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Dario Chioli
LE ORE, GLI ANNI
Poesie per Claudio Ronco
I.
Giù dalla stella che possente naviga
Sul riflesso dell’onda sei disceso
Per giocare alla corsa coi delfini
Nel profondo silenzio della notte.
II.
Ora riposi, anemone del mare,
Radicandoti in turbini silenti;
Nel rollio che ti porta il vento viene
Per desiderio di veder la terra.
III.
Alga, costeggi terra mentre sfiori
La chiara proda, la desiderata
Riva segreta, sempre abbandonata,
Sempre perduta se dura la vita.
IV.
Guardati, e sogna, e ancora si disperda
Ogni promessa, come scioglie l’albero
In primavera nuvole di semi
E trova tutto mentre perde tutto.
V.
E quando giunge la bufera ardente
E si scatena la disperazione
Tu ti chiudi nel chiostro delle stelle
A cui non giunge alcuna strada oscura.
VI.
Giace travolto ogni disperso mondo,
Dorme la notte in liquido stupore;
Mille cristalli magici riposano
In una lieve limpida penombra.
VII.
O tu mare, o tu vento, o tu visione
D’un oscillar leggero al tenue vento
Che t’accarezza il cuore, dove insiste
La mano tua amorosa senza fine.
VIII.
Rami di sogno nella terra affondano
E i pensieri del giorno errano sciolti
Per quest’arcana strada, e si fa chiara
La via che scioglie il cerchio delle stelle.
IX.
In vasta terra il pianto della madre
Vola e sorvola la perenne notte
Finché non giunge all’isola di Dio
Dove è celata la sua infinità.
X.
Nel mondo non v’è cosa che rimanga
Né che ritorni. Senti la mia musica,
Cogli la vita e bevi questo calice,
Che prima non bevesti e non berrai.
XI.
Fluidità di mondi che s’affrontano,
Tramonti e aurore che non hanno fine.
Sento lave dormire nella terra,
Mentre a una fonte pura mi disseto.
XII.
Per il vasto teatro della notte
L’usignolo diffonde il dolce canto;
Agli uomini sfiniti dalla vita
L’occhio si chiude, esplodono visioni.
XIII.
Vanno nell’alba su per i crinali
Esseri ricchi per sangue e passione,
Mentre gli esangui giacciono e non sanno
Scerner le copie dagli originali.
XIV.
Cosa cantò al mattino la tua anima?
Una pesca dolcissima, un sorriso
Di bambina radiosa, una sorella
Che attraversò la sfera della luna.
XV.
Salta la terra, salta cielo e mare,
La bimba salta e non la può fermare
Né Dio né l’uomo. E se non può saltare
Cade giù il mondo e non può più volare.
XVI.
Non c’è alcun modo di fissar la terra,
Non fermerai le onde, né la crescita
E neppure la sorte, ma l’ignoto
Certo te fermerà, l’occhio infinito.
XVII.
Se d’alberi spezzati la visione
Dovesse entrare dentro la mia mente,
Sappi, amor mio, che invocherò i tuoi occhi
Per raddrizzar la vita, il corso, l’ora.
XVIII.
L’inverno ha steso limpide apparenze
Nella neve del senso, la vecchiaia
Non ha parole, solo sentimento,
Ché distrutta è la vita, e si è immortali.
XIX.
O padre a cui s’approssima il partire,
Dopo di te mi toccherà morire,
Eppur c’è gioia in questo e non ho vita
Se non per il mio ultimo fuggire.
XX.
O gioia, o gaudio, o sublime parvenza
D’un bell’esodo verso la presenza
Dell’ignorato lume, è già passato
Molte volte quel carro; ora è fermato.
XXI.
Segno del vivere, l’arcobaleno
Copre la vita con mille colori:
Di tutte quante le gioie e i dolori
Non è rimasto il ricordo, nemmeno.
XXII.
Ora certo vi guardo costernato,
Fili d’erba spezzati sul cammino,
Se non avete neppure donato
Una rosa di maggio ad un bambino.
XXIII.
Pavoni e cigni cantano e fa luce
Una torcia celeste al battelliere;
Il mio obolo accetta, compagnone,
Se di vivere non c’è più ragione.
XXIV.
Ancora mi hai concesso un breve sguardo,
Ora dileguo. Nella lunga attesa
Ho potuto scoprire che è rinato
Quell’amore che un giorno mi hai donato.
26.I.2003
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