.

QUARTA VOCE. Sembrava un po’ triste...

PRIMA VOCE. Sì, però...

SECONDA VOCE. Come si poteva sapere...

Sergio se n’è restato da parte, assorto nei propri pensieri. Ora però si scuote e se n’esce di scena senza dir nulla, come adirato.

PRIMA VOCE. Che gli è preso?

SECONDA VOCE. Bah, siamo tutti turbati...

TERZA VOCE. Già, non capita tutti i giorni una disgrazia simile.

S’avviano tutti ed escono di scena.

 

Scena II

 

Sergio cammina per un sentiero, lentamente, investito in pieno dalla luce del sole.

SERGIO (tra sé). Perché, perché... si sa perché. Tanti imbecilli, così vuoti, teste cuori anime di paglia. Fuggirne è gravoso, e aiuto non c’è. Ma questo sole... morire in questo sole... non fu una morte, un gioco forse... no, non fu neppure un gioco. Non si deve mentire, però è faticoso ricordare... in fondo non vorrei pensarci...

Si china, raccoglie un ramoscello secco, lo guarda per qualche secondo, poi lo spezza tra le dita. Fa per gettarlo, ma si ferma.

Perché l’ho rotto? Stava lì sul sentiero, nessun bisogno di romperlo. Perché l’ho rotto? Forse non ha importanza, è vero, però non basta.

Tace.

Non bastava guardarlo, bisognava romperlo. Come si è rotta lei. Ma non c’entra, perché dovrebbe entrarci? O forse c’entra, giù dalla riva s’è gettata, in quel cadere forse un moscerino le è passato sul viso, forse lo ha sentito in quell’attimo, e pensava... cosa pensava... I suoi pensieri nessuno può conoscerli, i pensieri di quel fiume, forse fu una pace, o lo schianto della vita, la fine pura, quando l’acqua, sì, la fredda acqua le penetrò in gola, nelle narici, quasi fin su al cervello, o forse l’angoscia, no, non angoscia, dolore soltanto, una cocente angoscia fisica, e lei perdurò nel suo intento, alzò gli occhi forse per un istante e non vide, e crollò giù sopraffatta.

Sergio tace, si siede su una grossa pietra ed alza lo sguardo al cielo. Abbagliato, porta una mano sopra gli occhi. La luce è ora intensissima, tanto da oscurare ed impedire la percezione di tutto il resto del palcoscenico. Nel silenzio s’odono rumore di fronde e sonorità d’uccelli meridiani.

Il cielo, il sole, il calore, il giorno, il silenzio delle voci, l’odore dell’erba. Non è bellezza questa? Forse per questo s’è uccisa.

A questo punto entra in scena una Bambina con una scopa. Va vicino a Sergio e ripulisce il terreno tutt’attorno a lui, per il resto ignorandolo perfettamente. Quindi in perfetto silenzio se ne va. Sergio per tutto il tempo la guarda sorridendo. Quand’ella se ne va, rallegrato continua a sorridere.

Bella ragazza dal cuore di vento,
porta lontano dolore e ricordo.

Lasciami immerso in un lago di stelle,
cantore cieco perduto nel sogno.

Verrà la notte e mi perderò
dentro uno stormo di uccelli profondi.

  

Scena III

 

Si è fatta notte. Ci sono Sergio, Eva, un prete.

EVA. Che ne dice, Padre?

PRETE. Eh, che vuol che dica. Succede.

EVA. Ma perché?

Sergio esce.

PRETE. Forse si sentiva sola, era infelice.

EVA. Ma le eravamo tutti vicini.

PRETE. Ma in che modo? Bisogna vedere in che modo, non basta parlare.

EVA. Ma come potevamo sapere...

PRETE (rassicurante). Ma infatti, infatti. Non avete nessuna colpa.

Sergio rientra.

SERGIO. Colpa? Che c’entra la colpa? E perché siete tristi? Che c’entra la morte con la tristezza?

EVA. Non vorrai che giochiamo a nascondino.

SERGIO. Perché no? Ce n’è già una che s’è nascosta.

EVA. Ti sembra che la cosa sia da ridere?

SERGIO. Ma no, non voglio ridere, dico sul serio, secondo me si sta divertendo alle nostre spalle.

PRETE. Beh...

EVA. Magari fosse vero.

SERGIO. Perché no?

PRETE. Beh...

EVA. Tu dici?

SERGIO. Sì, s’è nascosta.

PRETE. Invero...

SERGIO. E ci ride dietro.

PRETE. Ma...

EVA. Può darsi, è bello crederlo, rideva sempre.

PRETE. Rideva?

EVA. Sì, rideva. Sempre.

PRETE. Ma...

Entra Gianni.

GIANNI (con tono di circostanza). Che fate? Non andate a dormire?

SERGIO (brusco, improvvisamente annoiato). No.

GIANNI (ad Eva e al prete). E voi?

EVA. Oh, io...

PRETE. Adesso me ne vado, devo proprio andare. A domani.

GIANNI. Per la cerimonia funebre è tutto pronto?

EVA. Sì, tutto.

PRETE. Sì, sì, sarà una bella cerimonia. Buonanotte, signori, buonanotte.

EVA. Buonanotte.

GIANNI. Buonanotte.

SERGIO. Buonanotte.

Il prete esce. Gianni va verso Sergio per discorrere, alza enfaticamente la mano in un gesto declamatorio, ma mentre sta per aprire bocca desiste scoraggiato dall’aria cupa e taciturna di Sergio. Si volge allora verso Eva, ma ella nel frattempo se n’è uscita di scena. Spazientito, se ne va anche lui. Sergio rimane solo.

SERGIO (tra sé). Non voglio vedere il suo funerale. Che c’entrano i funerali? Vorrebbero ammazzarla a tutti i costi per liberarsi dal pensiero. Un bel furgone coi fiori, un po’ di commozione, qualche carrettata di terra smossa, due coccarde funebri alle braccia ed eccola esorcizzata, sparita, come non fosse mai stata, morta, definitivamente morta. Eh no, no, non ci andrò al suo funerale.

Esce.

 

Scena IV

 

Entra un Coro di Fantasmi, per l’occasione vestiti di bianco lenzuolo e pallidi come si conviene.

CORO DI FANTASMI.

Atto di morte ben bene attestato
i morti vivi ci vogliono imporre.

Dal campo di vita dovremmo fuggire
e rifugiarci in mezzo ai ricordi.

Perché ci cacciate, perché non volete
che dentro la mente ancora restiamo?

Ma hanno paura d’un atto di morte
che duri negli occhi e distrugga la vita.

Venite, venite, amabili Sorti
degli uomini che ci voglion sepolti.

Entrano le Sorti degli uomini chiamate in causa, taluna opulenta e grassa, talaltra striminzita e magra, quali alte, quali basse.

CORO DELLE SORTI. Siete davvero seccanti. Perché non ve ne state morti, o Morti? Che v’importa di noi Sorti e Destini e Fortune e Sfortune? Tanto morti siete e morti restate.

Entrano in scena Sergio ed Eva.

CORO DI FANTASMI. Arriva qualcuno!

CORO DELLE SORTI. C’è gente!

SORTE DI EVA. Ma quella è la mia figlioccia!

SORTE DI SERGIO. Uh! E quello è il mio figlioccio!

CORO DI FANTASMI. Via, via, non possiamo salutarli, non è ancora tempo, dobbiamo fuggircene.

CORO DELLE SORTI. Sì sì scappiamo, via!

Fuggono disordinatamente, i fantasmi con più dignità per paura di perdere il lenzuolo. Sarà però bene se per l’occasione un fantasma lo perderà davvero e resterà nudo in scena.

FANTASMA NUDO (coprendosi pudicamente con le mani le parti intime ma con tono beffardo). Ohibò, perdere il lenzuolo è il colmo, ma lor signori spettatori potranno così risolvermi un quesito angoscioso: in che consiste la nudità di un fantasma?

Detto questo alla svelta, il fantasma nudo raccoglierà il lenzuolo e correrà fuor di scena ridendo. Sergio ed Eva avanzeranno ora dal fondo del palcoscenico verso il pubblico.

SERGIO. Ti rammenti? Certe volte sembrava così lontana da noi, era così assorta, magari alzava la mano a mezz’aria e se le chiedevi cos’era, Niente rispondeva, e subito se n’andava. Talvolta stava sola presso il fiume, credo gli parlasse. Ma ora è facile ricordare, ricreare i momenti in cui pareva più viva, più facile che non fosse allora. Allora non vedevamo.

EVA. Eravamo ciechi.

SERGIO (sedendosi). No, non ciechi, lontani piuttosto, lontani da lei e da noi stessi.

EVA. Immersi in un oblio profondo...

SERGIO. Dimenticare di vivere: fu questo.

EVA. Quasi un sogno?

SERGIO. No, piuttosto uno sprofondarsi nel reale, nell’infinito. Ognuno ha il suo modo di vivere e morire. Taluni cercano il dio dell’acqua.

EVA. Il dio?

SERGIO. Senti il gorgoglio del fiume in lontananza? Mi attrae, vuoi venirci?

EVA. È tardi.

SERGIO. Forse, ma è un’ora propizia.

EVA. Perché?

SERGIO (pensoso). È l’ora in cui le Solitudini girano per i campi a riprendere fiato, cacciate per un istante dai Sogni.

EVA. Eh?

SERGIO. Non senti i loro canti? Ascolta bene: cosa senti?

EVA. Le rane.

SERGIO. No, non le rane.

EVA. Il fiume.

SERGIO. No.

EVA. Il vento.

SERGIO. No.

EVA. Le fronde degli alberi.

SERGIO. No.

EVA. Cosa dunque?

SERGIO. Il rumore del tempo in sottofondo. Sommesso crosciare di territori dimenticati. Valli d’ombre. E le rive del fiume, anche, su cui si sedeva.

EVA. Parole. Non si sente nulla.

SERGIO. Infatti, ed è magnifico. Come sentirlo, il rumore che si perde di là dalla nostra coscienza? Cervelli di paglia non possono arrivarci.

EVA. Così è.

SERGIO. Andiamo.

EVA. Andiamo.

Escono.

 

Scena V

 

Si è fatto giorno. Fervono i preparativi per i funerali. Entrano lo sconosciuto, le quattro Voci, Gianni.

GIANNI. Quanto manca?

PRIMA VOCE. Un’ora.

SCONOSCIUTO. Infine ho deciso. Vengo anch’io.

SECONDA VOCE. Come mai? Forse la conosceva?

SCONOSCIUTO. No.

TERZA VOCE. E allora?

SCONOSCIUTO. Così.

QUARTA VOCE. Ah.

Entra precipitosamente il prete.

PRETE (respirando affannosamente). Signori!

GIANNI. Che c’è?

PRETE. Signori!!

VOCI IN CORO. Che c’è dunque?

PRETE. La buonanima...

SCONOSCIUTO. Ebbene?

PRETE. Non c’è.

VOCI IN CORO. Eh?!

PRETE. Eh.

GIANNI. Ma come!

PRETE. Sparita. Ci sono solo il catafalco e le candele.

PRIMA VOCE. Ohibò. E cosa si fa adesso?

SECONDA VOCE. A chi chiedere?

TERZA VOCE. E che ne so?

QUARTA VOCE. Lei, Padre, che pensa?

PRETE. Beh...

GIANNI. Beh che?

PRETE. Beh...

SCONOSCIUTO. Insomma, vuol decidersi a parlare chiaramente?

PRETE. Qualcuno l’ha portata via.

TUTTI GLI ALTRI. Uh! E perché?

PRETE. Che ne so.

PRIMA VOCE (compassionevole). Povera ragazza! Manco da morta un po’ di pace.

SECONDA VOCE. Bah, tanto non sente più nulla.

TERZA VOCE. Sì, però...

QUARTA VOCE. Eh sì...

SCONOSCIUTO. E pensare che l’ho vista tirar fuori dal fiume.

GIANNI. E con ciò?

SCONOSCIUTO. Eh, l’ho vista.

PRIMA VOCE. Scusi, ma lei che c’entra?

SCONOSCIUTO. Beh...

PRETE. Bando alle ciance, bisogna ritrovarla e darle onorata sepoltura. Andiamo.

Si avviano tutti per andare a cercare il cadavere.

A fondo scena:

GIANNI (alla prima voce). Tu va’ di qua, ché io vo di là.

SCONOSCIUTO (accennando alla quarta voce). E io me ne vado con lui.

QUARTA VOCE. E perché con me?

Le voci si spengono.

 

Scena VI

 

Si è fatto buio. Sergio ed Eva sono sulla riva del fiume, appoggiati l’uno all’altra, e ascoltano il mormorio delle acque.

EVA. Tutto qui sembra che debba, più che cessare, corrersene via con quest’acqua verso altri climi, altre condizioni.

SERGIO. Vedi? È impossibile pensare a cose morte, a cose che siano svanite. Al massimo si può pensare a qualche giocherellone tenebroso, forse un po’ cupo per noi, ma forse neppure. La notte vive, vive il sonno, e nulla è morto, anche quando tutto pare perduto.

Verrà la notte e mi perderò
dentro uno stormo di uccelli profondi.

EVA. Che dici?

SERGIO. È una cosa che scrisse lei, ma s’addice anche a noi, s’addice a chiunque si sieda lungo il fiume.

EVA. Qui i pensieri si mettono in volo. Forse sono essi gli uccelli profondi.

SERGIO. Senti quest’altra.

Perché t’avvicini? Perché t’allontani?
Resta dove sei. Io non dimentico.

EVA. Stare fermi dove si è, stare fermi ed aspettare e sapere che il tempo non può nulla su di noi.

SERGIO. Non si dimentica, non si può dimenticare. Il peso della vita s’accumula, chi può star fermo invecchia mille volte.

EVA. Eppure ci muoviamo, paurosi d’invecchiare. E non si ha torto se invecchiare è cacciarsi nella morte.

SERGIO. Vi è chi può morire e chi no. Ma non c’è gran differenza tra lo star qui seduti e il morire.

EVA. Ma c’è molto da fare, prima di morire.

SERGIO. Forse sì, uomini donne bambini che ti chiamano, anche senza aprire bocca. Però non hanno diritto di entrare e sopraffare i segreti del cuore.

Appaiono, in lontananza, numerose luci.

EVA. Che sono quelle luci?

SERGIO. Quali luci?

EVA (facendogli cenno). Là dietro. Sembrerebbe quasi una processione.

SERGIO. Cercano lei.

EVA. Come?

SERGIO. Lei.

EVA. Ma che dici?

SERGIO. Non la troveranno.

EVA. Chi?

SERGIO. Lei.

EVA. Ma se è morta!

SERGIO. Già.

EVA. Ma insomma...

SERGIO. Cercheranno tutta la notte ma non la troveranno e domani, stanchi, si tortureranno il cervello. Ed ella riderà.

EVA (senza capire). Mah.

SERGIO. Capisci?

EVA. Cosa?

SERGIO. L’ho presa, l’ho portata via, e non la troveranno.

EVA. Ma che hai fatto!

SERGIO. Te l’ho detto.

EVA. L’hai portata via? Dove?

SERGIO. L’ho ridata al fiume. Non la troveranno. Ho studiato le correnti: poco manca da qui al mare: vi giungerà.

EVA. Ma perché?

SERGIO. Perché così voleva. Ho compiuto il suo piano. Così voleva, perdersi in un luogo dove non la si scorgesse, svanire.

EVA. Sbagli.

SERGIO. Forse sbaglio, ma è bello egualmente.

EVA. Ma che importanza ha come finisca il corpo?

SERGIO. Nessuna, è solo un fiore per lei, sulla tomba del suo ricordo.

EVA. Forse comprendo.

SERGIO. Sì, basta ascoltare le onde, o vedere il corteo delle luci di coloro che la cercano. Come si può non capire. È come se le anime di paglia bruciassero, in un sacrificio a lei che l’accompagni, mille voci svanenti sulla soglia del suo ignoto.

EVA. Una chiara visibile dimostrazione della sua capacità di vedere, insomma, una parola di prova, un appiglio per lei, per il suo cammino?

SERGIO. Non per il suo, per il nostro. Il suo cammino s’inoltra per contrade troppo grandi, è il nostro che ha bisogno di mete, di sostegni. Lei ha infranto il coro delle voci, mentre noi stiamo ancora parlando. Lei ha già raggiunto le profondità, mentre noi non l’abbiamo ancora seguita.

EVA. E la seguiremo?

 

Scena VII

 

Si è fatta notte. In scena ci sono Gianni, il prete, lo sconosciuto, le quattro voci ed uno che si è aggregato.

VOCI IN CORO (afflitte). Dunque è perduta?

PRETE. Pare.

SCONOSCIUTO. Che fare?

GIANNI. Sergio ed Eva dove sono?

PRIMA VOCE. Già prima non c’erano.

PRETE. Che sappiano loro qualcosa?

GIANNI. Dovremmo chiederglielo.

SECONDA E TERZA VOCE (all’unisono). Sì, ma dove sono?

PRETE. Bisogna cercarli.

GIANNI. E dove?

QUARTA VOCE. Già, dove?

SCONOSCIUTO. Nessuno di voi ne sa niente?

UNO. A me par d’aver visto qualcuno al fiume, una coppia, direi.

SCONOSCIUTO. Ah.

PRETE. Aah.

GIANNI. A-àh!

VOCI IN CORO. Uuuh!

SCONOSCIUTO. Bisogna che qualcuno vada a chiamarli.

GIANNI (allo sconosciuto). Lei, ad esempio.

SCONOSCIUTO. Perché io?

GIANNI. Perché lei non aveva legami con la poverina.

SCONOSCIUTO. Che c’entra?

GIANNI. C’entra perché per questo motivo è meno depresso e meno stanco.

SCONOSCIUTO. Veramente...

VOCI IN CORO. Già.

SCONOSCIUTO. Ma io...

VOCI IN CORO (aggressive). Cosa?

SCONOSCIUTO. Niente, niente...

Esce per andare al fiume, di assai mala voglia. A questo punto entra in scena la Bambina con la scopa, si fa verso i presenti e comincia a gettare loro addosso con la sua ramazza polvere e foglie secche.

UNO. Ma che fai?

GIANNI. Ma che fai?

PRETE. Ma che fai?

PRIMA VOCE. Dispettosa!

SECONDA VOCE. Diavolo!

TERZA VOCE. Perbacco!

QUARTA VOCE. Vuoi piantarla?

La Bambina ha finito il suo giro e se ne va, senza fretta ed in perfetto silenzio.

GIANNI. Che sfrontata!

PRETE. Che insensata!

PRIMA VOCE. Fossi io suo padre!

SECONDA VOCE. E io sua madre!

TERZA VOCE. Eh sì, gliela faremmo vedere!

QUARTA VOCE. Ma che polverone ha sollevato!

UNO. E perché poi?

Escono tutti per andarsi a spolverare.

 

Scena VIII

 

Lo sconosciuto è in riva al fiume, visibilmente affaticato. È notte fonda.

SCONOSCIUTO (tra sé). Me imbecille che mi sono immischiato! Ecco che mi tocca cercare quei due pazzi. E non c’è da fidarsi: gente che ruba i morti non c’è da stupirsi se ti ficca un coltello nella schiena. E se poi li trovo con il cadavere, chi mi assicura che non mi prendano a bastonate?

Vede un’ombra nera che passa sul fondo del palcoscenico.

Ehilà, chi è là? (tra sé) Ehm, non risponde... Andrò a vedere ma... con prudenza.

Arriva Prudenza e gli tocca la spalla. Lo sconosciuto sobbalza penosamente e si volta di scatto.

E tu chi sei?

PRUDENZA. Sono Prudenza. Felice di esserti utile, carissimo.

Lo sconosciuto sorride nervosamente, poi si volta e fugge a gambe levate fuor di scena.

Imprudente! Se corri così, ti romperai una gamba!

Se ne va scuotendo il capo.

 

ATTO SECONDO

 

Scena I

 

E’ sempre notte fonda. Sergio ed Eva sono seduti uno accanto all’altra sulla riva del fiume.

SERGIO. Vado a cercare una barca.

EVA (sorpresa). Come, una barca? Perché?

SERGIO. Risponderemo all’invito. Da qui al mare vi è poco: vi andremo.

EVA. Fino al mare?

SERGIO. Sì, io e te, fino al mare.

EVA. E la seguiremo?

SERGIO. Sì.

EVA. Forse la ritroveremo.

SERGIO. Non credo. Sono ore che ho gettato il corpo in acqua.

EVA. L’hai gettato?

SERGIO. Ve l’ho adagiato... ma no, ve l’ho gettato di brutto, è vero, perché m’è sfuggito. Ha voluto scappare anche da morta. Così... lo tenevo saldamente tra le braccia, eppure il corpo è scivolato via. Ho sentito d’un tratto il suo freddo, sono inorridito e m’è sfuggito. E lei certo in qualche posto rideva.

EVA. Forse la ritroveremo egualmente.

SERGIO. Vado.

Si alza ed esce.

EVA (tra sé). Che strani questi due giorni. Passiamo anni di vita insulsamente, appena appena scalfiti dal dolore, e poche ore poi ci maturano d’un tratto, ci guidano ad abissi che prima deridevamo. Lei vedeva, sapeva e taceva. E allora è morta, e noi vediamo e sappiamo e taceremo. E altri vedranno le nostre morti, e sapranno e taceranno. E forse continueremo egualmente a credere tutti che nessuno sappia, che non vi siano altri silenzi che il nostro, avvinghiandoci a baluardi di nullità, persuasi che in nessun altro luogo esistano veri esseri umani, e faremo mille sforzi per starvi, e tutti faranno mille sforzi come noi per fuggire di quaggiù, dalla terra dell’esistenza, e ognuno di noi sarà infelice, dolorante, e griderà la sua malinconia alla sera e nessuno udirà, lui spera ma nessuno udirà, e queste terre nostre solitarie si faranno grandi, così grandi da contenere le nostre morti, e le solitudini e i sogni si lacereranno, e il rumore del gorgo ammutirà, e saremo costretti a viva forza ad esser felici, rideremo come pagliacci in un mondo senza inizi né fini, rideremo di tutti i nostri consimili, poiché avremo trovato il linguaggio più segreto, quello che parla troppo vicino agli occhi, sicché non vediamo, e rideremo come pazzi sulla barca di Caronte barbabianca, e se pure l’inferno ci dovesse accogliere il suo fuoco sarebbe un frenetico ridere, il crollare mille volte del mondo sotto il peso assurdo del ridere.

Si spoglia e s’abbandona ignuda sulla riva del fiume, ascoltando. Dopo poco s’ode uno sciacquio di remi e arriva Sergio in barca.

SERGIO (avvicinandosi ad Eva). Eva... (vede che è nuda) che cosa... (esita) Eva...

EVA (a bassa voce). Sergio...

SERGIO. Che è...

EVA. Ssst.

SERGIO. Eh?

EVA. Sta’ zitto.

SERGIO (in tono di scusa). Ho portato la barca...

EVA. Saliamo.

Salgono. Sergio ha un aspetto abbastanza sconcertato. Raccoglie i vestiti di Eva e vuol metterli sulla barca, ma Eva gli accenna di non farlo. Allora si ferma, riflettendo, un momento, poi sale in barca. Se ne vanno.

 

Scena II

 

Sul fiume, Eva e Sergio parlano a bassa voce, un po’ remando un po’ facendosi portare dalla corrente. Sono seduti uno di fronte all’altra, in una tenue luce. Eva è sempre nuda e Sergio sempre vestito.

EVA. Ho capito ciò che intendevi dire prima, quando recitavi quei versi.

SERGIO. Sì, li hai capiti anche meglio di me.

EVA. Pensi che sarebbe una menzogna se ci amassimo ora, qui sul fiume?

SERGIO. Non so, sarebbe diverso dal resto della vita. C’è lei.

EVA. L’hai mai amata?

SERGIO. Non so, non proprio. A un tempo mi attraeva e respingeva. Anch’io del resto ero diverso da adesso, ero come gli altri, come tutti, come le voci, il prete, quello sconosciuto.

EVA. È strano vedere una persona che si stacca così. Diventa un desiderio impossibile, è come se prima non fosse esistita mai, e poi fosse apparsa d’un tratto e subito svanita senza parlare a nessuno. Ci abbatte con il suo silenzio e ci risolleva con la sua estraneità. Ci spinge, ci conduce sul fiume. Diviene una strada, una via già percorsa che pure ci attrae, perché nessuno ne parla.

SERGIO. Sì, è un fascio di pensieri che la morte ha slegato e lasciato vagare, un simbolo.

EVA. Forse anche un gioco.

SERGIO. Un gioco?

EVA. Sì, un gioco, una danza tra l’inizio e la fine, la vita quotidiana e l’eternità, la corsa di un bambino su e giù per mille mondi ch’egli solo vede. Forse un invito ad amare, a gioire.

Sergio ed Eva si accostano l’uno all’altra, piano, con precauzione, per non far capovolgere la barca. Ma ecco che si sente il rumore dell’acqua aumentare, mentre la scena si fa più luminosa, con toni di luce roseoazzurra.

SERGIO. Senti il mare!

Eva lo attira a sé e si baciano. Dopo poco però Eva si distrae dall’abbraccio.

EVA. Guarda, già lo si vede. E sta anche sorgendo il sole!

SERGIO. Tu sei nuda, ti vedranno.

EVA. Che importa?

SERGIO. Sì, forse non ha importanza.

EVA. E poi andremo nel mare, al largo, e nessuno ci vedrà.

SERGIO. E lei?

EVA. Lei cosa?

SERGIO. Nulla...

EVA. Lei è sola laggiù e vuole restare sola. È nel mare e chissà se la troveranno mai. Ma quand’anche fosse, non sarà più lei. Chi fugge due volte non può tornare, il suo spirito è lontano, troppo lontano.

SERGIO.

L’uccello dorato volava sopra la terra.
E su ogni terra lasciò cadere una piuma.
E ogni piuma divenne un essere umano.
E l’essere umano si fece uccello dorato.
E volò lontano verso i mille tramonti.

EVA. Perché mille?

SERGIO. Uno solo, tutti pretenderebbero di vederselo davanti, ma nessuno può vederlo se non sa mutarsi in uccello dorato, e non è mai lo stesso. Quel tramonto non ha paragoni, può parlarne chi ha visto il diluvio, chi ha visto il vuoto e è fuggito, non altri.

EVA. Ricordo che una volta disse che quando l’uovo si schiude non nasce ciò che attendiamo.

SERGIO. Nascere è morire.

EVA. Forse, ma c’è altro. Non basta dir questo; è che abbiamo la notte per madre, e il mare, e ogni volta cerchiamo la notte, e il mare.

SERGIO. Questo mare?

EVA. Quest’acqua, sì, questo mare.

SERGIO. E il cielo?

EVA. Il cielo è lontano.

SERGIO. Il cielo.

EVA. Il cielo.

Guardano entrambi il cielo. La luce, ora fattasi rosso chiara, li colpirà in volto.

SERGIO. Cielo e mare perché non ci schiacciano? È tutto l’universo che pesa e resiste, e noi in mezzo: perché non ci schiaccia?

EVA. La donna, l’uomo hanno forza, hanno forza per resistere. Cento anime hanno, cento forti anime.

SERGIO. Eva... (Eva lo guarda) Vorrei dondolarmi sul mare sopra un’altalena. Nessuno che la trattenga, su e giù in quest’alba, su e giù.

EVA. Certo, “ché agevol cosa fôra cader la luna in sul tuo campo!”[1]

La scena si chiude su essi che ridono.

 

Scena III

 

Sono in scena le quattro voci, Gianni e il prete, con aria piuttosto annoiata.

PRIMA VOCE. Dove sarà finito lo sconosciuto?

SECONDA VOCE. Già, per l’appunto, nessuno sa chi è?

TERZA VOCE. Io no.

GIANNI. Io no.

PRETE. Io no.

QUARTA VOCE. Io nemmeno.

GIANNI. Li avrà trovati?

PRETE. Chissà.

PRIMA VOCE. Ma se almeno tornasse!

SECONDA VOCE. Secondo voi, ne sanno qualcosa?

TERZA VOCE. È chiaro, se no...

QUARTA VOCE. ...Non sarebbero spariti così.

GIANNI. Non si può mai dire. Forse avevano da parlare.

PRETE. Ma avrebbe dovuto esserci il funerale. Perché allora non si sono visti?

PRIMA VOCE. Già.

SECONDA VOCE. Già.

TERZA VOCE. Però...

QUARTA VOCE. Che?

TERZA VOCE. Non ha senso.

QUARTA VOCE. Che?

TERZA VOCE. Rubare un cadavere.

GIANNI. Se sono loro che l’hanno preso.

PRETE. Ma sì, chi vuol che sia?

GIANNI. Eh, ci son dei matti...

PRETE. Non sia tortuoso.

PRIMA VOCE. Sì sì, sono loro.

VOCI IN CORO. Sì sì.

GIANNI. E lo sconosciuto?

PRETE. Già, lo sconosciuto...

Arriva, trafelato, lo sconosciuto.

SCONOSCIUTO. Io me ne vado a casa.

PRETE. Li ha trovati?

SCONOSCIUTO. No.

PRETE. Ma li ha cercati?

SCONOSCIUTO. Come no! E pensi che c’era di che aver paura: era buio pesto e han persino cercato di spaventarmi, ma non ci sono riusciti, eh no, se non scappava in fretta ne prendeva di legnate!

PRIMA VOCE. Chi?

SECONDA VOCE. Già, chi?

SCONOSCIUTO. Un tale, chi fosse non so. Mi vien dietro, figurarsi, e fa di tutto per spaventarmi. Ma ho fatto una faccia tale che è subito scappato. Aveste visto come fuggiva, pallido in viso, tremante...

PRETE (con tono assai dubbioso). Come ha fatto a vederlo così bene in viso se scappava?

SCONOSCIUTO. Beh, prima che scappasse.

GIANNI (beffardo). A-àh.

PRETE. Forse erano loro che lo mandavano.

PRIMA VOCE. Già, forse erano loro.

PRETE (alla prima voce). Perbacco! Perché deve sempre ripetere tutto?

PRIMA VOCE. Dice a me?

PRETE. Sì, a lei.

PRIMA VOCE. Ma come si permette?

GIANNI (interrompendo opportunamente). Signori! Bisogna cercare la defunta, e anche trovare Sergio, ed Eva!

PRIMA VOCE (ancora adirata). Sì, ma come si permette quel...

SECONDA VOCE (interrompendo a sua volta). Sì, è vero, dobbiamo muoverci, via, visto che lei (rivolto allo sconosciuto) non ha combinato nulla...

SCONOSCIUTO (seccato). E cosa voleva che facessi, da solo, al buio, coi fantasmi?

GIANNI. Lo confessi, che ha avuto paura.

SCONOSCIUTO. Io? Ma no, anzi!

GIANNI. Già, già. Beh, andiamo.

SCONOSCIUTO. Io me ne vado a casa.

PRETE. Vada, vada.

SCONOSCIUTO. Come sarebbe vada vada?

PRETE. Eh, vuol andare... vada.

SCONOSCIUTO. Sì, ma...

PRETE. Ma che?

SCONOSCIUTO. Uffa. Lei mi ha stancato.

Esce di scena visibilmente contrariato.

PRIMA VOCE. Andiamo allora.

SECONDA VOCE. Sì, andiamo.

Lo sconosciuto rientra.

SCONOSCIUTO. Ho cambiato idea, vengo con voi.

TERZA VOCE (poco entusiasta). Ah sì?

SCONOSCIUTO. Sì. (Rivolto alla quarta voce) Vengo con lei.

QUARTA VOCE (poco entusiasta). Con me? E perché con me?

Escono tutti.

 

Scena IV

 

S’è ormai fatto giorno. Le voci, Gianni, il prete e lo sconosciuto cercano lungo il fiume. Arriva un uomo correndo.

UOMO. Avete visto una barca?

GIANNI. Ce n’avevo una al guinzaglio giusto ieri.

PRETE. Io invece l’ho vista marciare su per la collina.

Ridono crassamente.

PRIMA VOCE. Non sarà lui che ha rubato la morta?

SECONDA VOCE. Ma sta’ zitto, bestia.

UOMO. Insomma non l’hanno vista?

TUTTI GLI ALTRI. No.

UOMO. E perché tante parole per dire un semplice no? Tutti complicati oggi.

Fa per andarsene.

PRETE. Si fermi, aspetti un istante. (Rivolto a Gianni) Non l’avranno presa loro?

UOMO (interessatissimo e semifuribondo). Loro chi?!

PRIMA VOCE. E stia un po’ zitto, lei!

UOMO. Come?!

PRIMA VOCE. Stia zitto e lasci sentire.

SECONDA VOCE. Sì, stia zitto un momento. È fino adesso che parla senza concludere niente!

UOMO (stupefatto). Eh? (convulso) Eeeh?!

PRETE. Via, via. Forse sappiamo chi ha la sua barca.

UOMO (subito rasserenato, perché è un uomo pacifico). Chi?

PRETE. Venga con noi.

UOMO. Dove?

GIANNI. Non si preoccupi.

UOMO. E sì che mi preoccupo.

PRIMA VOCE. Ma insomma...

Escono.

 

Scena V

 

A cento metri da riva, Eva e Sergio, nudi ambedue, prendono il sole sulla barca.

EVA. Ci chiederanno dove siamo stati, ma come possiamo spiegarlo? Probabilmente avranno ormai capito che sappiamo qualcosa di lei, ci domanderanno. Tu che dirai?

SERGIO. Non so cosa dirò. Ci penserò. Ma non voglio tornare da loro. Lei è qui da qualche parte, tu ed io siamo qui: che vogliono, che possono volere essi?

EVA. Come possiamo non tornare?

SERGIO. Finché siamo qui non possono disturbarci. E non possiamo starci sempre?

EVA. No.

SERGIO. Ti sbagli.

EVA. Veramente...

SERGIO. Ma perché pensare a quelli là? Una parte di noi stessi, la migliore, rimarrà comunque qui. Non può distaccarsi. Essi non lo sanno, ma di qua non possiamo più andarcene. Siamo perduti, siamo vinti. Stiamo qui, non c’è tempo, non c’è marea, onda, burrasca, barca, vela che ci possa smuovere. Le navi seguono i fari: il nostro faro è qui. Non dobbiamo tornare, siamo stati avvinti dal mare, dalla notte, dal cielo.

EVA. Vuoi seguirla?

SERGIO. Seguirla?

EVA. Sì, seguirla, verso il mare ulteriore, il polo della vita onde partono il dolore e la gioia, l’isola invisibile...

SERGIO. In cui sempre vagare, come Odisseo...

EVA. ...L’isola invisibile che sta accanto ad ognuno e nessuno lo sa, nessuno sa trovare il tempo per vederla, per esplorarla.

SERGIO. Nessuno può capirne il senso, perché non ha un senso, è come un viluppo di corde che si rivelino fatte di vento, un risucchio d’aria, un vortice a metà tra il cielo e il mare, una scomparsa che avanza.

EVA. Una parola perduta, dimenticata, un’occasione non vista.

SERGIO. Bisogna ritrovarla.

EVA. E perdervisi.

SERGIO. Ed essi cercheranno.

EVA. E non troveranno.

SERGIO. E volgeranno gli occhi nel buio.

EVA. E i loro segreti gemeranno.

SERGIO. E le loro voci si ammutiranno.

EVA. Guarderanno il sole.

SERGIO. Guarderanno il cielo.

EVA. Il mare e le notti stellate.

SERGIO. Ma il senso delle stelle cadenti non sapranno. E saranno come alberi infranti dalla tragedia, dal gioco dell’universo.

EVA. Essi pensano dritto.

SERGIO. E diranno che noi pensiamo storto, per traverso, che siamo strabici, o ciechi, e non vedranno. Il numero loro crescerà come la sabbia di tutti i mondi, crescerà fino a distruggere le volte del cielo, fino a dominare le centomila fantasie. Eppure taceranno, taceranno e cercheranno e, dove saranno, di lì fuggiranno e andranno raminghi come sempre va ramingo l’uomo nell’anima sua.

EVA. Così sarà.

SERGIO. E avranno dimenticato i nostri simboli lievi, nessuno ne parlerà, o ne rideranno senza comprendere. Saranno come monti schiantati da una mano potente eppur leggera. Privi di se stessi, di se stessi non conosceranno nient’altro che gli ornamenti, chiusi in un limbo privo di orizzonti, i cui muri non è possibile spezzare, da cui non si può fuggire.

EVA. Ognuno è il muro di se stesso, altrimenti saprebbe uscire. Ma non esce perché non sa che di là c’è un mondo.

SERGIO. Lei è uscita.

EVA. Sì, forse è uscita.

SERGIO. Nel segreto di ciò che si condanna sta la salvezza. Nel profondo dell’inferno è il candore. Non c’è fuoco che questo, non c’è altra gioia.

EVA. Ma è una gioia infinita.

SERGIO (sereno). Potremmo vivere o morire.

EVA. No, possiamo solo vivere. Non possiamo trovare il luogo chiamato Morte. È un gioco, ci avvincerà, ma non può durare. Saremo un po’ assorti e poi ci scuoteremo. Passeremo attraverso le mille sfere della vita, lentamente o in fretta, chissà, chi può dire, non c’è tempo di là. Volgeremo le mani tra le miriadi di stelle, e ogni volta un gioco più preciso ci condurrà oltre nella nostra via. In un modo o nell’altro scioglieremo a poco a poco i nostri nodi sui sentieri d’argento.

SERGIO. Sì, e adempiremo così il nostro compito, come l’ha adempiuto lei con noi. Ci ha donato assai più che un pensiero.

EVA. Ha vagato, ha visto e ha riso, e ridendo è svanita, più ricca.

SERGIO. Più serena.

EVA. S’è perduta.

SERGIO. Tra gli uccelli profondi... (Ricordando)

T’ho lasciato, Spirito prigioniero
di queste case mute e cieche,
t’ho abbandonato,
ché mi chiudevi il pensiero.

L’anima mia sorge
e scruta lo Spirito del mondo:
attende un’ora,
poi riprenderà la strada.

Cerca ancora se qualcuno la segue,
ma nessuno la vede.
Ridendo s’avvia e scompare:

nel profondo della mia solitudine
troverò la luce.

EVA. Molte cose son dette che nessuno sente.

SERGIO. Ma talvolta accade che l’orecchio s’apra.

 

Scena VI

 

Sulla riva del mare le voci, l’uomo della barca, Gianni, il prete e lo sconosciuto scrutano l’orizzonte alla ricerca dell’imbarcazione.

UOMO. Eccola là!

TUTTI GLI ALTRI. È vero! è vero!

UOMO. E ci son due, sopra!

TUTTI GLI ALTRI. Sì, ha ragione. Saranno loro.

GIANNI. Già, è evidente.

PRIMA VOCE. Come farci vedere?

SECONDA VOCE. È troppo lontano perché ci sentano.

TERZA VOCE. E quello, che fa?

QUARTA VOCE. Vuol fare il bagno.

PRETE. Infatti si è gettato in acqua.

GIANNI. E anche l’altro.

UOMO. Loro si divertono e io...

PRETE. Già, dovrebbero vergognarsi.

PRIMA VOCE. Però un bel bagno adesso ci starebbe proprio bene.

SCONOSCIUTO. Chissà se c’è anche il cadavere nella barca.

PRETE. No, no, a quest’ora puzzerebbe troppo, se ne saranno di certo liberati.

GIANNI. In mare?

PRETE. Penso di sì.

SCONOSCIUTO. Ma perché?

PRIMA VOCE. Glielo chiederemo.

SECONDA VOCE. E stia tranquillo che ci dovranno rispondere, perbacco!

TERZA VOCE. Ma perché non risalgono in barca?

QUARTA VOCE. Non si vedono spruzzi.

UOMO. Stanno facendo il morto.

PRETE. Han voglia, però.

Si vede una barca di pescatori passare vicino all’altra e poi avvicinarsi a riva.

PRIMA VOCE. Guardate! Un’altra barca!

SECONDA VOCE. Potremmo chiedere loro di avvertirli che se non tornano son guai...

UOMO (in fondo abbastanza rilassato). Eh sì, io li denuncio!

TERZA VOCE. Ma no, ma no...

QUARTA VOCE. Ecco, attracca.

La barca viene trascinata sulla spiaggia mentre un pescatore si fa verso i presenti.

PRIMO PESCATORE. Non sapete niente di quella barca?

UOMO. Sì diavolo! È mia!

PRIMO PESCATORE. E perché la lascia in mare aperto abbandonata?

GIANNI. Come? Ma c’erano i due che gliel’hanno presa, nuotavano.

Si fa avanti un altro pescatore.

SECONDO PESCATORE. Ma no, che non c’era nessuno!

PRIMA VOCE. Come, nessuno?

PRIMO PESCATORE. Nessuno.

GIANNI. E Sergio? Ed Eva?

PRIMO PESCATORE. Nessuno, vi dico, né Sergi né Eve né Tizio né Caio.

PRETE (interdetto). Ma...

SECONDA VOCE. Ma allora...

TERZA VOCE. Ma come...

GIANNI (scosso). Possibile che anche loro...

PRETE. Anche loro?

SCONOSCIUTO. Non può essere altrimenti. Se non ci sono più...

QUARTA VOCE. Ma forse saranno andati a riva.

UOMO. Abbandonando così la mia barca?

PRETE. Ma no, non può essere, li si sarebbe visti nuotare. Son scesi in acqua e nessuno è uscito. E la visibilità è buona.

GIANNI. Ma allora anche loro...

UOMO (depresso). Era meglio se perdevo la mia barca.

SCONOSCIUTO. Ma perché? Io non capisco.

GIANNI. Non si può capire.

PRIMA VOCE. Non c’era ragione.

SECONDA VOCE. Non c’era ragione.

PRETE. Chissà se li troviamo, per fare il funerale almeno a loro.

TERZA VOCE. I pesci li avran mangiati prima che possiamo trovarli.

PRIMO PESCATORE. E comunque la marea li porterà al largo. È difficile che li ritroviate.

SECONDO PESCATORE. Chissà perché uno s’ammazza.

PRETE. Non hanno fede.

GIANNI. Non hanno allegria.

VOCI IN CORO. Non hanno distrazioni.

SCONOSCIUTO. Sono matti.

L’uomo della barca va con i pescatori a recuperare la sua barca. Gli altri escono di scena.

PRIMO PESCATORE. Questa gente di città...

SECONDO PESCATORE. Non lavora e non capisce...

UOMO. Potrebbe seccare il mare e non farebbero che parlare, parlare...

Escono.

 

Scena VII

 

Entra un Matto, seguito dai Fantasmi, dalle Sorti e dalla Bambina con la scopa.

TUTTI IN CORO.

Come fasci di rose si sono perduti,
come voli nell’aria da nessuno veduti.

Sono andati lontano dove il mare si perde
dentro abissi di gemme non ancora fiorite.

Come nuvola in volo trascinata dal vento
attraversa gli spazi il Vascello di Luce.

MATTO. Dopo la prima segue la seconda, alla seconda segue la terza, ma la terza ha per seguito la prima ed il cerchio delle sorti si conclude.

I Fantasmi, le Sorti e la Bambina con la scopa escono.

Signori spettatori, ora ci vorrebbe un Matto, ma per il momento non ne ho a disposizione. Oggi come oggi ce ne sono pochi, per la verità. Non so proprio come fare, potrei metterci un dilettante ma vi annoierebbe di certo e rovinerebbe tutto. Ci vuol mestiere. Perciò è meglio che ognuno si faccia il matto da se medesimo, così vi divertite tutti e rimediate alla mia manchevolezza. Vogliate dunque perdonarmi, vi prego, anche due volte se lo desiderate, vi prego di tutto cuore, perdonatemi ma il matto proprio non ce l’ho, per adesso almeno... forse, in futuro, non si sa mai, potrebbe anche darsi...

Mentre pronuncia le ultime battute, il Matto con fare timoroso si ritrae verso l’uscita. Quindi esce. Dopo qualche attimo di silenzio

 

CALA IL SIPARIO

 

[1976]

 

 

[1] Verso dal XXXVII (Frammento) dei Canti di Giacomo Leopardi.

 

 

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