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IL POETA di Dario Chioli
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Il poeta smise di comporre e si chiese donde venissero e dove mai andassero i suoi canti.
E siccome non seppe rispondere, per mesi e mesi tacque.
Allora venne a lui un messaggero celeste e gli chiese:
"Perché mai non risuonano più le tue canzoni? Perché le tue parole hanno cessato di lodare le cose che stanno nei mondi?"
"O angelo, le mie parole guidano gli uomini all'ebbrezza di luoghi nascosti, creano immagini a sostegno delle anime, danno argomenti ai critici, armi ai detrattori, suggerimenti agli spiriti innamorati, ma a me non danno né felicità né saggezza. Io non comprendo le mie stesse parole, esse escono da me come se altri le componesse, e io non mi sento vivo della loro luce. Perché dovrei allora proseguire in questo comporre che allontana dal pensiero, in questa vita che allontana dalla vita?"
"Tu non consideri una cosa fondamentale: i mondi hanno bisogno di armonie, e ogni parola che esca in forma di poesia collabora alla creazione del mondo. Il tuo pensiero non è che un gioco di fanciullo; ben altro è questo tuo abbandono all'inconcepibile, questo tuo gridare ad alta voce cose che tu stesso ignori. Quale realtà è più reale di questo tuo ignorare? Certo le tue parole non possono toccare gli estremi limiti del mondo, non possono in se stesse condurviti. Ma non lo può forse l'ispirazione che ne è matrice? Quel tuo tremare nel cuore per le violente creazioni del tuo canto non è forse la manifestazione suprema dell'uomo? Il tuo pensiero e la tua vita nacquero cullati dall'armonia delle sfere, e solo per essa muovono i loro giochi, le loro danze e i loro inganni. Nessuna strada è più prossima al vero di questa che ti è stata donata, d'accrescere la bellezza del cosmo. Torna dunque a cantare, perché qui è la radice del tuo essere".
"O messaggero, se in me brucia il fuoco dello scopritore, è ben vero ciò che dici. Ma quando il canto nasce nella vacuità dello spirito, mentre i vermi della noia e dell'ozio rodono la bellezza del cuore, e il potere della mia musica non basta ad arginare il crollo della giovinezza, e sabbie ostruiscono gli orifizi della consapevolezza, e gli occhi sono ciechi e il capo stanco, che fare? come cantare allora?"
"Tu non sei una cosa inanimata. Mille mondi congiurano in te per dare vita. L'onda del mare, che presto passa, è un canto che si eleva, ma il mare è fatto anche di silenzi e di morti e di chimere disperse. Tu hai superfici, angoli, specchi, pozzi profondi, pensieri non emersi, arti non nate, musiche arginate. Non c'è per te semplicità a poco prezzo, virtù facile, verità a portata di mano appena nasci. Devi dar forma ai tuoi occhi, superare le menzogne dei ciechi, assumere centinaia e migliaia di scopi, aprire strade orlate di abissi e di dubbi, scoprire e distruggere il timore, gioire e soffrire di tutte le gioie e sofferenze che nacquero dall'infinito. Devi acquisire il patrimonio dei ritorni e delle somiglianze per giungere a conoscere la suprema fonte dei canti. Ciò che di te non conosci cospira per te nell'ombra, e il tuo male non è che l'astuzia del suo cammino. Talvolta giungi a scoprire, ed allora tutta la tua persona esulta, e ne escono canti che ti sollevano al piano della verità e della consapevolezza. Ma accade anche che la verità nasca dai tuoi luoghi più remoti, e si avvii per strade che non sai vedere, per donare al mondo il segno di un'umanità più alta non ancora raggiunta, o il segno di un tuo rimpianto dettato dalle speranze".
"Ma come accade che i fiori siano più grandi dell'albero?"
"Più grandi dell'albero, ma non delle radici".
Il poeta si fece pensieroso, poi riprese a cantare le sue canzoni, e il messaggero del cielo, compiaciuto, se ne ritornò presso la fonte del mondo.
[18.I.1976]
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