L’esilio
Genii dimenticati bruciavano un giorno il mio cuore, figli delle stelle volavano per il cielo, sotto le nostre braccia venti intromettevano semi di leggerezza, come rondini. Poi nessuno più seppe, negro oblio ci coprì, noi fummo quali talpe in letargo. Spesso ora poi sento quanto sonno mi spezza e, come in sogno, spero talvolta infrangere l’esilio; ma veder non possiamo e allor gettiamo sibili di serpente verso il sole! In viscidezza sdegno e morte, in fango povertà e ignoranza. E quando sorgerà da tal creta e morte spoglie novello uomo modellato dall’Artefice?
26.III.1981
L’erede del canto
In verità ho cantato molto spesso la giovane maga del cuore, che molto gaudio arreca a chi la ode dentro l’oceano vasto del suo spirito. Esseri vivi percorrono gli spazi, incatenate bestie vi si pascono, draghi sotterra sorbiscono veleni, ogni cosa si muta in una saga:
mille eroi hanno fatto grandi imprese quali alcuno giammai udì nel mondo, trasformarono arcani vati in sogno pochi pugni di terra e di emozione. Pur nessuno è mai grande se non canta per una volta almeno ad alta voce dal profondo santuario del suo cuore un inno sacro a colei che vi risiede. Sali il carro, fa’ scorrere le ruote, non scordare la spada, chi ti guarda pensi pure che sei pazzo e incostante: egli non vede nel mezzo della tua anima l’Isola verde che giace tra le onde, fruscio di fronde non sente, fresca fonte bere non può, non può cantare, è morto. Lontana voce tu senti, sgorga in cuore e lungo è il viaggio per quel suo paese: girare il mondo non basta, un più gran mondo resta celato. Solo lei nel cuore darti potrà lucente barca, remo che passerà sogno e morte. Arriverai rapidamente, faticosamente. Lì la troverai ma svanirà. Con ira e affanno a lungo indagherai su molte spoglie invano. Resterai cieco e vuoto alla fine, ed essa sorgerà dai flutti dell’abisso, erede silenziosa del Palazzo di Pietra che eressero i tuoi canti.
26.IV.1981
Incantamento
Per lo spazio e per la pietra, per la voce e per il gesto corre l’incanto. L’incanto corre per lo spirito ed il fuoco, per il vento e per il mare.
Incantamento!
Ogni cosa che è cantata, ogni cosa che è temuta, ogni cosa che è voluta, tutte fanno un solo canto, che è un incanto.
Danza, balla, grida, suona ogni cosa brutta e buona; dal tessuto della morte, della vita, della sorte, tessiam le porte d’amore e morte.
Figure chiare, figure scure, figure dolci, figure dure, raffiguriamo con canti e suoni mondi di folgori e di tuoni, mondi di specchio, il nuovo e il vecchio, dove ogni cosa, limpida e vischiosa, riposa.
Incantamento!
Afferra il cielo, ne strappa il velo, n’estrae la mappa di caldo e gelo; ne fa uno stelo che cresce in fretta, per via diretta; reca la sorte che abbiam voluto, reca l’amore, reca la morte.
Incantamento dell’argomento: scuote dei pazzi il sentire lento, vale per dieci vale per cento, ogni parola grida Acconsento, né può fuggire dall’incantamento.
Virtù remota colui che sfugge deve conoscere, deve potere; giace colui che pur subito rugge come l’infante che poppa e sugge.
Non v’è fortuna, non v’è furberia, opera forte od opera pia: opera, opera, opera pure, datti da fare con opere dure: una parola infrange tue cure, ed è parola d’incanto, d’incanto.
Incantamento!
Suona, grida, canta, danza, chi non grida e chi non danza pur non sfugge alla mia danza, e se danza un’ora buia lo raccoglie facilmente, lo pervade febbrilmente, lo trasmuta in suono e canto ch’altri emette per incanto.
Incantamento!
Vale ancora questo ballo, questo antico forte ballo, mette agli esseri le selle ove posano tue stelle, le tue stelle incantatrici, le tue belle ammaliatrici: per virtù d’incanto giace tutto quel che a te non piace.
Incantamento!
Incanta e canta, dentro i suoni e le parole chiudi pure chi non vuole: per virtù d’incantamento paurose porte, abissi di morte appariranno a chi vuol fuggire. Per non morire, per non soffrire lo stesso incanto invocherà: docile esso si mostrerà con parvenze di verità, e l’incantesimo lo prenderà, l’incantamento che sorge dal centro, lo stesso centro della verità.
Al di là, al di là del mondo dello specchio, del nuovo e del vecchio, sorge il mio incantamento: d’un dio vero è commento.
26.IV.1981
Tu sua sorgente
Vedendoti, in amor più non vedeva, ché nulla in ciel per lui più sussisteva, o in terra, o in mente, o nella propria vita, sentendo te come acqua tra sue dita, sorgente scesa giù da fredda altezza per primavera immemore che strugge ogni dolore, morte, ira che rugge in amorosa gioia e giovinezza.
10.V.1981
Alla fonte
Limpida e dura e fresca è quella fonte a cui t’abbeveri a mezzo del tuo viaggio, e vi rimiri il mondo e quel suo raggio che fu celato in cima del tuo monte, dove salir ti pare cosa ardita eppur non temi e rischi ogni ferita, e arranchi e sali e posi sulla sponda del baratro che d’ogni odio ti monda. Quindi posando guardi in basso e spira sopra il tuo volto vento e eco di canti, ché dal profondo par venirti avanti la gentile creatura che t’ispira. Sulle sue mani una colomba vola, che un po’ la segue e un po’ la lascia sola, e lei la guarda con occhio smarrito per timor che l’inghiotta l’infinito. O tu che alzi la coppa, non distrarla da quel suo gioco senza imitazione; cerca il suo luogo nella tua ragione, né cessi l’intelletto di guardarla. Guardala sempre, e quando avrai bisogno mescolerà la veglia con il sogno, e scoverà nel centro del tuo petto baci d’amanti dolci in chiaro letto, dove s’affonderà la tua memoria, ricuperando la visione antica, e con amor giocando la tua amica ti trarrà via dal fiume della storia.
19.VI.1981
La tua bianca figura
Stanco, in silenzio, tutto me stesso trascino per le correnti del mondo; solo lo spettatore guardando nel gioco di specchi intravede quell’uomo libero che ti guarda, o Signora. Ma pure mi è dolce fardello la vita, se, anche in un tempo remoto, io vedo potere abbracciar la tua bianca figura infine nel libero mondo delle stelle.
30.VI.1981
Per sua grata cessione
O nascosta mia anima, mia visione silenziosa, fa' che mi colga la mano di colei che sparse nel vento i germi inattesi della vita.
Mi colga e faccia crescere, e per magico incanto salirà questa mia mano sino a tenerla stretta, per sua grata cessione ponendo nei suoi occhi i miei occhi.
30.VI.1981
Altro non ho che un canto
O tu mia donna, altro non ho che un canto per carezzarti e abbracciarti, impuro come sono.
Altro non ho che parole sparse nel vento di giugno, altro non ho che lievi lacrime di nostalgia profonda.
Altro non ho che un pensiero che parla di vuoto senza fine, altro non ho che un amore: ma riempie lo spazio della morte.
Ascolta, mia donna, ascolta: da me non fuggire. Immeritevole porgo sul fuoco pochi aromi profumati.
Pure trascegli tu stessa, se qualcuno è degno, e prendi pure nel sangue le gemme le perle e la vita.
30.VI.1981
Porgi più accanto l’orecchio
A chi non ha forza cedi tu la forza.
A chi voce non ha porgi più accanto l’orecchio.
Forse non posso renderti tutto quel che m’hai dato.
Ma ti chiedo, o mia voce, mia forza: non è forse per questo che m’ami?
30.VI.1981
Forse non dovrei dire
Forse non dovrei dire “mia donna”, ché mia non sei. Eppure tu sai che fingendo mi faccio, nel mentre che dico “mia schiava”, tuo schiavo, e rimango a inseguirti con occhi di cieco, mentre libera vaghi sui venti. Pur simile male non piango: può forse Sapienza esser schiava?
30.VI.1981
Che ne sai tu?
Molte parole cadono dal cielo: che ne sai tu? Molte luci paiono perdersi, vagano nel cerchio profondo della foresta, per te forse non hanno parole, non ti vedono, non ti sentono: che ne sai tu? Lascia che il tuo cuore sia libero e segua le parole che lo includono. Lascia che la tua mente sia libera e segua le emozioni che la prendono. Lascia che tutto corra via, tu non fermarlo. Sosta. Sosta nel cerchio magico della foresta. Molte luci vi corrono e non sai perché. Molte canzoni vi suonano e non sai per chi. Tu siediti silenzioso sull’erba, guarda il cielo e oltre il cielo: che ne sai tu? È un nettare la tua ignoranza, va sorbita lentamente: magica ebbrezza si disperde lentamente nella tua anima. Perché? Per chi? Rispondi pure, se vuoi, ma non svelare il luogo dove ti sei seduto. Un dotto inganno uscirà dalla tua bocca, lo seguiranno, forse, o forse no. Appena puoi però vattene e vieni da me. Assieme berremo nettare e rideremo della vita. Al pazzo che ci sorprendesse indicheremmo il cielo e mentre lui lo guarderà noi già saremo fuggiti per i verdi intrichi del bosco senza fine. O tu che giudichi e parli senza scopo, delle parole cadute dal cielo che sai tu?
9.VII.1981
A Rosanna e al suo angelo Aragorn
ARANN OSA affrontare la GORgone: come colui che la tua fede impone per sillabe remote, e nomi forti, intersecando suoni vivi e morti, così per ROSA ANNA venne attratto, anagramma del nome dentro l’atto, il celeste signore delle stelle che stava, occulto, sotto la tua pelle.
Venne ARAGORN dal buio, saltò fuori dal luogo che non è finché non muori a quel che fosti, finché non rimani priva di tutto, vuote le tue mani, qual pietra fredda che rimane illesa per sua durezza e non risente offesa quando pure la guardi la Gorgone, che nulla può su chi non le s’oppone.
In tal modo il tuo sire s’interpose tra gorgo e donna, e entrambi li dispose in un castello di pensieri, chiaro flebile incanto, inteso a dar riparo dove si compia l’opera e l’amplesso di Rosanna nel gorgo col suo messo.
9.VII.1981
Un dì di sole
Un dì di sole, uccelli e un sentir lento, mentre qui leggo in pace sul terrazzo, mi van portando a quando ero ragazzo e tutto il dì cercavo un non so che. Non so bene che fosse, fuoco, vento o sesso e sangue, splendida parola magicamente stretta, e è ferma e vola secondo senti indosso un non so che. Poi ritornar dall’intimo del cuore a questo mondo e non saper perché, però sapendo ch’esso sempre muore; e conservare il sogno e la visione e nel bacio del sole un non so che che ogni effimera cosa in ciel traspone.
31.VII.1981
Nell’etere celeste
Muti cantori disserrano il cuore e liberi spaziano nell’etere celeste su spade di luce verso la sede del giorno.
12.X.1981 |