La casa del poeta
Sappiate, amici, che il poeta ha casa dentro la notte. Gioca coi teschi e con le palle fulminanti, infigge saette nei cuori senza ferire. Chi non ha l'arte non la può comprendere: perché ascoltare inetti sentenziare senz’aver detto un verso nella vita?
18.III.1980
Gli esseri del prodigio
Alle volte, ammalato, non ho voce per parlare con gli angeli. Essi sentono questo pianto del cuore solitario e dalla vetta luminosa dell’Essere scendono allora nel giorno abbassandosi fugaci. Vedi lo specchio dove li puoi guardare? Essi hanno alle dita anelli di Paradiso, ali di fuoco li avvolgono e gli occhi sono scuri più del regno dei morti. Tra specchio e specchio scendono, sfanno il tuo male in spirali d’amore. Tu allora sorridi, il rimpianto si fa dolce, l’immensità del mondo è madre e non prigione, l’insondabile abisso è come il tuo passato, lo scordi nel fermo attrito del tuo sguardo. Non sapresti più dire, nulla più ti fa grande, lieve è il tuo lamento, la tua gioia infantile. Gli uomini ora ti guardano e ridono divertiti, un buffone gli pari, un eccentrico bizzarro, un uomo senza domani, privo d’un ideale. Ma come grande, poeta, è questo fare immobile, contemplare il deserto come si muova libero, e tu più libero ancora del vento che muove le sabbie. Pur essendo soggetto a ogni accidente banale, sai che infine ogni cosa ha un senso che ti sfugge, e di questa ignorante certezza ti fai strada per camminare prodigioso sulle limpide acque. Nessuno ti vede, nessuno ti conosce, nessuno di coloro che ti vengono incontro; alcuni si fermano, alcuni se ne vanno, tu resti fermo a chiedere ancora più luce al cielo. Dei tuoi mille vicini forse uno ti parla: tu parla con quello, agli altri non dare ascolto. Infine la rete si stringerà ben stretta, gli spiriti dell’ombra li legherai al sole e inconsistenti si disperderanno. Gli angeli ancora scenderanno nei giorni, nella tua anima prenderanno stanza. Echeggeranno le parole vive e ogni oscuro recesso sarà luogo di canto. Cavalcheranno ancora i cavalli del sole esseri turbinosi e uomini del fuoco.
18.III.1980
La porta dell’eccesso
Che vale girare il mondo? Sempre uguali sono gli uomini. Che vale cercare ancora? Sempre uguale è lo scopo. Molte cose avendo indagato, tanto grande, ho visto, è la morte che il bello sparisce, come goccia di rugiada in una pozza, cristallo di sale nel bitume. Non debolezza mi sopraffà, non forza mi seduce; non odio mi turba, non passione m’illude. Non vanesio io sono né pazzo, non cieco io sono né stolto. Chiaro è il mio occhio, la mia guancia sente ancora la dolce carezza del mare (io, proteso sull’acqua a baciare l’onda corrente, ero vivo com’efflorescenza d’un loto dai mille petali sul lago). Morire peraltro non mi pare che una via verso Dio, così che vale forse la pena di forzare in questa vita la porta dell’eccesso.
5.IV.1980
Il dio perduto
Forte è l’anima, il cuore non è stanco, vita e amore volgono radiose corolle al cielo. Coppe colme di ventosa luce bevo completamente. Sono il dio perduto del vecchio tempo e presto, amici, sorgerò una volta ancora libero sulle onde.
8.V.1980
Silentium amoris Sai, caro ragazzo, sai che molto nascosto sono, chiuso in un segreto mille volte sigillato. Silentium amoris è il vivere.
Sei tu, amico, un viandante in me per caso perduto come in oscura selva magica: forse non più troverai la strada, forse sorgerà anche in te il fuoco vivo alto splendente che tramuterà la terra in visione e pellegrinaggio.
Non fuggirtene, chiedo tra me, eppur dirlo non posso, ché molte cose accadono e la chiave avere è difficile e chissà che tu non muoia domani.
Ma se puoi, resta, prego tra me. Oppure me ne andrò silenzioso.
8.V.1980
Mancò il buio
Mancò il buio, subentrò la visione. Il canto della folgore alzai forte nel cuore.
8.V.1980
Lode all’Infinito
Lode all’Infinito che dal Trono divino protende mano illimitata. Qual vaso io sono che continuamente per anni urge alcuno che versi in lui acqua di vita e vino, onde s’inebrii qual limpido lago solcato da tempestosi turbini.
1.VI.1980
Odino e i Magi
Segretamente in quest’ora Odino e i Magi s’incontrano. Per essi danza in sette veli ignuda Astarte cananaica. Toglie il suo sguardo ogni volta vita al tuo corpo, e in brani lacera l’anima tua che fiduciosa attendeva una lontana stella di latte, un materno asilo.
1.VI.1980
Il ritorno di Eros
T’adottarono come figlio, il segreto padre presero per bimbo, la dolcezza del sapere ignorando costruirono piramidi di sabbia, eressero rovine dove sorgeva la vita.
Eros, sole splendente, padre di genti, sappiamo che infine tornerai dal silenzio, arpa che vibra sul mare.
1.VI.1980
L’Oste scortese
Bevo dalla coppa spinte irrequiete all’infinito oceano nascosto appena sotterra.
Possa Oste scortese farci bere alla botte. Loderemo questa mancanza sua di cortesia. 1.VI.1980
Cavalli del tempo e della luce
Avverto eco del mondo più lontano, criniere fluenti dei cavalli del tempo che condussero il cocchio che guidavo quando ancora non ero. Alcuni dèi più si fanno sentire, altri li avverto dietro spesse cortine, e un Invisibile, ch’è ragione di tutto eppur non odo, pur mi sembra che sia dietro le stelle, dove smisi di correre cadendo in questo mondo che mi sta illudendo. Odo l’eco di un mondo e nostalgia già mi prende fortissima e mi guida, e molto soffro per la mia impazienza. Tanto forte è il pensiero che mi pesa qui nell’intimo cuore: anima d’anima che per lunghi periodi pur scordo, mentre vedo che fuggo e mi rimbrotto e non so cosa fare. Solo quando incrocerò per la strada del silenzio un dio che venga attratto dal mio canto, potrò pregare per la gran giustizia lo scudiero del cielo di ridarmi ancora una volta il mio cavallo di luce, cui luna e sole intrecciano nella criniera un mare rosso di stelle, e mare e cielo si fondono nell’azzurro sereno del manto, e inferno e oblio fanno gli zoccoli inconsunti, e gli angeli dell’Invisibile suonano nel gran nitrito che scuote la pace dei mondi. Su tal cavallo l’uomo può condursi alla profonda eco che lo scuote, per quanto fievole, nell’intimo del cuore. Di tale eco però la fonte prima non può trovare né il cavallo cavalcare se non può prendere l’arpa del suo cuore e suonare.
25.VII.1980
Uscire dal mondo del tradimento
Oceani di concetti, mari di parole talora prendo in mano, e li suffumigo con pestilente assafetida finché se ne scappano via. Allora resto io splendente bambino in faccia al sole e incenso e sandalo brucio e caccio via gli umidi spiriti che mi tormentavano. E poi con forte cuore in giù m’interrogo e in me risuonano voci e sento chiaro lo splendore dell’essere. M’illumino, e nel suono d’un vento senza fine mando voci nel cielo, e in tale attimo sento di me non scordarsi il Vivente. Fonti di gioia schiude e messaggeri che gridano con gli occhi Non ti scordo. Son ridestati i profumi del mio cuore e un balsamo è infuso negli occhi e nell’anima. Dalla mia giovinezza ho cercato la verità, essa è una donna dagli amori eterni. Felice è chi compie tale scelta che può uscire libero dal mondo del tradimento.
25.VII.1980
Per mille cammini
Per mille cammini ti cerco, in mille rivoli si disperde il pensiero. Signore del mondo, molte cose si oppongono, gli uomini interrompono i canti e mi disturbano con loro morte e infinito rancore. Le loro strade facili trascorrono e spesso incrociano i miei difficili sentieri; mi estenua il contrasto di una tale larghezza con il ripido pendio su cui m’affatico. Ma in un mondo lontano mi hai dato per amante la meta stessa di tutti gli amori, la qual con lunghe chiome mi accarezza apparendo negli abissi di luce del cuore. Sia dunque un luogo di là dallo spazio per i cammini che ho scolpito verso di lei nella dura roccia di granito della vita. Lì danzeremo, o Signore del mondo, l’invisibile ballo ch’è magico scalpello a chi vuol trarre dalla pietra il suo essere, a chi vuole aprire una porta di gioia nel ventre della morte.
25.VII.1980
L’intreccio
Morte e vita giacciono intrecciate in amoroso amplesso. L’essenza della vita penetra nel grembo della morte; ivi congiunta n’esce incarnata in tua propria esistenza dove, se accogli il richiamo dell’amplesso, come da un ponte attraverso la morte tutto l’essere giunge dal seno della tua origine. Quindi non v’è cosa alcuna che giaccia se non per oblio o per segreto disegno.
25.VII.1980
Dritto all’Infinito
All’Infinito non chiedere il finito; le sue ragioni son migliori delle tue. Angeli e santi amministrano le cose singolarmente, ma se il tuo pregare sa dirigersi dritto all’Infinito, perché occuparsi di meschinità? Volgi dunque il tuo sguardo, se lo puoi, alla radice del mondo. Di lì crescere ti verrà cosa agevole, altrimenti se fuori vaghi, ti disperderai tra vento di sogno e morte.
25.VII.1980
La compassione
Più odi cose infuriate contro te, più ridi, bimbo. Più odi cose obbedienti a te, più ridi, bimbo. In un caso è la morte che ti avversa, e nell’altro è la morte che ti tenta.
Tu stai fermo sul seggio della vita, il tuo lieve sorriso sperderà l’oppressione. Le mugghianti onde schiumose dell’oceano si poseranno dolci davanti a te.
Prendi di quest’acqua con le tue mani: dov’è l’orrore? dov’è lo spavento? Sorridi, bimbo, ha decretato il cielo per la dolcezza la più terribile forza.
Le cose violente le spezzerà la violenza, la loro impotenza camuffata di terrore; tu prendi di questo terrore con le tue mani: è più debole di un passero caduto dal nido.
Riponilo sul ramo, la tua compassione lo avvolgerà nelle spire dello stupore. Il suo grido si muterà in silenzio, il silenzio sarà la tua strada.
25.VII.1980 Viva
Viva, intrecciasti le chiome con fiori odorosi, con balsami. Viva, esponesti il tuo corpo ai raggi del sole, all’estate. Viva, danzasti alla notte nel lucido abbraccio dei campi. Viva, fuggisti col canto nel buio la luna a guardare. Viva, foggiasti il tuo volto secondo chiedevo e speravo. E ora che più nulla spero, ti abbracci ancor viva al mio cuore.
28.VIII.1980
Vorrei incontrarti ancora
Vorrei incontrarti ancora, un dì, prima ch’io muoia, nella notte piena di stelle, con la pallida luna brillante come nel giorno della visione strana quando disserra il mondo segreti senza confine.
Con te leggere il libro nei bianchi spazi segreti dove nessuno ha cercato angeli per la sua vita, come un viaggiante nocchiero smanioso di verdi terre dai fertili terreni ignorate dall’uomo.
Vorrei nel ridente abbraccio dimenticare la morte, così a fondo scordarla che l’anima risplenda della gloria luminosa d’irrecuperabili epoche.
Volgeremmo gli occhi come al nascere del mondo innocenti e voluttuosi assaporando la vita e per sempre erranti nel dolce baratro delle stelle.
28.VIII.1980
Lode allo Scommettitore
Nella notte dell’anima splende la mia luna, né è sì misera che il sole non l’abbeveri con la sua luce. Lode canto a tal stella, allo Scommettitore che nel mio cuore trae dai dadi doppia sentenza, in duplice ipotesi ponendo salvezza mia oggi o domani.
28.VIII.1980
Solo un passo
Dei raggi della stella mi rivesto: fluente cascata di luce risplendo.
Un passo, solo un passo per misurare il mondo. 3.X.1980
Il dilemma
Scrivere ancora o rompere la penna? Parlare ancora oppur chiuder la bocca? Cercare sempre oppur sempre sorridere, fino alla fine, nel seggio segreto del cuore?
3.X.1980
L’alfiere
Nessuno ascolta: il varco dell’amore solo nel fondo di un oscuro cunicolo che tu solo intravedi s’apre ancora, e tu non puoi condurvi che te stesso. Essere vivi e anche essere muti, sprofondar nel silenzio della vita e distogliere gli occhi dolorosi dai tuoi fratelli schiavi per sopravvivere, per fartene lamento fino alla soglia dei mondi. Quando porterai la tua anima libera dalle molte catene alla sede delle stelle e t’interrogheranno, fatti alfiere, fanciullo, delle cose che più non sono, delle arpe il cui suono si è perso nella dimenticanza. Dal seno dell’oblio invoca una verde terra per gli esseri dolorosi a cui tagliarono le radici. Quando vivo giungerai alla sede delle stelle, dal lungo viaggio porta intatto tutto il dolore. Dai tuoi luoghi nascosti emerga tutto il ricordo e la memoria tua sia fatta madre di tutti gli esseri. Chi spegnerà il dolore, la fatica del vivere se non coloro che vanno liberi dal peso della notte? Sono essi che debbono incombere come stuolo di selvaggi guerrieri nei paesi profondi della distruzione. Così ancora, di sotto veli scuri, cortei di stelle saliranno nel cielo.
3.X.1980
In singolar tenzone
Siedi. Tenzone è tra te e la morte. Essa non vive se non per la tua vita. Muori a te stesso ed essa non sarà. Tu guarderai la luce nella placida notte fino a sentir sonare in te una musica più vasta della morte, che non vede le cose grandi.
3.X.1980
Il bicchiere di nettare
Sollevate fino in cielo le anime spente che vogliono volare. Sollevatele con mani dolci e un bicchiere di nettare, perché vedano almeno per un giorno il grande spazio di là dalle montagne.
10.X.1980
Lode dei piccoli peccati
I.
Pare ch’io molto pecchi eppur vi dico che sono vivo. Il dio della saggezza neppur mi ha in uggia e solo mi destina qualche accidente che mi lasci vivo.
II.
E invero lodo i piccoli peccati per cui non puoi giammai voltarti indietro dicendo Nulla mi ha mai smosso il cuore. Se di piccole colpe abbiam ricordo, siamo vivi e indulgenti e al nostro sguardo, uomo o donna, qualcuno corrisponde.
10.X.1980 La canzone infinita
Disgusto ho del mondo e amore delle genti passate.
Tutto s’è perso ed ho recuperato, per non morire, cose che niuno più vuole, vecchi ideogrammi che nessuno traduce.
Rimasta solo la morte, mi siederò e canterò, come il cigno sul lago, la canzone infinita.
1.XI.1980
Sulla nuda montagna
Sulla nuda montagna arrossata di morte, nella molteplice disfatta, vedo un volo veloce di rinnovellata Fenice.
Ma a noi dalla memoria spezzata, carichi di assurda conoscenza, sian date solo la pace e la fuggevole visione della nostra giovinezza.
1.XI.1980 |