La bocca del leone
Contro la sfera azzurra del male e gli ampi crateri scavati dall’ignoranza, il fiume rosso del vivere sgorga di bocca a un leone cui sono fiori nel cuore, che ha fauci più tenui del vento d’aprile.
14.III.1977
L’enigma di Gordio
Chi infranse l’enigma di Gordio si volse e non seppe nel cielo vedere la brevità del vivere, la lancia spezzata, e il suo cuore strappato, non sciolto.
10.IV.1977
Come per i campi la lepre
Talvolta accade che un uomo si unisca a un veloce sogno che fugge come per i campi la lepre, e il cacciatore non sa che mai più la prenderà perché, fatta scaltra dal vivere, nei sentieri della vita sotterranei rimase il suo cuore.
11.IV.1977
Il Tempio del Lago
Il tempio della solitudine in cui mi recai giovane, faceva buio, e mi parve di vedere oltre la siepe un volo denso che oscurava il cielo. Come d’un calice rosso grondante bevvi nel fondo le voragini e l’abisso, e tempestosa innocenza mi sembrò vedere cadere dentro i gorghi d’un lago.
18.IV.1977
Ecate Trivia
Quando, Dea, l’accetta verde ti fiorirà di vita e i tuoi capelli di serpi sciolte vagheranno nel lago e pervaderanno il cosmo dei miei sogni notturni, quando il cielo inquieto si vuoterà di Diana e ai trivi Ecate di nuovo ululerà, ricorderò la via e m’incamminerò senz’attesa né dubbio per il ripido pendio onde dissolva la mia luce l’ombra della tua effigie.
18.IV.1977
Iside e Giano
Su di una soglia inquieto me ne stavo e mi chiedevo che di me mai fosse; per lunghi mesi stetti e mi chiedevo che fosse gelo e cosa fosse fuoco. Bruciavo infatti nell’inverno tardo senza poter porre riparo al freddo; i mille climi in me si sovrastavano né maggior pace potevo immaginare. Dentro la lotta, nel ventre terreno, Iside madre guidava il nostro vivere, mentre i miei occhi attoniti guardavano del doppio Giano le porte sui mondi. Così le stelle spesso si travolsero; correndo, vidi, si diedero la morte; così si spensero tempo dopo tempo alef e tau, mille princìpi e fini. Diedi alla vita allora la sembianza d’una gentile amica. Il verdebruno bosco abitava, dove la tristezza preda muta diviene di bellezza. Però è il suo volto che d’incanto appare tanto confuso in volti di miraggio che sol lo vede chi segue la Dea liberamente nella notte fonda.
18.IV.1977
Il Leviathàn di Uruk
Cospirazioni di dèmoni nell’ombra, serpentine come il Leviathàn di Uruk, son la corale corposa ebrietudine che sfonda le parole velate del vivere, nubi di fumo e volute d’incenso negli antri d’oblio del naufrago. Voga talora il marinaro fantasma nelle reti di nebbia del nord, tra le Færøer scagliate, gridando ai silenzi immensi la sete, e non beve, non beve che acqua di sale. Va, misero Ulisse, al tuo povero salario di migrazioni, va, scandaglia i fondi, cammina fino all’origine. Irrompono Aurora e Crepuscolo, Orgia e Tenebra danzano, la strada percorri e rinnovi lo stellare malvivere. Infine tutto termina e posi là nel mare profondo.
12.V.1977
Con candide mani
Certo io ho forza di gettarmi nel fuoco, certo tu hai forza di gettarti nel fuoco; ma chi afferrerà questa forza con candide mani senza impaurire della sua natura?
Così cammina chi sa come un bimbo in fasce e non risana nessuno perché ha timore che il suo medesimo vento spenga ogni lume.
Così va l’eremita lontano dagli uomini e li percuote con la sua astensione, perché sa nel suo abbandono tenace quanto belli sian la vita e il fuoco.
Perciò cammina e non guardarti indietro perché nessuno ti segue che non voglia essere spento nel vento del tuo cuore.
16.V.1977
Occhi del deserto
Distruggi, distruggi e ancora distruggi se puoi distruggere, e se non puoi astieniti e sii vigliacco. Così parla chi vede e ben sa che il dolore non si spende per pochi applausi e finzioni di gloria. Accogli, accogli e ancora accogli se puoi accogliere, e se non puoi astieniti e caccia via. Così parla chi vede e sa esser la donna e l’uomo fuoco per chi s’addentra nel viaggiare eterno. Nel vortice dei vivi stretto e bruciante, vedi, nessuno ti si appressa, nessuno ti conduce se non colui che ha gli occhi bruciati dal deserto. Mille esseri vengono, che ti danno fiori, ma hai tu posto orecchio alla voce dei fiori? Staccati dalla vita, strappati dalle radici, recano su di te cumuli di morte. Essi ti conducono ai loro orizzonti di nebbia, essi ti parlano con voci melodiose, essi carezzano il tuo corpo e la tua anima, ma il lacerante abisso di chi è morto per sempre perché non vedi? perché hanno distrutto l’immagine vera di chi seguì le sirene? Guarda dunque negli occhi la Medusa, e più la guardi più ti s’impietra il cuore, ecco i capelli ti si rizzano sul capo, ecco la morte t’esplode nel petto, ecco Chimere ti fissano negli occhi, ecco si sfanno come lacerate ferite, ecco le parole tue come un diadema coronano il mondo che s’infrange in basso.
Ecco il timore s’è fatto violenza e la violenza ha dispietrato il cuore, ecco si offusca ed arde la Medusa e sulla sabbia riarsa si discioglie, ecco tu guardi, forte del tuo nome, dentro il suo cuore. E lei più non esiste, e si spalanca agli occhi una visione di lancinante sangue che si sfascia.
Così ritorni alla vita ed al silenzio, e un uomo incontro ti corre, ch’era morto, e un uomo incontro ti corre, ch’era vivo, e ti sovrastano e vanno orribilmente a rovinare nella tua ironia. E guardi intorno e più non vedi fuoco, e guardi intorno e più non senti vento, e guardi intorno e più non dici verbo: la santa Notte infine ti sovrasta.
16.V.1977
La Valle dei Sogni
Venne il Sogno mascherato alla Valle dei Sogni. Lo videro che aveva in fronte una stella, ma i Sogni non possiedono stelle. Gli dissero: Perché vieni a noi mascherato? Getta nel mondo la tua menzogna, cala negli abissi del vivere la tua stella. E si tolse allora il Sogno la sua maschera ma non ci fu attorno a lui che profondo attonito silenzio. La vetta lontana gli sorrise smaniosa, e il cammino gli si schiuse dinanzi. E fu così che nella Valle dei Sogni fu perduto un Sogno, ma nessuno si ricordò il suo esistere.
23.V.1977
Fuga dalla terra
Le mille porte della realtà stavano dischiuse sui placidi orizzonti. Con quale fretta i pochi naufraghi scampati al massacro attraversavano colmi di pianto la soglia. Attingevano la pace con occhi beati, per lunghi secoli avendo sospirato.
E giunse uno che non aveva stirpe; né padre né madre aveva, né compagni. Guardava le mille porte sui placidi orizzonti, e vi si sporse a indagare e subito ritrasse gli occhi e fuggì. Fece ritorno, né più conobbe fuga dalla terra.
23.V.1977
Il pesce luna
Il pesce tenebra non vedi se non vai fin dove si spezza il timpano, fin dove il tuo corpo s’infrange, né tu vedi il pesce luna immergersi nel mare della morte se non vuoi penetrare nel reame del buio e del silenzio.
5.VI.1977
L’eremo
In eremo chiuso sepolto, se anche nel mondo all’aperto il volto mostrerò, pure, nel fondo più fondo del mare, per anni e anni mi chiuderò.
5.VI.1977
Una canzone d’addio
Canto con te una canzone d’addio, una canzone con parole non belle, forse non chiare, una canzone della stanchezza di chi ha corso a lungo, di chi ha veduto la menzogna prevalere sull’innocenza, di chi ha scordato il senso della parola amore. Canto con te una canzone d’addio al linguaggio dei sapienti, perché ecco, quest’oggi voglio parlare con parole d’ogni giorno, la mia voce sarà la voce dei treni che portano maree d’uomini, la voce delle oppressioni, della gente impedita a vivere.
Canto con te il grande rifiuto del mondo, il rifiuto di chi ha guardato ed ha visto come nulla di ciò che vale sia rimasto accanto a noi. Solo io e te siamo rimasti, con le nostre mani di oro tradito, coi nostri cuori sprofondati mille volte in pozzi neri, coi nostri volti e baci segnati da mille indifferenze, le nostre maschere di tristi carnevali per scordare gli spettri.
Non lasciamoci fino a che non sorgerà in cielo una luna diversa, fino a che i neri fantasmi non saranno colati a picco nel grande oceano nato dai nostri desideri.
Non lasciamoci fino a che non bruceranno dei loro inganni le signorie dei roghi nascosti, fino a che le figlie del sole non danzeranno sulle rive di un mondo nuovo.
Non lasciamoci mai.
11.VI.1977
Così forte che il mondo s’inchina
Colui che si guida alla lotta non sarà spezzato. Chi, affrontando un nemico con coraggio, non troverà un alleato?
Colui che non fugge dal campo ma fermo rimane, forte è il suo cuore, così forte che il mondo s’inchina.
12.VI.1977
Sento dire che vi lascerò
Ma perché fuggite lontano, amici miei, da me, perché? Sento dire che per mille anni vi lascerò, eppure no, eppure non vorrei lasciarvi. Sento che andrò in cerca dei reami lontani, ma come, senza di voi, ma come? Amici miei, se le stelle nelle mani potessi avere, ve le donerei, ma non ho che il mio destino. Perché non ci uniamo in un unico grande uomo e non corriamo assieme verso la meta infinita? Sento che mi toccherà lasciarvi, perché lasciato m’avete, e non vorrei. Potessimo bere al fiume della dimenticanza, dimenticare tutti i nostri deliri e assieme, verso una terra più libera, senza più solitudine e orgoglio incamminarci. Eppure sento dire dagli sbandieratori del vero che per certo vi lascerò, amici miei, forse per sempre.
15.VI.1977
I Savi e i Scempi
I Savi e i Scempi vennero alla guerra, e il povero poeta fu nel mezzo. O stupido poeta! - disse il Scempio - che troppo intrattenesti le tue nuvole! O fesso d’un poeta! - fece il Savio - che dal mondo reale rifuggisti! Così compresi di vari sentimenti i Savi e i Scempi vennero più accosto, ed ecco presto fucili ed armi varie sulla capoccia poetica puntarono. Guardò l’Olimpo e l’Ade il bel bersaglio, si chinò in terra e li lasciò sparare. Ma nella foga un po’ troppo si spararono i Savi e i Scempi, nessuno ne restò. Da quel momento non vi fu seguace più sulla terra, né maestro alcuno: li seppelliva l’odio, seppelliva le loro voci bugiarde, e nessun uomo tessé l’elogio dei morti. Solamente sonava il canto melodioso e lieto di colui che era stato fermo in mezzo senza paura e senza desiderio.
17.VI.1977
Il narciso stremato
Quando per giorni e giorni avrai camminato, stanco, sotto il sole ardente, quando volti di amici e amanti avrai cercato, inutilmente, per anni innumerevoli, quando tanto oltraggio avrai sofferto dal vivere che il dolore ti parrà una giustizia, quando per i viali avrai passato la tua giovinezza, girovago in cerca di sogni inavverabili, quando così a lungo avrai cercato segreti che nessuno svelerà, quando sarai passato per i fuochi di mille dubbi laceranti fin giù nella vasta cavità del cuore, quando sarai giunto alla completa stanchezza, stremato dal mondo della follia, e da oltre i monti lontani avrai saputo tuttavia ricondurre nell’estremo viaggio un otre di Pandora, uno scopo che servirà altri tempi, quando avrai percorso infinite strade nel buio, su orli di abissi cercando il calice di un fiore più lieve, circondato da mille primavere, all’apogeo del tuo regno difficile, suoneranno i flauti notturni e ti potrai fregiare col narciso stremato dei poeti.
17.VI.1977
La fiamma dalla pietra
T’appressi nudo al cammino del fuoco: guardati indietro, che tu non sia perduto. T’appressi nudo al cammino del fuoco: bada ai tuoi passi, sul terreno spinoso. In faccia a te, se vuoi entrare, è il vuoto, e la paura ti aspetta, e non c’è pace, se ora ti inoltri, in nessun luogo mai, solo spavento, il cammino del fuoco che non illumina, che distrugge l’amore. Nei sette veli velata Iside guarda e non è che un terrore, una Gorgone che t’impietra il sentire: non c’è vento per rinfrescare il tuo cuore, non c’è pace, è questo soprattutto, non c’è pace. Ade ti guarda, Persefone ti guarda, Vàruna il mago ti guarda, Mara, Atlante condannato alla vita ti guardano, t’irridono, Mithra il glorioso ti spezza con la spada, la luce di Oromasdo è una tenebra che corrode, Arimàne ha aperto piane strade lucenti. Suvvia, nudo bambino, sulle strade di Arimàne affrettati e va, se ti vuoi salvare. Zeus è folgore che brucia, Giano è una fonte di veleno, e giammai, no, non c’è pace. Geb e Nut ti schiacciano nel loro amplesso di fuoco, Set ti veste di Osiride e ti uccide mille volte, e mille volte Orfeo sei fatto a pezzi, lacerato in brani dalle Mènadi pazze. Diòniso, tu bruci nell’abbraccio di morte, od anche in croce sei inchiodato come un assassino. Krishna per te è un’idra, ha mille teste, Rama ti abbatte in un mucchio senza storia, Àrjuna tu ti sognavi e non sei altro che un porco irriso da Circe in antri oscuri. Né sei Thor né risiedi nel Walhalla né Valchirie ti guidano il cammino, né hai un sogno, un’idea, Eros, la Madre o qualcun altro, no, non hai nessuno. Guarda, bambino nudo che cammini, guardati indietro, più oltre non andare. Non puoi oltrepassare i mondi della morte né le barriere della follia, né i turbini d’Averno; non è per te la Terra dei Beati, e Saturno ti guarda con disprezzo. Vattene via da questa strada lunga; chi sei tu per conoscere la strada? Non c’è posto vicino a Milarepa e la mano del Buddha non conosci, il convivio di Shankara è invisibile e la terra di Amon non risuona. Canta El Shaddài per i guerrieri suoi, Giosuè il sole dirige, ma tu cadi nella fossa di fuoco coi ribelli abbattuti dal grande Guidatore. Mosè non ti ha guardato, il fulmine ha invocato e la tua carne terrestre ha bruciato. Chi sei tu per guidarti nel conflitto tra Yin la terra e il cielo Yang stridenti o nell'etereo spazio della Kundalìni o nel mare tremendo di Nettuno? Va, che la Madre del cielo non ti salva, Amaterasu t’ignora, non c’è verso di salire i gradini con Ermete. Vattene via, idiota senza senno, dovrai competere con le Erinni senza cuore, con le Furie, le Parche, con il Caos. Vuoi tu salire alle regioni di Manu o con Gilgamesh condurti alla vita? Cader nel vuoto è la tua sorte certa, lacerato come i Titani, in balia di Hypnos. Quetzalcoatl non sei, non hai speranza: gli dèi si persero e tu non ti vuoi perdere? Sulle scogliere di qualche Sirena al primo incontro certo crollerai. Hai raggiunto tu il Dao, l’Innominabile, la pazzia ragionevole del Chan o la via di Confucio, oppure quella tracciata dal vecchio Lao e da Zhuangzi? Vattene via, idiota, e non parlare della luce di questa strada a alcuno, ché non venga a ammazzarsi qualche stolto. Al massimo puoi andartene ad un sabba a chiamare Astarotte o un principe minore e comprarti il piacere, prezzo della tua vita. Fors’anche potrai trovare un Mefisto meno seccante dei demòni coi piedi di porco, un elegante interprete dell’età moderna, un fautore del progresso e della pace cerebrotecnica pronta per ognuno. Non aspirare al volto di Horus, né tanto meno a fonderti con lui, o per un cammino di fuoco senza fine per mille secoli ti toccherà andare. Se poi discorsi non vuoi ascoltare, i Guardiani della soglia dovrai ingannare.
23.VIII.1977
Inni al Sole
I.
Amaterasu, dea del Sole, non della tua stirpe io sono, non sono il Tennò. Io sono il Sole, Amaterasu io sono. II.
Horus, nelle erte rupi del passato quasi disperso, pure inali luce. Horus, non sono un tuo figlio, né un tuo discendente, un seguace. Horus, io sono il tuo lume.
III.
Credi tu forse, o fervido Mithra, credi tu ch’io ti veneri, ch’io sacrifichi al fuoco tuo? O Mithra, a me stesso tu stesso inni alzi sull’ara.
26.VIII.1977
Specchio infranto
Osservo i bambini giocare. Il cuore è una rete d’amarezza. Chi è che opprime il canto, ché non esca? Specchio infranto, e fuoco che l’include.
26.VIII.1977
La via di là dal mondo
Oltre le porte del mare della vita, di là dalla terra del serpe che si erge con le sue spire di caparbia illusione, sporto di là, sull’orlo, io guardo.
Io guardo e nessuno mi conduce, io guardo e nessuno mi è asservito, io guardo dalla mia lancia ferito, dal fuoco della libertà colpito.
O Astarte che guidasti la terra nel suo cammino di fertili sottosuoli, contro di te lo stendardo del Sole crea desertiche lontananze.
O Mithra conducente di eroi temprati, su di te si riversa l’oblio del tempo e contro di te invocano i Tori maledizioni di sangue e di languore.
Io mi stendo su la destra e la sinistra, io mi riverso nell’acqua e sui cespugli, io mi ricolmo di stelle e d’argilla, io mi congiungo alla notte ed al giorno.
Facile strada tra aspri cammini spesso invocata con cuore bruciante ora, più freddo che stele di marmo, trovo che incrocia la strada in pianura.
Io vado innanzi, non posso seguire ciò che altre volte ho cercato e non ebbi; non ha più senso per me sulla terra, agli sciacalli nutrirsi dei morti.
Viaggio là dove nessuno mi guarda; appena gli occhi levare vorranno già assai più lungi di essi sarò e oltre il confine disparirò.
Non c’è nel mondo sottile sfortuna per chi la Luna può ancora guardare coi sensi antichi di età già scordate quando le fate potevi osservare.
Ma non mi credere un uomo perduto alla ragione, al sogno venduto; non ho illusioni da darti ma credo a ciò soltanto che sento o che vedo.
Di là dal mondo oscura regione da lungo tempo s’è ormai celata; s’io abbia preso la via che ho sperata non lo sappiamo né tu né io.
8.IX.1977
Le strade della notte Il sonno s’avvicina: non ne conosco il mistero, non so le strade che conducono al paese della notte. Chissà che là il tempo non sia più lungo assai che in questa nostra sfera. Cent’anni ho dormito, cent’anni ho sognato, e per un breve giorno mi sono svegliato. Presto tornerò al mio chiaro riposo e resterò nella sede del tempo dove i giorni scendono lentamente e ti ricoprono d’una coltre infinita d’indisturbata pace.
20.IX.1977
Non affrettarti a vivere
Non affrettarti a vivere e non affrettarti a morire: chi con calma discerne la luce dei giorni campa cent’anni e poi s’incammina.
Va per la strada del suo ultimo viaggio come un bambino che insegua le ore; percorre il cielo e percorre la notte con dentro il cuore un canto di gioia.
E su di lui non può nulla il male, e sopra il ponte passa, e non s’accorge, e all’altra sponda dell’abisso passa, e non s’accorge.
20.IX.1977
Come chi non ha guida
Così mi conduci, angelo, come chi non ha guida e lo conduce il vento e la parola infinita del sole. Guardo intorno e indifferentemente tutto è bellezza o sfacelo. Solo importa se alla fine del giorno levo gli occhi nel rito antico di guardare il cielo.
20.IX.1977
Divina Genodis Vargas Guzmán mai conosciuta
Ho sognato che a Santo Domingo dolce ragazza mi stava a aspettare, dalle dolci catene del cuore tutta avvinta, il mio volto a sperare.
Sulla strada di un duro riscatto dalla vita, mi volto a guardare, della nostra difficile età una fine lontano a cercare.
E mi viene di Santo Domingo un radioso sogno leggero di ragazza seduta in veranda il suo amore lontano a pensare.
4.X.1977
Quando diverrà silenzioso
Quando il mio cammino diverrà silenzioso e i miei passi si chiuderanno in un silenzio di cristallo, donerai tu forse, Immagine di Dio, la parola che conduce alla meta?
16.X.1977
Gli uccelli Nelle tue mani il tempo è come una piuma giù dal cielo discesa, che vi torna.
Torna e vola nel cielo quasi fosse un ricordo dell’uccello perduto verso mari lontani.
Spesso afferro la piuma che qualcuno ha perduto; mentre scende la fermo e la stringo sul cuore.
Quel che in terra cade non è che polvere, tutto ciò che volava non è mai dissolto.
Volgo tra le mie dita un ricordo gentile di quel dolce toccare ali senza più terra.
È volato l’uccello verso terre lontane; ben più lontano è andata la sua piuma perduta.
Così tra le tue mani scorre vivo il passato di ali e uccelli perduti, dissoltisi nel vento.
Così guardo i tuoi occhi e mi par più lontana l’inevitabile schiuma del nostro tramonto.
Così guardo il tuo volto che talora sorride e mi sembra che un arco miri verso l’abisso.
Un abisso ho toccato e subito s’è infranto, dalle nebbie gelose subito fu velato.
Pure squarci rimangono senza velame alcuno, se seguiamo le strade percorse dal vento.
Molti da sempre caddero dove tacciono le onde; quivi si disfecero, divennero statue.
Tra le tue mani, sabbia, scorre in eternità tutto ciò che traduce la morte in vita.
Tu lo lasci andar via come chi è troppo ricco per inseguire la piuma di chi s’allontana.
Ti accarezzo le mani, i piedi ti accarezzo, e non scorre più il tempo né si sperde la sabbia.
Tra le tue mani un pensiero mentre la voce muore vive e rinasce in tempi senza confine.
Dentro l’illimitato ho scordato il mio essere, raccogliendo in mare dolci conchiglie d’oro.
Chi è passato tra noi non si è mai fermato, perché andava lontano verso una fine oscura.
Dentro il mio cuore scorre a lungo, molto a lungo, come da una clessidra, una vivida sabbia.
Vivida come il cielo che risiede di là dal sogno, vivida come il cammino di chi insegue gli dèi.
Spesso verso la morte veloci corridori, da se stessi ammaliati inseguono illusioni.
Ma illudersi non è questo dipingere il cuore con gli splendenti colori dell’universo.
Così tra le mie mani i tuoi piedi accarezzo e dolcemente immergo nel sogno la vita.
Tu che trascorri lenta come se fossi sabbia tra di me fatto vento e il vento che tace.
19.X.1977 Contesa d’amore
“Vorrei con voi, Madonna, aver contesa aspra sì che la terra stessa spaia, come è in colui che con la lancia tesa si contrappone al mondo che l’annoia”.
“Messere, tal contesa è bella cosa, e ben più bella quando dolce sia, sicché, Messer, vi prego in cortesia che troppo fondo non colpiate il cuore”.
“Quale servaggio inutile le ore lasceremo da parte combattendo io contro voi a braccia a mani a mento finché il mattino ci troverà stanchi.
Allora, avvoltolati in stessi manti, giungeremo la mente con le stelle a cantar delle mille cose belle che van nel cielo senz'alcuna fine”.
“Sire, così sarà il nostro volere appagato da Dio, dal mondo tutto, e quel che in noi rimase in fondo brutto bruceranno d’Amor sognanti schiere.
Poi volgeremo gli occhi a fronte a fronte a carezzarci l’anima ed il corpo e poseremo là in quei mondi donde si leva il Sole, e dove si nasconde”.
26.X.1977
A me stesso
A me stesso meditando sulla morte poche parole dedico, favole una volta esposte fuor dal nostro cuore al vento freddo del mondo.
25.XII.1977
La fuga dai lumi
Verso il tramonto, al nascere di luna volgo i miei passi, seguendo la costa. Tutti i battelli si sono assiepati nel riparo dell’onda che li batte, e più feroce è il gorgo più gli riesce di nascondere il cielo. Così l’uomo guarda in basso con cura, per paura di vedere nell’aria Dei lucenti, dissolventi di quel che egli fissò. Chi, volgendo lo sguardo nell’abisso, mai sentì trar se stesso e, lancinato, la Gorgone che impietra il brulicante vivere verminoso dei dispersi mai udì, timoroso d’esser visto? Meglio è certo disperdersi nell’acqua come i giri che muoiono nel mare quando alcunché sulla sua schiuma posa, trascinato dal vento delle rive.
4.I.1978
In questa muta vergine chiarezza
Ogni attimo perso è dare a sé un’immagine ancora e la feroce ossessione dei volti incrementare. Mille voci che nascono al di dentro dal di fuori ritornano esternate come vive creature, vivi dèmoni a ricordare noia e derisione. Così dei nostri istanti la passione si allontana per sempre, ed il sostare in questa muta vergine chiarezza fosse anche un’ora non sarebbe poco.
4.I.1978 |