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IL VARCO

Dario Chioli

 

Così si rivolse il poeta all'Angelo del Mezzogiorno:

"Signore, l'anima è spenta, la vita immobile, il mio cuore è arido, non provo interesse per nulla. Le cose passano lungi da me e non ho ragioni per fermarle, e me ne resto vuoto, senza intenti. Come uscirne? Penso spesso a volti di persone che furono, a vecchie immagini, a cose senza più vita, ma dove troverò una parola viva, un suono che spezzi l'opprimente silenzio del cervello? Ho cantato mille canzoni, ma sempre al mio sforzo di creare ha risposto un'opprimente umanità morta, coinvolta in cammini senza fine e senza luce, esseri oscuri che non hanno dimora nel mondo dell'essere. Dicono che in altri luoghi, sotto altri mezzogiorni, umanità più antiche preghino iddii ed angeli della vita, e sappiano ancora cantare, e minore sia la loro meschinità. Dicono che molte parole assennate risuonino ancora e le si possa udire, sennonché mille malefici ci tengono fermi dove siamo. Ma se anche ce n'andassimo, non sarebbe un'ulteriore illusione? Un cercare il passato o il futuro anziché il nostro presente? Così quali parole ancora posso dire, con quale voce, affinché torni la vita sotto questo sole indifferente?"

"Guarda, amico, gli esseri dalle mille seti, dai mille desideri insoddisfatti. Essi s'incamminano verso tenebre che non conoscono, mete di cui nessuno ha detto loro nulla. Vanno alla tenebra infinita, senza cognizione, senza verità. S'inoltrano nel buio e tacciono per sempre, perché non hanno saputo trovare la propria parola.

E osserva quest'uomo che s'appressa ad affrontare la vita. Egli guarda tutto questo buio ed è sgomento di tanta oppressione, e cerca in basso, in alto, qualcosa di meglio. Però nulla vede e s'incammina con gli altri, verso i reami del nulla.

Ma guarda, amico, viene un altro uomo e si siede sull'orlo dell'abisso e osserva, e ha dolore nel cuore e pianto negli occhi e un grido spezzato sulle labbra. Vede con occhi potenti, di là dai veli, proiettarsi qualcosa che nessuno ha veduto, un tono quasi invisibile, una purezza grigia nel buio totale, un quasi impercettibile riflesso.

Egli guarda e il suo cuore è lacerato dal desiderio, e s'incammina sulla strada di questo desiderio, pur proseguendo con tutti gli altri viandanti verso i reami del nulla. Ma giunto sulla riva del fiume che circonda le contrade del nulla, a motivo del suo desiderio che, lungi dallo svanire, è invece sempre più vivo, non può entrare, non può varcare il fiume. Come potrebbe infatti camminare nelle vie dell'aridità, nel mondo in cui tutto è assente?

Egli non entra, per ere interminabili rimane fuori delle mura, per periodi di tempo incalcolabili alza canti muti di dolore, e la sua brama mai non s'acqueta, anzi s'ingigantisce, vive e si nutre di tutto il suo essere, sicché infine viene chiamato Brama da tutti coloro che passano. Lo guardano con un sentimento di compassione, perché è fatto lacero dal gran tempo, e sembra un pazzo, un amaro insensato.

Così per anni ed anni non può entrare né fare ritorno, rimane fermo senza scoprire nulla. Spesso, seduto sulla sponda del fiume delle esistenze, vi si vorrebbe gettare, annegare, ma una chiarezza più limpida, un'immagine dal fondo del cuore lo distoglie e la sua brama si rinnova e diviene ancor più viva. E cammina in tondo attorno alle mura del reame in cui non può entrare, e guarda in alto e sotto i propri passi se appaiano un chiavistello, una porta, un'uscita. Ma dietro a lui non c'è che buio, e sopra, sotto, di fianco a lui non c'è che buio, e buio avanti a lui.

Infine l'uomo ha chiuso gli occhi, è solo con se stesso, immerso in un pensiero senza esito, chiuso nel ventre della sua stessa brama. Odia la vita e il pensiero, vorrebbe essere un animale selvaggio, correre in campi senza reti, senza trappole, senza buio, sotto il sole di mezzogiorno, bevendo da un puro fonte. Oppure vorrebbe essere una pianta, un filo d'erba che s'erge verso il cielo come una piccola particella della corona della gloria del mondo, piccola, quasi invisibile, eppure reale. O vorrebbe essere un bimbo, quello dei suoi sogni, dei giochi, l'inventore del mondo.

E poi tace la sua mente, e non vuol più nulla. Passa il fiume delle esistenze e si domanda: Dov'è finita Brama? Il Desiderio ch'era così nuovo a vedersi, così doloroso eppure così piacevole per noi teatranti dov'è andato? Ha forse concluso la sua espiazione ed è entrato nel reame fatato? Ma sì, è certo andata così, entriamo e ci divertirà ancora. In tal modo passano verso il dissolvimento, senza difesa, i milioni di esseri. Ma quell'uomo è sempre là, solo e povero, e non lo vedono perché ha gettato via i suoi ornamenti di desiderio. Così confuso nella propria povertà, è seduto come prima sulla riva del fiume, ma più non parla né più si fa vedere. Chiusi i suoi occhi, non guarda più che in se stesso. Chiuse le sue labbra, non parla più che a se stesso.

Guarda, amico, come il suo corpo si faccia di giorno in giorno più diafano, leggero, come il suo respiro sempre più fioco, finché i messaggeri del reame, usciti a cercarlo, più non lo trovano, e dicono che certo dev'essere morto, visto che più nessuno lo ha visto, o essere tornato indietro, o chissà che altro deve aver escogitato, da folle qual è. E più non lo cercano e tornano nel loro reame di oblio.

Ma guarda bene, poeta, hai occhi adatti a vedere nel buio. Dov'è ora il suo corpo? E la sua anima, il suo spirito dove sono? Vedi, non vi è più nulla di lui, non resta che quel buio con le sue poche invisibili macchie grigie. Dov'è dunque andato? Dove ha concluso il suo cammino? In quale luogo ha deposto infine la sua brama?

Il suo cammino, in verità, l'ha concluso nel luogo dell'ignoranza. E nel luogo della scienza ha lasciato la sua ignoranza. E nel luogo dell'amore ha abbandonato la sua scienza. E nel luogo dell'essere è andato, tralasciando il suo amore. E ti dico, amico, che di là dall'essere è volato, e tutto il suo vivere, i suoi canti, il suo amore, la sua infinita ignoranza e la sua scienza ha ritrovato".

"Credi dunque che il mio cammino sia tale, Signore?"

"Per secoli e secoli l'uomo guarda inutilmente il cielo, lo scruta e non ne cava nulla. Ma quando alla sua fine è giunto, quando il fuoco del suo desiderio si estingue, in sensi nuovi risuonano i suoi canti, lo scopo del suo vivere si fa chiaro, il suo dio gli si dà, perché se egli si estingue, come non si estinguerebbe l'essere? Così accade che taluni di spada colpiscano il cielo, e si aprano un varco di là da esso".

 

[7.VII.1977]

 

 

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