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Andreina Acquarone
CLARA E NINO
Questa è la storia di Clara e Nino, come mi è stata raccontata da Emilia, che essi hanno allevata con affetto come fosse figlia loro. Per questo il racconto è steso in prima persona. I fatti che ho riportato sono per quanto possibile esatti, i nomi invece sono stati cambiati per non violare la riservatezza degli interessati che potessero ancora essere in vita.
Ciò che è narrato nella prima parte è tratto dai ricordi di Clara; quanto segue, invece, è frutto delle osservazioni dirette di Emilia.
Sentii raccontare spesso da Clara la prima parte della loro vita, a partire dall'infanzia fino al loro matrimonio, ma se Clara quando parlava di se stessa era attendibile in ogni dettaglio, diverso era quando raccontava di Nino, la cui storia può risultare lacunosa ed imprecisa, in quanto non le fu raccontata da Nino stesso, bensì dalla suocera e dalle cognate. Nino non parlava quasi mai del proprio passato, se non per qualche particolare insignificante. Era un uomo chiuso, introverso, che teneva per sé i suoi segreti e le sue vicende personali.
Per quanto riguarda la seconda parte della loro vita, la racconterò con cognizione di causa, avendola condivisa con loro per diciassette anni, cioè fino al mio matrimonio. Negli anni successivi, ebbi poi la possibilità di seguirli da vicino, fino alla loro morte.
In un paese dell'astigiano, tra il 1880 e il 1885, due giovani si unirono in matrimonio. Erano i genitori di Clara.
La giovane sposa si chiamava Tina; era carina, non molto alta e dall'espressione mite. Lo sposo era alto e prestante, ed era soprannominato «Pio Nono».
Non so per quale ragione gli fosse stato attribuito questo strano nomignolo; sta di fatto che tutti lo chiamavano così, compresa sua moglie. Perciò anch'io lo chiamerò Pio.
Tina l'aveva sposato contro il parere dei suoi genitori, che erano contrari perché Pio aveva il vizio di bere un po' troppo, e quando si ubriacava diventava litigioso e manesco. Per questa ragione si era creato dei nemici tra gli abitanti di un paese limitrofo. A quei tempi, infatti, tra paese e paese esistevano forti rivalità, che davano luogo a vere faide che si tramandavano di generazione in generazione, di padre in figlio, per cui spesso scoppiavano litigi e anche violente risse.
Ad ogni modo, nonostante ciò, dicendo a sua madre: «A me piace e lo voglio perché è bello», Tina infine se lo sposò.
Poco tempo dopo il matrimonio, si scatenò una rissa e a Pio tirarono addosso un bicchiere che lo ferì gravemente ad un occhio, per cui restò orbo. D'altra parte Tina veniva picchiata dal marito ogniqualvolta questi tornava a casa ebbro. Per tale motivo scappò di casa e tornò dai genitori, dicendo loro che non voleva più stare con quell'uomo violento e per di più orbo.
La madre l'ascoltò ma poi disse; «Tu l'hai voluto sposare a tutti i costi ed ora te lo tieni, perché le donne non abbandonano il marito e il tetto coniugale». Tina non aveva scelta e tornò da Pio. Allora si ragionava così.
Tina ebbe otto figli, tre dei quali morirono bambini. Sia lei che Pio erano analfabeti, però lui aveva imparato a fare i conti, perlomeno i più elementari, perciò era lui a gestire il loro magro bilancio familiare. Il più delle volte, quando tornava dal lavoro, doveva anche cucinare. Tina infatti era una brava donna, ma debole di carattere e neppure molto idonea alle faccende domestiche ed alla cura dei figli. Per questo suo marito ogni tanto alzava le mani su di lei, specie quando beveva troppo.
Nel 1891 nacque la quintogenita di Pio e Tina. La piccina fu chiamata Clara, era sana e forte, aveva capelli castani e gli occhi grigi piuttosto piccoli caratteristici della famiglia.
Erano molto poveri e, benché il padre, nonostante i suoi difetti, fosse un gran lavoratore, il denaro scarseggiava per mantenere tutta quella numerosa famiglia, soprattutto considerando che dopo Clara nacquero ancora altri tre figli.
Pertanto, quando Clara ebbe sei anni, Pio decise di emigrare in Argentina, come avevano fatto tanti suoi compaesani. Si fece rilasciare tutti i documenti necessari e si mise in lista d'attesa per il primo piroscafo disponibile. A fine ottocento erano infatti molti coloro che emigravano per il Sudamerica.
Nel frattempo una sorella di Pio, sposata e senza figli, propose al fratello di lasciarle uno dei suoi figli, dal momento che lui ne aveva tanti.
Pio accettò e, rivolgendosi ai ragazzi, chiese loro chi volesse rimanere con la zia. La piccola Clara si fece subito avanti e rispose: «Io».
Ora, è piuttosto insolito che una bambina di sei anni scelga di lasciare i genitori per stare con una zia, ed ancora più insolito è che i genitori accettino di separarsi dalla propria figlioletta forse per sempre, in quanto difficilmente gli emigrati di allora tornavano in patria, sia per la mancanza di mezzi finanziari sia perché magari, se pur con tanti sacrifici, riuscivano a rifarsi una vita migliore. Inoltre quasi nessuno di loro sapeva leggere e scrivere, per cui era quasi impossibile scambiarsi notizie per lettera, ed essendo a fine Ottocento non vi erano altri mezzi di comunicazione.
È dunque chiaro che già fin da allora tra la piccola Clara e il padre esisteva una grande incompatibilità di carattere. Del resto come poteva non essere così, trattandosi di un genitore duro e severo... È poi facile arguire che neppure lui fosse molto attaccato alla figlioletta. In quanto alla madre, lei non aveva alcuna voce in capitolo.
Fin da piccola, poi, Clara preferiva giocare con i maschi anziché con le femminucce. Lei stessa si definiva un «maschiaccio».
Pio infine cambiò idea e decise di non emigrare più, perché aveva saputo da qualcuno che gli emigranti italiani in Argentina erano malvisti e sfruttati, e vivevano in baracche, assolutamente indigenti. Decise quindi che, piuttosto che andare a vivere così male laggiù, tanto valeva starsene al suo paese.
Clara comunque andò ad abitare con la zia e lo zio, i quali, pur essendo poveri, non le lasciarono mai mancare il necessario. Iniziò anche ad andare a scuola, ma con scarsi risultati; infatti non terminò neppure la prima elementare.
Clara infatti preferiva di gran lunga accompagnare la zia durante il suo lavoro, che consisteva nell'alzarsi all'alba, andare a comprare frutta e verdura dai contadini e rivenderle poi al mercato. Clara ricordava spesso che, terminato il lavoro, la zia la conduceva con sé a bere un caffè, del quale lei fu sempre molto golosa.
Intanto il padre di Clara faceva impartire delle lezioni a pagamento ad uno solo dei suoi figli, il quale fu sempre il suo prediletto. Questo fratello di Clara, più giovane di qualche anno, si chiamava Pietro e, a detta di Clara, era il più intelligente tra tutti loro. Forse era proprio così, ma di certo il padre non fu imparziale, avrebbe forse dovuto provare a mandarli tutti a scuola, piuttosto che pagare un maestro per uno solo.
CLARA DEVE TORNARE IN FAMIGLIA
Quando Clara compì dodici anni, suo padre la rivolle con sé, perché era oramai in grado di lavorare e di conseguenza di aiutare la famiglia.
Gli zii protestarono e naturalmente protestò anche Clara. Poveretta! In quella casa si trovava bene. Ma il padre non volle sentir ragioni e la riprese con sé.
NON VI È PIETÀ PER CHI È POVERO
In famiglia lavoravano tutti duramente. D'estate andavano tutti a lavorare nelle fornaci a fare mattoni, in paesi diversi.
Fin da bambina Clara fu sempre molto orgogliosa, per cui non voleva essere da meno dei suoi fratelli, e spesso accettava di competere con loro durante il lavoro, destando persino nel padre uno scrupolo di giustizia nei suoi confronti, tanto che redarguiva i maschi di non accettare certe scommesse con la sorella, che era meno forte di loro.
Quand'era stagione andavano anche a lavorare nelle risaie come mondine, sia lei che la sorella maggiore Angela. Ricordava Clara che durante la mondatura del riso le donne di allora indossavano abiti lunghi fino ai piedi, non certo i pantaloni né tanto meno gli stivali. Dovevano tirarsi su le gonne per evitare di bagnarle troppo, perché stavano tutto il giorno con i piedi nudi nell'acqua della risaia, spesso infestata da bestioline varie, senza contare le punture delle zanzare. Eppure, alla fine della giornata, dopo avere mangiato, si riunivano tutte per scambiare ancora quattro chiacchiere, oppure cantavano le canzoni delle mondine, assai suggestive.
I rapporti tra Clara e il padre erano – come già accennato – abbastanza difficili, perché lei, a differenza di sua sorella Angela, non era molto remissiva e non accettava la durezza del padre. Si ribellava, per cui spesso le buscava, a volte anche al posto di Angela, perché aiutava quest'ultima ad andare di nascosto a ballare.
Angela invece era di carattere mite come la madre, e come questa non aveva né iniziativa né fermezza di carattere. Amava però ballare: per non consumare i tacchi degli zoccoli, danzava a piedi nudi.
Pio, quando non andava a lavorare, passava le serate all'osteria e non tornava mai a casa in tempo per la cena o neppure per andare a dormire. In quelle occasioni la moglie mandava sempre Clara a prenderlo, perché era l'unica della famiglia che riusciva a convincerlo a tornare a casa, sia pure dopo molte insistenze. Evidentemente Clara, al contrario di Angela e dei fratelli, era cocciuta quanto lui.
Per questo motivo Pio la chiamava «la scimmia».
Peraltro, salvo la madre ed Angela, in quella famiglia erano tutti molto suscettibili e permalosi. A mio avviso poi Clara era quella che somigliava di più al padre. Nell'ira Pio diventava violento e cattivo, mentre Clara veniva colta «dal nervoso», come diceva lei. In realtà questo suo «nervoso» altro non era che una crisi isterica: si metteva a tremare, a piangere senza potersi fermare. Più volte mi capitò di assistere a queste sue crisi, però non era violenta come suo padre, perché lei era di buon carattere.
Clara mi raccontò che verso i sedici anni fu colpita da uno strano malessere, mai identificato, ma tale che le impediva di svilupparsi normalmente, per cui non stava mai bene. Sua madre allora la condusse da un «settimino», il quale godeva fama di guaritore.
Costui le prescrisse di mangiare carne cruda di cavallo e di bere caffè corretto con succo di limone. Quella cura fu per Clara un vero toccasana. Probabilmente aveva solo bisogno di essere nutrita in modo diverso, forse era anemica.
A quei tempi erano pochi i privilegiati che potevano farsi curare dal dottore; i poveri pertanto si affidavano a questi veri o presunti guaritori.
Tutti in famiglia amavano il vino, lo bevevano fin da bambini. A questo proposito Clara raccontava spesso che quando tutta la famiglia doveva trasferirsi da un posto all'altro per lavoro, il padre all'ora di pranzo li conduceva a mangiare in qualche trattoria e poi chiedeva loro se preferivano consumare un primo e un secondo oppure un primo e il vino, dato che per tutt'e tre le cose mancavano i soldi. Ebbene tutti indistintamente sceglievano il vino anziché la pietanza.
Clara non dimenticò mai la zia che l'aveva tenuta con sé tanti anni prima, e quando questa si ammalò di cancro lei, pur essendo molto giovane, l'assisté come meglio poteva fino alla morte, che fu preceduta da un'agonia molto dolorosa. Ma Clara non si sottrasse mai ai suoi doveri, per quanto pesanti fossero, e poi voleva molto bene a quella donna, perché con lei aveva trascorso i più begli anni della sua vita. Non la dimenticò mai, anche perché con lei Clara, al contrario di quanto le avveniva in seno alla sua famiglia, si sentiva unica e insostituibile. L'affetto degli zii era tutto per lei, non doveva competere con i suoi fratelli per questo o quello, come per conquistarsi l'affetto e la considerazione del padre. E neppure era come l'affetto di sua madre, donna debole e abulica che non si curava di nulla e di nessuno, nemmeno di se stessa, svanita anzi tempo e incapace persino di tenersi pulita.
Clara diceva che lei e la sorella, fin da quando avevano dieci o dodici anni, si erano accollati la cura della casa e dei vari componenti della famiglia. Forse quella povera donna della madre non era diventata così nel tempo, ma così era nata; e pertanto, anche se non condivisibile, si può tuttavia capire la ragione per cui Pio la trattava come la trattava. Una donna, per quanto disgustata, debole e sottomessa, non potrebbe e non dovrebbe trascurare in questo modo i suoi doveri di donna maritata e di madre, a meno che non vi sia qualche carenza nella sua mente, cosa di cui io non ho mai saputo niente. Clara, quando parlava della madre, la definiva buona, ma niente di più.
Del padre invece aveva un'opinione del tutto diversa; lo definiva duro, non buono, ma lo considerava un vero uomo, in gamba, e sotto un certo aspetto l'ammirava, perché, come ho già spiegato, in fondo si somigliavano. Anche il fratello Pietro gli somigliava, anche se, come Clara, non si comportava come lui.
Difatti Pietro e Clara furono i soli della famiglia in grado di migliorare la propria vita dal punto di vista economico, nonché di assumersi le proprie responsabilità. Gli altri tre invece no, vissero così, alla giornata, senza alcuna ambizione o capacità di migliorarsi.
Luigi, il maggiore, si sposò con una brava ragazza del paese, nonostante che il padre fosse contrario perché lei apparteneva ad una famiglia in cui vi erano stati casi di tubercolosi. Difatti questa donna morì giovane di tisi, lasciando una bambina di tre anni della quale si prese cura Clara, che le era molto affezionata.
Però la bambina morì anche lei di tisi, come la mamma. Aveva allora cinque anni, e Clara ne soffrì molto, come naturalmente il padre Luigi.
Il povero Luigi voleva molto bene alla moglie e, poco prima che lei morisse, le aveva promesso che non si sarebbe mai risposato. Ma poco dopo la morte della figlioletta dimenticò la sua promessa e decise di risposarsi. Successe però una notte un fatto curioso, difficile da credere: si svegliò nella notte e vide in fondo al letto la moglie che lo rimproverava di volersi risposare rompendo così la promessa che le aveva fatto al letto di morte, dopodiché lo pizzicò fortemente sul braccio. Egli giurò che l'aveva vista davvero e convalidò l'accaduto mostrando un bel livido sul braccio.
Clara e la sua famiglia credettero tutti a questa storia. Sta di fatto che il fratello si spaventò così tanto che non si risposò mai più. È probabile che avesse sognato e, dibattendosi, avesse urtato contro la testata di ferro del letto. Ma se invece fosse accaduto davvero? Chi può essere certo del contrario?
Ci fu un anno in cui nel paese si propagò un'epidemia di vaiolo. A tal proposito Clara ricordava che, non sapendolo, andò a trovare una sua amica colpita da quel terribile morbo e le sfiorò la fronte per farle una carezza. Solo più tardi seppe che aveva il vaiolo, ma per fortuna non ne fu contagiata. Ella lo raccontava con una specie d'orgoglio, come se fosse merito suo. Evidentemente era munita degli anticorpi necessari per contrastare quella terribile malattia, che lasciava segni molto evidenti sulla pelle del viso di chi riusciva a sopravvivere.
Clara raccontava anche che suo padre in gioventù aveva sconfitto il colera bevendo tutto in una volta mezzo litro di grappa, dopo che s'era sentito male per la strada. Pio sosteneva che, dopo aver bevuto la grappa, s'era sentito subito meglio. Ne era proprio convinto, e Clara pure, ma naturalmente non ci furono mai conferme in proposito. Forse i miracoli qualche volta avvengono, ma a mio parere fu tutto troppo semplice per essere vero. Probabilmente Pio aveva mangiato qualcosa che gli aveva fatto male, e il liquore l'aveva fatto digerire, perché insomma mezzo litro di grappa qualche effetto avrà pure sortito...
Vi è un'altra cosa a riguardo dell'epidemia di colera che a me pare davvero grossa. Pio sosteneva che durante tale epidemia egli, insieme ad un gruppo di amici, aveva preso una mela, l'aveva infilzata su un lungo bastoncino appuntito, che poi aveva spinto il più in alto possibile. Dopo un certo tempo l'avevano tirato giù ed avevano constatato che la mela era completamente marcia. Ciò sarebbe successo a causa dell'aria infetta per via del colera.
Io non so se vi è qualcosa di vero in questa storia, ma Clara era convinta di sì, ed era pure persuasa che lui fosse un uomo in gamba che sapeva tante cose. A certe donne in effetti piacciono gli uomini autoritari e prepotenti, perché li considerano più maschi, «veri uomini», e Clara era tra queste.
Suo padre poi sapeva raccontare le fiabe, le stesse che Clara in seguito raccontò a me. Mi rammento quella di Cenerentola narrata in dialetto, in una versione piuttosto libera e colorita. I nomi dei personaggi erano molto divertenti, ma intraducibili.
LA FAMIGLIA SI TRASFERISCE A TORINO
Più tardi si trasferirono a Torino, credo pressappoco alla fine della prima guerra mondiale, dopo che i figli maschi avevano assolto il servizio militare. Sia Clara che i due fratelli minori trovarono lavoro in una fabbrica, Clara in fonderia.
La sorella Angela si era sposata, anche lei, come la madre, con un giovane non gradito al padre; aveva infatti l'abitudine di giocare a morra, cioè a soldi. Ma Angela lo volle ad ogni costo perché «era bello», e da quell'unione nacquero due figli.
Il marito di Angela lavorava in fabbrica, era un brav'uomo, ma sia lui che Angela erano analfabeti, di poca iniziativa, e così furono i loro figli. Tutte brave persone ma nulla di più.
A parte Angela, che ormai abitava col marito, sia Clara che i fratelli portavano a casa tutto il loro salario, che poi veniva amministrato dal padre, il quale continuava a comandare tutti, come al solito con grande durezza.
Un giorno Pio accusò ingiustamente Clara di non versare per intero il suo salario e, dopo una bella lite, la madre consigliò a Clara di andarsene da casa e mettersi per conto suo. Per una volta quella povera donna, che non aveva mai osato ribellarsi alla tirannia del marito, pensò di aiutare almeno la figlia a sottrarsene. Clara mise in pratica il consiglio materno ed essendo ormai maggiorenne se ne andò.
Affittò una stanza in un istituto popolare in Borgo San Paolo. Era una grande lavoratrice e una gran risparmiatrice, per cui in poco tempo riuscì a mettere da parte un bel gruzzoletto.
Nel frattempo il fratello Pietro si era pure sposato e, dato che voleva mettere su una piccola attività, chiese un prestito a Clara, e lei acconsentì. Pietro poi le restituì il denaro appena gli fu possibile.
Si era nel periodo antecedente all'avvento del fascismo, Clara lavorava sempre in fonderia e lì incontrò per la prima volta un operaio di nome Nino.
Era un periodo di grande confusione e i lavoratori, fino ad allora sfruttati dai padroni, reclamavano i propri diritti, per cui gli scioperi si susseguivano uno dopo l'altro. In seguito, raccontava Clara, gli operai occuparono le fabbriche. Fu un periodo di grande tensione e di disordini.
Il datore di lavoro di Clara convocò tutti i suoi dipendenti e disse loro: «Se volete gestire voi la mia fabbrica, fate pure, io me ne vado». E se ne andò davvero. Gli operai si dettero da fare, ma quando le materie prime usate per lavorare finirono, agli operai nessuno fece credito per acquistarle, in quanto non c'era più il padrone che disponeva dei capitali necessari e gli operai non potevano fornire alcuna garanzia. Per non perdere il lavoro dovettero fare marcia indietro e pregare il principale di tornare in fabbrica.
Secondo Clara, questi era una brava persona, per cui tornò e, senza alcuna ritorsione contro i suoi operai, riprese la direzione della sua fonderia. Tutto ritornò alla normalità e nessuno fu licenziato.
Ora, di certo era una brava persona, ma si dimostrò anche un «dritto»...
Mussolini all'epoca era socialista, anche se già preparava la sua rivoluzione. Erano tanti i socialisti, specie nella classe operaia. Anche Clara lo era, benché se ne stesse tranquilla. Per questo motivo, ma anche e soprattutto perché era una lavoratrice instancabile, era stimata e benvoluta dai suoi datori di lavoro, e pertanto il posto di lavoro non lo perse mai .
Durante quegli anni in cui viveva da sola, si sentiva finalmente libera di agire, di comportarsi come meglio credeva.
Era anche molto orgogliosa, per cui il fatto di essere indipendente era per lei motivo di grande soddisfazione. Del resto rimase indipendente per tutta la sua vita, non si fece mai mantenere da nessuno, lavorò sempre.
Questa sua indipendenza comunque fu tale solo dal punto di vista materiale; per il resto tutto fu assai diverso, in particolare dopo che il destino le fece incontrare Nino, suo compagno di lavoro.
Clara raccontava che all'inizio quel giovane di bell'aspetto le era molto antipatico, perché era strafottente, si prendeva gioco di tutti ed inoltre, essendo un socialista convinto, sobillava i suoi compagni a scioperare e a non lasciarsi intimorire dai padroni, per cui era malvisto da questi ultimi, che non vedevano l'ora di toglierselo di torno.
Nino era nato nel 1890 in una cittadina del Monferrato, ed era il secondogenito di sei figli. Era un bel bambino con capelli e occhi neri, molto vivace e intelligente. Aveva poi frequentato le elementari fino alla terza, il che a quei tempi era già abbastanza, e così avevano fatto i suoi due fratelli e le tre sorelle. Se ben ricordo, anche i suoi genitori sapevano leggere e scrivere.
Sua madre era piccola, non bella, d'aspetto un po' gracile, di carattere tranquillo. Ma sapeva ben gestire la sua prole e la sua casa. Il padre, di media statura, aveva gli occhi chiari e due bei baffi. Era molto severo, specie con i figli maschi, tutti piuttosto turbolenti e di bell'aspetto. Ma pare che, dei tre, Nino fosse il più intelligente e anche il più indisciplinato. Quanto alle tre sorelle, erano tutte carine e sveglie.
Nino dunque fin da bambino era il più difficile da gestire, perché era indipendente, poco ligio alla disciplina, ribelle. Il padre lo puniva spesso, ma non riuscì mai a «domarlo». Per questa ragione, quando Nino ebbe sedici anni, gli diede il consenso di partire come emigrante per l'Argentina insieme a dei conoscenti, anche se per la verità a casa loro non mancava affatto il necessario. In effetti il padre lavorava, la madre gestiva una botteghina di commestibili e la casa era di loro proprietà.
Ad ogni modo Nino partì e restò in Argentina per sette anni.
Si sa che lavorò come fornaciaio, un mestiere che aveva appreso dal padre, ma non si sa per quanto tempo abbia svolto tale lavoro, né come abbia vissuto, né dove di preciso, perché Nino non raccontò mai nulla a Clara di quel periodo della sua vita. Aveva comunque imparato lo spagnolo, sapeva leggerlo e scriverlo.
Si era nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, quando Nino ricevette una lettera da sua cognata che lo informava delle precarie condizioni di salute di sua madre, facendogli presente che forse non avrebbe più potuto rivederla.
In quello stesso periodo lo Stato italiano decise di pagare il viaggio di ritorno agli emigranti di leva.
Nino prese la palla al balzo e ritornò in patria ma, a differenza di tanti altri, senza una lira in tasca, non si sa se per sfortuna o perché non seppe risparmiare o per qualche altro motivo. Al suo ritorno fu arruolato nell'arma dei Carabinieri e mandato al fronte, dove fu anche ferito ad una caviglia.
Non ricordo da chi Clara lo avesse appreso, ma mi narrò più di una volta il seguente episodio.
Nino si trovava in un accampamento militare in zona di guerra, dove c'era un tenente la cui moglie abitava non lontano. Non si sa come, Nino la vide, la trovò molto attraente, tentò di conquistarla e ci riuscì. Però il tenente lo venne a sapere. Come punì la moglie non si sa, ma quanto a Nino, lo fece legare a un palo sotto il sole cocente e senza bere per parecchie ore.
Pare comunque che questo tenente fosse odiato da tutti i suoi soldati perché abusava della propria autorità. Pertanto, durante un combattimento, dopo che era stato ferito e, tentando istintivamente di tirarsi su, era rimasto impigliato in un reticolato di filo spinato, fu lasciato a morire lì, mentre avrebbero potuto salvarlo. Quest'ultimo episodio fu confermato anche da Nino, con una certa soddisfazione, certo per via della punizione che aveva subito. Questo Nino non lo disse, ma lo capii da me.
Anche i suoi fratelli erano sotto le armi, e capitò un giorno che per puro caso si ritrovassero tutti e tre nello stesso posto. Per questa ragione fu loro concesso un permesso speciale, e fecero bisboccia tutti insieme.
Uno dei suoi fratelli fu anche preso prigioniero dagli austriaci, ma per fortuna a fine guerra tornarono tutti a casa sani e salvi.
Finita la guerra, il fratello maggiore e il fratello minore di Nino, che erano bravi muratori, proposero a Nino di unirsi a loro e mettersi a lavorare in proprio, con a capo il maggiore che era il più esperto, ma non funzionò perché né Nino né l'altro fratello vollero essere sottoposti al maggiore, per cui si divisero.
Né l'America, né la guerra, né la militanza nei Carabinieri riuscirono a cambiare il carattere di Nino. Autoritario era e autoritario restò per tutta la sua vita.
Non gli fu però di alcun giovamento, perché non riuscì mai a farsi una posizione stabile e fruttuosa. Del resto non ci riuscì neppure il fratello più giovane, che era piuttosto scavezzacollo.
Il fratello maggiore invece, seguendo l'esempio di una loro sorella che si era sposata e poi trasferita laggiù con il marito, bravo muratore anche lui, partì per l'Argentina. Ma sei mesi dopo tornò a casa, non potendo reggere alla lontananza dalla famiglia, e fece bene perché morì nel pieno della maturità lasciando una vedova e una bambina di due o tre anni.
Raccontava Clara che Nino a volte diventava aggressivo, quando qualcuno o qualcosa non gli andava proprio a genio. Una volta, per esempio, prese a pugni un corteggiatore di sua sorella perché costui era un fascistone, mentre Nino, che fu sempre un socialista convinto, un fascista per cognato non lo voleva.
Un'altra volta invece prese a pugni un suo cognato che in sua presenza aveva schiaffeggiato la propria giovane moglie.
Una terza volta poi, poco dopo che suo fratello era tornato dall'Argentina, Nino lo prese a pugni per una strana ragione.
Pare che questi, quando c'era il plenilunio, allorché la sera rientrava a casa, volesse picchiare tutti, tanto che in quelle occasioni le sue sorelle si chiudevano a chiave nella loro stanza. Nino in quel periodo non abitava più in famiglia, essendosi trasferito a Torino per lavoro. Pertanto furono le sorelle ad informarlo dello strano comportamento del fratello maggiore. Nino allora, in giorno di luna piena, attese il rientro del fratello e, quando questi cominciò a dare in escandescenze, Nino, senza dire una parola, gli appioppò due bei pugni. Strano a dirsi, da allora in poi la luna piena non sortì più alcun effetto su di lui.
Per la verità io ho sempre avuto molti dubbi su questo fatto, mi è sempre parso poco credibile. Credo che neppure Nino credesse alla storia della luna piena, probabilmente il fratello era solo ubriaco. Clara invece ne era convinta, perché a lei l'avevano raccontato le cognate. Del resto bisogna ammettere che a volte la realtà è più incredibile dei sogni.
Pare dunque che Nino allora risolvesse i problemi così, tuttavia credo che reagisse in questo modo solo quando veniva provocato. Difatti negli anni seguenti non successe mai più, né io l'ho visto alzare mai le mani su qualcuno. Clara però, quando raccontava queste cose, in un certo senso lo ammirava, lo considerava un vero uomo, che non si lasciava intimidire da nessuno, proprio come suo padre Pio.
Bisogna considerare che Nino, fin da giovanissimo, era sempre vissuto liberamente, senza alcun freno né guida, e pertanto s'era fatto diffidente, guardingo, e aggrediva prima d'essere aggredito, giusto o sbagliato che fosse. Il suo carattere poi non si era certo addolcito negli anni della guerra, durante i quali aveva militato nell'arma dei Carabinieri. Qui aveva imparato ad osservare e a conoscere meglio il suo prossimo, sviluppando un certo intuito, tanto che raramente sbagliava nel giudicare la gente. Però non aveva affatto imparato a moderare il suo temperamento, e neppure ad essere più comprensivo verso le debolezze altrui. Non sapeva neppure perdonare, forse perché nessuno l'aveva fatto per lui.
A proposito del perdono, Clara ricordava spesso con un certo orgoglio come Nino una volta prese le sue difese, quando sua sorella si era permessadi criticare lei. Avevano litigato furiosamente, senza riconciliarsi. La sorella poi era ripartita per l'Argentina, da cui era tornata in occasione delle nozze d'oro dei loro genitori. Non si rividero mai più e neppure si scrissero per parecchi anni. Ristabilirono i loro rapporti solo dopo la seconda guerra mondiale, perché lei gli scrisse per prima, dicendogli che in tutti quegli anni il ricordo di quel loro litigio avrebbe ormai dovuto essere dissolto dal tempo. E gli scrisse pure che durante la guerra aveva temuto tanto per la sua vita durante i bombardamenti subiti dall'Italia. Nino le rispose sullo stesso tono e pace fu fatta. Però non avrebbe mai fatto lui il primo passo, ne sono certissima.
Prima di trasferirsi a Torino, Nino si fidanzò con una bella ragazza che prestava servizio nella casa di una sua zia, e le promise di sposarla appena si fosse sistemato e avesse trovato un lavoro.
Giunto in città trovò lavoro nella stessa fonderia dove lavorava Clara. La sua fidanzata però, dopo un po', stanca di aspettarlo, lo piantò e si sposò con un altro.
Fu allora che lui cominciò a interessarsi a Clara, riuscendo facilmente a vincere l'antipatia che lei inizialmente sentiva per lui.
Si era all'incirca tra il 1921 e il 1922, e la moda del tempo era piuttosto informe e certo non donava alle donne, a meno che fossero slanciate e ben fatte, per cui Clara non la seguiva.
Tuttavia, a sentir lei, amava vestire bene, si faceva confezionare gli abiti da una sarta che sapeva vestirla tenendo conto del suo tipo, con vestiti semplici e scuri.
Nino non era un Apollo, un campione di bellezza, ma era di certo un uomo prestante, di bell'aspetto. Clara, nonostante la sua iniziale avversione verso di lui, lo notò subito e ne fu colpita, e quando lui iniziò a girarle intorno, non le parve vero che quel bel giovane s'interessasse proprio a lei. Si sentì enormemente lusingata, e quando lui infine le propose di sposarlo, non ci pensò su due volte e accettò.
Cosa poi pensasse Nino di Clara non è dato sapere. Non lo disse mai neppure a lei. Se infatti le avesse detto di amarla, io, conoscendo Clara, sono sicura che l'avrebbe detto a tutto il mondo. Ma lei si accontentò della sua attenzione e, tutta fiera della sua conquista, lo condusse a conoscere i suoi familiari. Allora suo padre si congratulò con lei dicendole che Nino era proprio un «bell'uomo».
E così, come sua madre e sua sorella, si sposò con un uomo perché era bello, e non fu mai felice.
Ambedue avevano superato i trent'anni, non erano più dei ragazzini, ma avevano in comune un passato povero di affetto.
Erano soli e quindi si sposarono, lei perché lui era bello, e lui perché aveva bisogno di qualcuno che se ne prendesse cura.
Per quanto ne so, non avevano amici. Nino prima di sposarsi frequentava solo persone con cui passare le ore libere. Io non lo sentii mai nominare qualcuno in particolare, solo nella vecchiaia riuscì ad avere un paio di amici. Clara dal canto suo un'amica non l'ebbe mai. Da un certo punto in avanti la sua confidente fui io, benché fossi solo una bambina.
Neppure con i loro parenti avevano rapporti veramente affettuosi, salvo forse con le madri, che però ambedue avevano dovuto lasciare, volenti o nolenti, per seguire la propria strada.
La vita in comune non cambiò granché la situazione affettiva. Era una vita vuota, tra loro non esisteva alcuna affinità.
Clara era rozza, priva di qualsiasi istruzione; pertanto non legava con nessuno, aveva un modo di fare che non attirava la simpatia della gente, benché dietro quella dura scorza si celasse un cuore d'oro, tanta dignità, ma anche tanta paura di sbagliare. Probabilmente era affetta da un grande complesso d'inferiorità, che cercava di nascondere, specialmente nei confronti di Nino, che riteneva superiore a lei.
Nino a sua volta nascondeva il vuoto della sua vita o forse il suo fallimento di uomo incapace di farsi una posizione, fosse per sfortuna o negligenza o mancanza di autodisciplina o ancora, come sono sempre stata convinta, perché non volle mai piegarsi all'altrui autorità. Ad ogni modo, qualunque ne fosse la ragione, è chiaro che dentro gli si agitava il demone dell'insoddisfazione, e anche dell'egoismo. Clara ne fece le spese, e per difendersi aggrediva a parole colui al quale aveva sacrificato tutta la sua vita.
Quindi l'aggressività dell'una e la prepotenza dell'altro altro non erano che una copertura per nascondere il loro vero io e la carenza affettiva. Ambedue commisero lo stesso errore, seppure con motivazioni differenti.
Clara l'aveva sposato perché era bello, e ciò appagava la sua vanità di donna poco attraente e poco simpatica, che non fu corteggiata mai da nessuno, salvo che da un sarto vedovo con figli, che a lei non piaceva – e questo me lo confidò proprio lei.
Nino invece l'aveva sposata perché aveva bisogno di qualcuno che si occupasse di lui ma anche perché la sua fidanzata, che stava al paese, stufa di aspettarlo l'aveva piantato e si era sposato con un altro. Lui allora aveva sposato Clara per ripicca.
Clara questo forse l'aveva intuito, magari senza rendersene pienamente conto; ad ogni modo ne parlava come se invece Nino avesse preferito lei all'altra. Ma non era così, perché più di quarant'anni dopo, quando Nino morì, si trovò ancora la foto di quella ragazza nascosta in un baule di cui solo lui aveva la chiave. Ora, generalmente non si conserva per tanti anni, di nascosto dalla moglie, la foto di un'ex fidanzata. Ma costei era stata il suo primo amore, forse l'unico.
Quanto a loro, insieme non furono mai felici, e non ebbero mai figli, e questo per scelta, asseriva Clara.
LA LORO VITA DOPO IL MATRIMONIO
Dopo il matrimonio, celebrato nel 1923 con rito civile, Nino si trasferì a casa di Clara. Di mobili nuovi comprarono solo un letto e un comò; per il resto tennero quelli che già c'erano, comprati da Clara.
Clara cambiò posto di lavoro e chiese al suo nuovo padrone di assumere anche il marito, ma costui conosceva i precedenti politici di Nino e le disse che l'avrebbe assunto solo se lei se ne rendeva garante. Lei garantì e Nino, che forse aveva imparato la lezione, non creò problemi, sicché tutto filò liscio per un certo periodo. Ma poi una grave forma di pleurite lo costrinse a stare a letto per diverso tempo, perché allora non esistevano gli antibiotici e dovevano togliergli l'acqua dai polmoni con altri mezzi. Quando guarì, il medico gli proibì tassativamente di rimettere piede in fonderia, a motivo dell'aria inquinata e nociva che la caratterizzava. Così si ritrovò disoccupato.
Ora si era in pieno clima fascista e Nino, che era sempre e comunque un socialista convinto, non voleva assolutamente iscriversi al partito fascista, per cui nessuno lo assunse più. Da allora trascorsero circa quattro anni.
Clara, che nel frattempo aveva sempre continuato a lavorare, ad un certo punto inoltrò la domanda per ottenere la pensione d'invalidità, in quanto aveva sempre mal di stomaco. Il dottore le aveva detto il motivo di quel male ormai cronico, però Clara non riuscì mai a spiegarsi in proposito, forse non l'aveva capito. Ad ogni modo rimase a casa pure lei. Per sbarcare il lunario, tuttavia, lavorava a ore presso alcune famiglie, e usò anche i suoi sudati risparmi.
Quanto a Nino, non so come passasse le sue giornate, però subito dopo le nozze aveva smesso di uscire la sera, e passava le serate con la moglie, cosa che risultava incredibile alla madre e a tutti i suoi familiari. Non potevano proprio crederci, e invece le sue uscite serali erano davvero finite per sempre.
Questo, per un uomo come lui, fa intuire che finalmente sentiva la necessità di un po' di tranquillità. Clara fu sempre convinta – o forse lo sperò – che il merito fosse tutto suo, ma Nino agiva in realtà sempre e soltanto secondo i propri desideri, la moglie non aveva alcun potere su di lui.
È lecito pensare che Clara sia stata per lui un punto fermo che pose fine alla sua vita solitaria e vagabonda, qualcuno su cui poteva sempre contare e da cui non si allontanò mai più, nonostante tutte le loro divergenze e differenze. Per Clara invece sposare Nino fu il coronamento di un sogno, perché poté dimostrare a tutti, e in particolare al padre, che la «scimmia» era stata capace di conquistare e sposare un «bell'uomo». Povera donna! Pagò tutta la vita questo suo modo di ragionare. Dedicò tutta la sua esistenza a quell'uomo che non la ricambiò mai e che, sapendo quale posto aveva nel cuore di lei, ne approfittava troppo spesso. Clara inoltre si illudeva che lui fosse geloso, ma era solo possessivo: ciò che considerava di sua proprietà doveva essere sottoposto alle sue esigenze e ai suoi desideri. Egli s'imponeva e lei, benché riluttante, obbediva e si faceva in quattro per mandarlo sempre ben vestito, per nutrirlo a dovere (visto che aveva avuto la pleurite), durante la guerra togliendosi anche il pane di bocca.
Nove anni dopo le loro nozze, io entrai a fare parte della loro vita, e restai con loro per diciassette anni.
Cominciò così. Clara e Nino non nuotavano nell'oro, per cui si assunsero l'impegno di prendersi cura di me dietro compenso. Tale compenso non venne però mai pagato, loro tuttavia si erano molto affezionati a me e non ebbero cuore di lasciarmi, per cui mi allevarono gratis. All'epoca avevo circa tre anni.
Poco dopo la mia comparsa, Nino si iscrisse al partito fascista e in tal modo trovò presto un lavoro da svolgere all'aperto, quindi adatto a lui, benefico alla sua salute. Inoltre in quel lavoro non doveva sottostare ad alcuna autorità. Essendo un uomo intelligente, imparò diverse cose utili studiando su vecchi testi scolastici, rendendosi così indispensabile.
Ci volle il mio arrivo per deciderlo ad iscriversi al partito, a fare quel passo che gli costava tanto. Da allora in poi tutto filò liscio nel lavoro, che egli svolse sempre con impegno fino alla pensione.
Contemporaneamente Clara fu assunta come portinaia in una casa del centro storico, pertanto non doveva più pagare l'affitto e percepiva un modesto ma pur sempre utile stipendio.
Era l'anno 1934, io avevo sei anni e iniziai a frequentare la scuola.
Il comportamento di Nino verso la moglie non cambiò mai. Proprio non sopportava la moglie. Ricordo che spesso le faceva delle sfuriate nel bel mezzo del cortile, dove tutti potevano sentire, per motivi senza alcuna importanza, la caduta di un coperchio per esempio, e lei subiva, soffriva, e quando non ne poteva più veniva colta da una crisi isterica. Persino quando, dopo due disgraziate operazioni di glaucoma, lei aveva perso gran parte dell'uso della vista, lui non aveva mostrato nessuna comprensione.
Secondo me comunque la colpa era anche di Clara: era troppo accondiscendente, ma nello stesso tempo troppo franca, priva di tatto, la qual cosa aveva il potere di urtarlo.
Inoltre era troppo poco femminile. In lei era rimasto un po' il «maschiaccio» della sua infanzia, anche perché svolgeva ogni genere di lavoro, tra cui quelli che avrebbe dovuto pretendere da Nino in quanto uomo.
Vestiva sempre solo abiti neri che l'invecchiavano, e portava i capelli, grigi anzitempo, raccolti in una crocchia sulla nuca, esattamente come sua madre. Per giunta perse parecchi denti e da allora restò sempre sdentata.
Non era certo una bellezza, ma non faceva neppure nulla per migliorarsi un po'. A quarant'anni era già vecchia, io la ricordo sempre così. Che cosa allora ne pensasse Nino, non saprei dire, ma di certo tra lui e lei vi era una bella differenza.
Inoltre aveva l'abitudine di parlare a sproposito, nel senso che diceva sempre tutto quello che pensava, di bello e di brutto, a tutti senza distinzione, e questo suo modo di fare poteva creare imbarazzo o stizza nei suoi interlocutori.
Non aveva proprio la capacità di distinguere ciò che è lecito e opportuno dire da ciò che non lo è, e pensare che lei stessa era molto suscettibile e permalosa, così che capitava spesso che prendesse tutto alla rovescia. Per questi motivi sovente litigava con gli inquilini della casa di cui era custode, e ciò non le attirava certo le simpatie del prossimo...
Nino a sua volta con gli inquilini era prepotente, non sopportava d'essere contraddetto, pareva che invece d'essere il marito della portinaia fosse il padrone di casa. Se la prendeva con tutti anche per motivi futili. E io sono persuasa che in un certo modo Clara emulasse lui. La differenza fra loro era che quando Nino lo voleva o lo riteneva necessario, sapeva comportarsi correttamente.
Nino stava bene a tavola, sapeva usare coltello e forchetta e conversare senza entrare troppo nel particolare. Clara invece agiva sempre allo stesso modo e non conosceva le cosiddette buone maniere, ed è assai probabile che per questo lui si vergognasse di lei. Difatti con Clara non usciva quasi mai, non la portò mai a vedere un film, a fare una passeggiata o una scampagnata, mentre invece portava me dappertutto.
Non ricordo di averli mai visti scambiarsi qualche complimento o qualche gesto affettuoso. Mi risulta che soltanto una volta, poco dopo essersi sposati, Nino regalò a sua moglie una catenina d'oro con una medaglia, che lei portava sempre al collo quando andava a trovare i suoi familiari; quello fu l'unico regalo di suo marito. Lei festeggiava sempre il compleanno e l'onomastico di lui con un pranzo speciale, mentre lui, se ben ricordo, non le faceva mai neppure gli auguri.
A me ragazzina adolescente però regalava le rose. Fu sempre così, fui sempre importante per Nino, mi voleva bene come se fossi figlia sua.
Poiché Clara, come tutti i suoi familiari, fin da bambina amava il vino, Nino una volta all'anno la portava in qualche osteria a bere con lui un mezzo litro di vino.
Le osterie di un tempo non erano come i bar di adesso dove vanno tutti, uomini donne e ragazzi senza alcun problema; allora quelle bettole erano frequentate solamente da uomini che, fra un bicchiere e l'altro, giocavano a carte, e spesso tornavano a casa piuttosto, o del tutto, brilli.
Clara comunque in quelle rare occasioni toccava il cielo con un dito, ma in realtà secondo me, si trattava da parte di Nino quasi di un atto di disdegno nei suoi confronti. Era quasi come il padrone che dà un osso al cane per premiarlo della sua obbedienza, della sua fedeltà. Per fortuna Clara questo non lo capì mai.
Con lo stesso disdegno, e insieme per un sentimento di dovere, Nino una volta all'anno andava a far visita ai suoceri. In quelle poche ore si adeguava ai loro gusti, alle loro scarse capacità intellettuali, e andava con loro in un'osteria a giocare una partita a briscola. Loro lo consideravano un uomo superiore.
Per un anno poi non si faceva più vedere.
Anche a trovare i suoi familiari andava solo una volta all'anno, ma perché essi abitavano al paese, che distava da Torino una sessantina di chilometri. Questi erano diversi dai parenti di Clara. Più intelligenti, ci sapevano fare con la gente. Invece i suoceri, esacerbati dall'assoluta mancanza di istruzione, erano suscettibili e diffidenti verso tutti e verso tutto ciò che non capivano.
Per quanto riguarda me, devo dire che mi volevano bene tutt'e due. Tuttavia, se Nino non mi avesse voluta, Clara mi avrebbe lasciata andare via, perché Nino per lei veniva sempre prima di me, assolutamente, benché fosse affezionata anche a me.
Nino però decise di tenermi perché mi voleva bene, e credo di poter affermare che, oltre a sua madre, io fui la persona più importante della sua vita. Seppe dimostrarmelo, fu con me tutto quello che non era stato con nessun altro.
Avevo conquistato il suo cuore trattandolo esattamente al contrario di come lo trattava Clara, e così riuscivo ad ottenere da lui tutto ciò che desideravo. Sapevo prenderlo per il verso giusto, l'abbracciavo, gli facevo qualche moina, magari gli davo un bacetto, per cui se prima mi aveva detto di no, poi mi diceva di sì, sempre. Questo dimostra quanto fosse sensibile ai gesti affettuosi, che però Clara, nonostante la sua dedizione, non seppe mai esprimergli.
Anche Clara mi voleva bene, fu lei a prendersi cura di me, come meglio sapeva. Sebbene fossi solo una bambina, divenni la sua confidente, mi raccontava tutto, si sfogava con me quando era addolorata, offesa o arrabbiata per qualsiasi motivo. Finché fui bambina fui sempre solidale con lei, e i nostri rapporti erano ottimi. La consideravo e la chiamavo mamma, così come consideravo Nino un papà.
Clara aveva un buon rapporto con gli animali e con i bambini piccoli, e credo di sapere il perché. Con queste creature lei non sentiva il bisogno di nascondersi, era se stessa, perché non si sentiva inferiore a loro, non se ne sentiva giudicata.
Anche con i suoi familiari, a parte il padre, si sentiva così, semplice, simile a loro. Quando venivano a trovarla e mentre parlavano insieme, sembrava un'altra persona.
Clara pareva un libro aperto, ma giù in fondo all'anima dove ognuno è veramente se stesso, era un miscuglio di complessi, di insicurezze, di dolore, difficile anzi impossibile da analizzare, da capire. Forse aveva soltanto bisogno di sentirsi amata per quella che era, senza che si pretendesse da lei quello che non era in grado di dare. Per lei ci sarebbe voluto un uomo semplice, dolce e affettuoso, che la facesse sentire importante e soprattutto amata. Ma lei Nino l'aveva sposato perché era bello, e questo suona come una contraddizione in una persona così positiva, con la testa sulle spalle, una contraddizione che io non sono mai riuscita a comprendere del tutto. Come del resto non sono mai riuscita a capire come un uomo come Nino, così chiuso, introverso, autoritario, che non parlava mai di sé e non si confidava con nessuno, e Clara, una persona così diversa, siano riusciti a vivere insieme per quarant'anni.
CONSIDERAZIONI DI UN'ADOLESCENTE
Quando fui un'adolescente iniziai a vedere le cose con i miei occhi, non più con quelli di Clara.
Ed essendo sempre stata molto osservatrice, mi resi conto come erano effettivamente il suo carattere e il suo comportamento sia con la gente che con Nino.
Nei miei riguardi, mentre Nino era sempre accondiscendente, non così Clara: se diceva no, era no.
Spesso poi mi ricordava che se non ci fosse stata lei a prendersi cura di me chissà come sarei finita, e a me queste parole davano fastidio, mi sentivo umiliata.
Anche a Nino rinfacciava di averlo mantenuto per quattro anni quando era disoccupato, e che aveva sempre fatto di tutto per contentarlo, ed era vero, ma per quanto mi riguardava non ero stata io ad imporre la mia presenza e a chiedere il loro aiuto. Era stata da parte loro una libera scelta, dapprima fatta per guadagnare qualcosa, anche se dopo si affezionarono e mi tennero comunque.
Più tardi capii che Clara con me non lo faceva apposta per ferirmi, mentre con Nino era proprio così, era una forma di vendetta da parte sua verso quell'uomo che non le dava nulla.
Era un po' come se Clara con una mano ti offrisse un regalo e con l'altra ti facesse vedere il cartellino del prezzo. Lo si può anche capire, perché era la sua unica arma. Con Nino la usava spesso, senza capire che, così facendo, invece di attirarsi l'affetto e l'attenzione, otteneva l'effetto contrario, perché il suo orgoglio di uomo non poteva sopportare e accettare quelle continue recriminazioni. Inoltre bisogna tenere presente che Nino fin da bambino era andato a lavorare alla fornace col padre, a sedici anni andò in Sudamerica e laggiù avrà pur lavorato per vivere; tornato in patria andò in guerra per quattro anni, poi lavorò in fonderia. Infine si ammalò e restò disoccupato per quattro anni. Quando poi si decise a iscriversi al partito fascista, ricominciò a lavorare e lavorò fino alla pensione. Quindi in settantacinque anni, restò disoccupato soltanto per quattro, e non è la fine del mondo. E se poi Clara per una volta si fosse impuntata, magari lui si sarebbe iscritto prima al partito e di conseguenza avrebbe trovato lavoro prima, ma lei, pur assillante, non sapeva mai imporsi al marito, alla fine lasciava sempre correre.
Era anche molto gelosa, non so se a torto o a ragione, ma anche supponendo che avesse ragione, non avrebbe dovuto mostrare la sua gelosia così apertamente, riusciva soltanto a dimostrare a Nino quanto ci tenesse a lui. E poi non aveva prove di suoi tradimenti.
Solo una volta decise davvero di lasciarlo e andarsene via con me. Aveva pensato di mettere su un'edicola, ma non aveva tutto il denaro necessario a rilevarla. Chiese in prestito quel che le mancava al fratello Pietro, al quale anni prima aveva prestato lei del denaro per permettergli di mettersi in proprio. Pietro però, benché potesse, rifiutò. Clara si offese, ritenendo il fratello un ingrato, ma dovette comunque tornare sui suoi passi. È probabile che non sarebbe stata in grado di gestire un'edicola, essendo semianalfabeta, ma io sono convinta che il denaro non le fu prestato a causa mia, dato che non era una nipote legittima. Affermo questo perché sia la famiglia di Clara che quella di Nino non avevano visto di buon occhio la mia venuta, dato che fratelli e nipoti avevano sperato di ereditare da loro, fino a che erano rimasti senza figli.
Nino non seppe mai di aver corso il rischio di rimanere solo; per quanto riguarda Clara, penso che, passata la rabbia, sia stata contenta così.
Nonostante il mio aspetto timido e remissivo, io fui sempre una ribelle e reagivo agli scatti d'ira di Nino rispondendogli per le rime. Di conseguenza litigavamo spesso, ma lui con me non fu mai né violento né irrispettoso, e non ci tenevamo mai il broncio. Quando volevo ottenere qualcosa da lui, gli facevo le moine, gli davo un bacio, e lui finiva per accontentarmi sempre.
Questo rese Clara gelosa di me, in quanto vedeva che una ragazzina dalla lingua lunga, che aveva il coraggio di tenere testa a Nino, era riuscita dove lei aveva fallito. Non capì mai che dipendeva dal fatto che io sapevo essere dolce e convincente col mio papà adottivo, che lo facevo sentire necessario, e che era per questo che mi voleva bene più che a qualsiasi altra persona al mondo.
A parte questo, però, devo rendere giustizia a Clara: la parte più pesante e impegnativa verso di me se l'era assunta tutta lei, che era una donna buona e generosa e sapeva sacrificarsi per il mio bene, come – ancor più – per quello di suo marito.
Penso che quando mi sposai Clara pensasse d'aver finalmente chiuso un capitolo e che avrebbe ritrovato il suo Nino tutto per sé.
In effetti al mio matrimonio lui piangeva, Clara invece no. Eppure lei era una che piangeva facilmente.
Ad ogni modo, ambedue furono degli ottimi nonni, amarono i miei bambini senza riserve e non ci furono mai conflitti in questo senso. Clara mi aiutò ad allevare i miei figli con scrupolo ed affetto, mentre Nino si comportò con loro esattamente come aveva fatto con me: li portava a passeggio, comprava loro il gelato o la brioche o le caramelle ed era fiero di loro, i suoi nipotini.
Ma il suo atteggiamento con Clara fu sempre lo stesso, anche se si era assunto l'impegno di andare a fare la spesa e aveva preso per sé altre incombenze, per via della progressiva cecità di Clara.
Nino morì all'età di 75 anni, ma nemmeno dal suo letto d'ospedale voleva vedere a lungo la moglie. Lei infatti, più inopportuna del solito, gli rivolgeva sempre le stesse domande – come si sentiva, se aveva mangiato, se poteva alzarsi – mentre lui stava per morire di cancro e da più di un mese non riusciva più ad inghiottire neppure un sorso d'acqua, le forze l'avevano completamente abbandonato. Perciò, ogniqualvolta Clara andava a trovarlo, lui la mandava a casa. Voleva avere accanto solo me e nessun altro, neppure gli altri suoi familiari.
Durante una sua visita, a Clara scappò di dire a Nino: «Tu che non hai mai avuto pazienza con me, nemmeno quando persi quasi del tutto la vista, ora devi dipendere dagli altri in tutto e per tutto». Lui non rispose, non poteva. Clara poi mi disse d'essersi pentita d'avergli rivolto quelle parole; tuttavia, pur non condividendo, io posso anche capirla: si era presa una rivincita per le tante, innumerevoli volte che lui l'aveva offesa e disprezzata.
Qualche giorno dopo Nino morì. Quando Clara vide il marito steso nella bara, gli sfiorò il viso con una mano dicendogli: «Sei sempre bello, anche adesso».
Clara sopravvisse a Nino ancora dieci anni, otto dei quali li trascorse in casa mia. Io ero sposata e avevo tre figli.
Per lei fu molto duro rinunciare alla sua casa, alla sua indipendenza, ma era diventata quasi cieca e non era più in grado di badare a se stessa.
Infine morì a seguito della rottura di un femore. Era stata operata, ma dall'operazione non si era più ripresa.
In me è incancellabile il ricordo di ciò Clara e Nino hanno fatto per me, ognuno a modo proprio, ma sempre con il cuore, senza riserve.
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