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Andreina Acquarone
IL PANE DEI VECCHI
I ricordi sono il pane dei vecchi, perché ci riportano indietro al tempo spensierato dell'infanzia, ai sogni della giovinezza, o a rivedere nella memoria coloro che ci hanno voluto bene e che abbiamo amato, nonché tutte le persone che hanno fatto parte della nostra vita passata.
Si ricordano tutte le esperienze, belle e meno belle, le gioie e i dolori, tutto ciò che ci ha reso quello che siamo.
La nostra mente ormai vetusta si sazia di queste rimembranze, e desideriamo farne partecipi anche gli altri, specialmente se sono giovani.
Questa nostra necessità dipende dal fatto che in quanto vecchi non possiamo più fare piani per un sempre più breve futuro, o sognare ad occhi aperti cose che non potranno più avverarsi. Questa è la dura realtà dei vecchi, per cui non c'è una soluzione alternativa.
I ricordi sono quasi sempre all'apice dei nostri pensieri, sono le uniche cose al mondo che niente e nessuno può toglierci, o manipolare o contraddire, perché sono parte di noi, esclusivamente nostri.
Troppo spesso però gli anziani hanno l'abitudine di imporre i propri ricordi a chi sta loro vicino, quasi fosse il pane quotidiano.
Noi vecchi ci illudiamo di poter insegnare ai nostri giovani a vivere la loro vita sulla base delle nostre esperienze, dei nostri modi di vedere, ma non è così, perché nessuno impara dalle esperienze altrui, le quali, per di più, furono acquisite in un tempo ormai lontano, assai diverso dal presente.
Nel migliore dei casi, i nostri trascorsi possono fare riflettere e indurre a fare confronti tra ieri e oggi, perché, se la società è cambiata, se il progresso ha fatto passi da gigante, si vi è più libertà e tanti tabù sono scomparsi, se i giovani sono più istruiti e più indipendenti rispetto al passato, è tuttavia altrettanto vero che i problemi umani in fondo sono sempre gli stessi: paure, fiducia, gelosia, invidia, sete di potere, desiderio di vivere bene e felicemente, sete d'avventura, onestà e disonestà, sincerità e falsità, e pure la salute, la cosa forse più importante.
Fare dei confronti può essere utile per capire molte situazioni umane, sempre simili, che saranno sempre attuali finché il genere umano esisterà.
Ad ogni modo, spesso, quando un vecchio racconta la storia della sua vita, all'inizio le persone ascoltano con interesse e curiosità, come ascolterebbero un romanzo che parla di un'epoca lontana che loro non hanno conosciuto, narrato per di più in prima persona da chi l'ha vissuta, intercalato continuamente da emozioni personali.
Tuttavia, se queste vicissitudini vengono narrate di continuo, diventano noiose e stucchevoli. Lo so bene per esperienza personale, sono stata giovane anch'io e capisco bene quanto una persona anziana possa diventare tediosa e pesante se insiste a parlare sempre di ciò che ha fatto, imparato e visto, di come s'è comportata nel corso della propria vita, per quanto questa possa essere stata interessante.
Io stessa ho narrato e scritto a sazietà a riguardo della mia vita passata; ciò nonostante incorro talvolta in questo stesso errore, che pur mi dà così fastidio negli altri.
Vi è però una ragione particolare se torno spesso ai miei ricordi, ed è che i problemi della mia vita attuale di donna vecchia e quasi cieca non sono né nuovi né interessanti né tanto meno risolvibili. Le mie giornate, gira e rigira, sono tutte uguali. Per questo mi tuffo nei ricordi, ché se no non mi resta altra attività che quella di casalinga, monotona e ripetitiva come una catena di montaggio, ora poi anche faticosa, perché sono sempre stanca, e con tutte le ossa doloranti per via di tutti gli esercizi "ginnici" che questa attività comporta.
Inoltre la mia vita si è complicata per via della mia vista che s'indebolisce ogni giorno di più, per cui impiego il doppio di tempo per svolgere qualsiasi lavoro. E naturalmente anche doppia fatica.
Non esco mai, se non per fare quel po' di spesa indispensabile nei negozi sotto casa, e soprattutto non ho alcuna possibilità di parlare con gente nuova. Mi piacerebbe ogni tanto conversare con persone al di fuori dell'ambito familiare, scambiare opinioni, modi di vedere e di pensare, ascoltare discorsi nuovi e interessanti, diversi dai soliti.
Neanche tanto tempo fa, supplivo a questa mancanza cucendo, lavorando a maglia e all'uncinetto. Mettevo in moto tutta a mia creatività per occupare la mente, oltre che per trascorrere le mie ore libere di pensionata.
Ora i miei occhi non me lo permettono più. L'unico mio svago consiste nel leggere e nello scrivere con l'ingranditore. Per fortuna mi è rimasto almeno questo, spero che duri a lungo, insieme ai miei ricordi. Tuttavia...
I ricordi naturalmente sono sempre gli stessi, ma qualcosa è cambiato.
Tempo addietro, quando per esempio pensavo a qualcuno ormai scomparso, mi pareva di vederlo vicino a me, vivo, tale quale era stato nella sua vita. Ora non più: lo vedo come circondato di nebbia, come un'immagine sfocata, irraggiungibile nella mia memoria, come se fosse morto un'altra volta.
Se ascolto le vecchie canzoni di un tempo, che mi piacevano tanto e che mi piacciono ancora, penso subito che quei cantanti sono ormai morti e sepolti con le loro canzoni, che ormai quasi nessuno più canta.
Le canto io, molte di esse le cantava sovente mio padre, altre mi rammentano le mie amiche, quando le cantavamo insieme, con l'allegria propria della gioventù. Ora però non mi rallegrano più, quando le ascolto su cassette che qualcuno mi regalò.
Mi viene un nodo alla gola, perché oltre a mio papà anche tutte le mie amiche più care sono morte da un pezzo, ed io so d'essere la sola superstite del nostro gruppo. Sono però consapevole che prima o poi le raggiungerò là dove esse stanno da anni, e che forse allora potrò rivederle, perché attualmente anche i loro visi mi sono quasi sfuggiti dalla mente, avvolti come tutto il resto dalla polvere degli anni.
Veli opachi si sono stesi sui miei ricordi e dentro di me; avverto che l'attesa del futuro, i miei passati entusiasmi, i miei vecchi sogni, sono svaniti anch'essi in quella nebbia grigia e densa.
Ogni giorno qualcosa scompare soffocato dalla muffa del tempo insieme alla speranza, alla gioia di vivere. Mi resta soltanto la consapevolezza che la mia avventura terrena è vicina a concludersi.
Sono una donna stanca che non riesce più ad accettare il fatto che un giorno, forse non lontano, non riuscirà più a vedere la luce del sole, il viso di chi le è caro; che dovrà dipendere da tutti, e sarà per lei il buio completo, fuori e dentro di lei.
Niente potrà impedire ciò, salvo un miracolo. Io ho sempre creduto che a volte i miracoli accadono, se la fede è veramente sincera e profonda, ma questa fede io non la posseggo, e pertanto non mi attendo miracoli, anche se non si può mai dire, ci potrebbe tra l'altro essere un "miracolo" della scienza.
La vita terrena è breve, un alito di vento rispetto all'eternità. Per quel poco o nulla che se ne sa, nulla muore mai del tutto, cambia soltanto, rivivendo in modo diverso.
Si può quindi sperare in un aldilà, comunque possa essere. Per questo, durante qualche sprazzo di buon senso, dico a me stessa: «Dai, Andreina, datti una mossa! Va' avanti, invece di piagnucolare su te stessa, di guardare fra le nebbie del tempo che fu. Guarda in alto il cielo, il sole, la luna e le nuvole e, se non riuscirai più a vederli, immàginali, e convinciti che un giorno potrai finalmente vedere il mondo da lassù, con tutto quanto ci sarà di nuovo. Potrai finalmente conoscere il luogo in cui ti troverai, scoprirne tutti i misteri, magari in compagnia di tutti coloro che ti sono stati cari, quelli andati prima di te e quelli che avrai lasciato giù e che verranno dopo. Su, Andreina, ricorda che il sole muore ogni sera, ma rinasce ogni mattina».
28.IX.2004
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