Visione
Un bambino coricato dentro le nuvole
nel grembo luminoso della Madre Sole,
presto sciolto dal vento in isole azzurre,
circondato d’argentei lumi
fino alla dissoluzione senza morte...
9.2.1984
Ad un amico che ha perduto
il suo Genio familiare
Fuor del tuo cuore apparve un Animale,
di te angelo e sorte, e poi scomparve;
bada ora a quel senso, a quella luce
ch’è vita e fine, e luogo in cui disparve.
Ora una Guida che non ha tramonto
giace, Sole immortale, disvelata
come angelo o donna che ti guardi
ridendo in faccia, ardendo che tu ardi.
Quel che morte disfà dunque è una goccia
dentro un mare infinito o, nell’illimite,
una nube vanente, un niente, un attimo:
fine pioggia che corre sulla roccia.
Vedi il cielo e poi guarda la tua vita
e le epoche e il corso paragona
del tuo corpo alle stelle, all’infinito
immortale Cantore, a come suona.
Questo concerto chi è volgare pasce
senza ragione, senza ricercare
qual sia di sé la legge, e l’armonia
che gli richieda, e muore come nasce.
Ma tu non nudo rivivrai, ma ricco
d’una veste compatta di memoria,
poiché la vita fu spaccata in mezzo
e Intelligenza fece la tua storia.
Ora tu dunque spezza quest’oblio,
scuoti le membra e guarda la tua sorte:
oltrepassando l’ultime tue porte
giungerai alla fonte del tuo dio.
Possa così tu fare, e così io.
9.III.1984
Del gravoso amore del cammino interiore
per cui non è sosta alcuna
Come più dolce vivere ignorando
ora ci pare, perché sconfinato
il salir nostro sembra, e non ci è dato
modo a sfuggir sognando.
Come viandanti cui urga la fretta
di scampar da un paese senza vita,
siamo obbligati a andare, e ci è proibita
ogni cosa imperfetta.
Sembriamo vivi eppure abbiam paura
d’ogni istante disperso, che nasconda,
dissimulando aspetto, ciò che fonda
sulla nostra sventura.
Poiché gravoso è il compito del cieco
se deve aprir cammini nella selva,
e qui ammansir della feroce belva
ogni interiore eco.
Tenta sfuggire, eppure spesso deve
trattenere il suo gesto in una scelta,
ché la porta d’oblio è ormai divelta:
e amara ansia beve.
Né mai potrà scordare la sapienza
per cui spera rinascer dalla morte,
se nei dì del destino fu sì forte
da superar sua scienza.
Ma come chi nella passione ammiri
del suo ardore l’oggetto innamorato,
finché spiri ragione e gli sia dato
che null’altro l’attiri;
così non altro può che un’apparenza
nella foresta, vaga, ravvisare;
il suo destino non lo può guardare,
se non viene sapienza.
Come la luce infine si diffonde
allo svanir del sogno della notte,
così taluno dopo tante lotte
dominerà le onde
e caverà dal lago del ricordo
le visioni infinite della vita
che la sua anima illusa e smarrita
cercò nel corpo sordo.
Allor verrà quel dio che sempre nasce
quando s’è scosso il giogo e si comprende
la ragione del gioco, ciò che intende
chi, già nato, rinasce.
Perciò, in silenzio, cerchi un punto fisso,
per potere veder cos’è l’amore:
la rima nostra non è che dolore,
ma sua luce è l’abisso.
15.IV.1984
Qualcosa oltre il mondo
Di là dalle parole guardo il cielo e mi chiedo:
Vi è qualcosa? Vi è qualcosa oltre il mondo?
Piove di pianto lacrime mute il cielo,
lo scroscio che sento è la sorella morte.
Vago straniero sulle vie del desiderio:
possa, sorella, uscire
fuori del mondo d’oblio.
20.V.1984
Il palazzo del Re
Non è nascosto
il palazzo del Re;
ma nessuno lo guarda,
nessuno lo vede.
O viandante i cui occhi
un mago non ha legato,
insediati come sovrano
nel palazzo incantato.
Stelle sopra il tuo capo
segneranno la via immortale;
stelle sotto i tuoi piedi
nasconderanno l’essere eterno.
O caro viandante amico
il cui cuore non è morto,
suona l’accordo supremo
col flauto incantato del mio cuore.
20.V.1984
Trecce d’oro
Mio amore, mio amore ritorna.
Dalla voragine infinita dell’abisso
trecce d’oro hai gettato
perché mi ci afferri,
ma così lungo è il salire,
così ardente l’illusione.
Mostrami infine il velo
dietro cui celi il tuo volto,
mostrami il desiderio
e il tuo bianco Unicorno.
E poi gettami la morte,
cancello nero della tua luce.
20.V.1984
Senza freno
Dentro il petto inspiro la passione,
la crudele vendetta, il vivo gaudio,
ogni cosa che il mondo mi propone
coi suoi manti dorati in similoro.
Poi mi volgo alle stelle e all’infinito
dietro ad esse nascosto, nel principio:
il segreto suo prende la mia carne
e non ha più la mente alcuna vita.
Solo, diafana veste, sta il mio corpo,
entro cui il mio spirito immortale
scioglie in fuoco e ricordo ogni legame.
Dolce allora è gettarsi alla sua notte,
insensata passione, senza freno.
22.VII.1984
Nel potere che sorge dal sogno
Nella spirale magica del mio cuore
entra, amico;
entra, amico, nella magica curva del destino.
Cammineremo nel potere che sorge dal sogno
fin oltre la morte;
conosceremo la guerra, caro, come l’amore.
E vivremo, finalmente vivremo,
gemme nel magico anello del destino.
22.IX.1984
Il Sire di Luce
Il Sire di Luce
nella camera oscura del mondo
evoco lancinato.
Mille fuochi
si sono spenti nell’ombra.
Lieve un lume di terrore
scuote le viscere dei cani.
Dal mare sorgerà
la stella bianca.
Sul ponte del destino, o amanti,
vi congiungerete.
Oblio coglierà il mondo,
e schianterà nel fuoco.
25.XII.1984
I vecchi re
I vecchi re delle cose vive
gridan vendetta contro i distruttori.
Chi, o Amato, risponderà loro?
Lascia che li abbracci.
Attenderemo il regno futuro
nella tenerezza del ricordo.
O profani, mentitori, pazzi!
Peserà su voi la morte del mondo.
25.XII.1984
Il sacrificio e l’anima
Dieci, cento, centomila nomi
coprono il Solo Verbo proferito.
Nacquero da ciò terra e dolore,
e quindi il sacrificio e l’anima.
Oscillò il mare e tu, sua onda, fuggi
ma sempre in breve ad esso hai da tornare.
Così gli dèi ascoltano il destino
e il flauto che tu suoni li fa vivi.
25.XII.1984
Omaggio
Onore al Conoscitore,
al Maestro del cuore.
Onore al Sole invitto,
al solo Figlio di Dio,
vittorioso sulla morte,
padrone della vita,
libero, unico,
irradiatore di luce.
Per l’omaggio di Lui
possano dileguare
l’ombra della menzogna,
lo spettro della divisione
e la brama mortale dell’inganno.
25.XII.1984
I figli della luce
Possano i figli della luce
essere glorificati nella distruzione.
E questo preghiamo
perché così sarà.
5.2.1985
Ai Dodici
Di tanto in tanto,
procedendo nella luce del mio destino,
conobbi una stella perduta.
Possano i mille attimi della gloria
congiungersi nel cuore sacro del mondo.
O Dodici! Sorgete, Soli, infine!
1985
Di quel che ero un tempo
Non è rimasto nulla
di quel che ero un tempo;
più nulla fra poco
di quel che sono sarà.
Il vento fuggevole sempre
ha smentito il ricordo:
più nulla ritorna.
Il perduto è scomparso
e una simile maschera
è sol della vita la morte,
e ogni cosa che è morta scompare.
Che sono, mi chiedo,
se passa così tutto quello
che credetti di essere? Cosa,
cosa infine rimane di questo?
Dolce vento soccorrimi, getta
nella casa divina il mio canto.
14.IV.1985
Nostalgia
Qualche canto di uccello risuona:
il tintinnio delle armonie mi scuote.
Ardo d’amore per la terra lontana
e nostalgia mi prende
di dèi che in un sogno sussultano.
Alla fine di noi che sarà?
Ogni cosa che cercano gli uomini
è vuota, indistinta, fugace.
Se solo qui potessi a parole
inventare la strada perduta,
scomparirei dal mondo
qual cirro dissolto dal vento.
14.IV.1985
Ma ella ancor dorme
Il sole di primavera
insegue la dea del pensiero.
L’abbraccia, la scuote, la fruga,
la cerca con occhio di fuoco.
Ma ella ancor dorme, si giace
nel ventre terrestre. Vorrei
portarla al risveglio, ma solo
mi è dato sentire, non posso
far nulla, sentire soltanto.
14.IV.1985
Dieci o diecimila anni
Dieci o diecimila anni
dovrò forse aspettare.
Perché fantasmi del futuro incombete
e svuotate il presente?
Se il regno perduto potessi ritrovare,
allora potrei combattere.
Ma adesso, in esilio e senz’armi,
perché m’assillate, speranze?
14.IV.1985
Il prigioniero invisibile
Osservo nel vento
il subitaneo precipitar del mondo,
ma il mio sguardo rivolto al passato
non può avvertire l’evento in arrivo,
non può riconoscere il sogno.
E sperare è stanchezza,
è stanchezza e fatica.
E ben sapere che tutto il posseduto è nulla
e nel centro del cuore solamente
un prigioniero invisibile
sopravviverà alla guerra.
14.IV.1985
Il salto
Quando sembra lontano
è vicino.
Quando sembra vicino
è nell’abisso.
Salta, e sarai dio.
28.VII.1985
Kalón
Kalón svanì danzando
dentro le nebbie del paese del sogno.
La sua anima bianca vestì il suo corpo
e nella fenditura di nube dello spazio
disparve come una memoria d’uomo.
E un dio conobbe
quei che guardò i suoi occhi.
Kalón! Kalón! anima mia!
Gettami la morte
che ci distoglie dal fango.
Kalón, figlio della morte,
baci io la tua bocca, cancello
del luminoso cielo.
7.IX.1985
L’amore di Merlino
Per la sua via Merlino un giorno andava,
ed incontrò una donna dal bel viso.
Colpiva il cuore il suo dolce sorriso,
perciò Merlino a lungo la guardava.
Disse: Messere, che state a guardare?
A me correte, e vogliatemi amare.
Sola mi sento, e cerco un cavaliere
che mi salvi dal lampo e dalle fiere.
Merlino allora in fretta viene avanti,
innamorato di sua giovinezza.
Dice: Madonna, in voi troverò incanti,
che venga il sole dolce, e lieve brezza.
Fuggano i lampi con le nubi nere,
fuggan le fiere nelle tane sue.
Finché saremo in cammino noi due
sian chiari i giorni, magiche le sere.
Così Merlino incominciò a parlare,
di molti incanti si fece cantore,
e s’impegnò quel dì per il suo onore
che tutto sé le dovesse donare.
Mill’anni ho corso, disse, ed ho fermato
le stelle in cielo, ho percorso la terra.
So del futuro, conosco che è stato,
non mi spaventa la morte o la guerra.
Uomini vidi inseguire inseguiti
quei che inseguendo si sono smarriti,
mentre andavano bramosi cercando
quel che in tal modo li stava ammazzando.
Ho visto arditi cavalieri in terra
cascare vili, poi che il suo destino
videro in faccia, o per il troppo vino
cader del colpo che un bimbo gli sferra.
Ho visto donne belle e brutte amare
odiosi stolti, ed i sapienti stare
soli nel mondo, seduti in suo scranno,
senza che alcun gli faccia amore o danno.
Così Merlino seguitò a cantare:
di molti secoli la storia narrò,
e ancor di molti deve raccontare
per quella donna che il suo cuore scaldò.
Ma son passati mill’anni o forse più.
Il suo cuore Merlino volle aprire,
però assai tempo ci vuole a finire:
canta da molto, e la donna non è più.
15.IX.1985
A Mirjana
Cerco nelle grotte
remote
del tuo sangue
i marmi di luce
del Tempio immortale.
16.XII.1985
Il paese della verità
Cerco il paese della verità.
O tu che conosci la strada,
dammi il sasso bianco, dammi la nera morte,
dammi la quercia cava, il gufo e la civetta,
dammi la luna, i pesci sul fondale,
dammi la rete ove s’impiglia il cuore.
Cerco il paese della verità.
O tu che vai per strade senza fine,
fa’ che s’apra la porta del castello,
fa’ che sgorghi di nuovo la fontana,
fa’ che l’albero secco rinverdisca,
fa’ che dal nido ardente spicchi il volo
la Fenice rinata, poiché sono
Orfeo che incanta (o forse sono un uomo
che non ha nome, perché troppi nomi
affatturò Plutone). Tornerò
sulla splendida soglia, onde m’involo
libero uccello nel luminoso silenzio.
23.XII.1985
Di fronte al tuo specchio
Limpida acqua io so, so d’un cristallo
onde l’anima mia si fece forma,
ma fu tal forma a me così celata
da non sembrare ch’io ricordi ancora.
Pure io guardo nel lago interiore,
voglio vedere gorgone e la morte,
e l’anello incantato delle ore
e quella stretta che spezza la sorte.
Così esco dal buio, vado a luoghi
che riconosco miei, come il celeste
Elisio di Mnemosine, o il ventoso
protendersi d’Iddio sul nulla.
E farne un uomo di fronte al tuo specchio
è rispettare in te quel che riluce,
ed è amar donna, ed è scoprir segreti
con la tua luce.
30.XII.1985
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