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IL LUME CHE DISTRUGGE LA CONTESA
Dario Chioli
Se il tuo dio, dici, è l'unico Dio, quanti adorano dèi differenti errano. Se alcuni uomini errano, ciò significa che possono errare. E se alcuni uomini possono errare, forse molti, forse tutti possono errare. Come può dunque uno esser certo di non errare?
2. Se solo quanti adorano il tuo dio, dici, possiedono certezza di non errare, perché egli l'ha donata loro, quanti, adorando un differente dio, professano certezza, errano ingannando se stessi. Dunque vi sono uomini che possono ingannare se stessi sino a presumere di possedere certezze che non possiedono. E se questo è possibile per alcuni, forse è possibile per molti, forse per tutti. Come può dunque uno esser certo di non aver ingannato se stesso?
3. Se solo quanti adorano il tuo dio, dici, sono certi di non aver ingannato se stessi con false certezze poiché, affermi, solo le opere di coloro che adorano il tuo dio sono buone, e le altre falsamente buone, allora certo tutti quanti non professano di credere nel tuo dio, compiendo opere buone lo adorano senza sapere. Ma se l'adorazione del tuo dio può esser fatta senza sapere, ne consegue che le opere non sono prova della veridicità delle opinioni su Dio di chi le compie. Così anche l'adoratore del tuo dio potrebbe, senza esserne cosciente, adorare un altro dio.
4. Se tutti quanti non adorano il tuo dio, dici, compiono opere falsamente buone e giammai buone, ne consegue che le stesse opere, fatte da chi adora il tuo dio, sono buone e, fatte da un altro, sono non buone. Perciò le opere non provano la veridicità delle opinioni su Dio di chi le compie, dal momento che in se stesse non sono né buone né non buone. Come è dunque possibile discernere dalle opere se uno s'inganni oppure non s'inganni?
5. Se il tuo dio, dici, si rivela agli illuminati, ovvero agli ispirati, in forma certa e indubitabile di là dalle parole umane, quanti, pretendendo o mostrando di essere illuminati ovvero ispirati, parlarono di differenti dèi, mentirono. Se dunque è possibile che colui che afferma di essere illuminato ovvero ispirato menta, come puoi tu a tua volta essere certo di non seguire una strada di mentitori? E se invece non mentirono, se non mentì anche uno solo di essi, se anche uno solo di essi fu realmente illuminato ovvero ispirato, perché la sua strada dovrebbe essere peggiore della tua?
6. Se tu stesso, dici, sei illuminato ovvero ispirato, e conosci da ciò che il tuo dio è l'unico che ci sia, l'unico degno di culto, e lo conosci di là da ogni parola, allora, giacché il tuo dio è di là dalle parole, convincimi con la forza del tuo essere, con la forza che ti viene dal tuo dio, e non con la forza delle tue parole. Convinci me, adesso, e non un altro, perché quanti errori vi sono nel mondo, tanti provano che il mondo può errare: se tu convincessi tutti gli uomini che io ho torto, e non convincessi me, questo non proverebbe se non ciò, che io o te abbiamo torto.
7. Se tu dici che la forza del tuo essere, che hai in grazia del tuo dio, ha preso su di sé tutti gli uomini tranne me, convincendo tutti tranne me che il tuo dio è l'unico dio e che gli altrui dèi son falsi dèi, ebbene, tante sono le probabilità che io erri, quante quelle che erri tu. Perché quanta giustizia sarebbe in te, tanta ingiustizia dovrebbe essere in me per rifiutare. Se tu fossi grande al di fuori della media, io dovrei essere piccolo al di fuori della media per poterti respingere. Tanto è difficile che tu sia più grande di tutti, quanto è difficile che io sia più piccolo di tutti. Come posso dunque io, dimmi, credere che tu sia illuminato ovvero ispirato quando affermi che le mie opinioni su Dio sono false, se esiste per me il problema di credere, se la tua persona, che dici illuminata ovvero ispirata da Dio, non s'impone con evidenza alla mia? Io poi ben difficilmente ti crederò se dirai che mento o che fingo di non comprendere o che non voglio riconoscere la verità. Volentieri concederò invece che tu sia in buona fede per quel che riguarda la tua personale esperienza; riterrò però presuntuosa ignoranza la tua pretesa di giudicare dell'esperienza e della certezza di un altro.
[1977]
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