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LA CRISI ATLANTICA: SOLO UN INCIDENTE?

Clericus

 

“Chi ha perduto la Cina?” si chiedevano i politici e i militari americani negli anni ’50.

“Chi ha perduto l’Iran”? si chiedevano i loro successori, negli anni ’80.

“Chi ha perduto la Germania?” questa è la domanda che potrebbero porsi negli anni venturi, se non vi saranno cambiamenti significativi nei prossimi mesi.

A parte la retorica, non è ben chiaro, soprattutto sui media, che cosa sta succedendo; e può essere che gli stessi attori del dramma non ne siano del tutto consapevoli. In effetti, il vero significato degli eventi non può essere mai colto nel presente. Solo il futuro potrà dire se tutto ciò è solo un incidente, uno screzio sanabile, o se inizia una nuova era nei rapporti internazionali. Propenderei per la seconda ipotesi, confortato anche dal fatto che i gravi crash di Borsa generalmente precedono rivolgimenti significativi; ma lasciamo stare le considerazioni filosofiche, e veniamo alla questione.

 

Trasformazione della crisi

Dunque, ci si scervella sull’Iraq: se sarà guerra o pace, il Papa si muove, Saddam deve andare in esilio, e un bel giorno (o un brutto giorno) si apprende che Tedeschi, Francesi e Belgi bloccano l’aiuto della NATO alla Turchia “minacciata” dall’Iraq invocato da Mr. Bush e collaboratori quale meccanismo necessario per spingere la stessa Turchia contro l’Iraq. Devo dire che sono sorpreso: eravamo tutti così ipnotizzati dai discorsi dei politici e degli strateghi sull’Iraq da non vedere un iceberg proprio davanti ai nostri occhi.

Non c’è da equivocare sul significato dell’iniziativa franco-tedesca: è un messaggio a chiare lettere rivolto al governo turco, il quale, per sua sventura, non è in grado di prendere nessuna decisione giusta. Tale messaggio, nella sua banale chiarezza, tradotto nella versione economica (l’unica che interessi veramente al governo tedesco) è il seguente: “se vuoi entrare in Europa, cioè ricevere un po’ di marchi - anzi di Euro - per rimettere a posto la tua economia, devi cambiare atteggiamento verso di Noi; altrimenti rimarrai in lista d’attesa per qualche lustro. Insomma, questa guerra non s’ha da fare: pensaci”. Non solo: il messaggio è rivolto, forse, ancor di più verso quei Paesini (Estonia, Baltici, Repubblica Ceca) che hanno osato diffondere un documento di solidarietà verso gli Stati Uniti. La cosa deve aver fatto una brutta impressione agli Herren Schroeder e Fischer, che a differenza dell’Italia non sono abituati a essere trattati in questo modo. Come, la Repubblica Ceca è in via di integrazione economica con la Germania e si permette tanto? Bisogna rimettere subito le cose a posto. E la cosa avviene mentre l’ex compagno Putin, in visita a Berlino, gioca la sua tresca pensando con chi conviene schierarsi.

Le crisi internazionali talvolta sono noiose: si sa già come va a finire. E credo che l’amministrazione Bush abbia trattato la cosa con molta sufficienza, lasciando anche intendere che gli interessi in Iraq delle altre (ex) potenze (Germania, Francia, Russia) sarebbero forse stati tutelati, purché i tre suddetti si fossero comportati bene durante la crisi, stante comunque il fatto che nulla è garantito quando si tratta di petrolio (e non solo). Una simile mancanza di fair play economico deve aver messo in allarme gli affaristi tedeschi, francesi e russi: ed ecco che i tre si comportano malissimo, in modo plateale e quasi provocatorio. Che senso ha tutto ciò? Ma veramente il centro della crisi è l’Iraq?

In una recente intervista pubblicata sul Web, E. Luttwak aveva correttamente previsto la resistenza francese (in base a considerazioni economiche), ma pronosticava un coinvolgimento pro-America di Russia e Cina. Effettivamente la logica avrebbe sconsigliato alla Russia di spingere la sua opposizione oltre un certo limite (non è in grado si sostenere uno scontro sul piano tattico), ma pare che l’illustre stratega si sia dimenticato della Germania. E così un banale conflitto semicoloniale, scontatissimo in anticipo sul piano militare, sfocia nella crisi della NATO, anzi in uno scontro politico-diplomatico tra USA e Germania quale mai s’è visto dopo il ’45 e che sembrava impensabile fino a qualche tempo fa.

Ma è proprio così? Sicuramente, dal punto di vista americano - che è centrato, a mio parere, sull’Asia piuttosto che sull’Europa - la crisi con la Germania è un incidente di percorso, al punto che il Presidente Bush - ormai troppo compromesso con la strategia dell’intervento - non lo terrà ormai in nessun conto. Ma è possibile un’altra interpretazione, basata sulle dinamiche intraeuropee recenti.

 

La questione della Germania

La maggior parte dei commentatori vede la crisi tedesca come episodio della crisi nel Vicino Oriente. Questo punto di vista può essere ribaltato: la crisi ha avuto origine in Europa, e l’Iraq è ormai un pretesto. Questo potrebbe essere l’approccio corretto. L’espansione americana in Europa Orientale ha indebolito la presa della Germania su Paesi che, nelle fantasie tedesche degli anni ’90, avrebbero dovuto essere dépendances politico-economiche.

Se è vero che la Francia è militarmente e strategicamente assai più forte della Germania, è fuori discussione che il nucleo portante dell’economia europea è proprio quest’ultima. È pur vero che negli ultimi dieci anni questo Paese ha vissuto un forte declino economico (quattro milioni di disoccupati) ed è ancor più vero che il declino tecnologico della Germania è sotto gli occhi di tutti: la sua economia è tuttora centrata sull’industria meccanica e chimica, come dimostra la miserevole fine del Neue Markt. Per non parlare della situazione delle banche tedesche, pesantemente penalizzate dalla caduta della Borsa. Tuttavia, è pur sempre il centro economico e geografico dell’Europa, e il polo di attrazione dei Paesi dell’Est. In ogni caso, è verosimile che il governo tedesco - qualunque governo tedesco - sia interessato a difendere ad ogni costo la propria influenza in Europa. Si prenda la questione jugoslava: a soffiare sul fuoco dell’intervento pro-Croazia e pro-Bosnia fu soprattutto il governo Schroeder, che usò spregiudicatamente la NATO per portare avanti la propria politica micro-imperialistica a difesa degli amici di Sarajevo. Il fatto che l’intervento militare cooptasse massicciamente la NATO cioè gli USA creò una falsa impressione, e cioè che la Germania appoggiasse la NATO: in realtà, il governo tedesco fu coprotagonista e non comprimario.

La determinazione con cui il governo Schroeder-Fischer procede, senza considerare nient’altro che il proprio interesse all’egemonia sull’Europa sud-orientale, non era probabilmente prevista dall’amministrazione Bush. Ma stupisce comunque la spregiudicatezza con cui l’operazione è stata condotta, specie se si considera che il governo Schroeder solido non è, anzi. Dunque, è presumibile che dietro alla scelta anti-USA vi siano ben altre cose che l’opinione pubblica pacifista tedesca e le nostalgie verdi del ministro Fischer? Il sistema Germania è fortemente integrato e coerente al suo interno: è molto probabile che le ragioni della frattura con gli Stati Uniti siano quelle della declinante grande industria tedesca.

 

La questione della Russia

Ma la cosa più sorprendente è lo stesso clamoroso rientro della Russia sulla scena politica europea, in un ruolo da comprimario. Da ex grande potenza in via di disfacimento sotto l’etilista Eltsin, dopo i deliri di rinnovamento di Gorbaciov, sembra che questa Nazione abbia qualche possibilità di giocare una nuova partita, a patto di correre qualche rischio.

Del gruppo Francia-Germania-Russia, quest’ultima è la più debole. Ciò può sembrare strano: ma chi osservi con attenzione lo svolgersi degli eventi non può evitare l’impressione che la capacità politica e diplomatica della Russia nell’ultimo decennio fosse quasi nulla. Non solo non era stata in grado di impedire l’allargamento della NATO agli stessi Paesi Baltici, ma la stessa capacità di premere su questi ultimi è tuttora praticamente nulla. Dubbia è anche la presa sull’Asia Centrale, difficile il controllo della Cecenia, cattivi i rapporti con la Georgia e l’Azerbaijan, per tacere del disfacimento dell’apparato militare (la flotta, soprattutto). Ma la crisi interatlantica fornisce a Putin una opportunità insperata: appoggiarsi al nucleo franco-tedesco per diminuire l’enorme pressione americana, pur continuando a fingersi alleato, e sostenere i propri interessi almeno in Europa. L’alternativa è l’accettazione della situazione esistente.

Ma quali sono le carte che la Russia può giocare? In una intervista rilasciata a un quotidiano italiano l’anno scorso, il Presidente Putin aveva sostanzialmente affermato che la Russia avrebbe mantenuto la propria capacità di dissuasione strategica ancora per una decina d’anni; e poi? In ogni caso, le condizioni effettive delle forze armate e la situazione economico-finanziaria non consentono avventure di nessun genere. È chiaro che questo Paese è il primo ad essere interessato al contenimento degli USA, ma tale politica può essere perseguita solo appoggiando un Paese terzo, e non può in nessun caso sfociare in uno scontro diretto. Di qui, l’impressione di una diplomazia prudente, aliena da prese di posizioni troppo decise.

Le prospettive future sono incerte. È un fatto, comunque, che la fine del ciclo economico positivo ha nuovamente colpito i rapporti tra Germania e USA, come già avvenne agli inizi degli anni ’30. Può darsi che, quando le acque si saranno calmate, si decida per una politica di graduale ricomposizione del dissidio. La questione è però complessa, essendo di nuovo in giuoco la leadership dell’Europa.

  

[10 febbraio 2003]

 

 

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