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Andreina Acquarone
ARCANA NOSTALGIA & ALTRI SCRITTI
Andreina Acquarone a dicembre 2007
I.
Era un'afosa notte estiva, un caldo opprimente mi impediva di dormire, quindi mi alzai ed uscii sul balcone, nella vana speranza di respirare una boccata d'aria fresca.
Alzai gli occhi al cielo, una luna limpida e chiara illuminava la notte e le stelle le facevano da sfondo. Inspiegabilmente riuscii a vederle – da tempo infatti non ci riuscivo più – per cui le fissai con una specie di timore, per tema che sparissero al mio sguardo.
Qualche volta pare che tutte le cose che ci circondano si mettano d'accordo con noi, con i nostri desideri di pace, di riflessione e di chiarezza.
Si dice che la luna fa sognare gli innamorati; per me però non è mai stato così, non mi fa pensare all'amore. A me ispira un misterioso senso di nostalgia, esattamente come il verde dei prati, gli alberi frondosi le cui foglie sono mosse da una brezza leggera carica di effluvi silvestri, o tutti i piccoli mormorii e sussurri che si sentono solo in aperta campagna o nella solitudine dei boschi.
In questi rari momenti di pace, oppure quando ammiro il firmamento, sento agitarsi in me pensieri e percezioni così radicati nel mio profondo come lo è il seme nella terra, che cresce cresce e poi spunta, piccolo piccolo ma già palpitante di vita. Solo che a me non è ancora capitato di vedere nascere la piantina palpabile, ho soltanto la sensazione che ci sia.
Tali sensazioni non mi sono nuove, ma aumentano con il passare del tempo. È come scrutare il cielo stellato, immaginando che lassù, a distanza inimmaginabile, esistano altri mondi simili al nostro pianeta oppure completamente diversi, così diversi che neppure la fantasia più sbrigliata possa riuscire a concepirli.
Per me è così: che cosa c'è, nell'angolo più remoto del mio io, che non posso mai far affiorare in superficie? Non capisco proprio come fare. Ogni tanto ci provo, come in quella notte così bella, con le stelle e la luna, pensando e meditando, ma non sono mai venuta a capo di niente.
Eppure io sento, io so che dentro di me si cela un mistero, e che ignorarlo mi ha finora impedito di essere completa.
Un mistero che non ha nulla a che vedere con la mia famiglia o con la vita di ogni giorno.
È come se mancasse la tessera più importante per completare un mosaico, quella tessera che è la parte sconosciuta di me stessa. E non mi riferisco a Dio. O forse sì? Non lo so.
Ma quella notte, sul mio balcone, nel silenzio che mi circondava, alla luce della luna, sapevo che tutto quello che ho ed ho avuto dalla vita non è stato sufficiente a colmare questa lacuna che sento dentro di me ogni giorno di più. È come voler trattenere dell'acqua corrente nel cavo della mano: essa sfugge via inesorabilmente, non si ferma mai, corre e corre per ogni dove, continuamente, si direbbe che non abbia mai pace, proprio come me, che giro e rigiro per ritrovarmi poi sempre allo stesso punto di partenza.
L'acqua però è indispensabile per la vita di tutti noi e della nostra terra; allora forse anche queste sensazioni ed inquietudini che si alternano dentro di me, nel mio spirito, o anima, o mente che dir si voglia, forse fanno parte della vita stessa, della vita spirituale senza la quale saremmo incompleti.
Solo che, se dell'acqua conosciamo il percorso, del nostro percorso spirituale invece non sappiamo nulla, non sappiamo dove ci porterà, né come e quando si concluderà.
II.
La luna, a quanto si afferma, è composta di rocce, crateri e cose simili; ma per me è come un faro nell'oscurità del mio subconscio, il quale pare voglia dirmi: «Fermati, la tempesta imperversa dentro di te, ma tu segui la mia luce che ti guiderà verso un porto sicuro, limpido, senza ombre. Rifletti, medita e ascolta ciò che senti dentro di te, non lasciarlo sfuggire, perché ti appartiene da sempre, da un tempo infinito».
Non credo che in natura esista il caso puro e semplice, sono convinta che ogni più piccola cosa abbia una sua voce, un suo senso, un suo compito ben preciso, in perfetta simbiosi con tutto il resto, esseri umani compresi, e non solo esteriormente, ma soprattutto spiritualmente.
Quando mi trovo in questo stato d'animo mi pare che tutto ciò per cui noi ci arrovelliamo il cervello, nel tentativo di risolvere i nostri problemi quotidiani, tutte le cose per cui noi proviamo tanto interesse, altro non siano che modi di perdersi in un oceano di inutilità, di fatuità – nel quale purtroppo anche i bambini sono coinvolti loro malgrado – lasciando così da parte il nostro essere, quello vero, la sola autentica essenza di noi stessi.
Ho divagato un po', ma anche queste divagazioni fanno parte delle sensazioni che provo. Esse sono estremamente piacevoli, anche se quando le provo sento come un nodo alla gola; è come attendere di varcare una soglia che però resta sempre chiusa lasciandomi fuori in un'inutile attesa.
Inoltre tutte queste mie sensazioni ed emozioni mi sembra di averle già vissute. Sento come una sorta di nostalgia, come quando si pensa ad un felice passato che non esiste più.
Però il mio passato conosciuto non suscita alcuna nostalgia in me, né mi fa provare emozioni così intense, proprio perché mi è noto. Queste percezioni non so da dove vengano, né perché mi facciano desiderare di tornare indietro. E poi, indietro dove? Non ne ho la più pallida idea.
È come quando siamo sul punto di ritrovare qualcosa o qualcuno di molto caro ed importante che si credeva di aver perduto per sempre, e però non lo si trova, e allora si sente dentro di noi un vuoto incolmabile. Se penso a questo, il cuore mi balza in petto, temo di non poter mai scoprire questo mistero.
A volte mi viene il dubbio che forse ho vissuto in un'altra vita. Molta gente crede nella reincarnazione, ma io per la verità non sono sicura quasi di niente.
L'unica cosa di cui sono sicura, infatti, è che tutte queste sensazioni le sento e le capto molto intensamente. So di essere sulla soglia di qualcosa di bello ma – ahimè! – sconosciuto, perché è ben nascosto dentro di me.
In un certo senso è come voler scoprire il mistero dell'universo infinito, solo che il mio universo personale mi è molto più vicino, anche se altrettanto impenetrabile.
È l'arcana nostalgia di un tempo che fu, oppure il presagio di un tempo che deve ancora venire?
Se lo sapessi, non sarei più qui.
Torino, 14 novembre 1998
I.
Da un po' di tempo non mi sento troppo bene e soffro d'insonnia. Stanotte, come al solito, non potevo dormire. Quando finalmente presi sonno, feci un sogno piuttosto singolare.
Mi trovavo in una stanza d'ospedale, però la malata non ero io, bensì una donna, che era sdraiata sopra una poltrona ma mi dava le spalle, per cui non la vidi in volto, vidi solo i suoi capelli scuri e sentii la sua voce, dal timbro imperioso ma giovanile.
In fondo alla camera vi era pure una giovane dottoressa, in camice bianco, con i capelli raccolti sulla nuca e un viso carino.
La paziente ad un tratto intimò con voce decisa: «Andatevene via, voglio stare sola».
Io uscii per prima e mi diressi verso una camera che sapevo essere quella della dottoressa. Vi entrai di soppiatto per cercare qualcosa che non ricordo ma che comunque non trovai, per cui uscii alla svelta per tema di essere scoperta. Prima però girai l'interruttore per spegnere la luce, ma questa si riaccese da sola, provai e riprovai, ma sempre con lo stesso risultato, per cui uscii e chiusi la porta.
Mi trovai però davanti la dottoressa che mi guardava con disapprovazione. Io tentai di giustificarmi dicendole che avevo sbagliato stanza, ma fu evidente che lei non mi credeva.
Poi mi svegliai con grande sollievo, e mi alzai per andare a bere...
II.
Tornata a letto, non saprei dire se mi riaddormentai, so soltanto che ad un certo momento mi accadde qualcosa di molto strano o, per meglio dire, di inspiegabile.
Mi sentii come se andassi giù verso un vuoto e pensai tra me: Se io lo voglio, posso forse arrivare fino in fondo. Quindi mi concentrai su quel pensiero, però ad un tratto mi accorsi di precipitare in quel vuoto senza confini, non col corpo però, ma con la mente. Di colpo mi resi conto che, se non distoglievo il mio pensiero da quel mio desiderio di sapere se sarei stata capace di arrivare laggiù, non avrei più potuto risalire. Così, con un enorme sforzo su me stessa, mi trovai al sicuro nel mio letto, sveglia ma angosciata ed esausta per lo sforzo.
Per un po' stetti veramente male. Mi sentivo oppressa da un peso, mi sentivo quasi soffocare. Spinsi via le coperte, girandomi e rigirandomi senza sosta. Infine mi sedetti sul letto, quindi mi distesi di nuovo. Tutto ciò durò forse un quarto d'ora o forse più, non saprei dire.
Finalmente mi calmai, ma con la netta convinzione di essere stata sul punto di morire, cosa di cui sono tuttora convinta.
Fu un'esperienza angosciosa, anzi paurosa, che spero di non più rivivere, perché per ora non ho la benché minima intenzione di morire.
III.
Molti anni fa feci un'esperienza analoga. Non stavo bene e il medico mi prescrisse un farmaco.
Poco dopo averlo ingerito mi accadde la stessa identica cosa, solo che allora non fui io a voler precipitare in quel vuoto, bensì fu colpa del farmaco, o almeno così io credetti.
Però, esattamente come la notte scorsa, mi ci volle lo stesso grande sforzo di volontà per risalire. Fu diverso invece il fatto che quella volta ero pienamente cosciente di ciò che mi stava capitando. Lo ricordo molto bene, ero sveglia.
Stavolta invece non lo so affatto, anche se tutto è molto chiaro nella mia mente.
C'è ancora una differenza: quell'altra volta restò in me un senso di paura; per diverso tempo non riuscivo più a stare da sola, dovevo sempre avere qualcuno vicino. Questa volta invece no, anche se so che non dimenticherò mai più questa esperienza, sogno o realtà che fosse.
Torino, 23 agosto 1999
I.
Paura senza spiegazione
Un paio d'anni fa, quando di sera dovevo passare a luci spente in uno dei due corridoi di casa mia, venivo colta da una paura strana ed irragionevole. Avevo come la sensazione di una presenza invisibile ed inquietante che mi incuteva paura. ero come pervasa da qualcosa di negativo.
Quel che era anche più strano è il fatto che questa paura la provavo passando soltanto in quel corridoio e non nell'altro; non la provavo neanche nella camera.
Ero proprio spaventata e non ne ho mai capito il perché. Ho tentato di individuarne la causa, cercando di ricordare se in quella parte dell'alloggio fosse morto qualcuno prima che noi venissimo ad abitarci, ma scartai subito l'idea perché le persone che vi avevano abitato prima di noi erano morte altrove, e prima di loro non esisteva ancora la casa.
Pensando e ripensando, mi è comunque tornato in mente qualcosa di singolare. Alcuni anni prima avevo notato, tenendo in braccio la mia nipotina di pochi mesi, che quando la portavo nella mia camera, adiacente a quel corridoio, spesso, mentre stava supina sulle mie braccia o sul letto, guardando il soffitto si metteva per qualche attimo a piangere disperatamente, come se lassù nel soffitto avesse visto qualcosa che la spaventava.
Successe varie volte, e per questo ci avevo fatto caso, poi non successe più e a me passò di mente.
Ci sarà stato un nesso tra le nostre due paure? Non lo so. Si dice che i bambini piccoli a volte abbiano visioni, sensazioni che i grandi non captano e non vedono. Forse è vero, ma come esserne sicura? come essere sicura che quello che spaventava la mia nipotina e la mia paura avessero la stessa origine? Lei era troppo piccola per ricordare, e io troppo ignorante in materia per trarre delle conclusioni.
Tengo a precisare che io non ho mai avuto paura del buio, neanche da bambina, e non ce l'ho neanche ora, nonostante questa esperienza, che durò una ventina di giorni.
Dopo questo periodo, tutto finì. Riprovai questa paura ancora diverso tempo dopo, ma solo due o tre giorni. Spero non mi succeda più, non è stato affatto piacevole.
II.
Una sensazione condivisa
Circa trenta-trentacinque anni fa, quando ancora andavo in negozio, avevo per clienti due anziane sorelle, entrambe da sposare.
La maggiore si chiamava Camilla, era molto simpatica, scherzosa e arguta, piaceva a tutti.
L'altra si chiamava Tonietta e non somigliava per nulla alla sorella. Era piccola, grassa, con i capelli bianchi raccolti in una crocchia sulla nuca e stranamente vestiva sempre di blu. Era sempre sorridente e molto gentile e semplice con tutti.
A me però, per qualche inspiegabile ragione, non andava a genio per niente. Provavo nei suoi confronti quasi un senso di repulsione, perfino una vaga paura.
A volte rimproveravo me stessa per questo, perché non esisteva nessun motivo valido od anche solo apparente che giustificasse questa mia sensazione negativa verso di lei, che era così gentile, così educata.
Un giorno, mentre costei usciva dal mio negozio, entrò un'altra cliente, che possedeva una drogheria poco lontana da noi.
Questa donna, nel vedere Tonietta mentre andava via, mi spiegò che quando quella vecchia andava da lei per fare spesa, si sentiva balzare il cuore in gola perché la sua presenza la spaventava, proprio come succedeva a me. Io, che non le avevo mai parlato di Tonietta, le confidai allora che anch'io provavo la stessa sensazione. Ambedue, stupite per le nostre comuni sensazioni così simili, fummo poi d'accordo che ci sentivamo in colpa perché non esisteva alcuna ragione plausibile per queste nostre paure. Però eravamo anche molto curiose di individuare il motivo, che in qualche modo doveva ben esistere, ma non ne venimmo mai a capo.
Questa Tonietta, in seguito alla morte della sorella andò un po' fuori di testa. Ebbi la possibilità di rivederla, ma per me non era cambiato niente.
Torino, 23 agosto 1999
I.
Primo episodio
Mio figlio Dario di circa nove anni fu ricoverato all'ospedale per essere operato di appendicite. Nell'attesa del giorno stabilito fu assalito da una febbre molto alta e preoccupante, date le circostanze. I medici, poco solerti, non si preoccuparono più di tanto, ma questo non c'entra in ciò che sto per raccontare.
Era di notte ed io, lì accanto al suo letto preoccupata da morire, iniziai a pregare rivolgendomi al padre Angelico da None, che avevo eletto a mio protettore.
La mia preghiera fu intensa, come si può immaginare. Avevo paura che Dario non ce la facesse.
Subito dopo questa preghiera mi sentii pervasa dalla certezza assoluta senza alcun dubbio che tutto si sarebbe risolto positivamente.
Non fu solo speranza, ne fui certa al cento per cento. Difatti verso il mattino la febbre diminuì e si manifestò il morbillo. Questo, certo, sarebbe comunque avvenuto. Ma la certezza anticipata che tutto sarebbe andato bene, fu qualcosa che non seppi mai spiegare.
II.
Secondo episodio
La mia nipotina Eleonora, figlia di Dario, doveva farsi operare di tonsille ma già da tempo non stava bene, era dimagrita, aveva perso l'appetito ed era sempre febbricitante, perciò il medico preoccupato consigliava il ricovero in ospedale.
Anch'io, come al solito quando si tratta dei miei cari, ero assai preoccupata, temevo fosse affetta da qualche grave malattia.
Si era nel periodo natalizio ed avevo allestito un piccolo presepe. Così una sera mi rivolsi al piccolo Gesù Bambino chiedendogli con tutto il cuore di guarire la piccola. Ad un tratto, come già era avvenuto con Dario, seppi con assoluta certezza che tutto sarebbe andato bene. E così fu.
II.
Terzo episodio
In questo caso tutto si svolse fuori dall'ambito familiare.
Ero andata a far spese in un negozio la cui padrona era anche mia cliente ed amica. La trovai che stava piangendo, perché sua figlia aveva dato alla luce molto prematuramente due gemelli, uno dei quali era già morto mentre l'altro, che pesava seicento grammi, versava in gravissime condizioni che non lasciavano adito ad alcuna speranza.
Io stavo lì, cercando di consolarla in qualche modo, quando ad un tratto mi sentii assolutamente certa che il piccino sarebbe vissuto. Ne ero talmente sicura che glielo dissi. Lei mi guardò incredula, ma io insistetti: «Vedrà che tutto andrà bene, stia tranquilla, io lo so».
Quella stessa sera questa donna venne da me in negozio, mi abbracciò con le lacrime agli occhi e mi comunicò che il suo nipotino era fuori pericolo, che sarebbe vissuto e che io avevo avuto ragione. Ma io già lo sapevo. Eppure la salvezza di quel bambino era stata un vero miracolo (benché purtroppo restasse quasi cieco perché gli avevano somministrato troppo ossigeno).
In quell'occasione non avevo affatto pregato, eppure accadde la stessa cosa. Perché, non lo so. Come so che queste mie strane certezze rimarranno un mistero.
Torino, 23 agosto 1999
I.
Mi è successo di sognare che alcune persone, perse di vista da tanto tempo, erano morte. E poi ebbi conferma che esse erano decedute proprio poco dopo i miei sogni.
Così fu anche per mia suocera e mia cognata Ida: sognai la loro morte poco prima che si verificasse.
Coincidenza o altro? Desidererei tanto saperlo, anche se prevedere la morte di qualcuno, sia pure in sogno, non è affatto piacevole.
II.
Molti anni fa sognai... o forse ero sveglia?
Non saprei decidermi né in un senso né nell'altro.
Sta di fatto che mi trovai contemporaneamente nel mio letto e nella stanza da bagno.
Al mattino, quando lo raccontai a mio marito, egli mi disse che era soltanto un sogno, ma io non ne sono affatto sicura.
Non mi convince, in particolare, il fatto che nel letto fossi distesa e nel bagno invece camminassi.
Torino, 23 agosto 1999
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